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domenica 7 luglio 2013
Tennis di John McPhee (Adelphi)
Se c'è un libro in grado di
dividere i lettori fra chi rischia di contrarre in una forma o nell'altra il
morbo del tennis, e chi invece ne risulta immune, è questo. Dove si rivive, un
punto dopo l'altro, la semifinale di Forest Hills 1968 fra Arthur Ashe e Clark
Graebner - la prima disputata da un tennista nero agli albori dell'era Open, ma
anche e soprattutto la prima partita di tennis raccontata dall'interno del
luogo enigmatico e fino ad allora inesplorato che il gioco abita, e spesso
devasta: la mente del tennista. Guardandola per caso alla CBS, John McPhee era
subito rimasto incantato dal magnifico arabesco che i colpi dei due
protagonisti - diversi in tutto, e in primo luogo nello stile - disegnavano
sull'erba. Ma rivedendo il match insieme a Ashe e Graebner ascoltandone i
racconti, trascrivendone le reazioni - McPhee lo ha poi ricostruito, in Livelli
di gioco, con due soli accorgimenti: la demoniaca accuratezza descrittiva che ha
fatto di lui una leggenda della narrativa americana, e i veri ingredienti del
tennis: collera, spavento, esaltazione, freddezza, sconforto, orgoglio. Gli
stessi che qualche mese prima McPhee aveva scoperto vivendo per quindici giorni
a pochi centimetri di distanza dal prato su cui il tennis moderno è nato, per
ascoltare e poi ritrarre dal vero, nel secondo pezzo che compone questo libro,
uno dei suoi personaggi più indimenticabili: Robert Twynam, giardiniere capo di
Wimbledon.
sabato 6 luglio 2013
L'AUTENTICA STORIA DI OTRANTO NELLA GUERRA CONTRO I TURCHI. NUOVA LUCE SUGLI EVENTI DEL 1480-81 DALLE LETTERE CIFRATE TRA ERCOLE D’ESTE E I SUOI DIPLOMATICI DI DANIELE PALMA (KURUMUNY EDIZIONI)
Più di trecento lettere originali
presenti nell’Archivio di Stato di Modena – scritte nei giorni del conflitto e
in parte codificate con un alfabeto segreto per comunicare in modo riservato le
informazioni più delicate sui rapporti tra varie entità statuali, europee e
mediterranee – costituiscono la struttura fondamentale di questo volume sulla
guerra turca contro la Terra d’Otranto. Le risultanze che scaturiscono da tali
documenti sono confrontate con altri già editi, con la storiografia posteriore
e con la saggistica sull'argomento. Sul più vasto scenario della guerra che i
turchi portarono in Terra d’Otranto, se da un lato è stato scritto molto,
dall’altro sono rimaste molte questioni aperte. Lo stesso discorso vale,
naturalmente, per altre questioni, quali l’esatta cronologia dei vari episodi
in cui si dispiegò l’invasione turca o lo sterminio di centinaia di otrantini:
perché fu voluto e precisamente da chi, con quale criterio furono scelte le vittime, se ebbero la
possibilità di scampare alla morte riscattandosi o abiurando la loro fede,
se questo fu loro richiesto, e altro
ancora.
Daniele Palma - Daniele Palma, nato a Calimera (LE) nel 1952, forse
perché impaziente di dedicarsi alla neonata passione per l’astrofisica, nel
1970 conclude brillantemente gli studi classici saltando l’ultimo anno di
liceo. Negli anni seguenti, in effetti, studia fisica prima a Lecce e poi a
Roma, laureandosi nel 1975 con una tesi nella quale introduce un nuovo
parametro per lo studio di alcune caratteristiche degli ammassi globulari,
grandi concentrazioni di stelle intorno alla nostra galassia. Tra un esame e
l’altro trova il tempo di esprimere le sue opinioni – sulla politica,
sull’economia e sul costume – in vari giornali locali, spesso da lui stesso
fondati, diretti ecc.: forse, crede, per un residuo gusto per il componimento.
Intanto pubblica su riviste specialistiche i risultati dei suoi studi: da solo
(Evidence and properties of double shell burning stars in globular clusters),
con il relatore della tesi (A parametric approach to the slope of the globular
clusters giant branches) e con un gruppo di docenti e ricercatori
dell’Università di Lecce (‘Mutual relationships between ice mantle and silicate
core properties of interstellar grains’). La scoperta, non solo del parametro
δ0.6, ma anche del fatto che la ricerca scientifica è bella quanto avara con i
suoi amanti, specialmente se questi pretendono di dare uno sbocco concreto ai
propri studi in un lasso ragionevole di tempo, lo induce a correggere la
propria rotta, quanto basta per approdare ai lidi dell’informatica, scienza e
tecnica allora pionieristica. Così, mentre passa attraverso cinque diverse
aziende tra Roma e Lecce, riascolta il seducente canto delle sirene che gli
rammentano come la sua anima – attratta fino a quel momento un po’
dall’umanesimo e un po’ dalla scienza – può trovare un buon equilibrio
affiancando, ad un’attività lavorativa nel segno della logica e
dell’elettronica, uno spazio di tempo libero dedicato alla ricerca storica e
linguistica, con lo spunto di un’identità peculiare propria di una terra
d’origine sospesa tra Oriente e Occidente. Credendo, quindi, di voler conoscere
nomi, cognomi e date importanti di tutti i suoi antenati (e delle antenate),
intraprende una ricostruzione sistematica delle migliaia di famiglie che sono
vissute a Calimera dal Seicento all’Ottocento. Non solo: inseguendo le radici
proprie e della moglie Dolores Greco (che sa bene quali attrattive lo tengono
molte ore fuori di casa, immerso in fondi archivistici o agricoli), finisce per
interessarsi anche del territorio circostante e dei suoi antichi abitanti. Lungi
dal cercare improbabili quarti di nobiltà, scopre che i suoi figli, Giuseppe,
Maria Veronica e Luigi Matteo, hanno inattesi antenati tra arcipreti di rito
greco, mercanti genovesi, scultori, ecc.; e, strada facendo, raccoglie tante
altre notizie – forse riportate come curiosità da alcuni benemeriti parroci
antichi – che si rivelano particolarmente interessanti per la filopatria.
Comincia così a pubblicare questi ritrovamenti, prima connettendoli con una
trama narrativa (A metà del guado – Vicende religiose nella Calimera del
Seicento [Calimera 1988]; Alba di luna sul mare – Tragedia di Roca tramandata
oralmente sull’altra sponda [Galatina 2000]), poi all’interno di saggi lunghi
(I Castriota a Calimera, sul Bollettino storico di Terra d’Otranto 10 [2000]; A
nord di Kunta Kinte: incursioni e rapimenti in Terra d’Otranto intorno al
secolo dei lumi sul Bollettino 11 [2001]) e anche in forma divulgativa (‘Donde
Vrani’, Il Campanile di Borgagne; ‘Belloluogo, un nome che viene da lontano’,
Quotidiano 29/1/2001, 14; ‘Roca, covo di pirati distrutto da Carlo V’,
Quotidiano 4/6/2001, 17). Nel 2002 vedono la luce la monografia Roca – La
diaspora unita nel culto di Maria e il saggio Un buon Lagetto inedito sugli
eventi del 1480-81 in
Otranto sul Bollettino 12, su cui continua, negli anni successivi, la
pubblicazione delle risultanze scaturite indirettamente dagli studi
genealogici: Cronache di altri tempi: tutti i particolari nei registri;
Speranza nell’Essere e certezza del divenire in antichi documenti parrocchiali;
Lingua e rito greco a Calimera e negli altri centri dell’area rocana. Nel
frattempo, si dà corpo allo studio sulla feroce guerra turca, che colpisce le
genti salentine mentre altrove il buio medievale è rischiarato dagli splendori
rinascimentali, dando inizio a incubi plurisecolari che accomunano ancora una
volta questo lembo d’Italia ai destini della Grecia, in un sincronismo perfetto
di morte e resurrezione, fino all’inizio dell’Ottocento. In questo modo,
Daniele Palma si ricollega agli studi iniziali sulle affinità culturali in
senso lato della propria terra con il mondo ellenico.
Info
venerdì 5 luglio 2013
giovedì 4 luglio 2013
Jack Vance , IL CICLO DELLA TERRA MORENTE ovvero La terra morente, Le avventure di Cugel l'Astuto, La saga di Cugel , Rhialto il meraviglioso (Fanucci)
Lo scrittore statunitense Jack Vance, è
considerato uno dei re del fantastico. Autore pluripremiato, con traduzioni in
ventisette lingue, ha scritto oltre sessanta libri, la maggior parte dei quali
inseriti in saghe fantasy e fantascientifiche: i più famosi sono i quattro
volumi del ''Ciclo della Terra morente'' che tornano finalmente in libreria. Il
ciclo, ispirato ai lavori di C.A. Smith, comprende due collezioni di racconti e
due romanzi. L’ambiente narrativo è sempre lo stesso, un’era futura lontana in
cui il sole è ormai una debole fiaccola e la Terra gli rotola attorno, stanca e
popolata da un’umanità cialtrona e violenta che si trascina sullo sfondo di
città decadenti visitate di tanto in tanto da stregoni, demoni, avventurieri e
altre figure fantastiche abilmente create dal genio dell’autore.
La terra morente (pp. 176 - € 9.90 -
Traduzione di Maria Teresa Aquilano e Roberta Rambelli)
Il primo capitolo del ciclo La Terra morente è ambientato
in un futuro remoto in cui il crepuscolo della Terra ormai giunta alla sua fine
pervade ogni cosa, anche la mente degli uomini, condizionandone emozioni e
sentimenti. In una realtà cupa e corrosa dal tempo, la popolazione umana si
riduce ogni giorno sempre di più, sopravvivendo in strutture un tempo lussuose
e ora decadenti. Strane figure ormai indistinguibili si muovono come zombie:
avventurieri e stregoni, esseri umani e non umani, mostri grotteschi terreni e
soprannaturali. La scienza è stata sostituita da un miscuglio di magia e
tecnologia, con regole, formule e leggi tutte nuove. Il passato è un ricordo
tenebroso che pochi cercano di riscoprire, occupati a vivere un tempo che
scorre lento ma inesorabile.
Le avventure di Cugel l'Astuto (pp. 224 - € 9.90 - Traduzione di Maria
Teresa Aquilano e Roberta Rambelli)
La fine della Terra è vicina e gli abitanti ne sono
perfettamente consapevoli: alcuni sono ormai rassegnati, altri, come Cugel
l’Astuto, cercano un riscatto, intraprendendo avventure
pericolose spinti dal desiderio sfrenato di tentare il tutto per tutto per
sfidare il tempo e la realtà, in vista di una fine imminente. Costretto dal
Mago Beffardo Iucounu ad affrontare l’audace missione di appropriarsi di una
lente magica che permette di vedere il Sopramondo, Cugel parte per il primo di
una lunga serie di viaggi lontano da casa, durante il quale sfiderà il Mago
Beffardo e gli strani e squallidi abitanti di un villaggio in cui ogni cosa
sembra irreale... ma il ritorno alla Terra appare quasi impossibile e il tempo
che resta è ormai agli sgoccioli.
La saga di Cugel (pp. 352 - € 9.90 -
Traduzione di Maria Agnese Grimaldi)
Cugel l’Astuto, personaggio ambiguo e nello stesso tempo
attraente, siede sconsolato su una spiaggia lontanissima da casa, dall’altra
parte del pianeta sulla costa di Shanglestone. Il suo unico obiettivo, anche
questa volta, è tornare e vendicarsi del Mago Beffardo, unico responsabile del
suo secondo esilio. Per farlo, però, sarà costretto ad affrontare ostacoli
d’ogni genere e una serie straordinaria di avventure a bordo di una nave
mercantile, come responsabile della manutenzione dei vermi marini giganti. Solo
il ritorno nella terra di Almery potrà permettere a Cugel di mettere in atto la
sua vendetta, ma la strada è lunga e la vita sulla nave riserva difficoltà e
innumerevoli pericoli.
Rhialto il
meraviglioso (pp. 256 - € 9.90 – Traduzione di Gianluigi Zuddas)
Il gruppo di maghi di cui fa
parte Rhialto vive nel Ventunesimo Eone, nella Terra del lontanissimo futuro,
quando il Sole è ormai alla fine del suo ciclo vitale. Dotati di enormi poteri,
i maghi hanno fondato un’associazione per proteggere i loro interessi dagli
attacchi esterni, in una realtà sempre più precaria e decadente. Il vanitoso e
altezzoso Rhialto è vittima delle macchinazioni del collega Hache-Moncour, e
deve darsi da fare per salvaguardare i rapporti con gli altri maghi ed evitare
di perdere per sempre le pietre magiche fonti di molti dei suoi poteri. Per far
ciò, intraprenderà un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca dei Principi
originari che in passato hanno fondato il codice di condotta dei maghi, in una
dimensione al limite tra sogno e incubo.
Jack Vance nasce in California nel 1916. Dopo aver svolto i lavori
più disparati, si iscrive all’università di Berkeley, ma non termina gli studi.
Si arruola nella marina mercantile all’inizio della Seconda guerra mondiale e
in questo periodo inizia a scrivere i primi racconti che hanno poi composto il
ciclo La Terra morente. Ha vinto numerosi premi, tra i quali: il Premio Hugo,
per tre volte, il World Fantasy Award, per due volte, e il Premio Nebula.
Nota per il lettore - "Rhialto il meraviglioso" è
un'opera indipendente da "La Terra morente" e può essere letta
separatamente. "La saga di Cugel" è il seguito di "Cugel
l'astuto" (la seconda parte di "La Terra morente") ed inizia nel
punto preciso in cui quella terminava. Tuttavia anch'essa può essere letta
autonomamente.
Traduzioni di Maria
Teresa Aquilano e Roberta Rambelli e Gianluigi Zuddas € 9.90 ciascuno
In libreria – 11
luglio
mercoledì 3 luglio 2013
RUTULI’ DI DARIO MUCI (LUPO EDITORE) LIVE IN CONTRADA ARAGONA (TUGLIE) DOMENICA 7 LUGLIO 2013
L’Arci Tuglie, in occasione della
ricorrenza di Santa Maria Goretti, anticipa una delle tappe del Festival “Chè
ca canta storie”, ospitando Dario Muci e l’anteprima del suo nuovo lavoro
discografico “Rutulì – Barberìa e canti del Salento” edito da Lupo Editore.
L’evento si svolgerà in contrada Aragona (all’ingresso di Tuglie venendo da San
Simone) con la cornice di uno dei luoghi più antichi e suggestivi della città, la masseria Aragona e la chiesetta di San
Girolamo, eretta nel 1696 e ormai in uno stato di totale abbandono. Prima
del concerto di Dario Muci, alle ore 21:00, ci sarà un omaggio a Don Dante
Garzia che, con una petizione pubblica, bloccò la lottizzazione dell’area che
ne avrebbe cancellato per sempre il sito storico. Un’analisi storica e più
approfondita verrà esposta da Raimondo Rodia e la serata sarà presentata dalla
giornalista Federica Sabato. Alle domenica 7 luglio 2013 ore 22:00 si apriranno
“le danze” con il concerto di Dario Muci
che presenterà il suo ultimo progetto discografico. RUTULI’ Barberìa e canti
del Salento, è un omaggio agli Ucci (cantori di Cutrofiano) e al repertorio
suonato nelle sale da barba del Salento.
Rutulì - Barberìa e canti del
Salento (Lupo editore). Rutulì rappresenta solo una piccolissima
parte del complesso e variegato patrimonio popolare e contadino. Una forma di
riproposta in cui gli arrangiamenti originali e i testi tradizionali convivono
perfettamente e rendono lo spettacolo dal vivo un’esperienza nuova e
coinvolgente lontana dallo stereotipo musicale estivo e spettacolarizzato. I
canti riproposti fanno parte di quel repertorio della tradizione orale che
attraversa l’Italia, arriva nel Salento, punta a sud, e che raccoglie
soprattutto un cospicuo repertorio di canti narrativi che proviene
prevalentemente dal nord Italia, tipico delle zone alpine. Oltre ai canti hanno
una loro forte presenza gli strumenti a corda, come un fado portoghese o un
classico napoletano. Così come fondamentali nel contesto di questo nuovo
progetto musicale la chitarra e il mandolino, che sono strumenti principi della
barberìa, ovvero la musica delle sale da barba, saloni. Dei veri e propri
salotti dove si potevano anche ascoltare le novità della musica colta, oltre al
repertorio classico di ballabili e serenate.
Hanno suonato alcuni dei
musicisti più raffinati del Salento che hanno accompagnato le voci maschili che
più rappresentano l’identità canora di questa terra: Antonio Calsolaro (arrangiamenti
chitarra e mandolino), Massimiliano de Marco (chitarra, voce), Vito de Lorenzi
(tamburi del Salento), Roberta Mazzotta (violino), Marco Bardoscia
(contrabbasso), Rocco Nigro (fisarmonica), Andrea Doremi (tuba), Antonio
Castrignanò (voce), Giancarlo Paglialunga (voce), Claudio “Cavallo” Giagnotti
(voce), Cosimo Giagnotti (voce). Il disco è interamente dedicato a Uccio
Aloisi, Uccio Bandello e Leonardo Vergaro
Dario Muci - Musicista di musica popolare e ricercatore di
tradizioni orali, Dario Muci, ripropone la cultura musicale Salentina dal 1997,
collaborando con i gruppi più rappresentativi della sua terra (Officina Zoè,
Uccio Aloisi, Salentorkestra, ecc.). Discepolo del maestro Luigi Stifani di
Nardò (barbiere violinista e massimo informatore sul “Tarantismo” in Puglia)
continua a riproporre gli antichi canti acquisiti direttamente dagli anziani,
dai testi etnomusicologici e dalla continua ricerca sul campo. Considerato una
tra le voci giovani più interessanti del panorama tradizionale salentino, ha collaborato
anche in progetti jazz, world ed elettronica cantando con: Paolo Fresu, Ernst
Reijseger, Paolo Vinaccia, Raffaele Casarano, Tenores de Orosei, Marco
Bardoscia, Giorgio Distante, Valerio Daniele, Justin Adams, Julde Camara, Paolo
Rocca, Fiore Benigni, Andrea Stocchetti, Mirko Signorile. Parallelamente alla riproposta è impegnato
alla realizzazione di un secondo volume di materiale etnomusicologico, frutto
di una lunga ricerca sul campo.
Info
martedì 2 luglio 2013
Zoo a due di Marino Magliani e Giacomi Sartori con prefazione di Beppe Sebaste (Perdisa Pop). Intervento Nunzio Festa
Andiamoci piano. Perché il
pregiato libro che abbiamo sotto le mani va ‘descritto’ con meticolosità;
almeno nella dose usata da chi l’ha fatto: dagli autori dei racconti che lo
compongono, all’autore della prefazione ai professionisti tutti dell’editrice che
l’ha portato in stampa. Intanto – appunto - la copertina, di “Zoo a due”,
firmato da Marino Magliani e Giacomo Sartori. Perché è sviluppata su un disegno
d’Andrea Pazienza. Dove due volatili in bianco e nero si coccolano appoggiati a
un ramo. Evidentemente a simboleggiare l’amore. Ma potremmo (pure) allargarci
indicando, quale emozione e sentimento, insomma un (po’) valore, persino
l’amicizia. Mentre la prefazione dello scrittore Beppe Sebaste, competente e
impeccabile come un riuscito saggio breve – a presentare la voglia di vivere
del volume. E Sebaste, sia chiaro, indugia soprattutto su un elemento. Insomma
ci tiene a spiegarci, precisare che il motivo del libro appartiene al catalogo
delle forze storiche della letteratura. L’animale non è che uomo in sedicesimi.
Oppure il contrario. O, detto in maniera più rozza, ogni vicissitudine che gli
animali dimostrano di sopportare e portare a noi la conosciam bene in quanto fa
parte delle nostre stesse vite. Non per niente, lo scrittore Beppe Sebaste
parte citando scrittori che non sono “classici” per vezzo delle critica, ma
sono considerati tali da chiunque apra un loro romanzo. Da Tolstoj a Kafka.
L’antologia è formata da sedici racconti; quattordici brevi di Sartori e due
più lunghi di Marino Magliani. Il libro è aperto da “Pipì”, di Giacomo Sartori,
storia d’un cane che racconta il suo legame col padrone, un barbone che gli
vuole tanto bene. Ma sono le due novelle di Magliani a fare da controcanto a
tutti i personaggi, sempre del mondo animale, che passano nello scorrere della
raccolta di voci. Dopo aver lasciato il canarino nella sua sicurissima gabbia,
incontriamo, per fare solamente qualche esempio delle micro-storie di G.
Sartori, una formica che un giorno esula dal compito di seguire tutte le
indicazioni del collettivismo formichista. Per una volta si sposta dalla massa
che esegue militarmente. Raccontandoci in prima persona che si prova
nell’impresa. “Se fosse durata sarebbe stata la quinta estate sotto le palme.
Ma il padrone teneva le bestie solo per un periodo e poi le abbandonava. E un
giorno toccò anche a Cobre”, è l’incipit del primo dei racconti di Magliani.
Quello del cane che tenta di tornare dal suo padrone, lungo la costa ligure
madre dell’autore. Che troverà quello dell’altro cane, il figlio, in cammino
nella risalita contraria. La penna è quella del Magliani in stato di grazia,
che con “Quella notte a Dolcedo” aveva incantato. La scrittura di Giacomo
Sartori deve invece fare i conti, giustamente, con la difficoltà di non cedere
alla barzelletta: traguardo raggiunto grazie all’invenzione d’un orso polare
freddoloso della stessa squadra dell’unicorno abitante d’un libro eccetera. Un
libro, insomma, su paure, desideri e ambizioni tutte umane. Nel manifestarsi di
sentimenti certamente animali.
Muddhriche di Mino De Santis (Ululati, Lupo editore) visto da Vittoria Coppola
Salento, voce e canto. Non solo
parole, quelle di Mino De Santis. In lui sono racchiusi pezzi di cuore legato
ad una terra rossa e carnosa. Il cantautore salentino è appena tornato con
“Muddhriche”, album prodotto dalla giovane etichetta musicale Ululati, dopo
Caminante (2012). Mino De Santis si fa ascoltare, con voce piena e puntuale
quanto le sue idee, che si traducono in testi ricchi di significato, storia e
senso di vita. In lui e grazie a lui, vive il Salento. Non quello che balla
quando suona un tamburello, ma quello che danza al ritmo naturale della vita,
che scorre attraverso gli anni, incontra preti, “pizzoche” e “sbergugnate”. Ed
ha sempre tempo per l'amore, il cuore. Il corteggiamento. E c'è l'incanto della
natura, degli ulivi pieni di nodi, dalle bellissime fronde. Ci sono i fichi e
le mandorle. E nella bocca arriva il sapore della semplicità, quella sublime. Tanto
di più viene nella mente, se si lascia aperta la porta del cuore e ci si lascia
andare al canto. È un grande ritorno, quello di Mino De Santis. Il tempo
danzerà assieme a lui e ci coinvolgerà uno per uno. Mino De Santis lo sa: siamo
tutti - ma proprio tutti - sullo stesso palco. E briciola dopo briciola si
assapora il pane, simbolo unico di dignità.
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