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sabato 9 ottobre 2010
Il libro del giorno: Maripol (Little Red Riding Hood) edito da Damiani editore
"Nero. Autobiografia di un neonazista guarito" di Frank Meeink e Jody M. Roy (Piemme)
«Noi non siamo nemici, ma amici. Noi non dobbiamo essere nemici. Possiamo essere stati tesi dalle nostre passioni, ma ciò non deve rompere i nostri legami d'affetto. Le corde mistiche della memoria suoneranno se toccate ancora, come sicuramente saranno, dai migliori angeli della nostra natura.». Era il 1988. Lo ricordo come se fosse ieri. Al cinema danno “American History X” un film del 1998 diretto da Tony Kaye. La pellicola è dedicata al tema del razzismo nazi e xenofobo negli Stati Uniti. American History X lo vado a vedere di nascosto dai miei. Ci rimango sotto. Ci rimango sotto a Derek che, dopo aver trascorso tre anni in gatta buia per aver ucciso un ragazzo di colore che stava tentando di rubargli l'auto (skinhead con tanto di svastica tatuata sul petto e camera arredata con cimeli nazisti), si dà da fare in atti di violenza e vandalismo e fa parte di una locale organizzazione di giovani neonazisti che viene finanziata da Cameron Alexander, proprietario di una casa editrice che pubblica libri propagandistici e dischi di gruppi musicali che inneggiano alla supremazia bianca. E ci rimango sotto anche a un libro che è uscito in questi giorni dal titolo “Nero. Autobiografia di un neonazista guarito” di Frank Meeink e Jody M. Roy edito da Piemme. In parole povere la storia di Frank Meeink di padre italiano e madre irlandese la cui vita è fatta sin dall’inizio di disordine e violenza. Che cosa ne può nascere se non un essere umano che cresce di odio in odio verso tutto e tutti, con una voce che si ripete giorno e notte, notte e giorno: “Io non sono negro!”. Già perché per Frank non essere “negro” vuol dire vincere sulla parte più vulnerabile di se stessi, quella più bisognosa d’aiuto, che rimane nell’ombra, nell’oscurità, dove tutto è “nero”!. Frank viene sbattuto fuori di casa alla veneranda età di 13 anni, passa da un affidamento all’altro sino al carcere, epilogo naturale e totale della sua vita. Poi il cameratismo, degli skinhead. Assorbe come una spugna e manda giù, tesi deliranti sulla razza ariana, sugli ebrei e il loro complotto giudaico-massonico, sui «negri». Festeggia addirittura il compleanno di Hitler, si fa tatuare una svastica sul collo, si esalta in una spirale di violenza e assurdità, tra cui pestaggi a barboni, gay, a tutti i «diversi». Frank è uno che a sedici anni diventa leader di una delle più famigerate gang di naziskin. Poi il Ku Klux Klan. E diventa un mito. In carcere poi, dovunque vada, qualcuno legato al mondo nazi lo protegge dai rischi peggiori. Ma Frank scopre in carcere che le battute razziste non fanno più ridere come prima e questo è già indice di tradimento. Libro terribile, ma nello stesso tempo da non perdere soprattutto perché ci insegna a capire da un punto di vista socio/culturale la temperatura psicologica di una parte malata d’America che a tutt’oggi sembra comunque godere di ottima salute!.
«Il mattino del 19 aprile 1995 mi infilai in una gastronomia, presi un panino preconfezionato e andai alla cassa. Il commesso era incollato a un piccolo televisore sistemato dietro il banco. «Cosa succede?» domandai. «Hanno fatto saltare in aria un edificio.» «Sul serio? Dove?» «Oklahoma City.». Poco dopo l’esplosione tutto il mondo era davanti al televisore. Perfino io e gli altri spacciatori abbandonammo il nostro angolo fra Second e Porter per seguire quello che era accaduto. Ci ammucchiammo in una stanza di una malandata villetta a schiera di South Philly. » (estratto dal libro)
venerdì 8 ottobre 2010
Il libro del giorno: Uomini e orsi Una breve storia di Bernd Brunner (Bollati Boringhieri)
Il primo, sorprendente racconto della storia che l’uomo ha scritto insieme agli orsi.
Simbolo di spazi selvaggi e inviolati, ma anche dei più teneri giochi infantili, l’orso ha stregato l’uomo sin dalla preistoria. Bernd Brunner ci porta attraverso il tempo e lo spazio per farci scoprire i risvolti inattesi di un rapporto burrascoso, fatto di cacce, inseguimenti, fughe, ma anche di rarissimi e preziosi momenti di condivisione. Uomini e orsi, con le sue ricche illustrazioni, introduce il lettore alla nostalgia per una vita libera e brada, che proprio come gli orsi non si lascia addomesticare o costringere nei limiti angusti della cosiddetta civiltà. Molti sono stati gli uomini preda di una vera e propria «orsessione», come recita uno dei capitoli del libro, di un’attrazione, talvolta fatale, che li ha spinti a sfidare i propri limiti. Brunner ci racconta le loro e altre storie, in un caleidoscopio di fiabe, miti e credenze che cattura dalla prima all’ultima pagina.
Bernd Brunner, studioso e scrittore eclettico, si è occupato soprattutto di storia delle idee e della cultura in rapporto al sapere scientifico. Ha studiato a Berlino e Seattle e ha collaborato con il Bard Graduate Center for Studies in Decorative Arts and Culture di New York, con la Bancroft Library della University of California a Berkeley e con il Goethe Institut di San Francisco. I suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue.
In anteprima un estratto de "Il mio primo omicidio " di Leena Lehtolainen (Fanucci)
Jyri si svegliò con un atroce bisogno di orinare. In bocca quel sapore acre che in genere ti lasciano whisky, birra, aglio e una serie infinita di sigarette. Si domandò se in casa avrebbe trovato della Fanta. Il mattino dopo una sbornia era quella la sua medicina preferita, se la situazione non era grave al punto da richiedere una birra. La mattina era divinamente bella. Tuulia e Mirja erano sedute in terrazza e s’occupavano della colazione. Tutto quel ciarlare sulle virtù dei vari formaggi lo divertì – in realtà le due donne non si sopportavano. Ma dal momento che una era il miglior soprano e l’altra il miglior contralto dell’ASPROF, l’Associazione degli studenti delle province orientali di Finlandia, erano costrette a fare buon viso a cattiva sorte. Mirja era la perfetta incarnazione del contralto, bruna, rotondetta, tenebrosa. Perfetta per la parte della zingara nel Trovatore di Verdi: come si chiamava poi... la zingara, insomma. Il sole abbagliante lo colpì agli occhi, tanto che il capo gli rintronò. Per sicurezza mandò giù due tachipirine, anche se era convinto di essere ormai immune al trattamento. Fanta non ne trovò, ma c’era succo d’arancia. Il mondo gli si mostrava nel suo splendore più deprimente: il mare scintillava, gabbiani strepitavano vicino al pontile, si annunciava un pomeriggio canicolare. Cantare con quella calura non sarebbe stato tanto facile. «Allora, Jyri, pesante la spranghetta?» fece Tuulia in tono canzonatorio. Anche lei aveva un’aria pallida, di sicuro nessuno aveva dormito granché quella notte. Ma che problema c’era? A lavorare si andava solo l’indomani. «Gli altri dormono ancora?» «Piia è andata a fare un bagno. Altri non ne ho visti. Sarebbe ora che si alzassero, se vogliamo combinare qualcosa.» Mirja lo disse con un tono acido, i poltroni non le garbavano affatto. Il miglior doppio quartetto dell’ASPROF si era radunato nella villa dei genitori di Jukka in vista di un impegno importante, a suo parere, per fare le prove e non per fare baldoria. Tutto qui. Per cui sveglia, un bel caffè in canna, poi sotto coi vocalizzi. Jyri si tirò su. Un bel bagno non sarebbe stato una cattiva idea. L’acqua era sui venti gradi, quel che ci voleva. Si diresse caracollando verso il pontile di legno. Sulla spiaggetta accanto alla sauna scorse Piia, decentemente ricoperta da un bikini. Jyri non se la sentì di andare così lontano, per cui, alla faccia del pudore, giù le brache e oplà, in mare. Anche Jukka era in mare, galleggiava sull’acqua bassa vicino agli scogli. Doveva avere un mal di testa furibondo, almeno a giudicare dal buco enorme che esibiva sul cranio. Per il resto, non aveva l’aria troppo sveglia... Jyri si sentì rivoltare lo stomaco, e precipitarsi a vomitare sulle canne vicino alla riva fu l’unico sollievo. Gli ci volle un paio di minuti per risollevarsi e riuscire a tornare sulla veranda, dove adesso c’era anche altra gente. La sua voce limpida e invidiata di primo tenore non bastò ad articolare chiaramente le parole. «Che diavolo ci fai, così, con le chiappe al vento?» gli fece Tuulia. «Jukka... là, al pontile, oh Cristo... Forse è morto! Annegato!» «Ma di che cazzo parli?» Antti si precipitò verso la riva, Mirja gli corse dietro. Un attimo, e la donna tornò indietro per fiondarsi sul telefono. I numeri delle emergenze erano nitidamente riportati accanto all’apparecchio. Dalla terrazza udirono la sua profonda voce di contralto rivolgersi affannata alla polizia, e solo dopo cercare un’ambulanza.Dove mai ti trascina la corrente? Ero sotto la doccia, impegnata a sciacquare via il sale dalla pelle, quando il telefono squillò. Sentii il mio annuncio nella segreteria, poi la voce di un collega che mi chiedeva di richiamare al più presto. Il riposo domenicale era durato, con mia sorpresa, più del previsto, ma non ero riuscita a rilassarmi, nemmeno sulla spiaggia. Per qualche motivo m’ero sentita in dovere di trascorrere la prima bella giornata libera dell’estate a indorarmi al sole, sebbene detestassi fare vita di spiaggia. Per tutto l’inverno avevo frequentato assiduamente la palestra, ragion per cui il mio fisico era presentabile come non accadeva da anni. A parte qualche cuscinetto di cui non mi sarei mai sbarazzata, visto il ritmo con cui mandavo giù le birre. Interruppi la segreteria e composi il numero del commissariato. Il centralino mi passò Rane. «Ciao, bellezza! Tra un quarto d’ora sarò davanti a casa tua. Ho già impacchettato tutto. C’è un cadavere a Vuosaari, una pattuglia ce l’ha segnalato una mezz’oretta fa. Serve niente dal tuo ufficio? Arrivo! Si riparte, mi dissi, mentre cercavo nell’armadio qualcosa di presentabile da indossare. La gonna della divisa l’avevo lasciata in ufficio, a Pasila, sicché dovevo ricorrere ai miei jeans più decenti. I capelli erano bagnati, ma il fon non avrebbe fatto altro che scarruffare la mia zazzera rossiccia. Mi sforzai di stendere una specie di trucco sulla faccia arrossata, e feci un paio di smorfie nello specchio. L’immagine che mi rimandava era tutt’altro che quella di una rispettabile poliziotta: gli occhi verdognoli sembravano presi a prestito da un gatto, riccioli stopposi e ribelli con riflessi rossastri accentuati dalla tintura («il segreto chi lo sa, solo io e Melody...»). Il tratto che in me destava l’impressione più irriverente era il nasino all’insù che il sole aveva picchiettato di lentiggini. La mia bocca qualcuno l’aveva definita sensuale, il che significava, in soldoni, che avevo il labbro inferiore accentuato. Era proprio questo donnino, adesso, con l’aria di una mocciosetta, che doveva andare a far rispettare la legge e l’ordine là in fondo all’estremo lembo di Vuosaari? La sirena di Rane si fece sentire da lontano. Lui adorava farla andare a tutto volume, come metà dei poliziotti finlandesi.I morti non c’era rischio che se la filassero, ma questo la gente non era tenuta a saperlo
giovedì 7 ottobre 2010
Il libro del giorno: Muori per me di Karen Rose (Leggere editore)
Un assassino implacabile, un videogioco nel quale le vittime sono reali...
Un campo innevato ai margini di Philadelphia. Sedici fosse, alcune di esse sono ancora vuote, altre ospitano cadaveri disposti con una cura meticolosa. Le vittime sono state brutalmente torturate e le tecniche di cui si serve il serial killer provengono da uno dei periodi più oscuri dell’umanità, quello dell’Inquisi zione. È per questo che il detective Vito Ciccotelli decide di rivolgersi a Sophie Johannsen, un’archeologa specializzata in storia medievale. Nonostante gli anni di esperienza i due si ritrovano ad affrontare la lama affilata del terrore: l’assassino non ha ancora finito la sua opera e chi cercherà di fermarlo rischia di diventare l’ultima pedina del suo gioco di morte. Vito teme che il prossimo grido di orrore possa essere quello di Sophie, proprio ora che l’ha trovata, ora che la passione è tornata a bussare alla sua porta.
Il bacio del gronco di Gilles Del Pappas (Edizioni Controluce)
Cominciamo dalla fine. Ho smesso di fumare. Sono 9 mesi. La fame chimica adesso ce l’ho nel leggere i libri che autori ed editori mi mandano. Non so che virus ho preso o qualcuno mi ha “innestato” un’idea latente che mi ha fatto diventare ciò che sono ora. Li divoro, li digerisco e poi una strana frenesia che parte dalla punta di piedi e arriva alle sinapsi si impossessa di me. Comincia poi a salire la temperatura della scrittura, ho voglia di parlare dei libri che leggo, ne ho voglia di scrivere, e di consigliarli, consigliarveli. E questo non posso proprio non consigliarvelo, e lo fa uno che di noir ne sa poco ma ama leggerlo. Come mi ha sedotto “Duri a Marsiglia” di Giancarlo Fusco uscito qualche anno fa per Einaudi Stile Libero con la cura di Tommaso De Lorenzis, ora la fascinazione mi ha preso per un altro libro, a dir poco stupendo. Parlo del “Bacio del Gronco” di Gilles Del Pappas edito dalle Edizioni Controluce. Per la prima volta pubblicato in Italia. Per la prima volta nel nostro paese si inaugurano editorialmente le avventure di Costantin il Greco. Personaggio molto obliquo! Soundtrack consigliato “Wrong” dei Depeche Mode. Se avete lo stomaco forte, e amate una tipologia di scrittura che vi fa respirare l’odore mefitico di una bettola, che vi stringe la gola in una morsa d’acciaio per quanto satura di fuoco e nicotina, che vi fa pensare che non avete mai visto abbastanza del lerciume di questo mondo, allora questo libro fa per voi. Siamo ancora nella splendida Marsiglia “nuda e cruda” con tanto di omicidi e poliziotti corrotti , dove Fefé e Costantin sbattono a muso duro sulle curve della “pulcherrima” e inaspettata Juliette, donna sensuale, carnosa, bellissima in una parola, che devasterà il loro concetto e limite di normalità. Perché questo libro vi entri nel sangue è anche inutile che continui. Ma voglio dirvi ciò che si insinua tra queste pagine parlandovi del protagonista del titolo … il gronco, per l’appunto! Pesce crepuscolare, nero, con occhi tondi molto voluminosi, con una grande apertura buccale, una sola fessura branchiale, assenza di pinna pettorale e di scaglie. Il suo sangue contiene una tossina che all’uomo può “spaccargli il cervello” . Questo vi basti. Ora andate pure in libreria!
Gilles Del Pappas nasce nel 1949 a Marsiglia da p...adre greco e madre italiana. Regista e fotografo, ha scritto dodici romanzi. “Il bacio del gronco”, con cui ha vinto il “Prix du polar lycéen d’Aubusson” è il suo primo romanzo, pubblicato nel 1998 e ora tradotto per la prima volta in italiano. In pochi anni Gilles Del Pappas è diventato uno degli autori di ‘polar’ più emblematici del Mediterraneo, un genere di romanzi e film dalle note cupe ed introspettive caratteristiche del noir. Nel 2002 Del Pappas ha vinto il “Grand prix littéraire de Provence” per l’insieme della sua opera.
mercoledì 6 ottobre 2010
Il libro del giorno: 2012. Conto alla rovescia di Laura Fezia (Edizioni L'Età dell'acquario)
Cosa succederà il 21 dicembre 2012? Ci sarà davvero la fine del mondo, o l’ascensione al cielo della parte meritevole dell’umanità, o il cambio dimensionale? Arriveranno gli alieni a istruirci o a sottometterci, Nibiru riporterà sulla Terra gli Anunnaki, i Padri Galattici stanno davvero per ritornare o addirittura sono già qui? Oppure non avverrà nulla di tutto ciò?
Questo libro ripropone gli indizi antichi e moderni che suggeriscono l’ipotesi che stia per accadere un evento straordinario, ma non si ferma qui e aggiunge argomenti nuovi, poco conosciuti o addirittura ignorati dal grande pubblico, importantissimi per comprendere quale potrebbe essere il futuro prossimo. Per esempio: dov’è finita la «moglie di Dio»? C’è un luogo, in Italia, che può avere un ruolo particolare nella preparazione del cambiamento? Cosa significa, concretamente, «cambio dimensionale»? Esiste un complotto del Potere ai danni dell’umanità? Come sarà la vita sulla Terra dopo il 2012?
Non dovremo aspettare a lungo per conoscere le risposte: il conto alla rovescia è già incominciato.
L'AUTORE - Laura Fezia è nata, vive e lavora a Torino, dove da più di trent’anni si interessa e si occupa, con ironia e concretezza, della divulgazione della tematiche acquariane. È autrice di numerosi volumi e per questa casa editrice ha già pubblicato: Choku Rei, riconnettersi con la vita, Fatima. Un segreto per il futuro prossimo, La magia del gatto, I chakra. Teoria e pratica. Chi desidera contattarla può visitare il suo sito internet www.laurafezia.it.
I sette fuochi del tempio di Daniel Levin (Nord editrice). Traduzione di Velia Februari
Jonathan Marcus, è un avvocato rampante che si occupa di commercio internazionale di opere d’arte. Viene chiamato a Roma per confermare la bontà di alcuni reperti archeologici. In realtà la “puntata” nella capitale italiana si trasforma in una corsa disperata contro il tempo per trovare una reliquia divorata dai secoli e da una fitta serie di misteri… Intanto a Gerusalemme due uomini si avventurano sotto il Monte del Tempio … e la storia prende il via in una splendida sequenza di colpi di scena mozzafiato e di contenuti di altissimo livello culturale. Di certo non c’è bisogno di un Daniel Levin che scrive “I sette fuochi del tempio” per i tipi di Nord edizioni per dimostrare che i contenuti di un certo spessore possono amalgamarsi bene con la letteratura, quella da buon gustai, quella ad alto potenziale di immaginazione. Se non si ha la memoria corta, basta fare un solo nome come autore che negli anni 80 ha trovato l’alchimia giusta, perfetta per creare un prodotto editoriale di questo tipo: Umberto Eco e il suo “ Il nome della Rosa”. Il resto - come direbbe Franco Califano - è noia. Forse, ma non per questo titolo, che ho apprezzato in un momento in cui molte letture sono state lasciate perché veramente insoddisfacenti. A mio avviso si tratta di un’opera difficilmente catalogabile come un semplice thriller di matrice storico/archeologica dal momento che vi sono moduli scritturali che attingono all’universo della storia delle religioni, e alla letteratura mistico/esoterica. Il protagonista Jonathan Marcus ha un trascorso di studi all’American Accademy di Roma. La sua tesi lancia un’ipotesi sconvolgente secondo la quale lo storico latino Flavio Giuseppe non si vendette a Tito, l’imperatore romano distruttore di Gerusalemme, per avere salva la pelle. Anzi potrebbe darsi che per la sua vicinanza all’imperatore, fosse accanto agli ebrei molto più di quanto si sia potuto immaginare. Il libro porta avanti questa tesi per tutte le sue 400 e passa pagine e presenta una serie di ciliegine sulla torta come l’ICCROM (Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali), una sovrintendenza ombra che studia enigmi e simboli di Roma, e un fanatico terrorista islmanico Salah – al- Din che vuole eliminare dalla faccia della terra le prove dell’ebraicità del regno d’Israele. Libro che rivela la forte erudizione del suo autore, che affascina e conquista già dalle prime pagine.
martedì 5 ottobre 2010
Il libro del giorno (un'anteprima): Un amore perfetto di Howard Jacobson. In libreria dal 13 ottobre per l'ancora del mediterraneo
Scrittore, saggista, giornalista, Howard Jacobson è nato a Manchester nel 1942. Collabora come editorialista per «Independent» e ha realizzato documentari per Channel 4. Nella Biblioteca di Cargo sono stati pubblicati: Kalooki Nights e L’imbattibile Walzer. È tra i finalisti del Man Booker Prize del 2010.
Alessandro Schwed Mio figlio mi ha aggiunto su Facebook (edizioni l’ancora del mediterraneo)
Due anni fa è accaduto qualcosa al bambino che tredici anni prima, uscito di sala parto, aveva immediatamente preso in consegna il mio pollice, stringendolo come fatale proprietà nel palmo della sua mano minima e grinzosa. Due anni fa ci è entrato in casa un ragazzo lungo e magro, un allampanato bucaniere con la chitarra elettrica, di piedi il quarantacinque, e ha sostituito nostro figlio. Il nuovo ragazzo prende i pasti separatamente e ha la voce come il sax di Coltrane. Come tutti, sapevo che questa trasformazione, a un tratto, sarebbe avvenuta, ma anche se mi imbarazza dirlo, credevo fosse come mettersi una camicia nuova. Non capivo perché un bambino buono e gentile improvvisamente divenisse un orso bruno. Ricordo bene, Tutto è cominciato così. Sono le otto di domenica sera. È inverno. Guardiamo un confortante telefilm del tenente Colombo. La casa è placida. Nel buio, nostro figlio scende dal soppalco e la sua voce cala su di noi. “Babbo?”. “Sì”. “Mamma?”. “Dimmi…”. “Vi odio”.
Un autore, che ha fatto della lingua la palestra della derisione e della presa in giro, ha deciso di guardarsi allo specchio per vedervi proiettato in esso un numero infinito di altri genitori e di scrivere tanto un romanzo quanto una verità su un tema condiviso da migliaia di famiglie: lo tsunami dell’adolescenza che arriva inaspettato.
Alessandro Schwed, fiorentino d’adozione, ebreo, genovese da parte di madre, ungherese di padre, è il vero nome di una delle firme “storiche” della satira: come Jiga Melik, negli anni Settanta ha partecipato all’esperienza della celebre rivista satirica «il Male», tenendo poi numerose rubriche di televisione per i quotidiani del gruppo Repubblica-l’Espresso. Ha curato per Feltrinelli l’antologia Can express. Rotocalco delle bestialità del nostro tempo (1993) e scritto i romanzi Non mi parte il romanzo, saranno le candele (1999) e Lo zio Coso (2005), entrambi editi da Ponte alle Grazie. Nel 2008 ha pubblicato con Mondadori il romanzo La scomparsa di Israele. Attualmente collabora con «il Foglio» e scrive per il gruppo Repubblica-l’Espresso.
lunedì 4 ottobre 2010
Il libro del giorno: FANFARIJE di Finiguerra Assunta (LietoColle)
... si tratta di qualcosa di più disperante e travolgente d'una passione carnale: sono gridi dal fondo di un pozzo senza uscite, sono lamenti a volte imploranti a volte blasfemi spesso autoflagellanti di chi è faccia a faccia con la morte. ... una specie di premonizione apocalittica non meno struggente.... Qual è la fonte di vita? Dio? La carne? Il sesso? Siamo al confine tra la bestemmia e la protesta. Eppure questa fonte si annuncia con una litania che attesta la condizione umana religiosamente più ortodossa, e la ripetizione in chiusura sembra quasi una preghiera: è l'ombra che affila il coltello, anche se respira in mano alla fonte. Vengono in mente le interpretazioni pagane e manichee sulla "doppia faccia" del dio. Una delle qualità di Assunta è quella dell'autoironia. C'è una specie di distacco anche dal dolore più terribile..... È per me particolarmente difficile scrivere queste righe. Sì, perché "non fa più luce la finestrella / i mandarini hanno perso il profumo". Non sono nemmeno sicuro che queste sarebbero state le dizioni definitive. La morte ha interrotto il suo lavoro. Giacché il lavoro sulla natura dello sguardo si fa prima, e il lavoro di rifinitura si fa dopo. Ma Assunta non ha avuto tempo. "Stracca mi sento e avviata alla pazzia (...) e col mio sangue dipinge il tramonto" scrive in inizio e chiusura di due strofe. Tuttavia permane in questa sua poesia la luce del suo talento: "Restate qui... non mi lasciate sola / c'è la morte che m'aspetta col forcone (...) Restate qui... non mi lasciate sola / calmate questo dolore che mi mangia / come un verme da mattina a sera // e di notte quasi sempre vince lui".
dalla prefazione di Franco Loi
Nun suacce da nde venghe né nde vache/ se prime è nate a morte e ddoppe ije/ si nda nuttuate eterne cu a malevasije/ nu bbrìndese hanna fatte a malagurje/ Sacce sule ca re bbocce de sapone/ nun tènene u tiémbe de na fumuate/ e ndó cuastiédde de preta salenate/ ng'è nghiuse na fémmena peccatore/ se vatte u piétte e u tuacche vatte ndèrre/ vatte u tuamburre e re mmane o bboje/ e vvatte ucine a porte cu na foje/ nun ng'è une, p'a madosche! e i diende nzerre
Non so da dove vengo né dove vado / se prima è nata la morte e dopo io / se nell'eterna nottata a malvasia / hanno fatto un brindisi per malaugurio // So soltanto che le bolle di sapone / non hanno il tempo di una fumata / e nel castello di pietra salinata / è rinchiusa una donna peccatora // si batte il petto e il tacco batte a terra / batte il tamburo e le mani al boia / e batte sulla porta con una foga / non c'è uno, per la madosca! e i denti serra
Sciatevinne tutte quande, sciatevinne/ sópe a culnette tenghe na veppetèdde/ e ngimme e piede na bannére de Labbèdde/ re tténe càvede quanne face fridde/ nun me cercate cchiù, ije só nissciune/ nun só ulisse e mmanghe polifeme/ nun só nausiche e mmanghe re ssirene/ né circe ca l'uommene tramute ‘n puorce/ ije só a vendette de na vita storte/ m'afferre a re ccangedde de na galere/ nde u sole a qquadrettine fine a sere/ se face pagà nu prezze troppe care
Andate tutti quanti via, andate / un poco d'acqua ho sul comodino / e sopra i piedi un tessuto di Bella / li tiene caldi quando fa freddo // non mi cercate più, sono nessuno / non sono ulisse e neanche polifemo / non sono nausìcaa né le sirene / né circe che gli uomini tramuta in porci // sono la vendetta d'una vita storta / mi afferro alle grate di una galera / dove il sole a quadretti fino a sera / si fa pagare un prezzo troppo caro
Assunta Finiguerra di San Fele (PZ) è mancata il 2 settembre 2009. Ha vinto numerosi premi tra cui il "Giuseppe Jovine" il "Premio Pascoli" e finalista al premio "DeltaPoesia". Suoi testi poetici sono apparsi su Pagine, Periferie, Poesia, Lo Specchio, L'Area di Broca, Capoverso, Ciemme, Gazzetta Ufficiale Dialetti, Kamen', Incroci e in diverse antologie fra le quali: Nuovi Poeti Italiani a cura di Franco Loi, Einaudi Editore. Nel 2006, all'Università la "Sapienza" di Roma, Alessia Santamaria ha discusso una tesi sulla sua poesia, relatore Ugo Vignuzzi
Testarda io di Valeria Corrado (Libellula edizioni)
Il Salento di background umano ce n’ha da vendere, e soprattutto da un punto di vista delle strategie editoriali potenzialmente vincenti. Nel Sud Salento ad esempio c’è una giovane azienda editoriale che ha voglia di comunicare a 360° il suo impegno per la cultura e la comunicazione. Parliamo di Libellula Edizioni , la cui sede operativa è a Tricase (Lecce). La casa editrice ha l’obiettivo di portare avanti un percorso di novità fatto di intersecazioni di saperi e tecnologie, partendo però dalla tradizione. Di fatti il nome della casa editrice, trova origine nel latino classico prendendo spunto dal termine Libellus, che rappresentava il piccolo libro, le cui pagine distese hanno dato il nome all’insetto Libellula. La leggerezza, la sua capacità di muoversi veloce in ogni situazione, il volo radente a sfiorare il terreno è l’idea di fondo che viene trasferita nel marketing editoriale e nelle linee grafiche delle pubblicazioni. Lo staff è composto da poco più che trentenni salentini formatisi in sedi prestigiose fuori Puglia, e l’azione di queste brillanti menti pone l’attenzione soprattutto alla scrittura al femminile, con la collana “NovElle”, dotata di un formato pratico ed accattivante. A queste si aggiungono poi le edizioni cartonate dei “Diari di Viaggio”, in cui risalta l’arte della fotografia; le edizioni “In lapis” e “I racconti della buonanotte”. E proprio nella collana di punta “NovElle”, scopriamo il lavoro di Valeria Corrado dal titolo “Testarda, io” giunto alla terza ristampa, che per un segmento editoriale medio/piccolo e con una storia di poco meno di tre anni alle spalle, diventa un vero e proprio successo. La protagonista, Ilaria, scrive della sua ricerca interiore affidandosi ai tasti del pc. È un incedere regressivo, che va dalla sua immagine riflessa in uno specchio, all’intreccio di destinalità che tendono a comporsi in un mosaico fondamentale per costruire una storia: anzi la storia di Ilaria. Chi è Ilaria dunque? Ritratto esemplare di donna sensuale, alla ricerca di un uomo da amare e che sappia soddisfarla sotto ogni punto di vista. Ma Ilaria è un “paradigma ontico” di ciò che si vorrebbe essere, senza però avere la forza di intraprendere un cambiamento nella propria esistenza. Si sente vicina ad un uomo che fondamentalmente ha idealizzato, ma che in realtà è detestabile; si sente una figlia indegna perché vorrebbe essere come sua madre, una donna carica di sintomatologie passivo/aggressive che accetta qualsiasi cosa in silenzio soffocando le lacrime. Scritto con una prosa che va ben oltre il mestiere della scrittura, “Testarda, io” di Valeria Corrado è un diario, un epistolario ideale con tutte le donne del mondo, che vorrebbero assaporare la vita nonostante tutto, nonostante le mille e mille zone d’ombra. Un libro intenso e accattivante che mai vorrete lasciare sul comodino!
Testarda, io – di Valeria Corrado (Libellula edizioni, 48 pagine, 8 euro)
mio intervento pubblicato su Blog de La Repubblica di Bari
domenica 3 ottobre 2010
Il libro del giorno: Fragments a cura di Stanley Buchthal e Bernard Comment con prefazione di Antonio Tabucchi (Feltrinelli)
Il giorno della Iena di Stefano Lorefice edito da Eumeswil
Stefano Lorefice classe 1977, non è alla prima esperienza editoriale e lo si vede. Ha una bibliografia discreta se si pensa che ha già alcune pubblicazioni sulle sue spalle e anche con marchi editoriali di tutto rispetto. Penso a “Cosmo blues Hotel” e Budapest Swing Lovers” (Edizioni Clandestine), “Prossima fermata Nostalgiaplatz” (Clinamen), e “L’esperienza della pioggia” (Campanotto). Ora questo suo ultimo lavoro esce per le splendide edizioni Eumeswil, ed ha per titolo “Il giorno della Iena”. Ribadisco splendide per la cura dell’intera veste editoriale e per la scelta della grammatura della carta che rendono il tutto un “pacchetto” niente male. Le prime pagine traggono in inganno: già perché il tutto (e anche la copertina) lascerebbero presagire che si tratti di un noir. Sinceramente ritengo che questo lavoro non appartenga al genere in questione per una serie di aspetti su cui non mi dilungherò troppo ma che è bene sottolineare. Sembra che l’autore racconti delle vicende che molto hanno a che spartire col noir, anche se poi vi sia una volontà sotterranea che desideri tendere la struttura intera della narrazione verso qualcosa di più metafisico e onirico. Mi spiego meglio! La serie di personaggi che Lorefice descrive tra le pagine de “il giorno della Iena” sono estremi nel loro essere per la storia, quasi pulp, ma nessuno riceve una marcatura profonda che lo caratterizza psicologicamente e tutto pare rimanere allo stato d’ombra. E questo non è un difetto semmai un pregio di un raccontare storie che (secondo l’io narrante) debbono rimanere come semi nascoste da un velo, perché la nostra risposta emotiva sarebbe devastante. A rigor di logica poi, e questo denota una simmetria architettonica nel plot, anche il finale sembra tracciato sommariamente, perché non deve risultare definitiva. La vicenda o meglio le vicende, vedono come comparse un’omicida col colletto bianco, una ballerina parigina, un uomo-pillola, un angelo custode vestito di nero, uno scrittore di testi per emittenti radiofoniche e qualche altro fantasma che il lettore scoprirà pagina dopo pagina. Bel libro, e mi sento di consigliarlo caldamente perché non risparmia forti emozioni con una scrittura forte e decisa. In tutta questa dimensione umbratile consiglio le scenette esilaranti di Lomo, l’uomo-pillola ( un inetto a tutto tondo) con il suo sogno di andare a Londra e una laurea che sembra non arrivare mai.
sabato 2 ottobre 2010
Il libro del giorno: Radiazione di Stefano Jorio (Minimum Fax)
Estate 2004. A Roma, tra le innumerevoli stanze di un Ministero, il Servizio Opere d’Arte prepara pigramente l’inaugurazione di una grande collezione d'arte contemporanea. Ma come mai di alcuni dipinti, pur formalmente archiviati, sembra non esserci più traccia in magazzino? E cosa c’entra tutto questo con il più famoso quadro di Munch rubato dal museo di Oslo? E con la guerra in Iraq, ennesima corsa all'oro (nero) in cui l'Italia si è lanciata con la scusa della missione umanitaria?
MAHAYAVAN-RACCONTI DELLE TERRE DIVISE. Intervento di Alessia e Michela Orlando
Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano? Come previsto, è stata appena pubblicata l’antologia Mahayavan-racconti delle terre divise. Abbiamo già letto i due racconti che precedono il nostro, IL FIGLIO DEL FUOCO, trovandoli straordinariamente belli. Con soddisfazione abbiamo anche individuato strane, oseremmo dire magiche, concordanze. Si tratta dei racconti di Stefano di Marino, LO SPADACCINO CON UN BRACCIO SOLO, e di Fabio Calabrese, IL TRONO DI LLOGRA. La soddisfazione va contenuta, per non incorrere nel peccato di eccessiva felicità, considerando l’importanza dei due nomi. Naturalmente ci riserviamo di riparlarne in altra sede, quando avremo letto tutti gli altri racconti. Ci limitiamo, pertanto, a dire qualcosa del nostro racconto; anzi, a porci una domanda: che accade nella città di Lu-Sinh quando, finalmente, un capo guerriero si ricongiunge con la propria compagna, dopo aver affrontato vicende sconvolgenti? La loro vicinanza scatena reazioni diverse da quelle vissute dai terrestri dopo una lunga lontananza? Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano?
Dal nostro racconto IL FIGLIO DEL FUOCO, pagine 50-51:
“Antefatto. Finalmente, dopo una avventura incredibilmente suggestiva, Isy-Tdhor Maha-Ria, lo scienziato e Comandante dell’Esercito Stabile della capitale Lu-Sinh, ritorna alla sua città. È atteso dal popolo in festa e dalla compagna Vy-Gya-Thy-davy. Giunge a casa e … I due oggetti del desiderio reciproco si accostano sempre più, assaporando insieme la Pinh-Za-re, ognuno dalle mani dell’altro; poi si unificano in un abbraccio, fatto di scambio potente di energie senza movimenti e scambio delle pulsazioni ancestrali, attivate dall’accelerazione di ogni particella dei corpi-contenitori. (…) Lo sguardo di Isy-Tdhor Maha-Ria è fisso sul fianco perfetto della compagna. Gli occhi stanno per chiudersi. All’improvviso qualcosa ravviva l’attenzione di Vy-Gya-Thy-davy, come se un inatteso pensiero percorresse la mente, segnandola di lieve dolore. La reazione del corpo è contenuta nella appena accennata agitazione del profilo dei seni. Al Comandante basta per capire che sta per girarsi, che intende parlargli, che ha da chiedergli qualcosa. «Cosa ti turba, vibrazione estasiante del mio tempo? Cosa mi nascondi, riflesso dorato del mio mondo? Quale fardello non riesci a scaricare , mio unico suono desiderato? Darei tutti i Pan prodotti dalla nostra zecca dalla notte dei tempi, tutto l’oro e l’argento estratti nelle miniere della Terra di Mahayavan e l’energia occorrente per far vivere tutto ciò che ci circonda, quindi darei la vita per poter essere messa a parte di quell’unico pensiero che ti ha distratto per un attimo…». «No, nella mia mente l’orizzonte è stato piatto, ho sempre e soltanto immaginato una linea perfetta a trecentosessanta gradi tutto attorno a noi. Non mi ha turbato nulla, e quella monotonia mi ha dato modo di consegnarmi integralmente a te. Così ho potuto darti tutto, tutta l’energia che possedevo, come ho sempre fatto.»
«No, no, mio Comandante, non c’eri tutto nel mio grembo, non mi hai dato tutte le vibrazioni, non hai intercettato pienamente con la tua energia esplosiva il mio punto Dagy-Gy. Alla tua carica vitale hai sottratto una infinitesima parte, ma è accaduto. Ricordi quando mi spiegasti l’intensità della luce del nostro sole? Ricordi che non capivo quelle misure assurdamente piccole per dimostrare l’esistenza di spazi infiniti? Ebbene, utilizzasti un granello di sabbia come esempio. Dicesti che uno sottratto alla nostra rara sabbia d’oro, misura circa duecentocinquanta micron e che le particelle di luce sono molto meno. Ebbene, l’energia che mi hai sottratto è ancora meno, ma l’ho sentita, e mi resta quel senso di vuoto incolmabile.» Isy-Tdhor Maha-Ria, colpito dalla determinazione e dalla delicatezza delle parole di Vy-Gya-Thy-davy, la fissa e si lascia andare. «Ti dirò cose che dovrei spiegare, ma che neppure io sento di dominare. Avverto la sensazione di un nuovo organo impiantato in una zona del corpo ignota, senza poterlo scrutare, analizzare. Avverto la sensazione di un dondolio, come di onde del mare mosse ritmicamente, senza la possibilità di modificare la velocità; è una situazione mai vissuta prima. Sento rumori che non hanno età, come fossero da sempre e per sempre identici. Intuisco desideri che non ho mai avuto e che non so descrivere. Vorrei essere su una spiaggia, scavare, sentire la diversa temperatura man mano che affondo le mani, raccogliere la sabbia, e costruire un castello. Ma non so per chi e che senso abbia farlo. Per questa incapacità di capire vorrei perdermi in un riflesso di indaco e lasciarmi trasportare fino ai margini del mondo che vediamo. Forse da lì potrei avere la visuale giusta, potrei svelare il mio mistero.» Vy-Gya-Thy-davy abbassa lo sguardo, scuote la testa e torna a guardarlo negli occhi. «No, mio Comandante, non hai mai parlato così, non dici il vero.» Stavolta Isy-Tdhor Maha-Ria è ferito. Attira la compagna a sé. «Hai ragione. Ho paura. Ma per vivide sensazioni che non ho mai provato. In realtà vorrei fuggire trasportato da un riflesso di indaco. Io vedo il mio corpo sommerso in un liquido, eppure sto bene; poi lo sento spinto da una violenta massa liquida attraverso una grotta strettissima; lo vedo eruttato in uno spazio infinito, tra grida di dolore, e lo vedo affogare nel vuoto, dove dovrei invece stare bene. Infine mi ritrovo sotto una massa incandescente, un fuoco incombente e una forza improvvisa che mi strappa. Ma non sento gioia e piacere per la conseguita salvezza. Io muoio in quel momento.»
«Sì, adesso dici il vero. Anche stavolta sono costretta a dirti che non hai mai parlato così. Ma dici il vero. Non dovresti più aver paura: sei a casa tua, con la tua compagna, con il tuo popolo e con il tuo reggimento vicini. Nessuno è più al sicuro di te (…).»
Edizioni Scudo - http://www.innovari.it/mah.htm
venerdì 1 ottobre 2010
Il libro del giorno: Ho perdonato Hitler di Pietro G. Moretti (Eumeswil)
Da "Sotto un cielo cremisi" a "Devil Red" di Joe R. Lansdale (Fanucci)
Il tempo trascorre inesorabile e i primi capelli bianchi quando cominciano a imbiancare le tempie (nonostante i tuoi 35 anni) ti portano alla mente tutta una serie di tappe fondamentali della tua vita che ti hanno fatto diventare ciò che sei. Ma la tristezza più grande è che scopri che anche i tuoi eroi preferiti cominciano a invecchiare e scopri che Batman, Superman, Lanterna Verde, in una parola tutta la DC comics compie 75 anni. Ti vengono gli scrupoli di coscienza e ti dici che se continui a comprare fumetti forse sei un “bamboccione”, uno di quelli che ammorbano ancora le finanze di mamma e papà. Cosa fare? Compensi! Continui a comprare fumetti, ami gli eroi che sempre hai amato, e ne scegli di più maturi. Io ho cominciato ad amare da subito Hap e Loenard da quando vengono ingaggiati da una loro vecchia conoscenza Marvin Hanson, perché Gadget, la nipote di Hanson, ha perso la testa per uno spacciatore che la sfrutta per i suoi porci comodi. Io ho cominciato ad amare da subito Hap e Loenard da quando si sono passati i loro cinque minuti all’inferno con un killer spietato e leggendario, chiamato Vanilla Ride, che ha sconvolto le loro vite. Parlo del grande Joe R. Lansdale e del suo “Sotto un cielo cremisi”. Ora il grande Lansdale mi fa amare ancora di più Hap e Leonard, che tornano in libreria grazie a Fanucci, con “Devil Red” tumultuosa avventura ai limiti della legalità, ai limiti del noir, al limite della deriva. Già, perché i due vengono presi di mira da una setta di pseudo/vampiri, da un degno successore di Vanilla Red, ovvero Devil Red, e se questo non bastasse dalla Dixie mafia. Anche in Devil Red viene ampiamente riconfermata la bravura immensa di un autore come Lansdale che riesce a inchiodare il lettore su ogni pagina. Inquieta il senso di violenza, nevrosi, psicopatologia ossessiva e oppressione claustrofobica che anima questo lavoro, dove le tonalità più forti vano da un grigio plumbeo a piccole ma intense scie rosso sangue. Chi ama i libri dal tono “nudo e crudo” questo fa per loro, e soprattutto non saranno delusi da un’opera che promette l’ingresso in un mondo le cui brutture non si vorrebbero mai vedere. Quale? Ma il nostro naturalmente dove la realtà sembra il gioco perverso di un maniaco omicida.
Joe R. Lansdale (1951) è autore di oltre venti romanzi e più di duecento racconti. Ha ricevuto moltissimi premi e riconoscimenti, tra cui l’Edgar Award per In fondo alla palude (Fanucci, 2002) e il Bram Stoker Horror Award (sei volte). Per Fanucci Editore, che oggi pubblica in esclusiva le sue opere, sono usciti anche i romanzi Atto d’amore, Freddo a luglio, L’anno dell’uragano, Il lato oscuro dell’anima, L’ultima caccia, Echi perduti, Freddo nell’anima, Il valzer dell’orrore, La ragazza dal cuore d’acciaio, Fuoco nella polvere, La morte ci sfida, Il carro magico e le antologie di racconti Maneggiare con cura e Altamente esplosivo. Nel 2009 Fanucci Editore ha pubblicato Sotto un cielo cremisi, e nel 2010 Devil Red, entrambi parte della fortunatissima serie di Hap e Leonard
giovedì 30 settembre 2010
Il libro del giorno: Guida pratica al sabotaggio dell’esistenza Romanzo di Roberto Mandracchia (Agenzia X)
L’amore è solo violenza, la famiglia psicosi, la religione brutalità, le droghe fuga sedante, l’unica ideologia possibile rimane il nichilismo estremo. Vittima di un patologico desiderio per Marta, abbandonato dall’amico Gero e in preda a una potente crisi d’astinenza da eroina, al protagonista restano solo nove giorni prima di morire. Sul palcoscenico di un’immutabile Sicilia soffocata dall’apatia va in scena la rappresentazione dei suoi traumi. Il padre gli insegna a leccare le mutandine delle amanti, il catechista lo molesta, la madre tenta il suicidio immergendosi in una vasca colma di Coca-Cola e alle feste si finisce per pisciare blu. Dalla nebbia onirica della follia affiora una vicenda grottesca che mischia sadismo e comicità: un Gesù Cristo che lo deride fumando sigarette, Van Gogh, Pirandello e Keith Moon che mortificano le sue aspirazioni artistiche, torture cilene che diventano atto d’amore e una pistola Bodeo che compare e scompare. Al sabotaggio dell’esistenza mancano nove giorni, ne mancano otto, sette...
“Questa postfazione l’ho sognata. C’erano immagini di Marta che parla di Dio come di un maniaco sessuale, che si sistema una ciocca dietro l’orecchio, che chiude gli occhi mostrando le poesie sulle palpebre.”
Gianluca Morozzi
Roberto Mandracchia è nato nel 1986 ad Agrigento. È redattore della rivista “Terranullius - Scritture a sorgente libera”. Ha pubblicato racconti su diverse antologie e riviste letterarie. Questo è il suo primo romanzo.
pp. 160
Gianfranco Manfredi TECNICHE DI RESURREZIONE GARGOYLE BOOKS. Tecniche di recensione e memoria. Intervento di di Alessia e Michela Orlando
L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Milan Kundera.
Scrive Paul Bowles: La vita non è movimento da e verso qualcosa, neppure dal passato al futuro. Tutta la vita è uguale a ogni sua parte. Non c’è somma. La vita, dunque, la si definisce anche in chiave sganciata dai canoni consueti; ma la letteratura, quella con la elle maiuscola, che è espressione vitale, nata da una mente contemporanea e che si inserisce nella produzione di mille o di poche altre menti superlative del passato, quali connotati assume? Cosa ne increspa e fa avvizzire la pelle, ne riduce il fascino, la calcifica, la incenerisce, la fa buttare nel dimenticatoio? E cosa la può riportare in vita, in quale giorno può risorgere, tornar di moda, appassionare nuovamente, invadere altre forme di comunicazione che siano essi il cinema, la televisione, You Tube l’iPad e così via? Domande affascinanti, tutte, ma qui rilevanti come mero stimolo di analisi, di approcci, che ci avvicinano a un libro, per una comprensione immediata del suo peso specifico, rimandandoci al titolo; domande cui non occorre dare risposta immediata, non prima di dar modo di farlo a chi abbia in desiderio di farlo, di aver letto ciò che ci narra Gianfranco Manfredi. L’architettura stilistica e l’intreccio delle vicende esposte confermano la maestria dell’autore, che è notissimo artista a tutto tondo, nonché prolifico agitatore di coscienze e produttore di stimoli, domande, casi risolti come di ambientazioni da incubi adorabili. Altrettanto significative sono le vicende che in gergo teatrale si definiscono come trama non esposta, ovvero quelle che si intuiscono e si leggono in controluce, cosi come si può vedere, attraverso i cristalli di gelo, la forma degli alberi scuri. Si tratta di un ulteriore intreccio finemente intessuto, tanto da rappresentare lo stimolo a ulteriori letture che, nel mentre aiutano a risolvere ciò che ancora ti appare enigmatico e coperto dal fascino del mistero, ricreano innovative condizioni di interesse. Alla nostra seconda rilettura, seguendo le vicende, tra i tanti altri, dei gemelli Aline e Valcour de Valmont, ci è parso di comprendere e svelare un mistero: il quadro che dipinge Gianfranco Manfredi non è prodotto con l’uso del solo pennello, quello della penna fine che scende nei particolari e arricchisce il testo con note pertinenti. Egli usa anche la spatola, lo strumento che aggredisce la materia grassa pigmentata, che spalma il colore con apparente casualità, per delineare ciò che deve saltare agli occhi con immediatezza. In questo caso usa strumenti che influenzano i miti popolari, li infetta con lo stimolo del dubbio (elemento colto anche da Sergio Pent in “Tutti libri” de La Stampa, citato in quarta di copertina) e, dunque, ti costringe a riflettere di nuovo sul magma della cultura, così come ti accade nell’ammirare un quadro in cui l’autore è intervenuto con la spatola: il colore non è mai esattamente decodificabile; lo spessore che ci restituisce l’immagine che aveva in mente l’artista, è stata in realtà rielaborata con geometrica e fantasiosa esattezza; è così che può gettare ombre sempre diverse sui particolari; cosicché lo guardi-rileggi mille volte, e ogni volta scopri elementi fondamentali che ti erano sfuggiti. Si tratta di ulteriori stimoli che rimettono in campo il desiderio di leggere, leggere, leggere ancora, fino alla fine del tuo tempo o almeno fino a che non ti addormenti, e la trama ti pervade in altre dimensioni. Tutto ciò aumenta il fascino dell’opera e ti segna. Ma, così come il quadro, ogni quadro, risente ed è fatto anche dalle luci, quando smetti di leggere, così come quando smetti di sognare e ti risvegli, ti ritrovi con un sorriso di piacere, che ti riconcilia con la parola scritta. Si tratta di uno stato in cui stai ri-scoprendo che se non poche volte le parole sono solo vuoto, qui ogni parola è agganciata a sensi, ad oggetti, a realtà, a sogni, a bisogni, ad altri sensi letterari. È un libro, Tecniche di resurrezione, che acuisce molte forme di memoria, tra cui quella delle cose e dei luoghi, quella che arricchisce e contribuisce alla formazione di una identità europea, quella dei corpi e di ciò che permea le menti e la psiche dei lettori. È così che Gianfranco Manfredi, con la sua ultima opera, ovvero con ciò che escogita al ritmo dei fuochi pirotecnici, ti avvince, costringendoti a buttare alle ortiche i dubbi sulla giusta tecnica da adottare per recensirlo. E non si limita a ciò, giacché, infine, scopri che riesce a riempire mille vuoti; e forse scongiura anche l’idea affermata da Saul Bellow: Il continuo spazio-temporale reclama i suoi elementi pezzo per pezzo, poi ritorna il vuoto.
Dalla Introduzione. Prima di Frankestein, di Carlo Bordoni.
Quando si pensa a Frankestein, si pensa al primo romanzo in cui si tratta della vita dopo la morte o, meglio, della resurrezione post-mortem per effetto di una tecnologia umana. Una sorta di apoteosi dell’uomo che, grazie alla scienza, è in grado di ridare la vita a un corpo inerte; l’uomo che riesce a realizzare il suo sogno profondo, quello di appropriarsi del potere divino di dare la vita. Ci avevano già provato gli antichi con la magia, la cabala e la stregoneria, non riuscendo ad oltre il Golem ebraico. (…) Dopo aver letto Tecniche di resurrezione, Frankestein non sarà più lo stesso. Lo vedremo in una luce diversa. Questo è, in verità, l’effetto perverso di quello che Borges ha definito l’anacronismo deliberato: “che cosa succederebbe se l’Odissea fosse posteriore all’Eneide?”. Tecniche di resurrezione ci fornisce una prima inquietante risposta.
L’incipit. 1. Teatro Anatomico
La carrozza procedeva a strappi, imbottigliata nel traffico. Valcour sporse la testa dal finestrino. Il carro dei netturbini ostruiva la strada. Sovraccarico di blocchi di neve ghiacciata, a ogni scossone riversava fuori la porcheria appena raccolta dai marciapiedi. L’ultima frase, prima di una Nota finale in cui Gianfranco Manfredi dà conto della fine dei molti personaggi storici, tanti quanti mai aveva addensato in nessuno dei suoi romanzi precedenti. Solleva lo sguardo al cielo. Un falco sta volteggiando, lassù, sopra le loro teste. Poi punta in alto, diritto verso il sole, e scompare inghiottito dalla luce.
L'illustrazione: copertina di Tecniche di resurrezione. La foto è di Luca Viggiani
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