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domenica 25 aprile 2010

Prenditi cura di me di Francesco Recami (Sellerio editore)



















Siamo in una Firenze periferica. Quando si parla di margine e di vita suburbana, non riesci a fare la differenza, tra le “banlieues” di Napoli, Bari, Torino, o di altre città del nostro paese. Parliamo di degrado e fallimenti, i condimenti speciali che fanno della vita del quarantenne Stefano, un concentrato di sconforto. La sua vita fa acqua da tutte le parti. Ciliegina sulla torta, oltre la solita solfa che la moglie lo ha lasciato, non ha figli, etc, etc, è il fatto che si ritrova a collezionare una serie di attività che mette in piedi con amici, tutte miseramente fallite, e alla fine si ritrova a esercitare la professione del trasportatore con partita Iva per una cooperativa. E non è tutto: sta per affogare letteralmente nei debiti, riesce a vivere di futili fantasie che hanno il tempo di un flash, e si trascina come se stesse sempre sognando a occhi aperti. Per parecchi anni, immagina di impadronirsi del gruzzolo depositato sul conto bancario della madre, e pur di raggiungerlo si inventa di sana pianta una gravidanza della moglie. La madre però non cede, grazie anche a quel poco di lucidità e grettezza che le deriva da una mentalità contadina che le fa scattare subito un “campanello d’allarme”. Una battaglia tra i due senza esclusione di colpi, che sembra avere una soluzione quando la madre ha un ictus, e Stefano deve prendersi cura, dolente o nolente, di lei. Ed ecco che comincia un secondo calvario tra le follie burocratichesi delle strutture sanitarie, l’ipocrita solidarietà a volte molto ambigua e obliqua, le lunghe fila del traffico cittadino, un vero e proprio incubo per Stefano che nel suo furgone quasi ci vive.

Questo è l’ultimo lavoro per i tipi di Sellerio di Francesco Recami dal titolo “Prenditi cura di me”. Un libro che parla della generazione degli attuali quarantenni/cinquantenni egoisti e smarriti allo stesso tempo, una generazione che è frutto del precoce invecchiamento sociale, dell’iper/lavoro che non riesce ad assicurare nessuno spazio per la cura dell’altro a qualsiasi latitudine lo si voglia leggere, una generazione di cosiddetti “bamboccioni”. Questo di Recami è un libro duro, perché affronta il delicato argomento della cura degli anziani, ma soprattutto è un libro che spiega fondamentalmente come il volersi bene è frutto di una costruzione lenta e paziente che deve sempre essere alimentata dall’amore giorno dopo giorno.

sabato 24 aprile 2010

L'antologia Booksbrothers "Frammenti di cose volgari" il 29 aprile a Pantigliate (Milano)
















Giovedi 29 aprile alle 21 a Pantigliate presso la Biblioteca Civica in via Risorgimento 34 a Pantigliate (Mi) si presenta un libro importante e interessante. Nasce dall'esperienza di Booksbrothers, associazione culturale che ha messo su carta il lavoro di due anni di pubblicazione in rete. Booksbrothers ha sondato la realtà con l'ascolto delle voci e la selezione di qualità oltre che con notevoli interventi critici. Assieme a Cosimo Argentina e Francesco Savio, autori affermati che hanno dato contributi a quest'antologia chi lo vorrà potrà avere un'occasione importante per entrare nell'affascinante mondo della genesi della scrittura e potrà capire l'importanza anche fisica dei libri nella vita di tutti. La letteratura poi si farà voce con la recitazione intensa di Mauro Savino e Dona Amati che racconteranno una delle tante e diversificate storie, per stili e tematiche, presenti nell'antologia che ha visto il contributo di 36 autori.

Il libro del giorno: L' arpa muta ovvero, Mr. Earbrass scrive un romanzo. Di Edward Gorey (Adelphi)



















Edward Gorey era noto per scrivere e disegnare storie che non si sapeva mai come definire, e che di volta in volta potevano sembrare storyboard di minuscoli film muti, coreografie per balletti non danzabili, partiture per un teatrino di automi.
Fa eccezione proprio "L'arpa muta", in cui attraverso la vicenda di Mr Earbrass, uno scrittore alle prese col suo nuovo romanzo, Gorey gira un documentario surreale - e perciò crudelmente realistico - sugli imbarazzanti vizi, e le risibili virtù, del mondo letterario. E naturalmente su Edward Gorey alle prese col suo primo libro: questo.

Hanno preferito le tenebre di Antonio Monda (Mondadori)




















E’ difficile ammetterlo, ma in noi c’è un continuo variare di luce e tenebre. Non dobbiamo meravigliarci che sia così. Ed è sempre più necessario vigilare, soprattutto quando in giro c’è molta confusione, sulle proprie azioni e desideri, quasi a voler distinguere l'azione di Dio, o di qualunque Principio positivo che riteniamo regoli le nostre vite, da quella dello spirito del Male, o di qualunque Principio negativo ponga ostacoli e vessazioni nelle nostre esistenze. Ed è altrettanto difficile dirsi un’altra cosa: tendenzialmente preferiamo il Male, quel nutrimento indispensabile che alimenta figure sinistre macchiate di sangue di stragi familiari, che sono ai vertici del terrore internazionale, che trangugiano sesso estremo, che muovono le morbosità dei pedofili, che permettono ad una madre di abbandonare il proprio neonato. Il Male che sgorga dalle profondità d'ombra dell’animo, che diviene manifestazione di follia, sconvolgimento e devastazione. Ma

perché preferiamo il Male? E’ una peculiarità che appartiene all’uomo sin dalla nascita dei primi contratti sociali e forse ancora prima. "La luce è venuta al mondo ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" è scritto nel passo del Vangelo di Giovanni. E questa frase segna il percorso nelle tenebre di questi dodici racconti di Antonio Monda che indaga le province dell’inferno in questo mondo. Il titolo è già tutto un programma: “Hanno preferito le tenebre!”. Ma quello che devo assolutamente dirvi è che ci troviamo dinanzi ad un libro che non è solo il racconto dei crimini che hanno destabilizzato l’immaginario sociale dell’America; non è solo un libro realizzato con i criteri e le metodologie del giornalismo d’inchiesta; non è solo un libro sugli omicidi seriali. Certo si va dall'omicidio di Elizabeth Short, la nota Dalia Nera , alle rinomate vicende della “Family”a Bel Air perpetrate dalla banda di Charles "Satana" Manson, dal mistero Von Bulow ai grandi casi di cronaca.

Monda con una grande dote letteraria, e alta qualità scritturale, rende palpabili le atmosfere inquietanti, le storie nere che portano alla luce qualcosa che vogliamo assolutamente relegare nel profondo dei nostri incubi peggiori. In questo libro il lettore troverà intrighi e segreti che non hanno mai avuto soluzione, e tanto di quel sangue in queste pagine, che farebbero impallidire anche le fiction come Criminal Mind.

venerdì 23 aprile 2010

Il libro del giorno: Realtà divina e fantasia. La vita, l'amore, la morte, la realtà intermedia. L'infinito di Rassam Al-Urdun (youcanprint)

In questo testo, al lettore viene illustrato il percorso dell'anima sulla via dell'ascesi, perseguendo come fine supremo, il ricongiungimento con l'Immenso. Tali concetti vengono espressi attraverso le principali basi della filosofia islamica. Assassins: La setta degli Assassini. La storia della setta degli assassini raccontata da un esoterista islamico.
In poche pagine, una lettura storica che fa luce con chiarezza su questa mitica realtà, dalla sua nascita al suo declino e alla sua trasformazione. Giovanna la Pulzella e il Piccolo Popolo. Una versione inedita e storicamente documentata, la vera storia e il sacrificio della Pulzella d'Orleans. Il testo tratta di eventi quasi completamente misconosciuti della vita di Giovanna d'Arco, che la pongono in stretta relazione con l'antica tradizione del piccolo popolo.

L'umiliazione di Philip Roth (Einaudi)



















E’ la fine per Simon Axler. Superati i sessant'anni ha perso il suo tocco magico in ogni cosa. Sul palcoscenico si sente mediocre, patetico, in una parola un idiota. Ha perso fiducia nelle sue doti, è in una totale paranoia perché pensa sempre che la gente rida di lui alle spalle. La moglie se n'è andata, il pubblico anche lo ha abbandonato, il suo agente cerca di convincerlo a ritornare sulle scene. In questo quadretto tutt’altro che idilliaco affiora dalle tenebre più fitte uno strano desiderio erotico, che lo porterà verso una destinalità finale cupa e rovinosa. Roth è un maestro nel cercare di farci capire come ogni giorno creiamo finzioni su finzioni per tollerare le tante brutture che ci assalgono nella vita di ogni giorno, e tutti quegli pseudo-strumenti e meccanismi di auto-aiuto che costruiamo per sopravvivere e difendere con le unghie e con i denti quel poco di solidità, speranza, reputazione che ci rimangono.

Ciò che affascina e cattura di questo libro, è che il gigantesco Roth vuole far capire come la gente sia sempre più terrorizzata dall’idea di perdere quel poco che ha ottenuto e che sta tutto nel palmo di una mano. E questo aggiungo io vale sia per la gente comune, che per gli artisti come ci suggerisce nel caso specifico l’autore. Il punto di non ritorno a cui è giunto Simon Axler, e che occupa tutta la parte del libro, altro non è che il tragico canto di chi ha ormai perso in maniera totale il controllo della sua vita.

E nulla può più nemmeno la seducente Pegeen Stapleford, quarantenne, lesbica, figlia di una coppia di attori con cui aveva collaborato in gioventù, che tenta di riportare (forse in fondo in fondo un po’ Roth ci crede in questo tenue barbaglio) l'allegria nella sua vita. Per leggere questo libro vi occorrerà tutto fuorché la fretta rognosa che vi fa inseguire scadenze e affini. Scordatevi la psicanalis e derivati da salotto; questo è un libro che si lascia amare solo perché è stato scritto da Philip Roth e basta. Un lavoro che definire splendido è poco.

giovedì 22 aprile 2010

Il libro del giorno: Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari di Fabio Geda (Baldini e Castoldi Dalai)

Se nasci in Afghanistan, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, può capitare che, anche se sei un bambino alto come una capra, e uno dei migliori a giocare a Buzul-bazi, qualcuno reclami la tua vita. Tuo padre è morto lavorando per un ricco signore, il carico del camion che guidava è andato perduto e tu dovresti esserne il risarcimento. Ecco perché quando bussano alla porta corri a nasconderti. Ma ora stai diventando troppo grande per la buca che tua madre ha scavato vicino alle patate. Così, un giorno, lei ti dice che dovete fare un viaggio.
Ti accompagna in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo per bene e ti lascia solo. Da questo tragico atto di amore hanno inizio la prematura vita adulta di Enaiatollah Akbari e l'incredibile viaggio che lo porterà in Italia passando per l'Iran, la Turchia e la Grecia. Un'odissea che lo ha messo in contatto con la miseria e la nobiltà degli uomini, e che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l'ironia né a cancellargli dal volto il suo formidabile sorriso. Enaiatollah ha infine trovato un posto dove fermarsi e avere la sua età. Questa è la sua storia

"Ti spiego" di Romana Petri (Cavallo di Ferro)



















20. 25. 35. 45. Non sto dando i numeri, né sono incline alla numerologia di stampo cabalistico, ma faccio riferimento agli anni in cui si tende a costruire un proprio iter familiare, si mette la testa a posto, ci si sposa, si hanno figli, si divorzia. Una vita insomma a due che improvvisamente può prendere “direzioni diverse”, parafrasando un celebre e arcigno brano de “il Teatro degli Orrori”. Poi accade all’improvviso, che non si riesce a ricucire i propri destini, e non c’è toppa che tenga ad arginare i malanni del cuore. Questo e molto di più racconta la bravissima Romana Petri (classe 1955, vincitrice di diversi premi tra cui il Mondello, il Grinzane Cavour con i suoi precedenti lavori), che pubblica con Cavallo di Ferro, lo splendido libro dal titolo “ Ti spiego”. Cristiana e Mario sono separati da quindici anni. Lei è rimasta a Roma, con i figli già grandi e un secondo felice matrimonio. Lui a Rio de Jainero, con una giovane donna al suo fianco e un figlio di poco più di un anno. Poi un giorno un fulmine a ciel sereno, una lettera dagli strani contenuti di Mario dal Brasile, piena zeppa di tanti se e tanti ma, di rimpianti, rancori, tradimenti, infedeltà, menzogne, violenze di quel che poteva essere senza la pesantezza di tutto un tempo trascorso a non ascoltare, a non farsi sentire, a non incontrarsi mai in nessun luogo. Ed ecco che Cristiana risponde, e lo fa con un lungo discorso che coinvolgerà tutti, lettore compreso, a scendere nelle profondità di un amore naufragato, con tutte quelle zone grigie riempite da false utopie, rivoluzioni fallite, il terrorismo, la fede politica, i molti ideali sfumati nella bassa concretezza. Un lungo discorso che non sa minimamente di rancore, anzi il parlare di Cristiana è un tenere memoria per non perdere la coscienza di ciò che è stato, un voler rimanere fuori dagli angusti spazi dell’oblìo, un desiderare fortemente una lucidità in questo suo dire, per evitare di soccombere a Marco: il desiderio di lui è fondamentalmente quello di annientarla definitivamente. E Cristiana sa, lo sa sin nelle più profonde radici del suo essere, due cose: che la vita è la cosa di più sacro che c’è al mondo, e a nessuno deve essere permesso di calpestarla; secondo aspetto non meno importante che “felicità” è una parola, molto, molto grossa, che va coltivata e attesa, ma che poi arriva alla fine.

mercoledì 21 aprile 2010

Il libro del giorno: Mutandine di chiffon, memorie retribuite. Di Carlo Fruttero (Mondadori)

"Perché 'retribuite', queste memorie? Perché, salvo due o tre eccezioni, sono state scritte su richiesta di vari giornali, settimanali, riviste, libri bisognosi di prefazione, e naturalmente pagate. Non si tratta quindi di un'autobiografia o di una confessione alla maniera di Alfieri o Rousseau. Mi chiedevano qualcosa sulla mia prima sigaretta, sul turpiloquio dei bambini, sui castelli piemontesi, perché mai avessi lasciato l'alta cultura per andarmi a occupare di fantascienza e fumetti, quali fossero stati i miei rapporti con Italo Calvino, Franco Lucentini, Pietro Citati, e così via.
Tutto molto occasionale, casuale e, come accade nella vita di tutti, con milioni di cose non dette, lasciate fuori. Ma non ho certo dimenticato le tante amiche e i tanti amici che mi hanno aiutato e confortato nel corso degli anni e che considero la mia più grande fortuna. Quanto alle mutandine, figurano solo nel titolo, cui non ho saputo rinunciare. Nel libro non ce ne sono, non c'è gossip, non ci sono rivelazioni piccanti né ricordi maliziosi (anche se, volendo...)".

Elsie V. Aidinoff, Il giardino (Fanucci): nel nome di Dio, un duello letterario


















Il mistero del peccato originale, l’ansia di Dio e le perplessità sul sacro. Due scrittori ottantenni si interrogano sul mito più antico del mondo e rivisitano la Genesi. José Saramago, scrittore portoghese premio Nobel, e Elsie Aidinoff , scrittrice americana esordiente a quasi 80 anni, ci raccontano un’altra storia. Quella narrata da Elsie Aidinoff, autrice di Il giardino, è la cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre, vista dalla prospettiva di Eva, una donna che mette tutto in discussione, a partire dalla sua stessa ‘nascita’ per volere divino, fino al compagno che è stato scelto per lei, Adamo, dal temperamento più fisico che cerebrale, che si gode la vita nell’Eden prestando scarsa attenzione agli insegnamenti che Dio vuole impartirgli. Dio, infatti, è un essere burbero, capriccioso e autoritario, che considera le sue creature dei giocattoli; il Serpente, invece, è il gentile e comprensivo mentore di Eva, della quale coltiva la curiosità intellettuale, finché lei non vuole più rinunciare alla propria indipendenza e, nonostante sappia esattamente a quali rischi va incontro mangiando il frutto dell’albero della Conoscenza, decide di affrontare la sfida pur di diventare un essere umano pienamente realizzato. E sarà imitata da Adamo, che pur non avendo la sua stessa forza desidera ugualmente sentirsi un individuo.

“La donna, per cristiani ed ebrei, è colei che ha portato il peccato nel mondo: è un’ingiustizia e mi dà sui nervi. Ma per favore non chiamatemi femminista”. (Vanity Fair)


Nota di Elsie Aidinoff autrice di “Il giardino”, edito da Fanucci


L’idea di Il Giardino mi è venuta tanti anni fa, in chiesa, mentre veniva letto il terzo capitolo della Genesi, quando Dio accusa Adamo di aver mangiato la mela e Adamo risponde: «È stata la donna che mi ha dato del frutto dell’albero.» (A sua volta Eva dà la colpa al Serpente, che è ugualmente reprensibile.) Quel giorno, la risposta così familiare – scaricabarile! – mi ha aperto le porte del Giardino. Da quel momento in chiesa, non riuscivo a togliermi Eva dalla testa. Mi è sempre parso sbagliato che nella religione, come nella mitologia, la donna sia spesso accusata di aver introdotto il peccato nel mondo. Mentre pensavo a Eva nell’Eden, i personaggi hanno cominciato a muoversi e a crescere in modi inattesi e il racconto ha preso vita. Mi nascevano dentro delle domande stimolanti: il Giardino dell’Eden è il Paradiso? Il Paradiso è quella cosa lì: un posto bellissimo in cui tutti i nostri bisogni fisici vengono automaticamente soddisfatti? Possiamo eludere la responsabilità morale obbedendo ciecamente a un ‘essere superiore’? Perché ci è stata dato il raziocinio?

Il ritratto che faccio di Dio nel Giardino è stato influenzato da un soggiorno a Santa Fe, in cui mi sono occupata dello sviluppo della bomba atomica a Los Alamos. Gli scienziati che hanno creato la bomba avevano una grande passione per il loro lavoro: erano totalmente assorti, elettrizzati, ubriachi di entusiasmo intellettuale. Ma per quanto fossero geniali, non si fermarono mai a considerare le conseguenze morali della bomba o le sofferenze che avrebbe causato. Lì ho cominciato a pensare che Dio, Iddio, potesse in qualche modo somigliare agli scienziati di Los Alamos: un creatore totalmente assorto dalle sue creazioni, impaziente di verificare le sue teorie (o almeno di vederle funzionare secondo il progetto iniziale), inconsapevole del costo in termini umani. Mi sono presa alcune libertà con lui, ma non credo che il comportamento che gli ho attribuito sia in contrasto col suo personaggio: il Dio dell’Antico Testamento è un essere collerico e irruente. A mano a mano che approfondivo la mia conoscenza del Giardino dell’Eden, mi sono resa conto che l’eroe della storia era il Serpente, il Prometeo degli Edeniti, se così si può dire. Prometeo ha dato il fuoco agli esseri umani, il Serpente ha dato loro la capacità di ragionare; se non fosse stato per il Serpente, forse Adamo ed Eva sarebbero ancora lì nel Giardino, con la loro progenie, senza sapere cosa farsene del raziocinio. Forse il Serpente è la Sapienza, la quale, secondo alcuni testi antichi, era con Dio alla Creazione. Ho scritto Il Giardino senza alcuna intenzione di turbare la serenità altrui: ho un profondo rispetto per la religione e per la fede individuale, ma non condivido alcune posizioni cruciali della religione organizzata. Non posso credere in un dio esclusivo che, come le antiche divinità tribali, protegge solo un gruppo di persone; non riesco a conciliare l’idea di un dio onnipotente con le sofferenze del mondo, né posso credere che gli esseri umani siano intrinsecamente malvagi. Come i Manichei, vedo il mondo come il palcoscenico della lotta tra le forze del bene e le forze del male, e considero gli esseri umani capaci insieme di grandi nequizie e di grande bontà. E, come Eva, non capisco perché un grande dio dovrebbe aver bisogno di tanta adulazione. Per quanto nel mio Giardino Eva sia più arguta e intrepida di Adamo, non lo considero un libro femminista: Il Giardino è una prospettiva diversa dell’Eden; Eva ne è la protagonista e svolge un ruolo primario. Forse è questa l’Eva che avremmo conosciuto se la Bibbia fosse stata scritta da una società meno patriarcale. Indipendentemente da come consideriamo la Bibbia – come parola di Dio, come la storia di un popolo, o il tentativo di un popolo di dare un senso al mondo intorno a sé – per secoli è stato un testo vibrante, basilare; ha ispirato innumerevoli storie e riflessioni. Il mio Giardino è un romanzo, non un’opera teologica: un romanzo che parte da uno dei racconti più antichi e noti della terra e nel quale ho cercato di esplorare la responsabilità individuale, la giustizia e la libertà. Ci ho messo sette anni a scrivere Il Giardino. La storia, i personaggi, e io, siamo cambiati in quei sette anni: quando ho cominciato a scriverlo non avevo un’idea precisa di come si sarebbe concluso, sapevo soltanto che, alla fine, Adamo ed Eva si sarebbero trovati fuori dal Giardino.


Elsie V. Aidinoff, Il giardino, pp. 420, 17,00 euro, Isbn 978-88-347-1581-9


Elsie V. Aidinoff si è occupata di educazione per tutta la vita, che ha trascorso tra Parigi, Bruxelles, Hong Kong, Londra e New York. Dal 1980 lavora come insegnante, direttrice e amministratrice alla Children’s Storefront School di Harlem, una scuola indipendente. Ha avuto quattro figli e oggi vive a New York con suo marito. Ha esordito con questo libro all’età di 73 anni, dopo una stesura durata sette anni.

martedì 20 aprile 2010

Enrica Morgese, “Controversi Oltrelatoga”. (Perrone Lab)

“La raccolta di versi di Enrica Morgese si apre in modo insolito con una dichiarazione di attenzione nei riguardi del lettore, nella quale è implicita una promessa di comunicazione, di consegna delle emozioni attraverso l’intelligenza conoscitiva della scrittura poetica.
L’esperienza esemplare della poesia, così come dovrebbe essere, fuori dalle acrobazie retoriche o le lettere morte della vacua letterarietà, si traduce in un “sentire” e uno “stare” nelle cose, e di conseguenza, in un tipo di scrittura che garantisca che “la realtà del mondo non sarà sottovalutata”, per usare le parole di Neruda. Non a caso in queste poesie una lingua vibrante e concreta cattura la realtà, come in “Consegnarsi” dove l’esperienza del dolore viene filtrata nella descrizione del bagliore carnale di un pomodoro squarciato, nel lucente rosso che trasla, in metafora psichica, la vulnerabilità dell’anima o la ferita di un abbandono.
Partendo dal dato fenomenico di un ortaggio, attraverso la poesia, si attua la trascrizione simbolica di un “patire”, creaturale insieme con il mondo, che sarà poi contrappunto di tutta la raccolta. Percorso iniziatico, sulla via di uno scavo esistenziale, che diventa sguardo straniante e rielabora un modo nuovo di guardare anche sé stessi: (“Disconosco”) Quella donna, / la vedete anche voi? / quella dalla sagoma fuori contesto… Trasalgo./Quanto a me, io non la (ri)conosco”. L’autrice ci dice che la dimensione poetica, essendo altro dal linguaggio della prassi, è in grado di rivelare zone latenti dell’interiorità e stabilire un contatto profondo con ciò che giace nascosto. Partendo dall’osservazione e dall’auto-auscultazione, si sommano visioni e ricordi, attraverso l’uso ben calcolato del correlativo oggettivo, espediente novecentesco, che rende palpabile il sentimento di disagio, o per meglio dire tutto il peso di una coscienza che lucidamente si interroga, come “un’anima di lana” ingolfata nella gravità delle cose: “Piove,/piove da giorni,/mi pare che piova da epoche,/da ogni versante della Rosa dei Venti./…………………/Cosa vuoi che mi accada?/È un pezzo/che sono/infeltrita.” Poesia, dunque, come radice, substrato dell’esistenziale, guida allo scavo interiore, sebbene ad ogni passo l’immaginario tenda a staccarsi dai fatti, rivelando tutta la complessità emotiva soggiacente. L’avvenimento è un campo di forza che dirama in immagini, amplificando le potenzialità della percezione, così in alcune poesie, ad esempio, la potenza di un sentimento di paura prende le mosse dall’astrazione di un colore: devo fare i conti con/la paura del blu,… e, a braccio, mentirgli/di coralli colorati; mentre altre volte sarà l’acuta dissonanza di una nota musicale a spalancare scenari inaspettati. In versi come questi tutto sembra dirci che con la poesia non si soccombe di fronte alla menzogna, perché essa è carne che dà corpo, prima di tutto alle proprie verità, e poi alla costruzione di un’esperienza di senso….” (dalla prefazione di Letizia Leone)

Enrica Morgese - “controversi oltrelatoga” - Ed. Perrone Lab. Prefazione di Letizia Leone

Il libro del giorno: Educazione siberiana di Nicolai Lilin (Einaudi)

Cosa significa nascere, crescere, diventare adulti in una terra di nessuno, in un posto che pare fuori dal mondo? Pochi forse hanno sentito nominare la Transnistria, regione dell'ex Urss autoproclamatasi indipendente nel 1990 ma non riconosciuta da nessuno Stato. In Transnistria, ai tempi di questa storia, la criminalità era talmente diffusa che un anno di servizio in polizia ne valeva cinque, proprio come in guerra. Nel quartiere Fiume Basso si viveva seguendo la tradizione siberiana e i ragazzi si facevano le ossa scontrandosi con gli "sbirri" o i minorenni delle altre bande. Lanciando molotov contro il distretto di polizia, magari: "Quando le vedevo attraversare il muro e sentivo le piccole esplosioni seguite dalle grida degli sbirri e dai primi segni di fumo nero che come fantastici draghi si alzavano in aria, mi veniva da piangere tanto ero felice". La scuola della strada voleva che presto dal coltello si passasse alla pistola. "Eravamo abituati a parlare di galera come altri ragazzini parlano del servizio militare o di cosa faranno da grandi". Ma l'apprendistato del male e del bene, per la comunità siberiana, è complesso, perché si tratta d'imparare a essere un ossimoro, cioè un "criminale onesto". Con uno stile intenso ed espressivo, anche in virtù di una buona ma non perfetta padronanza dell'italiano, a tratti spiazzante, con una sua dimensione etica, oppure decisamente comico, Nicolai Lilin racconta un mondo incredibile, tragico, dove la ferocia e l'altruismo convivono con naturalezza.

llusione nucleare. I rischi e i falsi miti, di Sergio Zabot e Carlo Monguzzi (Melampo). Intervento di Nunzio Festa



















Il nucleare, e lo sappiamo benissimo dalle parti della nostra Basilicata, e non quella ovviamente che si gusta da costa a costa ma che punta su una sola costa e su due mari (lo Jonio con Scanzano e Jonio con Tirreno per i rifiuti di tant’anni di discariche marine), è uno degli argomenti che stanno – ormai da tempo – tornando di dominio pubblico, come si suol dire; nonostante, si specifichi, questo allo stesso tempo non significa chiaramente che dibattiti discussioni riflessioni siano affidati alle comunità eccetera ecc. etc. Dunque, il volume costruito dai tecnici, esperti del settore, Sergio Zabot e Carlo Monguzzi, “Illusione nucleare”, deve essere inteso come un manuale da sfogliare alla bisogna: un volume utile a tutti quanti, e soprattutto quando torneranno più forti pressioni e oppressioni dei dirigenti auto-elevatesi a classe. Perché, tanto per cominciare, dove ovviamente l’intenzione di chi scrive è quella di guardare al valore politico e non ai richiami, tanti, tecnici contenuti nel libro, una mole importante e diversificata di documenti e studi, ricerche e constatazioni spesso oggettive, dobbiamo pensare che “la crisi economica – innanzitutto – e l’incertezza delle relazioni internazionali spingono ovviamente i Paesi industrializzati verso l’energia nucleare, ridando voce anche in Italia ai fautori delle sua convenienza e inevitabilità”. Appunto come si diceva. Ma l’obiettivo del libro è sfatare, di conseguenza, ricorrendo sempre al rigore scientifico, alcuni luoghi comuni. Partendo da certe evidenziazioni apparentemente scontate e impeccabili. Quali? Tanto per ricordarne alcune, il fatto che l’energia atomica sia abbondante e sicura e meno costosa insieme all’altro fatto clamoroso di non provocare emissioni di Co2. Tutto falso. E Zabot e Monguzzi, con questo agile libro a metà fra il manuale e il pamphlet ci spiegano il motivo. Ricordiamo, in chiusura del consiglio di lettura, che solamente qualche anno fa, per esempio, Scanzano Jonico (MT) è stato centro d’attenzioni di politica e interessi privati uniti nella volontà di piazzare tutte le scorie nucleari italiane accanto al mare. Rifiuti vecchi, ovviamente. Altro che futuro, quindi. In quel caso quasi l’intera popolazione espresse forte contrarietà. Contrapponendosi, persino fisicamente, chi scrive ricorda benissimo. Ora, preventivamente, serviamoci dello studio di Sergio Zabot e Carlo Monguzzi.


Illusione nucleare. I rischi e i falsi miti, di Sergio Zabot e Carlo Monguzzi, prefazione di Ermete Realacci, Melampo (Milano, 2008), pag. 145, euro 12.00.

lunedì 19 aprile 2010

Il libro del giorno: Il bacio delll'angelo caduto di Becca Ajoy Fitzpatrick (Piemme, Freeway)

Malgrado la sua migliore amica voglia trovarle un ragazzo a tutti i costi, Nora non ha mai messo l’amore in cima alle sue priorità. Almeno finché a scuola non arriva Patch. Lui ha un sorriso irresistibile e un inspiegabile talento per leggere ogni suo pensiero. E, malgrado gli sforzi per evitarlo, Nora sente che l’attrazione che prova verso il suo nuovo compagno è destinata a crescere. Anche contro ogni spirito di conservazione.
Perché Patch è un angelo caduto e lei non avrebbe mai dovuto innamorarsi di lui. Sapere di trovarsi nel mezzo di un’antica battaglia tra Caduti e Immortali, sapere di dover scegliere da che parte stare potrà costarle la vita. La verità dunque è più inquietante di qualsiasi dubbio, e Nora non può sbagliare.

Più Luce di Lara Carrozzo (Bhoomans editore)










Esce da poco in libreria il libro di Lara Carrozzo, una giovane poetessa che con la sua raccolta di poesie “Più Luce” (Bhoomans Editore, 2010) sta riscuotendo un grande successo, sia perché la Poesia ce l’ha nel sangue, sia perché riesce con i suoi versi ad alchimizzare dolcezza e morbidezza nella parola e nel suono. Questo lo si percepisce quando soprattutto fa riferimento ai suoi tracciati biografici, che tenta costantemente di ricucire e tenere sotto mano. Anche se la tipologia della scelta semantica e del fare versi per immagini di Lara Carrozzo, ci riporta a Montale e suoi successori, l’esordio è valido e molto anche. I contesti di cui l’autrice ci racconta in questo suo primo lavoro parlano di quieti meriggi, tipici di un Sud ancestrale, categoriale, le cui esistenze scivolano nel lento scorrere del tempo. Il poiein della Carrozzo è un modulare una romantica canzone d’amore, a tratti crepuscolare a tratti dolce e suadente. Già perché dell’Amore non ci si stanca mai di parlare, di abbeverarsi alla sua luce, che non basta mai, che sempre di Lei si ha desiderio, di cui si ha sempre voglia e sete. E se fosse solo questa la peculiarità del volume in oggetto sarebbe poca cosa, rientrerebbe il tutto nella placida tranquillità della medietà editoriale. Ma il suo narrare nasconde ben altro, ovvero una sottile denuncia di tutto ciò che attorno a noi non va, e che rende i contorni del sociale indefiniti e oscuri. Il messaggio ulteriore di questa raccolta vuole dirci che la realtà non si comprende, pullula di visioni amorfe, di dolore, di violenza che come fantasmi sfuggono al cuore della vita stessa. Lara Carrozzo, che ha performativamente e poeticamente collaborato con grandi nomi della cultura salentina appartenenti al mondo accademico e non, offre al lettore i suoi versi intensi che si dipanano in un mosaico di emozioni, abbaglianti proprio come può essere un’intensa fonte di luce che accieca dopo un lungo percorso nelle tenebre. Si tratta di un lavoro dove materia e cuore si fondono in un sincopato rumore bianco fatto di possessi, ingordigie, corpi, visioni misteriche ed esoteriche. Fondamentalmente un canto di lode smisurato al Feminino Sacro come fonte inesauribile di energia ed ispirazione di vita.

domenica 18 aprile 2010

Il libro del giorno: Giornate tranquille di Lizzie Doron (Giuntina)




















Il salone di parrucchiere di Zaytshik è il punto di ritrovo di un piccolo quartiere di Tel Aviv, non solo per la vedova Leale, la manicure che ama Zaytshik, ma anche per i suoi vicini, quasi tutti sopravvissuti alla Shoah. È qui che dopo anni di silenzio cominciano timidamente a raccontare la loro storia. Anche in questo suo nuovo romanzo, premiato da Vad Uashem con il premio Buchman, Lizzie Doron ci parla con lieve umorismo e calda compassione di un dolore che non può passare, della ricerca di un po' di felicità, del tenace aggrapparsi a una vita che a molti non sembra più degna di essere vissuta.

Orfeo perduto di JANETTE TURNER HOSPITAL (Marcos y Marcos)

Domanda del giorno: cosa faresti se l'uomo della tua vita, un artista, un musicista eccelso per la precisione, si rivelasse un terrorista? Mishka Bartok studia composizione ad Harvard. Leela May Moore si occupa di matematica della musica al MIT. Incontro straordinario è il loro, dove l'amore diventa subito passione, e li porta da subito a dividere, nella casa di Boston, ogni cosa dai sogni al sesso. Ma il silenzio tra i due è un voragine profondissima, che getterà l'oscurità più nera sui loro destini. Mishka sparisce in modo misterioso, con grande frequenza, a volte senza dare nemmeno spiegazioni. Poi accade che nella metropolitana a un passo da casa esplode una bomba, con tanto di morti e feriti. Leela viene presa dai servizi segreti, e interrogata a lungo su Mishka e i suoi probabili coinvolgimenti con l'Oriente islamico. Il dubbio prevale su anni di amore e passione. Si tratta di uno splendido libro, di rara bellezza, ove la poesia della musica si fonde all'amore per i numeri e la matematica, dove la natura ribelle dell’Australia si alterna ai rumori della chiassosa Boston, dove l'eros e il coinvolgimento amoroso di un incontro non riesce a fare i conti con il veleno del sospetto. Mosaico fatto da una serie non stridente di contrasti il romanzo "Orfeo perduto", di Janette Turner Hospital, che vuole essere giustamente una zona temporaneamente autonoma tra oriente e occidente, al fine di permettere all'autore e al lettore di essere osservatorio lucido delle isterie che popolano due culture, due mondi. I due protagonisti saranno vittima di un classico colpo di fulmine, forze a più alto voltaggio della media: lui si perderà lungo i sentieri di un percorso esistenziale segnato dalla tipologia del "bello e maledetto", lei lo salverà dall'inferno di torture e intrighi internazionali. Ci vedrei un bel film ispirato a questo libro.

sabato 17 aprile 2010

Il libro del giorno: Uomini si diventa di Michael Chabon (Rizzoli)

Dopo grandi romanzi come "Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay", con cui ha vinto il premio Pulitzer, Michael Chabon si cimenta qui in un'impresa del tutto nuova, un libro diverso e forse il più vero che abbia mai scritto. Tra queste pagine, senza peli sulla lingua e con una straordinaria capacità di aprire squarci di senso nuovi nella realtà di ogni giorno, il grande scrittore reinventa la propria storia di figlio, di marito e soprattutto di padre, dando vita a una sorta di appassionata autobiografia che quasi si fa romanzo. In un formidabile intreccio di storie, Chabon evoca un'infanzia in cui ha goduto di libertà precluse ai bambini di oggi, il divorzio dei genitori, la vertiginosa commedia dell'adolescenza, la scoperta della cultura pop, la fine di un matrimonio sbagliato, l'incontro con la compagna della sua vita; e rivive quei momenti attraverso le esperienze dell'irresistibile quartetto di figli che con la moglie si trova a crescere ed educare, sapendo fin troppo bene che un padre altro non è che "un uomo che fallisce ogni giorno". "Uomini si diventa" è un manuale poco pratico di paternità, un timido manifesto sul maschio di oggi, ma anche una vita ricostruita per frammenti, la vera storia di un grande inventore di storie.

Transurfing, lo spazio delle varianti di Vladim Zeland (Macro edizioni)



















Ho letto, riletto e meditato su un testo strano e singolare. Parlo de “Lo Spazio delle Varianti” di Vladim Zeland edito da Macro edizioni. Questo libro apre la trilogia del Transurfing, nuova ermeneutica della realtà grazie alla quale la propria intelligenza e creatività possono incidere sulla realtà. Nel mio percorso di ricerca portato avanti sino adesso, mi sono prevalentemente occupato del New Thought, di maestri illuminati della tradizione orientale, e di altre tipologie di pensiero talvolta ai limiti della scientificità. Questo Transurfing invece ha qualcosa di diverso, perché dice a chi vuole seguirne i dettami, che nelle onde del quotidiano occorre non farsi imprigionare dall’importanza e dal valore che si attribuisce a eventi, ruoli, persone, simboli, ma bisogna scivolare senza sforzo tra le maglie della vita con leggerezza, viaggiando sulla superficie di ciò che ci circonda, senza ancorarci ad alcuna definizione possibile di positivo o negativo, i cui significati spessissimo hanno il potere di influire sulla nostra esistenza. In questo lavoro si tenta di spiegare al lettore come non disperdere la propria energia lottando inutilmente contro i cosiddetti pendoli, che rappresentano tutte le sovrastrutture mentali e non che condizionano la nostra realtà. Un esempio calzante potrebbe essere da un punto di vista metaforico il principio alla base dell’aikido, che sostiene che chi viene preso di mira non si deve opporre all’attacco, ma sfruttare la forza e l’energia dell’avversario a proprio vantaggio. Ma procediamo con ordine. Transurfing ha già conquistato decine di milioni di persone, che si sono appassionati e hanno apprezzato gli stimolanti e innovativi contenuti proposti da Vadim Zeland nelle sue opere. Questo libro tratta di cose strane e inusuali, che sconvolgono al punto tale che crederci è difficile. Non parla di miracoli e non promette di compierli, tutt’altro. Ci stiamo interfacciando con una vera e propria tecnica diffusasi on line nel 2003 in Russia, e che grazie poi ad un intenso passaparola, è diventato un caso editoriale e una proto-filosofia che va oltre il “nuovo pensiero” e la new age. L’autore di questi volumi (Macro edizioni ne ha in programmazione l’intera trilogia), nell’unica intervista rilasciata alla stampa, sottolinea di non esserne “l’autore vero e proprio” e soprattutto non si professa né un guru, né un maestro spirtuale, ma solo un esperto di fisica quantistica. Nei suoi libri, Zeland propone ai lettori un viaggio fantastico nella realtà, dove il discente impara a gestire, in-formare, selezionare le opzioni destinali controllando non solo il qui e l’ora, ma anche tutti i possibili futuri. Il Transurfer, deve sviluppare queste caratteristiche per padroneggiare il Transurfing: la consapevolezza, la libertà da ogni dipendenza, la riduzione dell’importanza di sé e del mondo, un pensiero improntato al positivo comunque sia. Alleggerito da tutti i falsi stereotipi imposti dalla visione comune del mondo, l’uomo può solo scivolare verso la sua linea più favorevole, la sua onda della fortuna. Transurfing è proprio questo: scivolare per le linee della vita nello spazio delle varianti. Da evidenziare come Vladim Zeland sostenga che a determinate condizioni l’energia dei pensieri dell’uomo e’ in grado di materializzare l’uno o l’altro dei settori dello spazio delle varianti. In una condizione che il Transurfing definisce in maniera pseudo sinolica di “unita’ di anima e ragione” prende vita una forza misteriosa dove poi la realta’ si è letteralmente trasformata sotto ai loro occhi.

Da tutto cio’ scaturisce una netta sensazione di liberta’ interiore, il privilegio di vivere secondo il proprio credo.

venerdì 16 aprile 2010

Il libro del giorno: Pane e bugie di Dario Bressanini (Chiarelettere edizioni)

Il pesto è cancerogeno. Lo zucchero bianco: per carità! Meglio quello di canna. Il glutammato fa malissimo... E gli spaghetti radioattivi? Ah no, io compro solo pane biologico, prodotti locali e di stagione. Quanta apprensione intorno alla nostra tavola. E quante bugie. Ma a chi dobbiamo credere? L'approssimazione in cucina non funziona, nemmeno per preparare un piatto di spaghetti. Meglio verificare quanto Tv, Web, giornali, radio ci propinano ogni giorno: mentre ci scanniamo sugli OGM in realtà già mangiamo frutta, verdura e cereali derivati da modificazioni genetiche indotte da radiazioni nucleari (perché nessuno lo dice?); abbiamo il terrore della chimica ma ci dimentichiamo che per esempio la vanillina è un estratto da una lavorazione del petrolio e che il caffè contiene sostanze cancerogene. Mostri come la fragola-pesce e altre diavolerie occupano il nostro immaginario, ma quali sono davvero i rischi che corriamo? Ecco un aiuto a non farsi ingannare da messaggi troppo facili ed emotivi.

Giovani, nazisti e disoccupati, di Michele Vaccari, Castelvecchi (Roma, 2010), Intervento di Nunzio Festa















Nelle imprecazioni del nuovo romanzo di Michele Vaccari, una delle più interessanti novità del 2010, si scorgono, sotto cute ma poi non proprio, i caratteri e le caratterizzazione che stanno bruciando la nostra Italietta. Un ventenne bolognese, che vive a Bologna e sente la voce di Malatesta nel cervello comunque spianato da un’originale forma di follia, deve necessariamente condividere l’abitazione lasciatagli in eredità dalla nonna con alcuni sinistreggiaenti che non gli stanno troppo simpatici; oltre a questo, va specificato, l’anarchico individualista bolognese è consumatore di trielina: oltre che non trovarsi a suo agio nei confort di passaggio della sua generazione. Il protagonista del vaneggiante, e non è detto in tono negativo, anzi, è già curato dai problemi pseudo-depressivi dei suoi coetanei e però non vive in maniera tutta agevole il rapporto con quello che si dimostra il suo vero e unico amore. Tra l’altro, quella che per parecchio è appunto la sua ragazza, da eroinomane passa a essere estremista-settaria di sinistra. A dimostrare d’una particolare vocazione dell’autore Vaccari ad accanirsi su un vuoto ideologico stivato nell’immenso vuoto politico del mondo progressista. Gli altri pregiudizi dell’estroso Michele Vaccari vanno pescati nelle faglie di certi momenti dove il tornaconto dell’emozione deve confrontarsi con il viatico, dunque, delle ideologie. Anzi della sottocultura nazista. Che qui, per esempio, il personaggio centrale della storia si ricorda d’avere sangue ‘antifascita’ eppure non ha paura ad entrare a far parte d’una fetta di demenza che però allo stesso tempo gli farà conoscere ogni fissazione e tutte le misure adottate dai nuovi nazistelli per diventare più forti. Di sottofondo, seppure ovviamente la società passa già nei settori politicisti dei naziskin come, a tratti, in quelli di stalinisti in erba ecc., ecco il grande spettacolo, stucchevole, del resto dell’umanità mozzicata castamente dal culto dello spettacolo e condannata dai dogmi della moda. Perché questa, tanto per fare un esempio diremo calzante, quando il Partito dei nazi comincia a prendere voti sul serio addirittura inizia, non i politicizzati di turno o di torno, ad approvare. Il punto più alto raggiunto della trama si conta nei segni di violenza fisica. Quando, passando ancora per un esempio, il marciume della sopraffazione s’insinua in rapporti di forza da spedire nella ressa e, inoltre, dovrebbero essere passi altri per conquistare terreno. Lo scrittore Michele Vaccari, che da tempo fa presente d’essere privo di peletti sulla lingua e in diverse occasioni - ma sempre in questo “Giovani, nazisti e disoccupati” - , si muove nella rudezza di degenerazioni dell’attualità, narrando della vita d’angoli spesso non raggiunti dalla vista. Vaccari, dopo “Italian Fiction” torna con un libro che scaraventa lettrice e lettori in pericoli che stanno orientando il mortificato Paese. Facile, dopo aver letto prove letterarie come queste, dire che non siamo in settori e in generi specifici, come giusto sarebbe osservare che proprio buona parte di questa estraneità rende più spesso di valore il romanzo del talentuoso Vaccari. Contro l’abitudine di giocare a trovare il postmoderno etc.


Giovani, nazisti e disoccupati, di Michele Vaccari, Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 224, euro 14.00.

giovedì 15 aprile 2010

Il libro del giorno: Politics di Andrew Heywood (Controluce ed.)

La politica è un'arena dinamica in costante evoluzione ed è, inoltre, una disciplina ampia ed eclettica che comprende approcci molto diversi tra loro come filosofia politica, relazioni internazionali ed economia politica.
Scritto in una prospettiva internazionale, Politics affronta la politica sotto tutti i suoi molteplici aspetti e fornisce una introduzione accessibile a questo campo di studi così importante e complesso, presentando i contenuti in modo conciso e stimolante.Politics propone interessanti materiali sul rapporto tra mass media e politica, sul riassetto mondiale dopo l'11 settembre e la "guerra al terrorismo", sul multiculturalismo e le politiche identitarie, nonché sulla trasformazione dello stato.
Filo conduttore del testo è la crescente importanza della politica a livello globale. "Politics" è il libro adatto a comprendere come gli avvenimenti politici e i loro protagonisti hanno dato forma al mondo in cui oggi viviamo.

La vocazione di Cesare De Marchi (Feltrinelli) sabato alla Libreria Gutenberg di Lecce

Luigi Martinotti lavora in un fast food. Frigge patatine, ma in realtà la sua vocazione, vivissima malgrado l'interruzione degli studi universitari, è quella dello storico. Su un tavolo della Biblioteca comunale consuma tutte le ore di libertà, ricostruendo e interpretando eventi del passato. Ci sono momenti in cui riesce addirittura a distinguere, quasi fosse una visione, l'incontro fra Attila e papa Leone. È riuscito anche a elaborare una teoria storica, secondo la quale i mutamenti della società sono il prodotto di una terribile "insofferenza dell'insicurezza", che spinge gli uomini, cambiando continuamente, a inchiodare il mondo in un presente immobile e rassicurante. Anche la quiete apparente di Luigi Martinetti obbedisce a questa legge. La sua sensibilità, sospesa tra aspirazioni intellettuali e esposizione al fallimento, si lascia contaminare dall'imprevedibilità dei rapporti umani, ivi comprese l'intensa relazione sessuale con Antonella, cameriera del fast food, e l'inspiegabile tenerezza per il figlio di lei. Solo l'amico Giuseppe estroso insegnante affetto da una malattia genetica che lo getta in ricorrenti crisi depressive - riesce a tenere accesa la sua vocazione e a comunicargli una sorta di profonda serenità. Quando il fallimento come storico è definitivo, la sua mente vacilla.

sabato 17 aprile h.19,00, Libreria Gutenberg, via Cavallotti 1 a Lecce. Presenterà l'autore lo scrittore Luciano Pagano

Zombi blues di Stanley Péan. (Marco Tropea Editore, collana Fuorionda)

Se volete saperne di più su Stanley Péan, potete andare a visitare il suo sito all’indirizzo www.stanleypean.com. Vive in Canada e per vivere fa il giornalista: ma è anche molto, molto di più. Oltre a essere uno scrittore multiforme, caleidoscopico direi, amante della musica jazz, e speaker radiofonico, è caporedattore della rivista “Le libraire” e presidente dell'Unione degli scrittori del Quebec. Ora per i tipi di Marco Tropea editore nel nostro paese, esce “Zombi blues” romanzo di transito e trance, in bilico tra due universi etno-culturali a cui appartiene l’autore, ovvero quello del vudù e del makute, le vicende socio-politiche dell’isola, e quello dell’amore per il proibito, un vero e proprio viaggio inferico e lubrico nell’eros, dove si meticciano costantemente musica e parole che tolgono il fiato, per ogni capitolo di questo libro. Non so se definirlo o meno un noir, forse perché si tratta di un lavoro di laboratorio scritturale (nel senso più positivo del termine) talmente uscito bene da sfuggire alle definizioni, almeno per quel che mi riguarda: già perché non solo questo lavoro ha un’anima nera, ma ha anche forti tonalità “rouge pulp” e marcati elementi horror. Siamo a Port-au-Prince, al collasso a causa della dittatura spietata di Jean Claude Duvalier, alias Papa Doc. Una donna haitiana muore in circostanze misteriose davanti ad una coppia di canadesi. I due prendono dalle braccia della donna un neonato, che cresceranno a Montreal, insieme alla figlia Laura. Dopo poco più di trent'anni da quell’evento, Gabriel, trombettista jazz haitiano, vuole rompere con il suo passato, abbandonandosi ad una deriva alcolica, un po’ decadente ma in fondo molto radical-chic. Il ritorno in Quebec per una tournée non fa altro che peggiorare le cose, e la patologica complicità con Laura diviene qualcosa di terribilmente sinistro, frutto di suggestioni che provengono da sinistri deliri sonori e visioni grottesche di morte. E la musica, non ha alcunché di liberatorio nelle vicende narrate, tutt’altro: essa rappresenta uno strumento del Male per imprigionare le anime e renderle sottomesse al potere delle tenebre. Il ritmo incalzante della scrittura di Péan, si fa pagina dopo pagina sempre più soffocante, quasi che il lettore riuscisse a sentire il risveglio dei morti che riaffiorano dalla terra, mentre prendono vita scene angoscianti di massacri, saccheggi, urla, terrore. Una sensazione che forse solo chi ha vissuto sulla propria pelle il terremoto di Haiti, può raccontare. Ad ogni modo Zombi Blues è un romanzo che fa scendere il lettore in un mondo popolato da “incubi e succubi”dove ogni cosa è ossessione, febbre, e soprattutto imprevedibilità. Lo consiglio caldamente, e ovviamente da auto-sommnistrarsi con cautela.

mercoledì 14 aprile 2010

Il libro del giorno: Green Zone di Rajiv Chandrasekaran (Rizzoli, collana 24/7)

Zona nord di Baghdad, una mattina qualsiasi. Quattro kamikaze si fanno saltare in aria in un santuario. Quando Rajiv Chandrasekaran arriva sul posto, quel che resta dei cadaveri è già ricoperto da teli bianchi. Brandelli di corpi sparpagliati arrivano fino al secondo piano dei palazzi circostanti. Meno di un quarto d'ora dopo, nella Green Zone, il giornalista ne parla con un funzionario del contingente americano, ma questo è ignaro del massacro: era "troppo preso a lavorare per la democrazia in Iraq" per seguire le notizie. E solo uno dei paradossi della guerra raccontata in questo libro: un reportage che somiglia a una spy-story per la vicenda al limite del romanzesco, per la carica di avventura e ironia, per i personaggi incredibili che lo popolano. E per la sua ambientazione, l'enclave americana a Baghdad: 10 chilometri quadrati di ex palazzi reali, piscine, cocktail, aria condizionata, corsi di salsa e yoga, due ristoranti cinesi e una mensa con personale musulmano che serve principalmente carne di maiale. Costruito in quasi due anni di interviste e ricognizioni nella capitale irachena e dintorni, "Green Zone" è la cronaca del disastro annunciato scatenato dall'America e dai suoi alleati tra cui l'Italia.

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