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sabato 12 dicembre 2009

“Orlando In Viaggio tra i Luoghi e i Cieli del Meridione” (Consorzio Autori del Mediterraneo) Intervento di Vito Antonio Conte














È fresco di stampa l'ultimo lavoro letterario di Agostino Casciaro, “Orlando In Viaggio tra i Luoghi e i Cieli del Meridione”, pubblicato per i tipi del Consorzio Autori del Mediterraneo nel novembre scorso. Si tratta di un'opera teatrale che, intanto, ho avuto la fortuna di leggere oltre un anno addietro in bozza per curarne una delle due prefazioni (l'altra, ottima, è di Tiziana Boccadamo) e, poi, l'avventura di partecipare (nella veste della seconda coscienza di Orlando) alla prima rappresentazione (tenutasi il 28.11.2009 in quel di Vignacastrisi). Un'esperienza coinvolgente, emozionante e, senza ulteriore spreco di parole, bella davvero per autenticità e atmosfera. Quel che penso dell'opera e del suo Autore l'ho detto ripetutamente e qualcosa ho scritto nella citata prefazione che, qui di seguito, riporto.
Non finirà mai di stupirmi Agostino Casciaro. Non finirà mai di darmi luce la sua aurea: quella che credo di aver intuito la prima volta che l'ho incontrato... Non finirà mai di darmi serenità la sua scrittura. Adesso avrei bisogno di forza... Non è facile vedere l'aurea, m'è capitato un paio di volte, a parte un sogno che mi è sembrato di toccare... e chissà!?! Quella di Agostino Casciaro, ora lo so compiutamente, è una luminescenza di colori forti e pastello insieme, in cui prevale l'indaco, come quello di certi meriggi estivi appena prima che vadano a morire nella notte, facendola vivere sino all'albata. Quando alcuni moti si sono assopiti, quando altri iniziano a destarsi. E, poi, un'esplosiva silente serenità, ch'è il risultato d'un'indefinibile inconcepibile commistione tra rabbia e armonia.
Rabbia e armonia.
Armonia e rabbia.
Rabbia: per tutti quelli che non sanno vedere né sentire e abbrutiscono questa Terra.
Armonia: di chi trattiene dentro di sé la meraviglia e l'incanto quotidiano del perdersi nella contemplazione della vita e della morte delle creature che quantunque inanimate custodiscono un loro respiro. Non finirà mai di sorprendermi Agostino Casciaro, uomo ch'è per quel che fa, che trae forza dalle sue stesse creazioni, siccome ogni sua opera vive di lui. Non è nuovo alla scrittura per il teatro Agostino Casciaro, ma la bellezza di questa piéce drammaturgica in atto unico è pari soltanto alla bellezza di un uomo, Orlando, che non ho conosciuto, ma la cui forza e fragilità interiori emergono vividamente dalle parole che leggerete. Da quelle che sentirete quando (spero presto) sarà (ri)rappresentata. La forza di un uomo libero. La fragilità di un uomo libero. Ché, se cerchi AMORE, l'una è anche l'altra. Il titolo e il sottotitolo già dicono molto sul contenuto di questa scrittura. Come il maiuscolo di VIAGGIO, di LUOGHI, di CIELI e di MERIDIONE... Questa scrittura è dono. È riconoscere l'altro, è farlo vivere oltre il tempo, è tramandare un sogno vissuto ogni giorno, è compimento del mai smettere di modellare un'idea, è smuovere realtà assopite, è carezzare le sensibilità dei giorni che restano...
Non smetterà mai di sorprendermi Agostino Casciaro.

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in foto Agostino Casciaro nella sua bottega

venerdì 11 dicembre 2009

Elisabetta Liguori scrive dell'ultimo libro di Luisa Ruggio "Senza Storie" edito da Besa

“La sua generazione sopravvalutava la modestia.” In questo assunto si condensa il senso della scrittura di Luisa Ruggio, soprattutto quella della sua ultima raccolta di racconti. Una scrittura che finalmente non pecca di modestia, ma, consapevole di se stessa, forza il limite. Una scrittura che si libera e liberandosi osa. Osa nel colore, nel timbro, negli scenari, nella struttura. Nella fisicità. Soprattutto in queste “Senza storie” edite da Besa editore. E, va detto, le ragioni di questo sforzo fisico (perché dietro ogni vera scrittura c’è sforzo, disciplina, fatica, anche dietro quella che appare la più naturale) possono essere rintracciate lungo gli stessi racconti che compongono la raccolta della Ruggio, come fossero le briciole di Pollicino. Ancora una volta c’è molta fisicità nei racconti della Ruggio. Cibo, mani, risate e denti, foglie e alberi, lacrime a cascata, odori e nasi. E molto fatica.
“La mela si fermò tra i miei piedi”, infatti scrive l’autrice, raccontando di una maestrina arrivata a sconvolgere la città con le sue lezioni lievi. La mela del desiderio rotola dalle mani della maestra a quelle della ragazzina che l’ascolta. L’allieva viene così scelta da un diverso sentire, dalla gioia di un vivere straniero, da colori nuovi, e da quella scelta scaturisce ogni altra narrazione.
In una sorta di passaggio di consegne, da donna a donna, da immaginazione a immaginazione. Non mi piace parlare di fantasia quando si tratta di scrittura. Perché la fantasia può essere bestia strana, che divora la ragione, opera involontaria, a volte solo per assonanza (dal cielo porta al mare, e dal mare ai pesci). Mi pare più adatto parlare invece dell’ Immaginazione di chi scrive, comprendendo in questo lemma una più generale, strutturata e volontaria, visione del mondo. Perché una vera narrazione, anche se si sofferma su un dettaglio, deve essere in grado di fornire una visione completa del contesto in cui quel dettaglio brilla. A conferma, Luisa Ruggio sembra accettare una nuova eredità letteraria con questi suoi ultimi racconti brevi, una rinnovata visione delle cose tutte, che accoglie il reale quanto l’irreale che ne è figlio. Le biografie delle donne sono spesso ricchissime di questo tipo di lasciti, di queste immaginazioni acquisite. Da madre a figlia, da amica ad amica, nel tempo, dopo il tempo, per conservazione, per prosecuzione, per fertilità. Scrive infatti la Ruggio a questo proposito che “ le biografie delle donne sono più interessanti perché mancano di senso comune (non di buon senso)”. Sono destinate quindi a sorprendere, oltre che a creare connessioni ereditarie, così come sorprendono le trame scelte dall’autrice, le quali, pur arrivando da lontano, raccontano mondi fantastici e modernissimi, di uomini simili a pianoforti, di bar che scrivono lettere, di allunaggi notturni tra i campi arati e dialetti meticci. È come se la Ruggio trovasse oggi tutto il coraggio necessario per attingere a piene mani alla proprio biografia fantasy, ai colori delle proprie origini. Attinge e mescola. In questo scandaglio non teme di trovarsi ad evocare quasi naturalmente il fantasma di Andersen accanto a quello di Federico Fellini. Vivere o cessare di vivere sono solo soluzioni immaginarie: scriveva Breton nel 1924. L’immaginario senza vincoli che in molti possediamo anche senza saperlo. È lo stesso di Luisa. Con lei l’Altrove dell’arte surrealista diventa carne, grazie ad una tecnica narrativa raffinatissima che lavora sul lessico come sulle linee e le sfumature cromatiche di un vestito di organza. In questa forza immaginativa resta di concreto però quello che l’autrice chiama l’utero del dubbio. Un dubbio necessario. Un dubbio vero, solido. Dubbio femminile ma non solo. Tra i colori della sua lingua e dei suoi personaggi, infatti, si possono rintracciare vitali, ricorrenti, punti di domanda, che gli esergo posti dall’autrice all’inizio di ogni racconto, rivelano.
Una sorta di preliminare ammissione di umana e tenerissima fragilità.

giovedì 10 dicembre 2009

Romanza di Zurigo. Mosaico eretico e visionario, di Francesca Mazzucato, Historica (Milano, 2009). Recensione di Nunzio Festa

L’ultimo libro di Francesca Mazzucato riempie alcuni vuoti dell’oggi. “Romanza di Zurigo”, infatti, tanto per cominciare prova nuovamente a porre un ponte con scritture e geni del passato, con scrittori e artisti. Da Joyce, per cominciare, passando per Canetti, ma senza sottovalutare Schwarzembrach, Chagall, come Giacometti e ovviamente Hessel. Con l’attenzione del monologo rivolta all’importanza e al peso formidabile dello scrivere e dunque della scrittura quale scelta di vita. Diciamo che la rilevanza maggiore dovrebbe essere data a James Joyce. Fino a leggere un luogo che pochi altri avevano letto, e farlo in un modo che in Italia non riusciamo a rintracciare. Zurigo è una città diversa da quella che si potrebbe immaginare. Non è solamente il bianco bancario e morticcio dei banchieri. Non è semplicemente i prezzi altissimi e tutto il male che significa per gli ultimi e i penultimi. Oppure la piatta calma d’un certo piattume. La città di Zurigo, spiega Francesca Mazzucato, ha una serie di pregi. Però, innanzitutto, si riparta dai vuoti riempiti. Pensando certamente che questi aspetti di Zurigo aumentati di visibilità e comunicazione sono appunto un vuoto non più vuoto. Perché quest’assolo di Francesca Mazzucato riesce a costruire un rapporto sentimentale profondo con grandi figure: cosa molto novecentesca, tra l’altro. Come la nuova prova letteraria della Mazzucato ricorda, non solamente a livello diaristico e legato all’amore voluto e voluto di sottofondo, che la scrittura tante volte è portatrice di demoni ed è demone essa stessa. E Francesca Mazzucato mette tutta se stessa in questa parte di volume, dove scatta fotografie alla sua intimità. Dove questi scatti valgono quanto quelli fatti alla Zurigo desiderata e alla stessa maniera si fanno accogliere da chi legge. “Romanza di Zurigo” è stato mettere insieme fiati d’una città da scoprire e anzi riscoprire, anime di poca gente eppure tutta simbolica e ognuna simbolica per tutto. Il mosaico, appunto, è eretico ma soprattutto visionario. Visionario però per lucidità e forza di passione. Eretico proprio per l’impegno d’immagini che non sono fuori dalla realtà ma che non sempre sono destinate a stare nelle vicende della realtà. Francesca Mazzucato, ancora una volta, dopo averci fatto amare Bologna, Budapest, Marsiglia, ci fa amare le città e un’altra città. Oggi ci fa innamorare, la Mazzucato, una quasi distantissima Zurigo. Ci mette Zurigo proprio nel cuore. Vicino vicino a dove da sempre è posizionata l’adorabile e sconvolgente scrittura di Francesca Mazzucato. Scrittura di questi tempi e di tutti i tempi, sorella di quella delle più grandi.

mercoledì 9 dicembre 2009

MAURIZIO COTRONA, Ho sognato che qualcuno mi amava (Palomar). Intervento di Pierpaolo Lala

L’esordio è sempre difficile e rischioso per chi lo fa e strano da valutare per chi lo legge. Mi sono accostato con molta curiosità a Ho sognato che qualcuno mi amava (il cui titolo richiama una canzone degli Smiths), opera prima del tarantino Maurizio Cotrona, recentemente eletto all’unanimità “Libro del mese” dalla libreria L’albero delle lettere di Genova, e sono rimasto un po’ deluso. La nota introduttiva di Christian Raimo (“il libro riesce, nella dissolvenza di questo tempo di transizione e smarrimento, a illuminare la complessità della vita umana attraverso storie semplici di amore e abbandono, solitudine e tenerezza, che descrivono l’apparente deserto affettivo contemporaneo come l’anticamera di piccoli incendi dell’anima”) lascia presagire qualcosa che non c’è o comunque non ho notato. L’intreccio delle storie e dei personaggi (che vengono raccontanti e analizzati uno alla volta nei vari capitoli) mi sembra un po’ debole e anche la scrittura semplice e lineare (questo va riconosciuto in tempi di abbondanza, ridondanza ed eccessiva e gratuita sperimentazione) rischia in alcuni frangenti di essere “banale” (inteso nell’accezione meno offensiva). Il romanzo può piacere o meno ma va dato atto alla Palomar del tentativo di promuovere giovani scrittori pugliesi nella sua collana cromosoma y.

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Domani a Leverano lo spettacolo tratto dal libro "Da qui tutto è lontano" di Pierluigi Mele (Lupo editore)

È da poco in libreria la seconda edizione, con un inedito, del romanzo “Da Qui Tutto È Lontano” (Lupo Editore). Per l’occasione, Pierluigi Mele ne ha ricavato una riduzione teatrale in armonia tra racconto, musica e danza. Masì, scrivano e vecchio servo di re Mezzaluna, rievoca una galleria di figure a ritroso nel tempo. Prendono così vita Voisàva, una fascinosa regina venuta dal paese delle aquile. Rosa D’Augusta, madre di un singolare cortigiano. Tore il farfallone, un ubriacone che ha incrociato il destino del servo a quello del re. Violetta, una giovane donna, vittima del potere. Mezzaluna, lo stravagante sovrano, protagonista della storia, che proprio al limite del suo dominio si scopre libero da ogni potere. Le vite dei personaggi si salderanno man mano lungo il racconto, tanto da scoprirsi figure di un comune destino: l’amore. Un amore declinato in tutte le possibili voci, dalla perdita al desiderio, dalla memoria all’attesa. Le voci dei personaggi delirano e ricordano, su una bilancia di vigore e dolcezza, tra griko, albanese, dialetto e lingua madre. Fa da vedetta al racconto un Sud intriso di miti e aromi, un luogo di fabula, perdita e suggestioni, mai descrittivo né consolatorio. Un Sud che è bussola di sensi e di segni. Un luogo che sprofonda nel Mediterraneo, là dove ogni cultura è figlia di mille culture, per ritornare a sé ogni volta rinata.
La performance di questa sera è il primo tassello di un progetto a lungo raggio che prevede, per la prossima primavera, l’allestimento completo di uno spettacolo teatrale tratto dal libro. Il debutto avverrà a Valona, in Albania. Proprio nella terra da cui proviene, secondo l’invenzione del romanzo, uno dei personaggi di “Da Qui Tutto È Lontano”.

Lo spettacolo DA QUI TUTTO È LONTANO
Con: Pierluigi Mele, Roberta Refolo, Alessandra De Luca
giovedì 10 dicembre 2009 h. 19.30 a Leverano presso Sala Parr.le della Chiesa Madre

martedì 8 dicembre 2009

Il Giallo di una notte di novembre. Di Elisabetta Liguori















Si dice che io sia scomparsa.
Avrei dovuto essere con voi questa sera e invece non sono lì. Questo è senza dubbio un indizio a mio carico, forse più che un indizio: un’evidenza. Ma equivoca. Perché non ci sono? Arriverò più tardi, sono nascosta tra il pubblico? Potrei aver scelto liberamente di non esserci o qualcuno, qualcosa potrebbe avermi indotto a scomparire. Ad ogni buon conto non mi si trova. Nemmeno io mi trovo, pur cercandomi. Non è un caso: è che quando ci si sforza di capire è proprio quello il momento in cui il senso delle cose si fa più labile. La verità è un pensiero, del resto, l’esperienza di un attimo. Di questa esperienza più volte mi è capitato di aver voglia di scrivere. Dello sforzo che compie quotidianamente l’uomo per conquistarsi quella serenità che dalla verità crede possa derivare. Di questo ho scritto in uno dei miei romanzi, quello che ho voluto etichettare come “giallo inutile”. E parlare di etichette quando si tratta di gialli sembra ormai doveroso. Era l’anno de “Il correttore” edito da PeQuod, era il 2007, per la precisione, e da allora la voglia non mi è ancora passata. Il mio correttore era l’uomo che tentava di correggere il caos della sua esistenza. Senza riuscirci, però, per questo il suo sforzo narrativo alla fine si rivelava inutile. In quel caso, l’ambiguità caotica del vivere era il mio vero tema. Per questa ragione credo di essere approdata quasi naturalmente al genere noir. Un noir legato agli umori del nostro sud. Non dico ambientato a sud, non parlo di atmosfere salentine, non cito geografie specifiche. No, io parlo di umori, perché secondo me il sud è principalmente una condizione esistenziale. Siamo il frutto di un grande falò, di una combustione, di una dissipazione radicale, che ha prodotto e continua a produrre energia, fertilità, caos creativo. Abbiamo addosso la cenere di quel falò. Possiamo andare o restare o tornare, conta poco da punto di vista narrativo: quella cenere ci resta addosso. Noi scrittori del sud siamo il caos.
E abbiamo il bisogno, il dovere di raccontarlo, di denuncialo. Ciascuno a suo modo.
La scelta di un genere narrativo piuttosto di un altro è spesso un caso, a volte un frutto mimetico, in altre soltanto un personale tributo alle letture più amate.
Nel mio caso il genere è stato più che altro un pretesto. Mi serviva la corporeità, la violenza, la suspance, la tensione psicologia, l’analisi sociale, la vita psichica di un territorio, il confronto con altri territori, la dinamicità. Questi sono gli elementi tipici della narrazioni nere. Ho trovato quello che mi serviva nel genere noir e me ne sono servita. Il caos spesso è nero, così ho biecamente utilizzato questa tinta per dar spazio alle miei digressioni preferite. Per fare profezie. Per giocare con il passato, intravedendo ipotesi di futuro. Per me è un romanzo è sempre un albero dalla chioma folta. Non un palo piantato dritto e saldo nella terra, ma, radici in verticale e ramificazioni in orizzontale, foglie, frutti, gemme. Un romanzo si muove sull’equilibrio sottile che separa il vero dal falso, la rivelazione dal nascondimento. Un romanzo deve sforzarsi di raccontare sempre qualcosa in più rispetto al tema principale, al plot in senso stretto. O qualcosa di diverso, di laterale, di obliquo direi. C’è chi dice oggi: ma allora questo non è più il noir, ma post noir. Se l’autore trasforma i suoi personaggi in miti, se si sforza di approfondirne la descrizione psicologica, se moltiplica i punti di vista, se i perché diventano più importanti dei come, saremmo di fronte ad una nuova tipologia di genere quindi? Ho qualche dubbio. Potrebbe essere questa una posizione di principio che lascia intravedere il suo stesso superamento. In quale direzione si sta andando veramente? Nella riscoperta di un genere ormai morto o verso il suo consolidamento? In molti tentano di dare una risposta, soprattutto tra gli amanti e i praticanti del genere. La questione potrebbe apparire di contenuto strettamente commerciale, ma in realtà è assolutamente in linea con lo spirito alla base del genere stesso. Chi sta tentando di uccidere i gialli e perché? Dove si è nascosto il giallo? Si salverà ? E grazie a cosa (chi) si salverà? Esiste un giallo così radicato al suo territorio da non poterne prescindere? Ne abbiamo davvero bisogno?
Da sempre la scrittura cerca di mettere ordine, di far chiarezza. Un sforzo ancora più apprezzabile perché vano. Anche nel giallo o nel noir, ovviamente. Con la differenza che nel giallo o nel noir il luogo da ordinare ha più importanza che in altri generi. Mentre nel giallo si descrive un territorio piano, poi l’evento violento che inaspettatamente lo sconvolge e infine lo sforzo per arrivare a quella verità che sia capace di riporta alla sua pianura, nel noir, per induzione, si parte dal caos generale, si individua un luogo caotico specifico, se ne svelano origini e cause. Nel primo caso l’individuazione di un colpevole è necessaria oltre che rassicurante. Nel secondo è solo occasionale ed ininfluente. Nel primo caso si ha narrativa d’evasione, nel secondo d’invasione. Ma il luogo è sempre fondamentale. La Sicilia, la Sardegna, l’Emilia, la Lombardia. Sempre. Accade anche a sud ovviamente, dove peraltro è più difficile parlare di territorio in modo univoco. Non per la mancanza di un’identità forte, ma per una storica diffusissima tendenza al meticciato, alle mescolanze, alla conflittualità quanto all’accoglienza. È per questo che il giallo o il noir a sud sembra essere meno giallo o noir che altrove. Per questo sfugge, per questo si difende, si nasconde. E io pure mi nascondo. Anche questa sera mi nascondo e in qualunque luogo io oggi mi trovi continuo a farmi le medesime domande. Come la Highsmith, Dio l’abbia in gloria, parlo di uomini e nascondo il mio essere donna. Mi fingo altrove. Cerco ancora il lettore giusto che sappia scovarmi una volta per tutte.

fonte iconografica: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY0s9nnTBZtyJBZyajzuQXZpjrgkPXMQMTW4SUjj0PU5bU-x9WTMAvpuYip4UyVmole9ZceVI8acoFYzqJ46VtYrL-LgJfePjPOIXJV9P10pNHViqV9KC4sAvBdQKF5XyrztDWhffTDX56/s400/3-castello.gif

lunedì 7 dicembre 2009

Arrigo Colombo, Le Canzoni, (Campanotto editore Poesia)



















E udiva le ragazze parlare
nel cortile le risa, il grido
delle rondini che irrompono, il volo
dei rondoni l'irrompere a stormo
nel cortile, le rondini, il grido.
Le accarezzava il sole sui capelli
sui lunghi capelli sciolti il sole
la sua carezza, il vento, passava
sui capelli il profumo del vento
il soffio lieve di profumi, la musica lieve,
nel meriggio l'alito più lieve del vento
carezzava i capelli. E splendevan nel sole
in nero e viola in cupo ardente splendore
in nero e viola nel cortile di sole.
E il grido s'alzava delle rondini, il volo,
dei fiori viola il profumo, delle rondini
il canto nell'ora in cui di sole
splendevano, di carezze nel meriggio

(da Le Canzoni, p.12)

Arrigo Colombo, lombardo, attivo in Puglia come filosofo nell’Università di Lecce. Nel 1985 ha aperto con alcuni amici nella stessa università un Laboratorio di Poesia, luogo spirituale d’incontro confronto scambio tra poeti, e fondato con loro un giornale di poesia, “l’incantiere”; e sviluppato quindi un’intensa attività di letture e spettacoli, in particolare “Salentopoesia”, festival annuale di poesia con musica e danza. Ha scritto di solito su “l’incantiere”; ma anche su “L’Albero”, “l’immaginazione”, “Il bardo”, “Confini”. Ha pubblicato le due raccolte già citate sopra, "Il viaggio sulla luna" e "Le variazioni".

domenica 6 dicembre 2009

UN TUSCE' TUTTO LETTERARIO E TUTTO DA SCOPRIRE DOVE LA SENSUALITA’ LA FA DA PADRONA

Un’incredibile notte di musica e arte che inaugurerà la rassegna invernale del giovedì letterario del Tuscè di Galatina (Le). Lunedì 7 Dicembre 2009, dalle ore 22.00 nella Galleria Teatro Tartaro in scena l’arte di legare, di ricamare con le corde sul corpo, per la prima volta in Puglia in un’unica esclusiva data che non ha nessun precedente. Partiamo dal corpo, quello femminile che sarà il protagonista assoluto di una performance, quella del bondage artist romano Stefano Laforgia, che non solo si sente influenzato dai colori e le nuances dell’Oriente ma è in grado di legare grazia e lentezza seduttiva al piacere dei movimenti e della loro elegenza, ultima frontiera quindi della trasgressione, ma anche della spettacolarizzazione del corpo. E il corpo femminile sarà il protagonista della Aerosol performance di Alessandro Zenok Lombardo che in un’estemporanea di spray e pittura, attraverso un uso vigoroso, energico e violento dei colori, darà forma alla vibrante e spudorata sensualità di una donna esibita-disinibita, incantata-disincantata, mai naturale perché ripensata artificialmente. Un discorso performante che vede la donna come corpo mutoide dalla sua condizione naturale ad opera d’arte in continuo divenire, non solo dunque come oggetto godibile nel suo essere esibito, ma emblema dei nuovi meccanismi di immagine del femminile. Nei toni e le ombre del fumetto dark darà luce alla sua creatività il tattoo artist Antonio Orlando mentre le note elettroniche e profonde del trombettista Giorgio Distante riempiranno di suggestioni l’intera Galleria che per questa unica notte si trasformerà in un palcoscenico aperto a tutte le arti, le tendenze e i nuovi linguaggi creativi. Così, lunedì 7 dicembre il neo-nato Tuscè letterario inaugurerà una rassegna di eventi culturali che, in un percorso a lungo termine, coinvolgerà e integrerà più arti, dal teatro alla musica, dalla danza, alla video art, alla sperimentazione di nuove sculture visive e sonore. Una multidisciplinarietà che saprà dimostrare e continuare ad attestare come oggi più che mai l’ibridazione e il meticciamento siano tutt’altro che morti. Un vero e proprio percorso d'arti, quello previsto per lunedì 7 dicembre, che coinvolgerà l'intera Galleria facendo tappa su ognuno dei suoi tre piani per concludersi alle ore 24.00 all'interno dell’intrigante atmosfera del Tuscè con il dj set Patisso, in collaborazione con Thank God It's Friday. Unico limite? La fantasia.

ALESSANDRO ZENOK LOMBARDO
“Quella di Alessandro Zenok, è una pittura molto sopra le righe, caratterizzata da una particolarissima sensibilità cromatica che rende difficile una sua catalogazione critica definitiva.
Se la sua formazione è da rintracciarsi nell’ambito della Aerosol art, è indubbio che, negli ultimi lavori di Zenok, di questa esperienza si conservi essenzialmente la firma e la tecnica, operando una sorta di ripiegamento e di “chiusura” su di sé, spostando la ricerca dal macro-segno grafico sul muro al micro-segno figurativo sulla tela. Lavorando ma non esclusivamente attorno al corpo femminile, l’artista talvolta reperisce nuove figure da inserire nella galleria delle sue creazioni, che esprimono, al di là di una ricercata e al contempo spontanea deformità dei volti, una vibrante e spudorata sensualità. Così il corpo femminile non svela ma rivela, non dichiara ma suggerisce. Altre volte i corpi sono motivo in senso stretto, pretesto immediato e scorta inesauribile di colori, gioiosamente esibiti, densi di un’energia diretta e violenta, da rendere attiva e immediata una partecipazione emotiva in chi li osservi. Nella sua ultima produzione, “Brigitte mie”, ogni quadro vede una donna che trionfa: esibita-disinibita incantata-disincantata, mai naturale perché ripensata artificialmente. Una suggestione filtrata dalla inesauribile fantasia di Zenok che affida al colore dei suoi spray la sua personalissima forma di ribellione e di libertà.” (Katia Olivieri)

STEFANO LAFORGIA
Stefano è il proprietario dell’ALCOVA, primo fetish/sm shop a Roma e bondage artist.
Nelle sue performance pratica l’antica tecnica giapponese del bondage che consiste nel legarsi e legare una persona in varie posizioni o figure. Dalle tecniche più sofisticate come il Karada, che consiste nel legare il partner con una corda di seta (bianca o nera) avvolta a ragnatela sul corpo, allo Shingu, dove viene legato solo il seno della partner, passando per il Surakambo, avvolgimento nel quale le corde assumono l'aspetto di un indumento intimo. Un viaggio intrigante e seducente alla scoperta di un mondo poco conosciuto dalle origini antichissime. Nato in Giappone come tecnica usata dai samurai per assicurarsi che i prigionieri fossero immobilizzati in posizioni non pericolose, ma umilianti, il bondage si è evoluto ed è diventato un piacere sensuale. Il significato letterale del termine è "schiavitù", perché di una schiavitù molto particolare si tratta. Come in un gioco molto complesso schiavo e dominatore scelgono volontariamente i propri ruoli per sperimentare il piacere, in ogni forma. In Giappone questa pratica erotica era prevalentemente destinata alla fascia più elitaria, quella delle geishe, che intrattenevano con canti, poesie, cerimonie del tè e qualche passaggio di bondage. Da noi il bondage, praticato prevalentemente in clandestinità, esce oggi allo scoperto e appassiona sempre più chi è desideroso di scoprire nuovi orizzonti del piacere. Le corde possono essere di canapa o di seta. Ma si può fare bondage anche con foulard, sciarpe, nastri. Le regole e la filosofia restano le stesse: il bondage si fa in due. E' qualcosa che unisce, crea un rapporto silenzioso di fiducia. Chi si sottopone al bondage si affida all'altro, e chi lega si sente investito di un compito delicato. E' questa, in fondo, la magia inspiegabile di una tecnica, che sta facendo proseliti in tutta Europa. E non solo.

GIORGIO DISTANTE

Giorgio Distante (tromba-live electronics) all’età di 10 anni inizia a studiare la tromba e da quel momento non ha mai smesso. Si scrive al conservatorio ed inizia a viaggiare e ad acquisire lezioni da musicisti quali, e tra i quali, Giancarlo Parodi e Marco Tamburini. Nel 2000 vince una borsa di studio per il Berklee College of Music di Boston (Massachusetts). Nel 2001 si trasferisce a Boston per un periodo di 3 anni durante i quali frequenta il Berklee College ma principalmente prende lezioni con Hall Crook, Jeff Galindo, Darren Barrett, Charles Louis Jr.. Un po' annoiato dallo "stile" americano, torna in Italia con trombe, un multieffetto e un distorsore. Entra a far parte dei Talea (jazzBalkan), Manigold (tanto suono), Meridiana Multijazz Orchestra, A.M.P Big Band e collabora con varie formazioni in giro per l'Europa come Les Troublamours (GitanoTadziguine) e in duo con Alan Blim (juggling music). Viene a contatto con il suono. Lo scopre e lo ricopre. Ci gira attorno e vede piccole "cose" che escono da una "cosa”... Nel 2009 si laurea con il massimo dei voti in Musica Elettronica presso il conservatorio di Perugia sotto la guida del M. Luigi Ceccarelli. Nel mentre è realmente impegnato con il trio di Admir Shkurtaj, la Fanfara Populara, i Folkabbestia, E.I.J ,Nadan e si dedica alla sperimentazione di nuove possibilità espressive con progetti in solo + live electronics e field recordings, duo, trio e quartetto con formazioni variabili a seconda del luogo. Si forma l' E.I.J. Vive in campagna in un piccolo trullo circondato da gatti.

ANTONIO ORLANDO
“La forza di volontà è una fonte di energia inesauribile per Antonio Orlando, uno degli artisti più apprezzati di tutto il sud Italia. Il suo mondo visivo ha i toni e le ombre di un fumetto dark in bianco e nero popolato da mostri e da personaggi dalle virtù eccezionali in cui le spigolosità evocano immagini ancestrali di demoni e guerrieri che richiamano alla mente le opere del grande maestro del genere, ovvero Frank Frazetta. Ma la tattoo art di Orlando non è solo questo. Ritratti, disegni di animali e draghi che vogliono indurre la sensazione di una forza vivente in movimento.“(Maurizio De Paola-Tattoo Italia)
I segni artistici di Antonio Orlando sono sulla pelle di Asia Argento, Danilo dei Negramaro, Dimitris Papadopouls.

fonte iconografica: http://hornbillunleashed.files.wordpress.com/2009/09/model_in_elbow_bondage.jpg

Una storia sbagliata. Il nuovo numero di CoolClub

È in distribuzione gratuita nella provincia di Lecce e in molte città pugliesi il numero di dicembre/gennaio (59/60) di Coolclub.it, mensile di musica, libri, cinema, cultura e appuntamenti, diretto da Osvaldo Piliego con il coordinamento di Dario Goffredo e Pierpaolo Lala. La prima parte del giornale Una storia sbagliata è dedicata ai complotti, più che altro del passato, per non entrare nella bagarre che intasa i media in questi giorni. Si parla di musica e fumetti, Gesù Cristo e Moana Pozzi, cartoni animati e famiglia Kennedy, Luigi Tenco, punk e primo uomo sulla Luna.
Nella sezione musica ampio spazio agli islandesi Mum, a Iamx, nuovo progetto di Chris Corner, al folk singer Langhorne Slim, e al ruvido rock del Teatro degli Orrori. Inoltre l'intervista ai responsabili della casa discografica Midfinger records, le rubriche Avanti Pop, Dammi una spinta e On the rock e le recensioni dei nuovi cd di Did, Shannon Wright, Vladislav Delay, Cats on fire, Hop Sandoval & The Warm Inventions, Elisabeth Kontomanou, Jonsi & Alex, Mark Knofler, Lemmings.
Nei libri spazio alle interviste a L.R. Carrino, autore dell'imperdibile "Pozzoromolo" (Meridiano Zero), a Elisabetta Liguori e Rossano Astremo, autori di "Tutto questo silenzio" (Besa), e alla Hacca Editrice. Tra le recensioni le ultime uscite di Mayumi Hattori, Luca Ricci, Nick Cave, Irvine Welsh, Elio Grazioli
Nella sezione cinema l'attore Michele Riondino parla di "marPiccolo", recente film di Alessandro Di Robilant, che racconta Taranto. Sessantaquattro pagine di appuntamenti, commenti, interviste e molto altro...Il giornale è sfogliabile on line sul sito www.coolclub.it

sabato 5 dicembre 2009

(AUTORES VÁRIOS) AS CEM MELHORES CRÔNICAS BRASILEIRAS, EDITORA OBJETIVA. Di Adriana Maria Leaci

Organizado e introduzido com muito intuito, valorizando textos não mais tratados, o jornalista e escritor Joaquim Ferreira dos Santos revela uma obra única no seu estilo, dentro de um único volume que doa ao leitor a parte, considerada por alguns, “menor” da literatura: a crônica. Óbviamente isso não quer dizer, de forma alguma, que o conteúdo seja “menor”. Muito pelo contrário, pois os 62 autores são todos conhecidos expoentes da literatura brasileira. E’ justo evidenciar a forma em que as crônicas foram colocadas dentro desse livro e a escolha de seguir uma sequência cronológica, que não é só uma questão formal. A casualidade teria desviado o pensamento dos autores clássicos brasileiros, impedindo ao leitor comum a compreensão do percurso que teve a escritura brasileira. Por tal motivo, e justamente, a leitura inicia em 1850, quando Machado de Assis propõe um diálogo com o leitor através da crônica, nova fórmula emprestada do francês. Daí nasce uma um gênero que gerou interesse nos leitores da época e se traduziu, muitos anos mais tarde, na instituição da Academia Brasileira de Letras, pelo mesmo Machado de Assis. Ele foi o precursor daquela que se chamaria unidade literária brasileira, desejada pelos jovens para permitir a sobrevivência da cultura territorial a todos os eventos politicos e, sempre no exemplo daquela francesa, a favor da essencialidade das letras. Depois a obra continua, passando de período em período, dando ênfase aos anos 50, década chamada de “ouro”, pois produziu craques brasileiros de literatura, traduzidos no mundo inteiro. E como diz o mesmo Joaquim Ferreira dos Santos, o verdadeiro prazer da leitura dessa obra passa através do “gosto”, visto que é possível saborear todas as gerações, como se fossem iguarias, até o evento da internet dos anos 2000, reconhecendo em cada uma delas o talento de contar histórias sobre o ser humano, permanecendo sempre atuais, apesar dos anos, sem virar uma saga. O trabalho de selecionar as cem melhores crônicas não deve ter sido nada fácil, considerando que muitas outras de igual valor não foram incluídas nessa seleção mas, o resultado é entusiasmante! Principalmente para quem mora no exterior (como eu) e acaba esquecendo os tesouros da própria terra. Crônica recomendada: todas! A minha preferida: Antigamente, de Carlos Drummond de Andrade. Genial!

AS CEM MELHORES CRÔNICAS BRASILEIRAS, AUTORES VÁRIOS – EDITORA OBJETIVA
360 PÁGINAS

LITERATURA BRASILEIRA – CONTOS E CRÔNICAS

venerdì 4 dicembre 2009

“Small hands” di Danijel Zezelj. Intervento di Angela Leucci

Approcciarsi a “Small hands” di Danijel Zezelj significa farsi venire in mente certi bellissimi versi di E. E. Cummings, “nobody none the rain has such small hands”. Pagina dopo pagina, attraverso quello stile realistico e spigoloso, ci si accorge delle citazioni, nemmeno piuttosto sottili: molte delle scenografie sono tratte da “Fa' la cosa giusta”, il film di Spike Lee che anticipava di due anni la strage di Los Angeles e fece dire a Kim Basinger: “Perché non ha vinto l'Oscar come miglior film?”. “Small hands” parla di un pianista, anzi di un pregevole artista, che fa il cameriere e l'uomo delle pulizie per sbarcare il lunario. Tutto sullo sfondo di Thelonius Monk e delle sue battute sincopate sul due e sul quattro, una galleria di emozioni incredibili che si susseguono quasi senza senso, prive di un disegno, di una trama. Eppure la trama in questa graphic novel c'è, ma non è importante, si resta rapiti da questi segni, violenti, reali, spontanei, quasi beat. Salvifici. Che raccontano di talenti sprecati e di necessità. Una storia di ordinaria disperazione che diventa straordinaria sotto il filtro dell'arte, che fa paura, tradotta in luci e ombre che si fanno storia nella storia. La pizzeria “Da Sal” è il non luogo di questa disperazione, di un dono messo da parte, sommerso tra stracci e detersivi a buon mercato. La tematica della negritudine statunitense non fa che affascinare sempre, forse perché tutti noi, in cuor nostro lo sappiamo, i neri hanno dato origine alla civiltà. Consigliato a chi non crede quanto la vita possa essere orribile e a quanto il proprio talento possa e debba essere valorizzato.

giovedì 3 dicembre 2009

Non dire madre di Dora Albanese (Hacca edizioni)

Parliamo di un esordio. “Non dire madre” (Hacca edizioni), di Dora Albanese, scrittrice del Sud. Dora Albanese parte dalla maternità e dal concetto categoriale della creazione del sé, della creazione biologica con tutte le ricadute psicologiche del caso, della creazione di una mitopoiesi attorno al ground–zero di metamorfosi socio-culturali di un Sud postbellico: sullo sfondo una Lucania che non è paesaggio mitizzato o mitico per l’autrice, ma è una terra di nessuno dove il concetto stesso di madre si disintegra nei durissimi stili di una civiltà rurale feroce e terribile. Ancora tra le righe, in punta di penna, Dora descrive una Matera piccolo/borghese piatta, e annoiata che volutamente ha svuotato di senso la magnificenza e la miseria della sua tradizione, quella dei sassi. La scrittrice quasi poi per un’esigenza genetica e destinale affronta la maternità delle nuove generazioni, sospese tra i desideri di un’accogliente passato, caldo e protettivo tra gli affetti della memoria e delle tradizioni familiari, e il freddo e ipocrita paesaggio antropico di benesseri di facciata, nonché di goffi voli da tacchino – come direbbe Guccini – che cercano di rompere gli argini di una vita asfittica di provincia. Parliamo di racconti bellissmi e crudeli, come solo la verità del sentire e del cuore possono riferire, come solo un’indagine viscerale e obiettiva sul corpo non solo di madre, ma di donna e femmina può generosamente donare ad un lettore che vuole mettersi ancora in discussione. Secondo me a Dora Albanese non interessa solo il maquillage che cola impietoso sul viso di una donna nel tempo e nel trascorrere delle ore e dei giorni, e degli affetti e dei silenzi, l’odore del rispetto nonostante tutto … no, per questa scrittrice è importante altro: sono i sentimenti di sopportazione e di sacrificio che una donna deve costantemente sublimare a fare la differenza, sono le volute cecità sulle rughe e il buon senso, e quel voler quasi morire un po’ ogni giorno perché possa ritornare a splendere il sole sulle noie e paranoie di ogni giorno. Dora Albanese racconta dunque di un Sud, un’entità senza dimensione tra le pagine di questo libro, anche se compaiono nomi di paesi e cittadine come Stigliano e Matera. Un Sud dove le ragazze imparano a diventare madri ancora prima di una loro consapevolezza financo nella modalità di stendere i panni, un Sud dove le donne adulte cadono sugli avanzi sfilacciati del proprio tracciato biografico carico di dolore, nonne che ricordano antichi aborti, donne che spiano accese da un lieve bagliore di sensualità moraviana, uomini sui balconi; insomma, un mondo di persone in bilico tra crolli nervosi e semplici difficoltà di ogni giorno. Splendida poi la prosa in questo libro, bilanciata, elegante mai scontata. Come scrive Andrea Di Consoli nella presentazione del volume: “Non dire madre è un libro sul diventare grandi in assenza di grandezza; è un libro, cioè, sulla condanna e, al contempo, sull’impossibilità di essere “normali”; un libro, infine, sulla grigia miseria umana, ma anche sul dovere di rifondare la vita, di rinominarla, rimescolarla, riacciuffarla, magari sul binario morto dei nonni.”

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mercoledì 2 dicembre 2009

“Lune Erranti” personale di Maria Conserva alle Cantelmo di Lecce



















La Personale di pittura “Lune Erranti” di Maria Conserva artista colta e raffinata, già recensita nel 2006 con testi su catalogo da Vittorio Sgarbi, apre i battenti domenica 6 novembre alle19,30 presso le Officine Cantelmo di Lecce. La mostra è organizzata dalla Galleria d’Arte Contemporanea il Grifone in collaborazione con l’Ass. “Le ali di Pandora” con il patrocinio del Comune di Lecce sarà presentata da Ambra Biscuso. La luna, simbolo cosmico che ha generato innumerevoli miti e ispirato poeti ed artisti, è anche rappresentazione del femminile, delle maree, astro dei cambiamenti, del mondo sommerso e profondo che si contrappone al razionale. Divinizzata e celebrata nei riti di morte-rinascita per il processo che la vede crescere fino a risplendere nella sua pienezza, per poi calare fino alla sua scomparsa diventando metafora di un viaggio come scriveva Adonis nelle Metamorfosi: “…Il visibile viaggia nell'invisibile. Il senso viaggia nelle immagini”. Proponimento dell’arte è quello di porre enigmi, di renderli visibili senza per questo proporne una soluzione. La luna è un approfondimento dell'elemento femminile che non si realizza soltanto nella bellezza e nella maternità, ma nella presa di coscienza, accoglie domande e prende lo sguardo dello spettatore. La luna errante è il soggetto primario per Maria Conserva che trae dai grandi artisti contemporanei la sua ispirazione. Colpisce la sintesi delle figure; il fascino dell'immobilità, e la dimensione di calma e tranquillità interiore. E poi i colori audaci e contrastanti, la sfumatura inquieta e l’aspetto visionario sino alla materializzazione del sogno che abbandona la ricerca estetica per porsi al servizio delle emozioni. Le luna è il mistero che diventa immagine, l’artista si spinge oltre l'epidermide "delle cose", interpretando il principio della mutevolezza della Luna attraverso un "racconto" ricco di significati intrinseci, poetici dove sono evidenti la sua grande abilità pittorica. Una scenografia dell’anima, insomma, in cui ci si riconosce al punto da condurci ad aprire la porta dell’anima sino a divenire personaggi di quel mondo surreale dove la dimensione del tempo si ferma rimandandoci a quel senso di incompiutezza propria dell’animo umano.

l'opera riprodotta è di Maria Conserva ed ha per titolo Oriente e Occidente


Il Grifone Arte Contemporanea e Ass. Le Ali di Pandora presentano “Lune Erranti” personale di pittura di Maria Conserva
6/12 dicembre 2009 Officine Cantelmo, V.le De Pietro- Lecce


Contatti Ufficio Stampa: Rosanna Gesualdo
Info: lealidipandora@libero.it
Recapito telefonico dell’Ufficio Stampa: 3337731888


Ambra Biscuso
info: 339 5607242/ 0832 391862

Prigionieri di TODD HASAK LOWY (Minimum Fax) di Roberto Conturso


Uno sceneggiatore in crisi esistenziale, un rabbino attratto da droghe sintetiche ed un eccentrico agente con disturbi di personalità, sono i personaggi di Prigionieri, primo romanzo dello scrittore americano Todd Hasak Lowy. Daniel Bloom è uno sceneggiatore e Prigionieri, o meglio Luna di miele a Helsinki come viene riadattata per il grande schermo, è la sua opera di maggior successo, in cui azione e violenza sono direttamente proporzionati agli incassi al botteghino. Malgrado la fama, Daniel è alle prese con una serie di dilemmi esistenziali. La nuova sceneggiatura alla quale sta lavorando parla di un serial killer che semina il panico fra le famiglie dei dirigenti di alcune multinazionali, una trama che alimenta la sete di vendetta del pubblico desideroso di veder soffrire, anche solo per pochi minuti, coloro che infliggono dolore e perdite a migliaia di famiglie americane, ma che fatica a trovare spazio nell’omogeneo mercato hollywoodiano, nonostante il lavoro di Max, Holden, Kane, o quale che sia la nuova identità ricoperta dal suo agente. Sul fronte familiare, invece, Daniel tenta di ricucire il rapporto con la moglie Caroline e di stabilire un dialogo con il figlio Zack, in età di Bar Mitzvah. Il passaggio del figlio all’età adulta offre a Daniel la possibilità di organizzare insieme un viaggio in Israele. Quella che doveva essere una vacanza di famiglia, si trasforma ben presto in un viaggio solitario che avvicina Daniel verso le radici della propria fede e verso il lisergico rabbino Brenner. Todd Hasak Lowy debutta con un romanzo divertente, che utilizza la satira per porre in evidenza la difficile realtà economica e sociale dell’America post undici settembre, una società tenuta sotto il controllo di una classe dirigente che fa della strategia del terrore la sua arma vincente. Una scrittura brillante e ritmata da lunghi ed inconsueti dialoghi che come in una sceneggiatura, rappresentano il punto di forza del tessuto narrativo.

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martedì 1 dicembre 2009

TOURBOOK FABRIZIO DE ANDRE' 1975/98 A CURA DI ELENA VALDINI (Edizioni Chiarelettere)

Ricevo da Giulia Civiletti e pubblico volentieri:
ROMA (di Alessandra Magliaro) (ANSA) - ROMA, 1 DIC - TOURBOOK FABRIZIO DE ANDRE' 1975/98 A CURA DI ELENA VALDINI, CON LA PARTECIPAZIONE DI PEPI MORGIA (CHIARELETTERE 473 PP EURO 59,00) - La bella grafia di mamma Luisa, un corsivo rosso e blu che corre lungo i ritagli dei giornali aiuta ad aprire il baule dei ricordi, inesplorato per anni, della storia di Fabrizio De André. Invecchiati, rosicchiati dal tempo arrivano ricevute, appunti, biglietti Siae dei concerti, foglietti di ogni tipo e poi ancora copertine di dischi, manifesti, avvisi, schizzi originali per l'allestimento dei palchi: il mondo delle tourneé del poeta genovese, quello che per anni non seppe cantare in pubblico, è tutto in questo monumentale libro, in uscita venerdì 4 dicembre da Chiarelettere, fortemente voluto dalla Fondazione De André, presieduta dalla moglie Dori Ghezzi. Un museo da sfogliare e risfogliare, ritrovando nelle interviste della curatrice Elena Valdini, mille curiosità, personaggi al debutto saliti per caso sul palco (Franco Battiato), concerti 'politici' e pure feroci contestazioni (rimproveravano a De André di suonare nei locali 'per ricchi' in tempi in cui la musica era libera), sfilate antimilitariste con Luigi Calabresi e Pino Pinelli, amici radicali come Enzo Tortora, Marco Pannella. Curiosità come una Marinella porno di cui si erano perse le tracce (ma non le cronache "di un'interpretazione sconcertante" nei ritagli di mamma Luisa) cantata da De André alla Bussola, forse per stupire il pubblico dei milanesi figli di o come una Via della povertà diventata un continuo rimando ai politici di allora, Almirante, Andreotti, La Malfa. L'inedita versione de La canzone di Marinella, eseguita la sera del debutto alla Bussola il 15 marzo 1975 è scaricabile gratuitamente on line grazie al codice contenuto all'interno del volume. "Da sei anni svuoto scatole, sacchetti e sacchettini e mentre svuoto leggo fogli e foglietti con appunti di canzoni, pensieri sparsi, numeri di telefono, libri da comprare, menu da sperimentare, bestiame (all'Agnata) da allevare, oracoli da interpellare. E' Dori - racconta Elena Aldini - a portarli direttamente qui in Fondazione da quando la famiglia ha accettato di creare all'Università di Siena il fondo De André. In quelle scatole in cui i ricordi hanno un nome ritrovo i sentimenti di Dori, del suo custodire, del suo condividere e di mamma Luisa...la immagino nel salotto di Villa Paradiso mentre segna con l'inchiostro blu le frasi scelte dal cronista per recensire suo figlio, dalle quali affiora un Fabrizio ancora figlio di, del professor Giuseppe De André", racconta la Valdini. L'autrice - che per la giovane età non ha mai partecipato a nessun concerto di De André - è andata per l'Italia a sentire tutti coloro che avevano avvicinato De André negli anni dal '75 al '98, da quel primo debutto 'mito' alla Bussola di Bernardini il 15 marzo 75 cui seguì il bagno di folla a Piazza Navona a Roma il 3 giugno dello stesso anno, fino all'ultima del '98. Il fonico Riccio, che conserva un quaderno ad anelli con la copertina scozzese in cui De Andre' scriveva il canovaccio con cui presentava al pubblico le canzoni e poi Adele Di Palma, fedele manager e ancora per la prima volta l'amico Pepi Morgia passato con lui dagli ambienti della Genova bene a quelli del giro degli anarchici, regista di tutti i suoi concerti. Valdini scopre nomi, luoghi e aneddoti di ogni data: nasce così il racconto di ogni tour (capitolo) che a sua volta si lega ai ricordi di personaggi di spicco della cultura italiana (Paolo Poli, Diego De Silva, Mario De Luigi, Stefano Benni, Cesare G. Romana, Marco Pannella, Antonio Ricci, Roberto Galanti, Giorgio Gori). E poi ancora tracce forti del timore, avuto fino all'ultimo, di De André di cantare in pubblico (capace di farsi fare certificati medici accusando improbabili afonie) perché non si sentiva uomo di spettacolo. In Tourbook emerge la storia minima di Fabrizio De André, il vissuto dei suoi concerti e del suo essere attraverso i ricordi di tutti (e di Dori Ghezzi indirettamente), un ritratto che riesce con sincerità a restituire tutto il suo carisma. (ANSA).

Marco Candida presenta l'antologia di Web Site Horror









Abbiamo il piacere di annunciare che ricaveremo un'antologia dal Websitehorror. L'antologia verra' pubblicata ad Halloween del prossimo anno. L'editore sara' Intermezzi. I curatori dell'antologia saranno il sottoscritto Marco Candida e Chiara Fattori. I testi verranno scelti seguendo i criteri qui di seguito enunciati per punti:
pipistrelli di fango} Prima di tutto appare necessario chiarire lo spirito dell'iniziativa, e lo faremo con un'immagine. Immaginatevi un poco alticci alla fine di una serata tutta divertimento. Albeggia. Siete fermi con l'automobile in qualche solitario angolo di collina. Vi siete appena fatti un croissant caldo a meta' prezzo tolto fresco dalla teglia del fornaio che ve lo ha passato dal retro del suo esercizio (non c'eravate soltanto voi, ma anche altri, perche' nella cittadina dove abitate piu' o meno tutti sanno che in quel giorno particolare della settimana sul far dell'alba quel fornaio distribuisce croissant caldi). Siete con i vostri amici. C'e' Mauro l'architetto. C'e' Alberto l'avvocato. C'e' Giovanni che in attesa di qualcosa di meglio lavora come commesso al Blockbuster. Siete tutte persone rispettabili, e vi state solo passando una serata tra amici – e niente mogli, fidanzate o amanti, grazie. Ad un tratto mentre siete schiacciati in auto con la testa che gira leggermente e osservate i chiarori dell'alba che gettano una luce di magia attorno vi lasciate andare a qualche immaginazione. Magari partite dalla trama di un film fuori commercio che conoscete solo voi o di quel fumetto introvabile che con l'eta' che avete ancora non smettete di leggere o di quel videogioco mai sentito che avete regalato a vostro nipote. A voi non piace mai fare la parte di quelli che hanno troppa immaginazione. Comunque si tratta di una storia che fa paura, e mentre la raccontate cambiate la trama, aggiungete scene, insomma ci mettete del vostro, reinventate. State ritornando ragazzini, forse addirittura state tornando bambini. Ridete. Fate ululati. Fate “buh!” ai vostri amici. Nella migliore delle versioni di questo bel quadretto a un certo punto vi ritrovate fuori dall'auto a rincorrervi uno con l'altro con le mani alzate come fanno i morti viventi. Proprio voi, si', che siete architetti, avvocati, che comunque andate sempre in giro ordinati, in giacca e cravatta, e che di solito siete persone che fanno della serieta' il fondamento primo della loro professione e... be', della loro esistenza. Ecco. Questo e' precisamente lo spirito del Websitehorror. Quattro amici che giocano a spaventarsi soltanto un poco l'uno e l'altro...
gufi di gelatina} Benche' assai soddisfatti per come stanno procedendo le cose, i racconti pubblicati sul Websitehorror, come e' sotto gli occhi dei lettori, che certo non hanno bisogno di essere guidati nella lettura – cosi' come quando si ascolta la musica di un violino e anche senza essere degli esperti si riconoscono subito le stonature un poco e' lo stesso anche con le parole - non tutti sono buoni racconti. Anzi alcuni sono proprio deludenti. Non abbiamo ritenuto pero' per adesso di fare alcuna selezione perche' lo spirito del Websitehorror e', e rimane, soltanto quello di creare uno spazio dove poter praticare un genere letterario che, almeno secondo la nostra osservazione, se si eccettuano rari, rarissimi casi sembra non essere frequentato affatto dagli autori italiani. Percio' pur trattandosi di una proposta pacifica e ispirata dal puro divertimento, essa contiene alle radici un'obiezione piuttosto inequivocabile: possibile che nel nostro Paese certi generi di storie debbano per forza essere importate? Non possiamo, invece, fabbricarcele da noi, queste storie? Possibile che dobbiamo considerare queste storie il Male, il Nemico, il Diavolo, decidere che un'intera pratica del fare storie e' spazzatura, chiuderla in un cassone e consegnarla alle tarme e alle ragnatele in soffitta? E' questo l'atteggiamento giusto? Non e' invece piu' saggio addomesticarlo, il mostro? Facciamocele da noi, le nostre storie. Chi ha detto che non siamo capaci?
vomito di plastica} Come dicevamo, ad ogni modo, benche' soddisfatti per come le cose stanno procedendo, per l'antologia che abbiamo intenzione di ricavare dal Websitehorror purtroppo saremo costretti a indossare il cappello da maestrina, salire in cattedra e dire tu si' e tu... la prossima volta.
tormenta di ranocchi} Prima di passare a specificare meglio i criteri della sanguinaria selezione alla quale i racconti dell'orrore verranno sottoposti desideriamo chiarire ancora un poco il respiro generale di questa iniziativa, cosa che evidentemente ci sembra molto importante fare, in particolare specificando meglio cio' che abbiamo espresso brevemente nel punto “gufi di gelatina”. Abbiamo scritto che alcuni racconti sono molto deludenti. Abbiamo osato il paragone tra il suono delle note del violino e le parole di un testo. Pero' potrebbe anche darsi il caso che a qualcuno le stonature di quel violino piacciano, e che anzi non le giudichi affatto delle stonature, ma note che esaltano e vivificano un'armonia e una melodia altrimenti troppo piatte, troppo banali. Legittimo. Ecco allora che si rende necessario spiegare di che cosa noi andiamo in cerca. Cio' che ci ha reso perplessi e' che in molte delle storie pubblicate sul sito ci si accontenta di raccontare i fatti senza chiarire le condizioni che rendano possibile il verificarsi di questi fatti. Se scrivo che un vampiro della Transilvania ha posteggiato la sua Cadillac volante nella Piazza del Duomo di Parma come lettore io voglio essere messo nello spirito di poter credere a questo evento. Come convinto consumatore di gastronomie al sapor d'orrore questa idea mi solletica, e io voglio, oh si', lo voglio con tutto me stesso di poterci credere. Pero' subito mi domando: ma a che ora il vampiro della Transilvania ha posteggiato la sua Cadillac volante in Piazza Duomo a Parma? Non c'era nessuno in giro che l'ha visto atterrare? I vigili non gli hanno chiesto se aveva il permesso di posteggiare li' la Cadillac? Esiste per caso un sistema di monitor che osserva che cosa accade sui cieli di Parma – se ci sono aerei che sbagliano traiettoria, metoriti, mongolfiere, astronavi spaziali e... automobili volanti? Come ha costruito il vampiro la sua Cadillac? Dove l'ha trovata? Ogni singolo fatto che compone una storia diventa migliore se acquista un suo corpo, un suo spessore, e probabilmente diventa realmente anche piu' gustoso. La parte interessante del raccontare storie e' prima di tutto la documentazione. Scrivere e' un'avventura culturale, sempre. Anche se leggo di una gara di oscenita' tra una strega di Salem e il cannibale di Rotenburg (che, si potrebbe immaginare, ha preso una macchina del tempo ed e' ritornato nel 1691 per incontrare la figura che ha, Dio ci scampi, ispirato maggiormente la sua condotta etica) sia come lettore che come autore io voglio poter imparare qualcosa alla fine: voglio uscirne arricchito di qualcosa che non sapevo: mi basta anche solo un fatto, una parola, un modo di immaginare, l'uso della virgola... Senza esagerare, pero', eh! Che dopo mi stanco, mi sembra di leggere uno che scrive per tener corsi di scrittura creativa, e non di uno che tiene corsi di scrittura creativa perche' scrive...
coboldi di zucchero filato} Attenzione attenzione attenzione! Siamo tra amici! Ci dispiace se nel punto “tormenta di ranocchi” siamo apparsi presuntuosi nel dir la nostra, ma cercavamo solo di esprimere il nostro desiderio come lettori circa le storie che vorremmo leggere!
teschietti di sughero} Alcuni racconti dal sito dell'orrore ci sono parsi comunque buoni. Non diremo quali sono di modo che agli autori di questi racconti magari venga voglia di consegnarci qualcosa di ancora migliore.
cornacchie venete} Alcuni autori presenti nel sito dell'orrore ci sono parsi interessanti. Li contatteremo per chiedere a loro storie fatte ancora meglio.
polipi di gomma} Verranno presi in considerazione anche racconti scritti in lingua straniera sia da autori italiani che stranieri.
motosega rumorosa} Se non e' ancora chiaro dopo la premessa contenuta nel punto “pipistrelli di fango”, qui ribadiamo di preferire racconti che non presentino soggetti troppo violenti e desideriamo non alimentare credenze superstiziose circa l'occultismo – caproni del sabba, messe nere, pentacoli...
urlo di vecchiaccia strangolata} Sentitevi comunque liberi di fare tutto quello che vi pare e ricordate: in una storia dell'orrore piu' e' credibile e piu' e' incredibile! (Questa e' mia; non di Stephen King)
ossa di brontosauro in padella} I racconti presenti nell'antologia verrano preventivamente pubblicati sul Websitehorror. L'indirizzo del sito e' http://www.websitehorror.com. Chi desidera partecipare puo' inviare i racconti all'indirizzo che trovera' sul sito. Terremo aggiornati i lettori e i partecipanti attraverso il gruppo Facebook e usando ogni altro canale a disposizione compresi i megafoni e le trombe da stadio. Abbiamo un anno per fare le cose per bene e vi promettiamo che non verra' solo un cosa bella, ma sara' proprio una cosa che vi fara' restare secchi sul ring nel giro di tre round. Percio' siete ancora tutti in tempo per fregarci l'idea!

lunedì 30 novembre 2009

Esce Separè di Annalisa Bari (Giuseppe Laterza editore)

Una Compagnia di Avanspettacolo in giro per l’Italia degli anni cinquanta. E una bambina, Elena, che, per una serie di circostanze, si trova a dover seguire la prima ballerina, sua zia Giorgia, unica parente rimastale. E’ la stessa Elena che, diventata adulta, racconta in prima persona quell’esperienza, ricostruendo storie e avventure, ambienti e atmosfere di un mondo scomparso. Vagoni di terza classe e stazioni di paesotti proletari, luride pensioni e squallidi cinema di periferia sono i retroscena di spettacolini pretenziosi dove luci e musica, piume e lustrini regalano quarantacinque minuti di evasione a molti che hanno ancora nell’anima le cicatrici della guerra, che faticano a trovare la loro porzione di benessere. E mentre l’Italia si risolleva ricostruendo e rinnovando, e il mondo dello spettacolo si apre a nuove forme, l’Avanspettacolo inizia la sua rapida e inesorabile agonia, tra le illusioni svaporate nella luce bianca del televisore. I nuovi divi e la nuova cinematografia, le rassegne canore, di bellezza, di moda, i rotocalchi, la pubblicità, la politica e lo sport, le auto e gli elettrodomestici: è un’intera nazione che si evolve sotto gli occhi opachi di chi non vuole accettare il cambiamento dei costumi, e quelli vivaci di chi prende la rincorsa verso il futuro. Giorgia e le sue compagne, tra l’aspirazione al successo e la voglia di famiglia, tra avventure fugaci e speranza di un grande amore, sono le ultime donnine di spettacolo additate ed emarginate dai benpensanti, oggetto di effimero piacere, non degne di rispetto e di giustizia. Il racconto leggero e lucido di Elena, filtra la memoria nebbiosa e selettiva dell’infanzia, rimane il distillato dei profumi, quelli stessi che nella passerella finale facevano sognare i giovani dei primi anni cinquanta.

Info: redazione@giuseppelaterza.it

Gargoyle Books presenta "La ragazza della porta accanto" di Jack Ketchum

Il libro. A vent'anni dalla sua prima pubblicazione, il capolavoro di Jack Ketchum, The girl next door, fonte di grande scalpore per gli argomenti trattati, viene finalmente proposto anche al pubblico italiano, dopo essere stato tradotto in greco, giapponese, tedesco, francese e ungherese. Il bestseller si ispira a una delle pagine più atroci della cronaca criminale americana: l'assassinio della sedicenne Sylvia Likens per mano di sua zia, Gertude Baniszewski (che l'aveva in affido assieme alla sorella minore) e dei suoi giovani cugini. Un fatto terribile, avvenuto nel 1965, che scosse gli Stati Uniti, e di cui non si è mai smesso di parlare, in quanto primo di una lunga e inquietante sequela di casi di segregazione violenta ai danni di minori. Ketchum si prende qualche licenza, spostando la storia dall'Indiana al New Jersey (dove è nato e cresciuto) e ambientandola nel 1958. Alla narrazione meglio si prestano, infatti, le tinte fosche del decennio maccartista quando la propensione della provincia americana a rinchiudersi insanamente in se stessa raggiunse il suo culmine, e quando - per usare le parole dello stesso Ketchum - "si era molto più isolati e soli di adesso". L'orrore, in Ketchum, non ha alcuna origine sovrannaturale, risiede unicamente in quei comportamenti umani improntati al disconoscimento dei propri simili, nei processi dell'inconscio e della malattia mentale; celato soltanto dalla normale routine quotidiana, si svela progressivamente fino ad assorbire tutto ciò che è ad esso vicino, catapultando il lettore in un'atmosfera claustrofobia ed esasperata, dove mancano del tutto i limiti morali. Attraverso uno stile che è un incisivo mix di asciuttezza e lirismo, Ketchum parla del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, del disagio e dello smarrimento conseguenti, e dunque della necessità di una sorveglianza adulta discreta e autorevole nel contempo. Nella breve vita violata di Meg Loughlin, la persona designata a tale sorveglianza è Ruth Chandler, ma Ruth agisce esattamente all'opposto di come una guida dovrebbe fare. Apparentemente apatica e incolore, la donna nasconde una personalità diabolicamente manipolatoria: mente, omette, intimidisce, incita alla perdizione, all'abuso di alcol, a un'iniziazione sessuale distorta. Nessuno contrasta la bruttura di tali azioni, che lei ordina di commettere e commette a sua volta: dall'altra parte ci sono solo ragazzini, alcuni dei quali sono suoi figli. La comparsa di Meg, giovanissima, bella, vitale e con un intero futuro davanti, ha su Ruth l'effetto di un detonatore di pulsioni distruttive: emerge tutto ciò che già c'era ma non si vedeva, una follia cattiva dovuta a un acido rancore e a una devastante misoginia.Ricercata è l'angolazione adottata dall'autore per eludere l'efferatezza in eccesso propria della storia: David - l'io narrante - assiste alle torture descrivendole al lettore, in tal modo Ketchum descrive anche il coinvolgimento emotivo del ragazzino. Tuttavia quando David si costringe a non frequentare la casa dei Chandler per sottrarsi all'orrore che lì si consuma, il lettore viene preservato assieme a lui.
I meccanismi dell'assoggettamento, la complicità al male dovuta alla fascinazione del proibito, la deresponsabilizzazione verso il crimine per via del consenso adulto, la devianza dalla funzione genitoriale, dalla spensieratezza adolescenziale, dai ruoli sociali sono solo alcuni dei grandi temi che rendono La ragazza della porta accanto un romanzo difficile da dimenticare.
La trama. 1958, David Moran, 12 anni, vive in una cittadina rurale dello Stato del New Jersey. Il suo mondo ruota attorno a Laurel Avenue, strada senza uscita fittamente alberata, popolata di villette a schiera dove tutti si conoscono. I suoi migliori amici sono i fratelli Chandler che abitano nella casa accanto. Quando Meg e Susan Loughlin si trasferiscono a vivere dai suoi vicini, David è contento e incuriosito dell'opportunità di allargare le sue conoscenze femminili, sebbene Meg sia maggiore di lui di due anni. Le sorelle Loughlin hanno appena perso i genitori in un incidente d'auto, e sono state affidate a Ruth Chandler, loro lontana parente nonché madre di Donny, Willie e Woofer. Ma Ruth nasconde un'insospettabile vena di sadismo e alienazione, che sfoga dapprima sottoponendo le ragazze a percosse sempre più violente, e poi dando vita a una serie di torture fisiche e psicologiche a cui anche i suoi figli prendono parte attiva. Sia David sia gli altri amichetti del vicinato divengono testimoni e, in qualche modo, complici delle terribili sevizie. La polizia accoglie con leggerezza le denunce di Meg: l'unica speranza per lei e la sorella è l'aiuto di David, che deve scegliere tra l'affetto per Meg e l'ossequio verso Ruth.
L'autore: Jack Ketchum (New Jersey, 1946) è lo pseudonimo di Dallas Mayr. Ex figlio dei fiori, già attore, cantante, insegnante, agente letterario, venditore di legname e barista, è sulla scena della narrativa horror statunitense da quasi trent'anni. Autore prediletto di Stephen King, è stato più volte vincitore del "Bram Stoker Award" - massimo riconoscimento per la letteratura horror, conferito annualmente dalla Horror Writers Association, ha scritto numerosi racconti (le antologie Peaceable kingdom, 2002, e Closing time, 2007, hanno vinto il "Bram Stoker Award") e undici romanzi - tra cui Off spring (1980), The girl next door (1989), She walks (1989), Red (1995, Mondolibri 2009), Ladies's night (1997) e The lost (2001). Da Off spring , The girl next door, Red e The Lost sono stati tratti i film omonimi. Il romanzo The girl next door è stato portato sullo schermo nel 2007 dal regista Gregory Wilson, su sceneggiatura di Daniel Farrands e Philip Nutman; Red, diretto dal norvegese Trygve Allister Diesen e dal californiano Lucky McKee, è stato presentato nella selezione ufficiale del Sundance Film Festival 2008.

www.jackketchum.net


Da La ragazza della porta accanto:

"[.] i nostri sentimenti verso Meg pian piano cambiarono. Dall'ammirazione per l'audacia e il sangue freddo dell'azione e per aver sfidato ufficialmente l'autorità di Ruth, passammo a un certo disprezzo. Come aveva potuto essere così sciocca da pensare che la polizia si sarebbe schierata contro un adulto, dalla parte di una ragazzina? Come aveva potuto non capire che avrebbe soltanto peggiorato la situazione? Come poteva essere così ingenua, così fiduciosa e così stupidamente credulona? [.] Era come se [.] Meg ci avesse sbattuto in faccia il fatto che in quanto ragazzini non avevamo il benché minimo potere. Essere "solo dei ragazzini" assunse un significato del tutto diverso, come un'inquietante minaccia di cui eravamo già consapevoli, ma su cui non avevamo mai dovuto riflettere davvero."
Ketchum su La ragazza della porta accanto:
"Anche se le azioni dei personaggi sono malvage o immorali, resta sempre la possibilità di cambiare vita. È quello che succede a David, protagonista e voce narrante. Da parte mia, ho voluto indagare sia la luce che l'oscurità dell'uomo, così da vederle entrambe e poter fare scelte più consapevoli."
Dalla Nota Finale di Stephen King:
"...non esiste scrittore che, dopo aver letto Ketchum, possa evitare di restarne influenzato, così come non c'è lettore, anche non necessariamente appassionato di genere, che dopo essersi imbattuto in un suo lavoro possa facilmente dimenticarsene. Ketchum è diventato un archetipo. Lo è diventato sin dal suo primo romanzo, Fuori stagione... e si è confermato tale fino a La ragazza della porta accanto, che ne ha segnato la consacrazione."

Gargoyle Books presenta "La ragazza della porta accanto" di Jack Ketchum. Traduzione di Linda De Luca. Con una Nota Finale di Stephen King

domenica 29 novembre 2009

JORGE AMADO, Tiêta Do Agreste (Editora RECORD). Di Adriana Maria Leaci

Este romance foi publicado em 1977 e, até hoje, foi reeditado mais de vinte vezes. Virou filme de Cacá Diegues em 1996 com Sônia Braga, como Tiêta, e um elenco de atores brasileiros de primeira que todos nós, brasileiros, conhecemos muito bem. Mas ler o livro é outra coisa. Jorge Amado, um dos maiores escritores brasileiros em absoluto, deu lustro à literatura do país e exportou o proprio talento pelo mundo afora. Desaparecido em 2001, seus romances continuam sendo editados e nenhuma geração até hoje abandonou a curiosidade de conhecê-lo e de amá-lo, exatamente como seu sobrenome sugere. Na maior parte das suas obras, relata sobre mulheres que devem enfrentar tabus e preconceitos da sociedade masquilista e patriarcal brasileira.
Neste romance é entusiasmante como o personagem de Tiêta se revela como uma mulher de caráter extremamente forte e capaz de enfrentar uma cidade inteira usando a sua experiência e as suas convicções pessoais. A chave do erotismo é sempre frequente mas, Jorge Amado tem a habilidade de transformar a fraqueza moral do ser humano em sátira, movimentando a história com uma linguagem muito rica e prazeirosa. Como em outros romances, este também se passa no estado da Bahia, na cidade natal de Tiêta, Sant’Ana do Agreste, onde ela volta depois de vinte e seis anos de ausência, desde que foi expulsa de casa pelo pai. Durante os anos em que Tiêta vive longe, não deixa de ajudar a família enviando dinheiro e mantendo o contato através de cartas que recebe em São Paulo. A presença de Tiêta coloca em agitação a população da pequena cidade, pois ela retorna rica e poderosa, viúva e disponível. E’ circundada pelas pessoas mais influentes da cidade, entre políticos, poetas e outros que são literalmente atraídos pelo fascínio da mulher. Tiêta conseguirá marcar todas as pessoas da cidade através do seu modo de viver completamente novo para aquele tipo de sociedade. Pela enésima vez Jorge Amado deixará o leitor preso entre suas páginas, que parecem uma espécie de ímãs de olhos, curiosos de saber qual final reserva o autor para mais uma personagem feminina de grande bagagem de vida.
Pessoalmente, o que aprecio em Jorge Amado é que, na pior situação da história, não passa nenhum sentimento negativo, pois trata qualquer argumento com muita naturalidade, livre e sem pesar nos valores de cada um. Simplesmente bárbaro!

Tiêta Do Agreste - JORGE AMADO. Editora RECORD – 576 páginas. LITERATURA BRASILEIRA - ROMANCES

sabato 28 novembre 2009

Recensione al mio Dermica per versi di Nunzio Festa uscito per LietoColle

“Dico dovrei / ma non lo faccio.” Questo è un distico di Stefano Donno. Una particella estromessa dal suo corpo madre e padre, l’ultima silloge poetica del salentino Donno, “Dermica per versi”. Presa da sola, la chiusa, - perché di questo si tratta - dice nulla ma contemporaneamente tutto. In quanto è da sola un mezzo capace d’esprimere parte delle scelte del poeta, come allo stesso tempo un estratto della normalità; che si dovrebbe, quindi: eppure non sempre si fa realtà. Quello che l’autore non fa, però, è detto in versi sottili e potenti: “Dovrei annuire con la testa / in segno di accondiscenza / abbracciare la sacralità della tua schiena / dovrei gioire dei tuoi fremiti / e ascoltare per ore e ore / solo lo sciabordio gentile delle nuvole…” La grazia di alcune inquadrate è la stessa, amara e forte, che scappa in componimenti nati per rivendicare il diritto alla dimensione intimistica. Ed è appunto su questo livello, in mezzo a questo terreno fremente che Stefano Donno crea i versi migliori da sé. “L’involucro del mio male / come prurito secco che scortica la pelle / accarezza i tuoi seni e scende sperduta l’ansia / di averti in diverse pose e magari / rovinare tutto con un semplice gesto senza maestria / lasciando perdere la passione e la parola / tradita d’assenza nel tuo sguardo”. In alcuni sentieri la poesia di Donno conosce amore e dolore all’interno del medesimo e incantevole quanto incantato istante. Con Dermica per versi, altro momento delizioso della speciale e originale collana lietocollina Solodieci, siamo di fronte alla prova provata, si suol testimoniare, dell’espressione più pura. Con questa nuova opera, infatti, Donno spiega a lettrice e lettore che è il percorso più intimo quello che riesce meglio a dimostrare le belle capacità. Con il filo del dentro, Donno sa benissimo portare alla luce della notte e al buio dell’illuminazione il fiato d’una parola utile per lasciare la propria pelle, tutt’intera, all’interno delle pagine.

Dermica per versi, di Stefano Donno, con una nota di Alessandra Bianco, LietoColle (Como, 2009), pag. 16, euro 5.00.. recensione uscita sul blog di Francesca Mazzuccato

Ringrazio inoltre Amedeo Anelli per la recensione apparsa su Il Cittadino di Milano, al lavoro che ho realizzato con Sandro Ciurlia uscito per Edita

Giorgio Manganelli, Centuria (Adelphi) di Marco Montanaro

Trent’anni fa: un po’ di Django Reinhardt, un po’ di Magritte. E le centurie di Boccaccio, Nostradamus, Boccalini e il Novellino (testo anonimo del ‘200). Ecco cos’è Centuria (1979) di Giorgio Manganelli – cento piccoli romanzi fiume, è il sottotitolo. Verrebbe da dire che Manganelli è geniale. Ma questo si dice per rendere innocuo qualcuno, in genere. Invece Manganelli ha ancora molto da dire: specie in tempi d’immaginario frammentato, in cui la scrittura, dopo Internet, parrebbe condannata a essere istantanea, breve, per lo più innocua. Manganelli, al pari del suo amico Calvino, era un chirurgo della parola. E con la parola sapeva fare di tutto, rimodellando qualsiasi tipo d’immaginario – per questo, Django Reinhardt. Allora Centuria diventa l’esperimento più azzardato: cento romanzi da una pagina ciascuno. Che si tratti davvero di romanzi o meno, ha importanza relativa – oggi potrebbero anche apparire come cento sceneggiature per brevi videoclip degni del miglior Michel Gondry. Certo è che non accade molto – in senso di azione – nella singola pagina. Manganelli dà subito le coordinate, gli attributi dei suoi personaggi, quasi sempre anonimi (“il signore”, “la città”, “il prigioniero”, “il drago”, “la donna che ha partorito una sfera”, “l’assassino”) e dopo qualche rigo comincia l’attività combinatoria. Molto simile a un limerick, se vogliamo. Ma nelle mani di Manganelli ogni romanzo diventa un’esplosione di possibilità, di mondi paralleli, in cui un tacchino può tentare la carriera forense e le scimmie urlatrici hanno dignità teologica; in cui un serial killer, dopo una estenuante autoanalisi, comprende che è se stesso che deve uccidere, per una questione di dignità professionale. Il punto fondamentale, comunque, rimane l’intensità. Provate a leggere Centuria tutto d’un fiato, magari ingannati dalla brevità dei romanzi-fiume: impossibile. Ogni singolo pezzo è un mondo vero e proprio, con le sue regole logiche, teologiche e narrative; ogni pezzo mette in scena un universo – parallelo al nostro, forse, certamente psichedelico – col suo immaginario, le sue mitologie; e tanto basta per rendere ancora più assurda quella che si suppone essere la realtà. Poco importa che Manganelli venga infilato nel filone della letteratura come menzogna (c’è un suo libro che si intitola così), poco importa che il suo continuo parodiare possa apparire barocco, fine a se stesso (scrittura pura, la chiamano); le centurie di Manganelli non sono solo un manuale di scrittura creativa, ma un tentativo di toccare l’infinito, di abbandonare un corpo mortale – concetto che tornerà in Dall’inferno (1985) – attraverso la fantasia. In una forma che oggi sembra ancora più attuale, adatta agli oscuri-tempi-che-corrono.

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su concessione dell'autore M.M.

venerdì 27 novembre 2009

UN COFANETTO SUL BALLO DELLA PASSIONE. Intervento di Angela Leucci















È stato realizzato il cofanetto “Tangh in corto”, una serie di tre cortometraggi di Maurizio Mazzotta in una tiratura limitata di trecento copie, che sarà distribuito in proprio dall'autore e nei circuiti underground. Il cofanetto raccoglie il già citato “El tango es sueno”, “Perdizione” e “Il cuore nei piedi”. Non ci dilungheremo sul primo perché l'abbiamo già fatto in un precedente post (cfr. http://stefanodonno.blogspot.com/2009/11/lansia-da-prestazione-balla-ritmo-di.html). Questa trilogia, composta da due filmati di pura fiction e un documentario, completa quello che Mazzotta ha iniziato attraverso la struggente descrizione di un tango nel bosco all'interno del suo romanzo “Gli uomini delle vigne”. “Perdizione”, per esempio, racconta lo stato di abbandono che il tango comporta, più di qualunque altro ballo, o, più in generale, di qualunque altra attività: un uomo e una donna si lasciano trascinare in una milonga con un carrello nel supermercato, e si allacciano in un tango nel parcheggio, finché lo scenario non si annulla dentro la loro passione, fino all'ironico epilogo, che anche stavolta non sveleremo. “Il tango nei piedi” è, invece, un documentario su coppie di vecchi tangueri che si mettono a nudo, svelandosi e rivelandosi attraverso il ballo che prende luogo nei posti più disparati. Il cofanetto è consigliato a tutti, non solo agli amanti del tango, ma soprattutto a chi ha perso o crede di aver perso fiducia nella poesia che esiste in tutte le cose, chi non crede più che sia importante fermarsi anche per un attimo ad ammirare la bellezza, quella di un ultimo tango nel Salento.

Superba è la notte! ... un coro di poesia!

La poesia ha bisogno dell'incontro per completare la sua “missione”. Accogliere parole è compito del poeta, farle suonare dentro sé, dare corpo con i versi all'indeterminato del sentire e fare urlo, canzone, carezza, monito, schiaffo, invocazione, preghiera.... Che forza! Ma tutto ciò non può rimanere chiuso in un libro, imprigionato nelle righe tracciate dall'inchiostro o segnate dal digitare su una tastiera. E' necessario – vitale per la poesia - che le voci si facciano voce, muovano verso l'altro tentando una manovra piena di accoglimento per sommuovere ciò che dorme in ognuno e non trova indirizzo, verso, appunto! A questo - Livio Muci e l'editrice Besa - pensano ogni volta che torna la Città del Libro, concertare un luogo, un'occasione dove lasciare libere le parole, il sentire dei poeti e la necessità del pubblico di apprezzare altre lingue, altre modalità di concepire e realizzare poesia. “Superba è la notte” è il titolo proposto quest'anno per l'ormai consueto happening di scrittori e poeti salentini che, dalle 20.30 di domenica 29 novembre, si terrà nella Sala del Centro Servizi del Quartiere fieristico di Campi Salentina.

Parteciperanno alla serata:
Giuseppe Conte, Vito Antonio Conte, Rosanna Gesualdo, Elio Coriano, Giuseppe Cristaldi, Antonio Errico, Mirko Gabellone - Michele Bovino, Irene Leo, Elisabetta Liguori, Anna Maria Mangia, Massimiliano Manieri, Daniele Ninfole, Guido Picchi, Luisa Ruggio, Giovanni Santese

giovedì 26 novembre 2009

"Avevo sei anni e mezzo" di Simone Di Maggio (Fazi)

"Di fronte al portone, suono schiacciando forte il pulsante del citofono. Mi volto e saluto con la mano Flavio e sua mamma, che mi fanno ciao e se ne vanno. Forse pensano che qualcuno mi abbia aperto. Citofono di nuovo, schiacciando più forte, una, due volte… Non c’è nessuno a casa, e nessuno in strada. Mi guardo intorno, ho sei anni e mezzo, e ho paura …". Questo breve periodo è riportato su molti blog, e forse non a caso. Appartiene al libro che Simone Di Maggio ha scritto nel 2008 per Fazi, e che ha per titolo “Avevo sei anni e mezzo”. Quel brano è l’anticamera dell’inferno. Fra qualche rigo si capirà il perché. L’autore mi scrive due giorni fa, allegandomi il word del testo e il jpg della copertina. Mi chiede se posso scrivergli qualcosa, perché gli piacciono le mie recensioni. A reperire il libro in giro c’è una certa difficoltà. Così sostiene. Gli credo. Nulla di nuovo sotto il sole dell’editoria. La mia risposta, come mio solito, affabile e calibrata, verte tutta sul fatto che in questo periodo ho molto lavoro da portare a termine (ebbene sì, precario ma pur sempre con un minimo stipendio che mi fa sbarcare il lunario) e che sicuramente più in là avrei affrontato il suo lavoro. Ora non so nemmeno se questa sarà una recensione nel senso più stretto del termine, ma una cosa è certa. Questo lavoro l’ho letteralmente divorato, ed eccomi allora qui a parlarne. Siamo a Torino, alla sua periferia, in un parco dove si sentono le grida gioiose dei bambini, i cigolii d’altalena, le voci delle mamme che chiamano i loro figli e la forza dei loro sguardi che vogliono proteggere dal male del mondo. Un piccolo parco certo, ma vero e proprio terreno di caccia di un tipo elegante, sornione, colto, raffinato che se ne sta sempre buono su una panchina, magari a regalare sorrisi come caramelle ai bambini. Un mostro in realtà capace di spezzare vite che hanno tutto il futuro da costruire, capace di trasformare in dolcezza e irresistibile narcosi la sua perversione, il suo male. Il protagonista lo chiama il Falco. Sarà lui l’incubo peggiore nella vita del protagonista di questa storia, la causa di attacchi di panico e altre monomanie ossessivo-compulsive. Questa storia è stata scritta, da quel bambino di allora, ora già adulto, che ha dovuto lottare con uno sforzo immane (e non c’è Valeria, o Daniela, o famiglia, o amici che tengano), nel relegare il Falco nella cantina buia della sua anima, in una stanza buia e marcescente che non aprirà mai più. Simone, ha rielaborato tutto ormai, certo, ne ha fatto un libro che fa confondere il grido di dolore ancora pungente con la letterarietà. Simone quella storia ha trovato il coraggio di riscriverla, e forse ha ritrovato la sua vita. Ma sono convinto che comunque certe cicatrici non se ne andranno mai, e che qualche volta ancora sentirà - sarà solo una lieve sensazione, un umore particolare – non tutti i pezzi del puzzle essere al posto giusto. L’opera in questione mi è entrata dentro, ha toccato il cuore, senza andare troppo per il sottile. Ad ogni modo “Avevo sei anni e mezzo” lo trovo un libro necessario … anzi indispensabile!

mercoledì 25 novembre 2009

Giallo Salento il 4 dicembre a Novoli

Il Salento. Terra di transito, di attraversamenti, di ragni tarantolati, di ulivi secolari. Salento, terra di meraviglie barocche, di cultura, non solo terra dove impera lu sule, lu mare, lu ientu! Già perché c’è un aspetto della storia della letteratura di questo territorio ancora tutta da scoprire, tutta ancora da valorizzare e da apprezzare, e per certi versi forse poco rassicurante. Obiettivamente la produzione letteraria di queste lande, da Salvatore Toma a Antonio Leonardo Verri sino a Claudia Ruggeri, ha raccontato sia in prosa che versi, una geografia della scrittura che parlava di queste latitudini in maniera non certo entusiastica, dove il lirismo mitologico di un luogo quasi utopico e incontaminato sotto qualsiasi punto di vista, veniva sostituito dalla narrazione di un luogo, il nostro, tutt’altro che idilliaco,anzi … un inferno “minore”, citando l’opera della Ruggeri, dove il barocchismo delle identità diveniva sublimazione dell’ipocrisia, della volgarità, del pressapochismo, di una claustrofobia esistenziale che lacerava ogni slancio. A cavallo poi tra gli anni ’80 e ’90 il Salento ha visto nascere il pulp, la beat generation. il noir, e ora a partire dal nuovo millennio il Giallo. Il Giallo Mondadori, ideata da Lorenzo Montano e pubblicata da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929) a tutt’oggi ha i suoi appassionati seguaci, e le sorprese, anche in questo territorio giallo come il sole e rosso come il sangue sono ancora moltissime. Naturalmente l’assassino non è sempre il maggiordomo … E dunque l’intento di questo progetto è quello di dare un primo spaccato che negli anni verrà sempre più ampliato e arricchito, su questa nuova porzione della letteratura salentina che sta vedendo la luce da qualche anno e che si sta pian piano consolidando. Una serie di narratori, giornalisti della carta stampata e televisivi che si sono cimentati con una scrittura stilisticamente vicina al romanzo per descrivere di omicidi efferati o clamorosi fatti di nera, o esordienti che hanno visto nel Salento un paesaggio ideale per ambientazioni noir, vicine al giallo, a volte gotiche. Naturalmente l’assassino non è sempre il maggiordomo …

Sospettati: Raffaele Polo, Gianni Capodicasa, Lucia Accoto, Piero Grima, Graziano Tramacere, Angela Leucci, Armando Tango, Lino De Matteis, Elisabetta Liguori, Marcello Costantini
Complici: Luisa Ruggio, Sandrina Schito, Alessandra Bianco, Mauro Marino, Vito Antonio Conte, Ilaria Ferramosca
Gli autori coinvolti hanno pubblicato con le seguenti case editrici: Luca Pensa editore, Akkuaria editrice, Besa editrice, Lupo editore, Glocal editrice, Argo editrice

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