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mercoledì 15 settembre 2010
Il libro del giorno: Vita sentimentale di un camionista di Alicia Bartlett Cimenez (Sellerio)
Di una verità si capisce solo ciò che siamo preparati a capire. Date retta a me, Cardinà! di Giuseppe Cristaldi
Cardinà, chè poi voi potete comprendermi, chè Dio a voi ha dato una sua costola per davvero, altro che ad Adamo, date retta a me. Chè Dio a voi ha donato qualcosa di Sé; credete forse non sapesse che un Adamo avrebbe peccato? Diciamocelo ora, che le fiamme fanno le trecce nel camino, e niente è inferno, e tutto è calore. Avvicinatevi Cardinà… salsiccia o bruschetta? Lasciate l’inghippo delle campane, mandate una di quelle guardie svizzere a cozzarci con l’elmetto, non replicherà fidatevi, non conoscono parole le maschere del carnevale che non sfila. Eh? Credete non sapesse che avrebbe peccato? La costola sua immanente ce l’avete voi del Vaticano, fidatevi, specie voi, Cardinà, che siete, aspè che me lo ripasso in mente, che ci vuol dedizione nella pronuncia di taluni sintagmi: Cardinale Renato Martini, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Cardinà, che voi potete comprendermi per davvero, che sono pastore pure io e non di uomini, peggio, di vacche, opulente o macilente, nerborute o spossate, al macello o immerdate fra i fastelli di paglia. Qui tra Lazio e Campania, fazzoletti stropicciati di terra amara scampati all’asfalto. Aspettate che vi sistemo il cuscino, che sennò ve ne andate col sedere duro e poi nemmeno intercessioni con la fortuna mi farete guadagnare più. Lasciate che vi tratti. Sentite, io debbo dirvela, taglio la testa al toro: c’ho una masseria a due chilometri dalla centrale del Garigliano, sì quella nucleare che stanno smantellando, e insomma, insieme a questa centrale c’ho pure l’amore per gl’animali miei, tutti, nessuno escluso, pure le pantegane. S’è atteso tanto, e prima valla a ingravidare, e poi falla mangiare bene, e poi chiama il veterinario De Roma proprio, che lì ne capiscono meglio di noi che dialoghiamo con l’alta casta dei montoni, e pompale aria calda durante le notti invernali ché il vitellino non ne risenta del clima incazzato, e così e cosà. Sentivo amore per quel vitellino, nemmeno m’era nato e segnavo le croci sul calendario man mano che il giorno s’avvicinava. Poi d’un tratto una notte la vacca s’affloscia e comincia a straziarsi tutta in un sisma endogeno. E sveglio la moglie, e dico vuoi vedè che s’è deciso a uscire, vuoi vedè? Chiamo il veterinario, noi tutti della famiglia accerchiamo la vacca e che succede, Cardinà?, indovina che capita a noi poveri pastorelli: il vitello ci viene fuori sì, ma con tre teste! Dico davvero, Dio fulminasse me e la menzogna, c’aveva tre teste. Tutte che schiamazzavano all’unisono, pronte a morire un minuto dopo. Cardinà, avevamo un appuntamento con l’infarto tutti quel giorno. Pure il veterinario, che in uno sprazzo di lucidità seppe dirmi: ‘bene t’è andata che non sia nato un tuo figlio così, meglio che sia successo all’animale, è colpa dell’uranio, è colpa della centrale!’ E allora per sicurezza, che non si sa mai, c’ho portato mia moglie dal veterinario degli uomini, perché notavo che s’arrabbiava facilmente, insomma, Cardinà, il dottore mi fa: ‘sai c’ha la tiroide impazzita, bisogna asportargliela, e questo per via della centrale del Garigliano, sì, quella nucleare’. E vabbò, provveda Iddio. Poi capirete, Cardinà, Dio provvederà pure, ma ha i suoi tempi, le sue burocrazie, e così e cosà, a Peppino, il mio primogenito, ci diagnosticano un tumore al cervello, ma la cosa strana sapete quale fu? Che il dottore, oncologo stavolta, ci dice: ‘è per la centrale, fidatevi, sì, quella nucleare’. Come perché, Cardinà? Mi capirete, voi, proprio voi che c’avete in corpo la vera costola di Dio, altro che Adamo, capirete, che una cosa volevo significarvela, senza offesa, sia chiaro. Voi che, aspettate che me lo ripasso in mente, che certe cose non si dicono così d’istinto, siete il Cardinale Renato Martini, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Bene, voi e tutta la vostra rispettabile equipe non potete scrivere in ogni dove che ‘Assicurata la sicurezza degli impianti e dei depositi, regolati in maniera severa la produzione, la distribuzione e il commercio dell’energia nucleare, mi sembra vi siano i presupposti per una politica energetica ‘integrata’ , che contempli quindi, accanto a forme di energia pulita, l’energia nucleare’. No, che non lo potete dire o scrivere, perché se in questo momento faceste levitare il vostro sedere fino alla mia vacca madre, e le chiedeste di suo figlio e del mio, se permettete, perfino ella saprebbe dirvi che il nucleare non è una pagnotta sacra da liquidare in una celebrazione eucaristica, anzi, in un’omelia. Anch’ella saprebbe dirvi che è tutta una combutta internazionale tesa a bonificare dal nucleare gli stati occidentali galletti, a discapito della nostra Italia, pronta come una verginella a produrre l’orgasmo dell’energia conveniente da regalare a chi quell’energia non la possiede più perché derivata dal nucleare, silente e omicida. Anche la mia triste vacca, che partorisce vitelli con tre teste, saprebbe dirvi che il costo dell’Uranio è aumentato dal 1994 al 2007 del 315%, e che nel nostro paese bislacco si fa presto a confondere la lungimiranza e la responsabilità civile con le fomentazioni comuniste, gli allarmismi immotivati, il baccagliare dei soliti stronzi e così e cosà. Anche la mia triste vacca che partorisce vitelli con tre teste saprebbe dirvi che le scorie radioattive sono faccenda centennale, che alcune di queste hanno conosciuto Dante Aligheri e Cecco Angiolieri e possono ancora raccontarcelo da vive, che nel vicino 2008 la centrale francese di Tricastin ha disperso nei fiumi circostanti 360 kg d’Uranio, durante la pulitura di una cisterna, per non parlare poi degli incidenti di percorso significativi accaduti nel 2005 a Shellafield (GB) e nel 2006 in Bulgaria, presso la centrale di Kozlodui. Oppure nella centrale di Kashiwazaki, in Giappone. E così e cosà, insomma, Cardinà, io il mio primogenito non l’ho cresciuto con tre teste sulle spalle, eppure m’è morto anche lui per la centrale, chè il cervello suo era come un blocco di sterco arso al sole. Date retta a me, Cardinà, non è bello proprio sentirvi dire e scrivere certe cose, e in più senza saperne nulla, che anche la vacca mia, quella a cui è perito il vitello, quello con tre teste sì, pure quella vacca saprebbe informarvi sul fatto che i bambini è facile che piglino il male del bimbo mio fino ad una distanza di 45 chilometri, che insomma, Cardinà, star sconfinati o star nella capitale non è che si scappi come lepri agli artigli atomici. Vabbè, Cardinà, il fuoco non fa più fiamme, date retta e me, lasciamoci così, come piace voi, che le vacche vogliono che le si governi e mia moglie s’è atrofizzata in un letto da anni oramai, date retta a me, lasciamoci così, che tanto di una verità si capisce solo ciò che siamo preparati a capire. Lasciamoci così, con tre teste: Padre Figlio e Spirito Santo, Cardinà.
NOTA: Per approfondire i dati intercalati nel racconto si consiglia la lettura di La Combustione dell’Anima di Agostino di Ciaula (ed. Lombardo)
martedì 14 settembre 2010
Il libro del giorno: Le valchirie di Paulo Coelho (Bompiani)
Incontri ravvicinati. Avvistamenti e contatti da mondi lontani di Pier Giorgio Viberti (Giunti)
A tutt’oggi c’è una branca del sapere che difficilmente riesce a soddisfare dei parametri di oggettività e analisi di studio tali da poterla considerare una scienza, anche se organismi come il C.U.N (Centro ufologico nazionale) stanno da anni portando avanti questa difficilissima battaglia. Parliamo ovviamente dell’'Ufologia che si occupa come campo di interesse dei fenomeni UFO. In Italia l’ufologia prende anche il nome di “Ovniologia” dall'acronimo OVNI (Oggetto Volante Non Identificato). L’ufologia, a onor di cronaca, si divide in ulteriori sottosezioni di studio come l’esobiologia, e l’astrobiologia (la scienza sperimentale che si occupa della vita extraterrestre) solo per citare al volo qualche esempio .
Si tratta dunque secondo i sostenitori più puri di questa – al momento – pseudoscienza, di un incrocio multidisciplinare di studi che vanno dalla ricerca storico-documentale attraverso il reperimento e catalogazione di documenti e foto sino a ricerche che toccano la Fisica, la Chimica, la Medicina, l’Astronomia, la Psicologia. Purtroppo l’ambiente ufologico, come in tutti quei sistemi non ben definiti, è ricchissimo di esponenti che per motivi commerciali, religiosi, o di pura auto/esaltazione lambiscono la cialtroneria e la ciarlataneria, dunque offuscando tutta quella porzione di seri ricercatori che con dedizione e serietà portano avanti i loro studi. Ad ogni modo dopo circa un sessantennio dalla sua nascita, l’Ufologia vede i suoi studi tutt’altro che conclusi. Oggi finalmente una piccola enciclopedia sugli U.F.O., a costo veramente modico (7,90 euro), è a disposizione di quanti vogliono saperne di più sugli oggetti volanti non identificati grazie alla casa editrice Giunti di Firenze. Parliamo di “Incontri ravvicinati. Avvistamenti e contatti da mondi lontani”di Pier Giorgio Viberti, che in poche parole sarebbe una riedizione (supervisionata dall’immenso Roberto Pinotti) riveduta e corretta di quello che la casa editrice Demetra ha editato qualche anno fa. Certamente con questo libro non saprete i segreti sull’Ufo Crash del ‘33 in Italia, o non arriverete ad avere una panoramica esaustiva circa l’esistenza di un governo ombra frutto di uno scellerato patto tra Grigi e i Potenti della Terra, ma di sicuro avrete un’infarinatura discreta di cosa sia l’ufologia e di cosa si occupa. Assolutamente da avere nella propria Biblioteca.
lunedì 13 settembre 2010
Il libro del giorno: Il rischio di Bourne di Robert Ludlum e Eric Van Lustbader (Rizzoli)
La dodicesima vittima di Iris Johansen (Leggereditore, gruppo Fanucci)
Comincio questo intervento citando David Cronenberg: “ … la letteratura non è divisibile in generi o mainstream, esistono solo romanzi belli o brutti e io la vivo come un grande oceano dove non resta che tuffarmici dentro.”.Niente di più vero soprattutto quando poi si scoprono lavori splendidi, avvincenti come un film, emozionanti con un videogame da piattaforma X/Box o Play Station 3, non incasellabili in un genere, o in una categoria letteraria. Ebbene qualche giorno fa Leggereditore (gruppo Fanucci ) mi invia l’ultimo lavoro su Eve Duncan di Iris Johansen (maestra indiscussa del brivido contemporaneo) dal titolo “La dodicesima vittima”, libro pieno zeppo di tutti gli ingredienti indispensabili per diventare un successo: fantasmi, sette segrete, paranormale e sangue. Iris Johansen, affermata autrice di romanzi rosa e storici (ha superato la soglia dei cinquanta titoli), esordisce nel 1996 nella crime fiction. I suoi thriller, tra cui la serie dedicata al personaggio di Eve Duncan, sono costantemente ai vertici delle classifiche del New York Times. Vive in Georgia con il marito e i suoi due figli. La storia parla dell’omicidio brutale di Nancy Jo, diciannovenne figlia del senatore Ed Norris, la quale viene ritrovata senza vita con un calice d’oro finemente istoriato in mano. Con una rapida e mozzafiato sequenza di “cambio immagini” ad opera dell’autrice, la scultrice forense Eve Duncan si ritrova nel suo frigorifero di casa un calice uguale a quello della vittima colmo di sangue. Macabro avvertimento del serial killer Kevin Jelak, psicoticamente convinto di diventare un vampiro dai poteri immensi grazie al sangue che riesce a prendere dalle sue vittime, che sceglie (dopo accurata selezione) tra soggetti forti nello spirito e nella carne. Da quando però Eve Duncan ha ucciso il killer Henry Kistle – il rifornitore inconsapevole di sangue di Jelak – l’uomo ha giurato che lei sarebbe stata la dodicesima vittima, la prescelta per farlo diventare il principe dei non/morti. Il contatto fra Joe Quinn, detective scettico al paranormale della polizia di Atlanta e compagno di Eve, e Megan Blair, sensitiva fidata confidente di Eve, ha scatenato i poteri extrasensoriali di Joe che si ritroverà faccia a faccia col fantasma di Bonnie, la figlioletta di Eve scomparsa qualche anno prima, e con quello di Nancy Jo. Questo è l’inizio del gioco mortale organizzato in “La dodicesima vittima “ di Iris Johansen a “danno” dei lettori, che dovranno preferibilmente leggere questo libro mai lontani dalla luce. La forza di questo libro è che rimette in gioco il significato della forza del sangue che fortemente si ricollega a rituali esoterico/cannibalici di una buona parte di sette occulte realmente oggi esistenti. Che si creda o no a queste cose poco importa, ma di certo il libro in questione ne viene gigantescamente valorizzato, rendendolo un’opera assolutamente da non perdere.
domenica 12 settembre 2010
Il libro del giorno: Se la casa è vuota di Isabella Bossi Fedrigotti (Longanesi)
Torniamo a parlare di poesia ai giovani di Maurizio Soldini
Nel nostro mondo contemporaneo fatto di verità mediatiche e nel quale la tecnologia e la scienza stanno sempre più avendo la supremazia, quale potrà essere il posto occupato dalla letteratura e dai letterati? [...] Poeti e critici come Cucchi, Mussapi, Martino, Maffia, Linguaglossa e tanti altri che qui non cito, sono pressoché concordi - con le dovute sfumature - che sia opportuno, da una parte, tornare a uno studio serio della poesia e della letteratura e, dall'altro, porsi il problema del canone. Anche perché dobbiamo chiarire che cosa intendiamo per poesia e quale dovrebbe essere oggi il linguaggio poetico. Chi può essere definito poeta.
(Torniamo a parlare di poesia ai giovani. Articolo di Maurizio Soldini pubblicato su Avvenire il 9.9.2010)
sabato 11 settembre 2010
Il libro del giorno: Parola di Dio/Kalimat Allah (Lupo editore)
Kabul rifiuta l’aiuto richiesto, ma gli occhi vigili di Hamas hanno registrato la presenza della donna e una squadra di Segugi Latranti irrompe nella sua abitazione per punirlo in modo esemplare. Sua moglie Adeela viene stuprata e lo stesso medico viene ucciso; i figlioletti Misha, Jasser e la piccola Jasmine restano così affidati al diciottenne Kamil, ormai capofamiglia. A sostenere il giovane è Jaber, il benzinaio padre di Abdel Hadi, amico e compagno di Kamil nella scuola coranica. I due ragazzi hanno condiviso lo studio del Testo sacro e le letture dei classici latini amati da Abdel, che però ha pagato a caro prezzo la sua curiosità intellettuale e da allora vive rintanato in una sorta di follia; solo Kamil gli è sempre rimasto vicino, e per gratitudine Jaber gli offre lavoro.
In questo contesto esplode la disperata rabbia di Kamil, che passa un’intera giornata con Abdel a “ribaltare” il senso delle più belle Sure coraniche: è la sua ribellione contro, il sovvertimento di tutti i principi, contro la corruzione e il tradimento della stessa Parola di Dio. Ma la tragedia di Kamil è solo all’inizio: al ritorno a casa, scopre che Adeela è stata portata via dai Segugi per essere ricoverata in modo coatto in una clinica, e che la piccola Jasmine ha subito violenza dal maestro della scuola coranica. Raggiungere la madre e salvare la sorellina sono gli imperativi categorici che lo spingono ad avventurarsi in città con la piccola straziata sulle spalle, nonostante sia in corso una pesante offensiva israeliana. Nella devastazione generale, il calvario dei due si conclude con la morte tra le macerie della biblioteca di Gaza.
Il giovanissimo autore rivela una bella vocazione letteraria. La scrittura è intensa, significativa, caratterizzata da ritmi e da formule che efficacemente rendono atmosfera e cultura, nella ferocia della prima e nelle connotazioni della seconda.
Una grande capacità descrittiva e il ricorso al protagonista come Voce Narrante arricchisce di pathos molte pagine. Il “gioco” sarcastico di Kamil sul Testo Sacro suscita nel lettore un notevole impatto, consentendogli di sperimentare una sofferenza spirituale che l’autore estende, nella condivisione, a tutti gli “uomini di buona volontà”; la totale soggettività con cui la storia viene presentata (l’occhio, il cuore… sono sempre e solo quelli del protagonista) autorizza alcuni passaggi acerbi, e consente nello stesso tempo una immersione virtuale nel popolo sofferente di Gaza, tra le “ombre” delle vittime civili. Il risultato è di reale emozione.
Poeta delle Ceneri, di Pier Paolo Pasolini, a cura di Piero Gelli (Archinto). Intervento di Nunzio Festa
venerdì 10 settembre 2010
Il libro del giorno: L'Italia in presa diretta di Riccardo Iacona (Chiarelettere)
“Adesso ho le prove. Le prove che l’Italia di Berlusconi è già un paese meno libero. L’ho visto con i miei occhi. Ho deciso di scrivere questo libro perché possiate vederlo anche voi.”
Riccardo Iacona
Mentre intorno all’informazione si fa terra bruciata, le inchieste di Riccardo Iacona rappresentano una delle poche finestre ancora aperte sull’Italia.
In questo libro Iacona racconta il paese che ha visto. Tra la gente, registrando storie, rabbia e passioni. In presa diretta.
Con i magistrati e gli uomini delle forze dell’ordine che combattono una battaglia solitaria contro la ’ndrangheta. Negli uffici pubblici, documentando, telecamera nascosta, come si ottengono le autorizzazioni a costruire eludendo la legge. In provincia di Napoli, dove da anni il tribunale è in una sede provvisoria, senza vigilanza né metal detector: “Qui si può entrare anche con un bazooka”. Sul Canale di Sicilia, tra uomini, donne e bambini sdraiati nei barconi con i corpi ustionati dal carburante rovesciatosi.
E ancora la scuola al fallimento, il grande business dell’acqua ai privati, gli affitti pazzi e la politica inesistente sulla casa…
Questa è l’Italia che la televisione non vorrebbe più raccontarci.
Riccardo Iacona, giornalista Rai da più di vent’anni, è autore e conduttore di "Presadiretta", su Rai Tre.
L'Italia in Presadiretta
Viaggio nel paese abbandonato dalla politica
di Riccardo Iacona
Collana Reverse
Pagine 192
Euro 13,60
giovedì 9 settembre 2010
Il rovescio delle foglie di Daniela Liviello (Manni)
... che le bambine
Liberate le croci dal peso dei corpi
che il legno si crepa piagato da chiodi
ripulilte le croci dal sangue che cola
che le bambine si sporcano tendendo le mani.
Il libro del giorno: L'etica in un mondo di consumatori di Zygmunt Bauman (Laterza)
Patrizia Caffiero su Senza Storie di Luisa Ruggio (Besa editrice)
Deve essere successo ai piu' meritevoli almeno una volta. Una condizione vigile, un abbandono totale, insieme, tali da far riaffiorare tutti i frammenti della vita, come una calamita prendersi, orco, anche tutte le altre, precedenti, adiacenti e successive. Un buco nero. Un buco bianco. Galassia. Inferno. Paradiso. La fragile onnipotenza. La decadenza. La fierezza. Luisa Ruggio, Sperma, dal suo blog http://astrolabioquaderniblogs.it
Oggi si chiede qualcosa di assai diverso, meno improntato all'obbedienza diretta: si chiedono semplificazioni. Si chiede di ignorare la complessità vivente delle cose. Si chiede di semplificare o di lasciarsi semplificare in modo da collocarsi liberamente di qua o di là, nelle caselle predisposte. Il potere è appunto, come avrebbe detto Foucault, un insieme di relazioni e di procedure entro cui viene a restringersi il campo di selezione degli individui, e che agisce sia a livello delle azioni sia a livello cognitivo.
Carla Benedetti, Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri, Torino, 2003
Il terzo libro di Luisa Ruggio, la raccolta di racconti Senza storie (Besa editrice, 2009) ha meritato ieri un Riconoscimento speciale nell'ambito del Premio Vittorio Bodini. Sulla scena dei romanzi italiani contemporanei, dentro i manufatti stampati a spron battuto nelle ultime decine d'anni mancano spesso il respiro del lavoro serrato sulla pagina e l'ombra fertile di un laboratorio costante, artigianale; mentre si insinua sempre di più nella società dei lettori, degli autori e dei critici la persuasione che seguire genericamente “l'ispirazione” e possedere scarni strumenti tecnici possa bastare a comporre un racconto valido, a strutturare un romanzo di valore. Luisa Ruggio è una scrittrice, grazie a Dio, con un proprio raffinato laboratorio di scrittura; e il suo stile non assomiglia a quello di nessun altro. Se i circuiti editoriali deludono, e i premi letterari, anche quelli prestigiosi, arrivano oggi a celebrare libri di levatura mediocre, ecco invece la risposta di un autore che crede con fermezza che la Scrittura significhi operare nel travaglio delle ottime letture. Una scrittrice che coltiva con pazienza la maturazione del proprio linguaggio originale.
Che ha dei potenti contenuti da esprimere.
La scrittura di Luisa Ruggio ha un respiro europeo: questo cavallo di razza correrà lontano.
Certe atmosfere delle pagine di Senza storie ricordano gli spazi essenziali, nitidi, intelligenti di narrazioni pirandelliane, i paesaggi aspri e aciduli di certe prove del Verga. Eppure questi racconti si nutrono del presente, di cinema, di teatro, di arte contemporanea. E dell'universo del web, a cui la gestazione di queste storie è legata.
L' esperienza della scrittrice nel suo blog Dentro Luisa http://luisaruggio.blogs.it : quello che per molti risulta ancora un non luogo, uno spazio dove rischiare di smarrire il senso, per Luisa è stato un crocevia che lei è stata capace di addensare di significato e valore, convertendolo- in condivisione con altri blogger - in un originale, pregiato remake degli estinti caffè letterari. Nella lingua utilizzata con duttilità dall'autrice troviamo termini quasi in disuso : “agitò i piedi nell'aria e vuotò l'ambascia”( Allunaggio di un uomo qualunque) ed inserti del linguaggio comune: “- Dov'eri quando Kurt Cobain si è sparato?” (Lithium)
Se occorre, l'autrice inserisce nel testo alcuni tratti distintivi del parlato regionale o locale, senza mai scivolare nel mimetismo dialettale. La resa fonetica è infatti marcata dalla differenziazione del font con il corsivo (con effetti anche fortemente spiazzanti e comici). “- Spinelli! Ah ma si' ttu Spinelli!E lo potevi dire prima!Gnerno', chill'scurnacchiat di mio figlio nun ci sta, possiamo parlare noi due indisturbando!”. (Le ricordanze)
Un rapporto entusiasmante con certi episodi dell'esistenza che dai più sono stati da tempo frettolosamente imbaulati in soffitta, come il gesto della pera data dalla nonna alla bambina che batte le mani per la gioia; la semplicità dei giochi dei bambini. Luisa Ruggio traccia davanti a noi la sua visione del mondo senza neppure passare da uno dei luoghi comuni della narrazione meridionale tipica, come ha colto Felice Blasi nella sua acuta recensione: “(...)Ma perche', ci chiediamo, la narrazione delle psicologie femminili deve essere sempre interpretata come una letteratura della fisicita'? Questi racconti, al contrario, seguono un'idea piu' generale, quella della pienezza del mondo, rinominando il quale ci si sente salvi ancora una volta: come "quando noi sapevamo ancora leggere: gli alberi, i rigagnoli, la mollica di pane, i passaggi segreti dei ragni di campagna leggeri tra le stoppie - grossi, come le spille che la merciaia si appuntava sugli involti di lana, rintanata nella bottega dei nastri - le facce salmastre della luna".
Dovevamo imparare a scrivere per dare nomi al mondo, come fa l'io-bambina dell'autrice: eppure qualcosa, forse una capacita' di leggere il mondo, e' andato perduto. L'infanzia e il ricordo sono una via per ritrovare un rapporto con la realta', le persone ed i luoghi non mediato e non tradito dal consueto immaginario meridionale”.
Felice Blasi, “Corriere del Mezzogiorno”, sabato 13.03.2010
Lo stile di Luisa. A tratti, arriva un sapore stilistico sudamericano: “Dunque è qui che sale il sangue degli uomini, dove hanno fine tutte le risse, e le donne hanno sguardi di animale fantastico, denso e stupefatto”. (Il bar degli appuntamenti mancati). A volte, traslitterazioni di senso, in cui gli oggetti si umanizzano; “L'anguria dissanguava il suo umore sul vassoio bianco e azzurro”(Allunaggio di un uomo qualunque) o dove, viceversa, il processo metamorfico riguarda gli esseri umani: “Un pianoforte che muore. In realtà fu mio nonno a morire. Il pianoforte fu - semplicemente- venduto da mio padre, fu fatto sparire, tornò in quel nulla dal quale era apparso”. (Le due variazioni sul fatto). La mitografia cinematografica è presente, e una teatralità non di superficie, se nei numerosi ritratti (Rirì, Vittoria, Melina, Maria, la cantante lirica, Davide, Carmela) presenti nell'opera l'autrice svela e sintetizza movimenti, parti di sinfonie nascoste, o visibili a pochi; ragiona dell'accordatura fra anima e corpo.
Luisa seleziona il gesto Principale, che stigmatizza chi agisce; che non riduce mai a stereotipo, a macchietta il personaggio: “Allora faceva quel gesto. Teneva uno strofinaccio da cucina stretto in un pugno, contro lo sterno e, con l'altra mano, si assicurava la balaustra del balcone come se si trovasse improvvisamente sul parapetto di una nave”. (Le ricordanze)
Oppure:
“Aveva visto sua madre andarsene verso il bosco e posare la sua fronte contro i nodi di un tronco, agitare debolmente le corde dell'altalena ricavata da un pezzo di legno sbiancato dalle piogge”.(Allunaggio di un uomo qualunque)
Una sottile e dignitosissima geremiade è presente in alcuni racconti. Si tratta, in fondo, di questo: le qualità sottili e speciali degli uomini sono pressochè invisibili. Con dignità si dice del mazzo di destini non raccolti da uno sguardo, da chi non ascolta, non è capace di andare a fondo di enigmi: “Che ne sanno i vicari indifferenti? Che gli frega se il mio canto ha radici nell'uomo?” (Il bar degli appuntamenti mancati). Si sottolinea, poi, per contrasto, quanta vita possa generare il riconoscimento di uno sguardo, capace di fare grandangolo di chi gli sta di fronte e quindi, di generare un destino: “L'ascendente di Orson Welles su Rita Hayworth. L'ombra di un pianeta sull'altro. Una lenta calligrafia che fino a un certo momento ignoriamo,un codice che ci investe col suo potere. In definitiva non altro, fuorchè uno sguardo”. (Sedici noni in bianco e nero)
“Lei all'improvviso sa che da qualche parte esiste qualcuno attraverso cui riuscirà un giorno a vedersi perfettamente, uscendo dalle acque di ogni pudore “. (L'istante)
A volte l'autrice fa intuire un possibile ampliamento dell'esperienza di condivisione su piani diversi, che riguardano l'invisibile. Questi temi sono trattati con delicatezza sognante, accurata, nebbiosa: “Aveva una potente teoria riguardo la signora della villa in fondo al bosco, perché su un tappeto di pigne indigene di soavità si fermava a raccontarle la storia dei pinoli da arrostire che hanno sempre un'anima, chiara e sottile. Ne sbucciava uno e parlava di cose al confine fra gli alberi e la natura umana.
Sormontate dalle foglie se ne stavano lì, su quelle radici che emergevano come nativi nascosti dietro i fumi voluttuosi della terra, spandendosi in un istante di silenzio”.(Tra gli alberi)
Ne La collana blu, la tela narrativa approntata è lasciata andare nell'indefinito, aperta a spiragli di incommensurabile; eppure si parte da elementi terreni, si affondano parole e denti nell'erba, nelle pietre.
Le parole di Luisa, insomma, riescono a reggere l'irruenza del fiabesco. Così accade nel bellissimo La volpe, dove l'esperienza delle prime mestruazioni di una ragazzina è catalizzatore di avvenimenti di sapore quasi leggendario: “E lei uscì. Dal fondo del buio. Aveva morbidi occhi gialli, densa aggiunta improvvisa di note violino.
Qualcosa che ti fa sentire bene da che parte è rivolta la lama del coltello”.
Il riversarsi della mitologia nel quotidiano. La sapienza quasi scomparsa, oggi, del riuscire a dilatare le esperienze, la confidenza quasi dimenticata, ormai (e comunque non più tramandata da generazione a generazione) con l'elemento poetico- magico radicato saldamente agli oggetti, alle cose, ai paesaggi, ai corpi; l'indiviso, l'assenza di fratture interne, delle nevrosi che fanno perdere tempo prezioso, che scartano la bellezza.
E'il mondo che conosce Medea prima di incontrare Giasone.
Le metafore usate a volte per descrivere un paesaggio, o per enunciare ampi significati (dove comunque non resta mai traccia di un gesto asettico o arcigno di giudizio sulle cose del mondo), possiedono delle svolte lessicali e aggettivazioni inusuali, dipingono la visione con assertività, non l'abbozzano; l'indefinito. come scrivevamo, è lasciato a un livello narrativo più alto, alla struttura, all'intreccio:
“A volte la vita sembra solo la necessità di compiere qualcosa, qualunque cosa, in un tempo minore di quello consentito”. (Ma nuit chez Roché)
Oppure:
“Capita che, cogliendola nell'atto di intenerirsi, alcuni le dicano:
- Così non farai mai i soldi!
- Lei commenta: tutto quanto c'è di meraviglioso in Shakespeare svanisce appena taluni aprono bocca!”
(Fatti proprio così)
E ancora: la sintesi di cui è capace la scrittrice stupisce, rompe il respiro del lettore, crea un'aritmia cardiaca nel racconto; è un fioretto puntato al petto del lettore, all'altezza dello sterno. Una frase rapidissima, che descrive in un lampo un personaggio e un mondo:
“Le fibbie fermate da bottoncini, tacchi che avevano dato un suono al secolo”. (Le ricordanze)
Oppure; essenziale, assoluto:
“Oltre quell'albero finiva il mondo. E cominciava il grano.”
(Notturno di Chopin, Opera 9 Numero 2)
mercoledì 8 settembre 2010
Il libro del giorno: Il palazzo delle pulci di Elif Shafak (Bur)
E madonne sorridenti di Daniela Liviello (Manni editori)
Accanto
Maestro incantato di abissi sublimi.
La tua assenza è richiamo
invito sottile.
La tua voce ritorna dai crocicchi del tempo.
Mi stringe le mani
mi serra le labbra.
Mi dice che è l'ora di dirti chi sono.
Presentazione a cura di Mauro Marino
martedì 7 settembre 2010
Il libro del giorno: Irresistibile di Danielle Steel edito da Sperling & Kupfer (collana Pandora)
“LadyMen. Una donna racconta le trans”, di Isabella Marchiolo, postfazione di Alessandro Cecchi Paone (Falzea, 2010). Intervento di Nunzio Festa
“LadyMen. Una donna racconta le trans”, di Isabella Marchiolo, postfazione di Alessandro Cecchi Paone, Falzea (Reggio Calabria, 2010), pag. 148, euro 13.00.
lunedì 6 settembre 2010
Il libro del giorno: La psichiatra di Wulf Dorn (Corbaccio)
Documentare il ricordo di Angela Leucci
Parlare del sindacalista Pietro Refolo, esiliato sotto il Fascismo e principale attore delle lotte contadine nel meridione, nel 2010 non è cosa facile. Soprattutto perché manca un apparato documentario che attesti la sua storia, in un periodo così particolare, in cui discendiamo da una fase politica in cui chi andava al confino nel Ventennio, secondo qualcuno in realtà era andato in vacanza. Eppure c’è qualcuno che non dimentica il ruolo di Refolo nella storia del Salento, facendolo assurgere a simbolo di un’intera genia di uomini che andavano controcorrente, contro il sistema e solo per la salute pubblica: le lotte contadine sono state in fondo l’omologo di quello che avveniva tra gli operai dei paesi industrializzati. In una terra in cui la terra è il bene più economicamente importante, il benessere lavorativo dei contadini non solo garantisce una continuità all’interno del sistema economico chiuso, come poteva essere quello dei primi anni del secolo scorso, ma soprattutto permetteva alle persone di passare dalla servitù alla “dipendenza”, nel senso più moderno del termine. Così a Francesco Luperto, giovane studente di cinematografia a Roma, è venuto in mente di realizzare un cortometraggio su queste tematiche, dal titolo “Pietro Refolo, il volto della democrazia”. La realizzazione del documentario contiene numerose interviste dell’epoca su nastro, le testimonianze di storici e politici, come Ennio Romano, Salvatore Coppola, Piero Schirinzi. Il tutto con intermezzi tratti dalle cronache dell’epoca, scorci delle campagne del nostro Salento: un buon ritratto, sufficientemente (a causa della scarsità di notizie) esaustivo su Refolo, montato da un altro giovane studente di cinema, Giovanni Ermes Vincenti. Il risultato nel complesso è molto buono, anche se alcune scelte possono apparire ingenue o fuori luogo, come quelle musicali, Yann Tiersen a parte, oppure la testimonianza di uno storico che ne filmato si vede palesemente leggere. In sostanza però, trattandosi di uno dei primi lavori, con le attenuanti rappresentate dalla scarsità di mezzi, con cui solitamente i filmaker devono fare i conti all’inizio, il giudizio non può essere che positivo. Soprattutto perché con questo corto, Luperto e Vincenti sono riusciti a raggruppare tutto ciò che esiste della storia di Pietro Refolo, prima che tutto venga smarrito ancor più.
domenica 5 settembre 2010
Il libro del giorno: Miral di Rula Jebreal (Rizzoli)
Mai lontano dall’istante di Leandro Picarella (LietoColle)
L’Istante è una vera e propria catastrofe per quanti ritengono prezioso il Tempo, sia perché viene messa a dura prova la forza e la possibilità del pensiero stesso, sia perché esso è il vero e proprio “point breack” del logos filosofico e poetico dell’uomo, la pietra d’inciampo, che fa capitombolare la logica lasciando libero spazio e arbitrio al Caos.
Nell’Istante la Poesia ad esempio prende in visione ogni singolo accadimento del reale, lo riempie di significato e luce, tanto da nascondere tutte quelle deboli prospettive dell’anima che non sono in grado per propria forza di guardarsi allo specchio del proprio io poetante e superarne i confini. Sulla metrica dell’Istante esce ora per LietoColle una bella raccolta di versi di Leandro Picarella, dal titolo emblematico di “Mai lontano dall’istante“.
Il volume si compone di cinque sezioni, rispettivamente TRINACRIA, FRAGILEMARE, ULTIMO STRATO DI PELLE, SCALFITTURE, CENTO GIORNI E CENTO NOTTI. Leandro Picarella è nato ad Agrigento nel 1984. Dal 2006 vive e lavora a Firenze. Ha vinto nel 2009 il premio letterario Vita Nova di Lido Adriano (RV). “Mai lontano dall’istante” è la sua opera prima. Si tratta di poesie che pongono problemi e domande a chi vuole imparare a capire la vita. E se si segue la strada tracciata dall’autore, bisogna star pur certi che ci si imbatterà in percorsi non sempre agevoli, anzi forse pericolosi, e compagni di viaggio che quasi mai saranno solidi appigli o spalle a cui affidarsi nei momenti di difficoltà.
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sabato 4 settembre 2010
Il libro del giorno: I segreti del Vaticano di Corrado Augias (Mondadori)
I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno
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