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mercoledì 9 giugno 2010

La mala ora di Gabriel Garcìa Marquez (Mondadori). Intervento di Vito Antonio Conte















Primi anni Ottanta, alloggio universitario di Borgo Pietro Cocconi, in quel di Parma, interno 3, tendine della finestra -che dà sulla passerella che collega i due corpi dell'edificio- aperte sul meriggio d'altra luce, pausa studio: vado in cucina a preparare il caffè (il Quarta, portato da Lecce, ché il Segafredo di zona non è un granchè!), intanto Lucia e Danio continuano a parlare, entrambi studiano veterinaria. Ora, però, i libri di testo dell'ultimo esame (nonsocosadegliequini) sono in stand-by. C'è musica diffusa dal registratore. Danio ha un'anima hevy metal che porta anche addosso. Lucia è pazza (anche) di David Bowie: canta le sue canzoni (in perfetto inglese, mi sembra, cioè in inglese di sicuro, perfetto sembra a me, che non conosco quella lingua...) a memoria e le balla con una forza da lucida allucinata e con una grazia che sa d'antica danza. Io (a parte “giurisprudere”, essere fedele... e fare il caffè) leggo d'altro, scrivo improbabili poesie... e spedisco lettere e cartoline in lungo e in largo per lo Stivale. Quel pomeriggio sentii -per la prima volta- il nome di Gabriel Garcìa Màrquez (lo so, i segni paragrafematici non sono esatti, ma il mio PC non conosce altro... o forse dipende da me... senza forse...). Lucia stava leggendo “La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata”. Quel titolo colpì la mia fantasia e stuzzicò la mia curiosità. Poco tempo dopo avrei letto Màrquez e, tra gli altri romanzi, sarei rimasto folgorato da “Cent'anni di solitudine”, dai Buendìa (col colonnello in testa e le tristezze per la sorte dei lavoratori delle compagnie di banane) all'alchimia, dal dagherrotipo (prima forma di riproduzione delle immagini scoperta dal francese Daguerre -da cui il nome- nel 1839, che dà vieppiù fascino all'invenzione letteraria) ai ritmi sudamericani svogliati e stanchi eppur carichi d'altra vitalità (oltre ogni memoria), dai paesaggi madidi di pioggia e sudore di Macondo e dintorni... Oggi, a distanza di qualche lustro, ho letto “La mala ora” (Oscar Mondadori, pagine 199, € 8,00) e, una volta ancora, ho capito perché Màrquez è uno scrittore da Nobel. Ché Màrquez è riuscito, unico tra pochi, in quel deicidio ch'è l'atto della creazione letteraria, ossia (come ha notato -in proposito- Vargas Llosa) una ribellione contro Dio e il Creato, contro la realtà. Nella fittizietà letteraria delle sue opere Màrquez riesce splendidamente a fornire un mondo fantastico in antitesi a quello quotidiano, nevrotico e patologicamente folle. Vita reale e viaggio favoloso. Realtà rinvenibile in tutti i personaggi, così autentici e veri, perfetti (e, dunque, lontani dalla Terra) in ogni loro azione da apparire traslazione della fantasia. Favola che si coglie in ogni loro movimento all'interno di un luogo inventato, un villaggio tanto fantastico che sembra costruito pietra su pietra. Nell'immaginario dello scrittore questo ribaltamento delle due sfere vitali diventa confuso nelle trame, sudore e sangue si commistionano alle nuvole che sfiorano passioni e desideri, si sovrappongono in un flumen narrativo liberatorio che consente di vedere l'esatta espressione di quel che è e di quel che dovrebbe essere. Ché non si può cogliere il Bene senza la sua negazione... Una volta ancora, ho notato la costante nelle narrazioni di Màrquez ch'è metaforicamente possibile assimilare alla tessitura d'un tappetto: c'è la scelta delle fibre, e il disegno, e la trama, e l'ordito e si procede nodo dopo nodo, in una serie d'intrecci e di passaggi e di pause e di riprese, senza -però- definirlo mai... Così sono i testi di Marquez e smetto di mettere accenti a cappella... Ché le regole (tutte!) sono importanti, importante è osservarle, comprenderle è importante, importante è capire perché le regole tendono a scongiurare il caos... ma violarle (in questo caso!) non importa sanzioni e può consentire di vederlo il caos e penetrare un'altra possibilità e, da lì, muovere verso altre comprensioni... La mia visione disvela l'unica essenza sepolta sotto infiniti strati d'inutili costruzioni... Quelle che hanno avvelenato l'aria che respiriamo ogni momento. Quelle che hanno allontanato dalle nostre menti le pulsioni di tutto quel ch'è corpo. Quelle che hanno imbarbarito i nostri corpi rendendoli schiavi delle reiterazioni del così-è-e-per-essere-così-devi-impegnarti-il-culo-finché-vivi. Quelle di chi si erge a modello e predica l'emulazione impossibile per ammucchiare ricchezze e lasciarti mosche sugli occhi, sulla bocca, sulle orecchie, dentro gli occhi, dentro la bocca, dentro le orecchie, e in ogni cavità, senza reazione, senza forza, senza più lacrime, ché sei morto anche se respiri, e di questo hanno bisogno, di morti che si credono vivi, che respirano fino all'ultimo centesimo da spendere. Quelle che hanno fatto della spiritualità bussines per dimenticare il corpo e fottendoci se la godono qui e adesso, tanto noi siamo in pace con le nostre interiorità e non ci chiediamo più quale pace e quale interiorità, tanto abbiamo l'illusione che ce la godremo altrove, ché ci hanno talmente tante volte detto che c'è un'latra vita che abbiamo finito per crederci... giocandoci anche l'anima. Quelle che ogni vita che non è più aumenta la loro. Quelle... Costruzioni e costruzioni. Regole e regole. L'unica essenza è quella che risiede alla radice di ogni regola. L'unica regola, l'ho già scritto, è quella madre... Quella che potrebbe farci vivere, vivere, vivere davvero, vivere davvero meglio, vivere davvero meglio tutti... Ma per comprenderla ognuno deve avere consapevolezza che -senza il rischio di sanzioni- non cambierà mai questo mondo di merda... Ogni riferimento a pozzi di petrolio con falle e perdite incontrollabili, a terremoti che fanno ridere per gli affari che si possono fare sopra i lutti, a manovre economiche che stritolano i coglioni, a IOR otto per mille e cinque per mille, a prelati pedofili che dovrebbero essere inculati da chi so io, e ancora e ancora e ancora, ogni riferimento è assolutamente voluto! Non predico rivoluzioni fatte di sangue, non esorto a cambiamenti con le strade piene di morti, non sono in viaggio con borsoni colmi dell'armamentario della guerra decisiva, dico soltanto che perché tutti i morti che si credono vivi possano assaporare qui e adesso la VITA VERA devono lavare con acqua gelata e pura i propri occhi spenti per riuscire a vedere, e la faccia intera devono lavare con acqua gelata e pura, col naso che serve per sentire l'olezzo della merda d'intorno ma anche il profumo della vita, anzi delle vite, con le orecchie che servono per udire le stronzate ripetute a ogni spot ma anche i suoni della melodia della vita, anzi delle vite, con la bocca che serve per alimentarsi e non per ingollare frammenti dell'altro ma anche per parlare dicendo parole sensate all'altro e per sussurrare e per baciare e per sfiorare ogni centimetro di pelle d'amore... devono lavare con acqua gelata e pura le mani e le braccia e il torace e le gambe e i piedi e il sesso e la pancia e ogni centimetro di pelle... serve acqua gelata e pura per farsi baciare ogni centimetro di pelle... serve acqua gelata e pura per togliersi da questo torpore senza fine, per svegliare i propri sensi alla vita, per dire a quelli che si credono vivi che sono morti da tempo, che sono morti da sempre, che sono i veri morti e che non ci sono cimiteri né cieli per loro... E, forse, “La mala ora” diventerà una gran bella occasione per amare il tempo... E, forse, queste mie digressioni non sembreranno soltanto elucubrazioni incazzate... E, forse, si comprenderà meglio la ragione dei continui rinvii da un testo all'altro ch'é (come dicevo a proposito della metafora del tappeto...) nota precipua caratterizzante la scrittura di Marquez... E, forse, si capirà sino in fondo quel che lo stesso Marquez ebbe a dire in un'intervista a Plinio Mendoza (poi diventata un libro: “Odor di guayaba”, 1982) a proposito dei suoi romanzi e cioè della sua convinzione che “ogni buon romanzo dev'essere una trasposizione poetica della realtà” (e, in quanto tale, “le possibilità del romanzo sono illimitate”). E, forse, chi leggerà questo pezzo comprenderà cosa c'è dietro le parole o forse almeno proverà a chiederselo... Anche se non ho detto nulla dell'alcalde col mal di denti e il coprifuoco, del prete che censurava i film con i rintocchi della campana, del mercante siriano con bottega sul fango, del barbiere cospiratore, del dentista rivoluzionario, del giudice disoccupato tra birre ghiacciate, del segretario che spennava galline, del circo che dovette andar via, del fiume e della carogna putrida di mucca che portava con sè, della pioggia che non lavava nulla, degli assassini assoldati dalla polizia, delle zanzare, dei muli e di altri animali e di umani sciacalli, dei pettegolezzi e delle pasquinate e della veggente (pitonessa del circo itinerante) che -a proposito delle pasquinate- disse l'unica cosa sensata: “È tutto il paese e non è nessuno”, e di tutta la storia che ruota intorno a tutto questo e a altro ancora, di tutta questa storia ch'è tanto inventata da essere più vera di qualunque storia scritta, ché c'è sesso e sangue e nessuna speranza segnata perché la speranza non si può scrivere. La speranza si coltiva. La speranza è atto fattivo. E ognuno deve poterla nutrire ogni giorno, facendola diventare concretezza. Perché la nostra storia non rimanga senza significato. Perché ogni storia può e deve lasciare qualcosa. Ché non sia ancora oggi quel ch'è stata “La mala ora”, ossia, parafrasando quanto ebbe a dire l'Autore (sempre all'amico Plinio Mendoza), “La storia dell'America Latina è anche una somma di sforzi smisurati e inutili e di drammi condannati, a priori, alla dimenticanza. La peste dell'oblio esiste anche tra noi...”. La speranza è questo romanzo. La speranza è la fine di questo romanzo, che termina così: “Anche Mina si fermò, con la scatola vuota sotto il braccio, e abbozzò un sorriso nervoso prima di terminare la frase”. Senza una fine. Con tante pagine bianche ancora da scrivere... Colonna sonora: “Congo to Cuba” (Putumayo World Music, 2002) e, in particolare, “Yiri Yiri Boum” di Gnonnas Pedro (dal Benin).


Bollati Boringhieri a novembre 2010 pubblicherà il libro segreto di Jung












Finalmente anche in Italia il libro segreto di Jung, un'opera tanto temeraria e preziosa che solo oggi, grazie agli sforzi inesausti di Sonu Shamadasani, traduttore principale e autore del ponderoso saggio introduttivo, questo testo straordinario esce dal caveau della banca svizzera in cui era conservato, e vede la luce a ottant'anni dalla sua conclusione e a mezzo secolo dalla morte del suo autore. Nell'attesa che Il Libro rosso arrivi in libreria, Bollati Boringhieri propone, attraverso la realizzazione di un filmato, un assaggio delle pagine di questo libro che non solo svilupperà nuove possibilità per la comprensione del lavoro di Jung, ma diventerà, grazie alle prestigiose illustrazioni, un'autentica opera d'arte.

Info:

Evelina Gastaldo

Stilema
Via Cavour, 19 10123 Torino
Tel +39 011 530066 int 205
Fax +39 011 534409
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martedì 8 giugno 2010

Boing Generation, il ritratto di una generazione?

Roma, 7 giugno 2010 - Boing Generation di Luca Sacchieri alla libreria Rinascita (Ostiense)

L’incontro si è svolto all’interno dell’accogliente caffèletterario, hanno partecipato alla discussione, eccezionalmente, il direttore editoriale di Edizioni della Sera Stefano Giovinazzo, l’autore Luca Sacchieri e l’attrice teatrale Laura Sinceri. Un interessante e divertente scambio di battute tra l’autore e l’editore ha animato il reading, al quale si sono intervallate le letture dei brani del romanzo scelti ad hoc per l’occasione. Dopo una breve introduzione alla storia, in cui l’autore ha presentato i quattro protagonisti, si è passati all’analisi contenutistica della narrazione, soffermandosi sul significato del titolo e sul riscontro con il contemporaneo. La Boing Generation viene fatta coincidere con la classe dei moderni trentenni, che secondo l’autore, appaiono disorientati e insoddisfatti, sempre alla ricerca di qualcosa di altro. Il motivo di tale spaesamento sembra scaturire da una sorta di costrizione sociale che ci vuole tutti omologati ad un modello vincente imposto, più che altro, dai mezzi di comunicazione di massa. I quattro protagonisti faticano a riconoscersi in tale modello e allora fuggono pensando che cambiare luogo vuol dire lasciarsi alle spalle i problemi, così facendo si costruiscono una corazza “molle” che li fa soltanto rimbalzare sulle loro paure. Da qui il titolo Boing Generation, che può essere associata alla Beat Generation, senza l’entusiasmo che contraddistingue quest’ultima. In realtà i personaggi del romanzo si portano dietro, inconsapevoli, i loro problemi, proprio come fanno i canguri con il marsupio. Il viaggio servirà loro per incontrarsi e raccontarsi e li porterà alla consapevolezza che il solo modo per sfuggire alle costrizioni e affrontarle, dunque torneranno a casa liberi dalla corazza. Sollecitato da Stefano Giovinazzo, l’autore ha poi esposto la sua personale esperienza, affermando di riconoscersi nei protagonisti e di vivere sulla propria pelle determinate pressioni sociali. La discussione si è conclusa con il partecipe intervento del pubblico.

Boing Generation di Luca Sacchieri

La Boing Generation è persa nel labirinto di apparenze e superficialità della vita di oggi; vede il futuro come una minaccia e il dolore come una debolezza da secretare. L'unica cosa da fare è fuggire.È questo che faranno i quattro protagonisti della nostra storia. In una disperata ricerca di se stessi e dell'essenza di vivere, quattro amici- divisi dal tempo e dalla vita – si ritrovano insieme per affrontare un viaggio nel tempo e nello spazio, tra ricordi e cicatrici.Quattro ragazzi in fuga dalle loro paure, dalle gabbie delle loro esistenze, per cui la vera meta non consiste in nuovi panorami, ma nell'avere nuovi occhi.

Luca Sacchieri - Nato a Roma nel 1982, dopo la Maturità Classica si laurea in Scienze della Comunicazione. Ha pubblicato due romanzi Tributo ad un ragazzo che come me (Proposte editoriali, 2003), C.H.A.T. - Come Ho Amato Te - (Fermento, 2004) e tre racconti La linea gialla (in “Parole in corsa V°”, Full Colour Sound, 2007), Bricolage ( in “Tutta la mia città”, Giulio Perrone, 2008), Consigli per gli acquisti (in “Dal manoscritto al libro”, Giulio Perrone, 2008). Luca è librofilo, fumettofilo, rockofilo, calciofilo, internetofilo, cinefilo e cinofilo, ma fondamentalmente di annoia

Il libro del giorno: Nel segno del cavaliere di Bruno Vespa (Mondadori)




















La storia politica di Silvio Berlusconi non ha precedenti nella vita pubblica italiana. Nessuno è entrato nel Palazzo così repentinamente e inaspettatamente, nessuno vi è rimasto così a lungo con il consenso degli elettori, conservando un ruolo da protagonista assoluto anche nel lungo periodo trascorso all'opposizione. In "Nel segno del Cavaliere" Bruno Vespa, che dal 1994 a oggi ha seguito passo dopo passo questa straordinaria avventura, compie una rivisitazione degli ultimi, tumultuosi diciassette anni della storia del nostro paese. Dal giugno 1993, quando Berlusconi decise di "scendere in campo" nel timore che la nuova legge elettorale consentisse agli ex comunisti di Achille Occhetto di prendere il potere con appena il 30 per cento dei voti, al maggio 2010, contrassegnato dalla clamorosa rottura con Gianfranco Fini e dalla tempesta che gli affari della "cricca" di Diego Anemone e Angelo Balducci hanno scatenato sul mondo politico e, soprattutto, sulla maggioranza di governo, con le dimissioni di Claudio Scajola, le inchieste su Guido Bertolaso e Denis Verdini e altro ancora. Naturalmente, grande risalto assumono nel libro le vicende e i retroscena dell'annus horribilis (maggio 2009 - maggio 2010) di Berlusconi, del quale ancora una volta molti hanno profetizzato la fine imminente: dagli scandali a luci rosse di Noemi e Patrizia al successo del G8 dell'Aquila, dalla vittoria alle elezioni europee (giugno 2009) alla riscossa alle regionali (aprile 2010).

lunedì 7 giugno 2010

Sarakostì. La riflessione di Salvatore Tommasi (Davide Zedda editore). Intervento di Donatella Neri
















È una storia salentina, negli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale, in piena campagna d’Africa. La società rurale è divisa tra simpatizzanti e piccoli gerarchi boriosi e la povera gente comune, per lo più indifferente ad una politica che sente lontana. Angelo, quattordicenne calimerese, è uno dei tanti ragazzini emarginati dalla scuola e costretti a contribuire al bilancio familiare. Per saldare un debito del padre, viene affidato al capomacchia Nino per essere avviato al mestiere di carbonaio, e così affronta la prima stagione di quello che diventerà il suo percorso di vita. Introdotto precocemente nel mondo adulto, lontano da casa (la macchia da disboscare è nella zona di Avetrana), impara a “leggere” i suoi compagni di fatica, il loro carattere, la loro forza e le loro debolezze, in una importante esperienza che lo matura e lo apre alla vita e alla natura della propria terra, ma anche alla riflessione sociale e politica. Mentre i carbonai sono impegnati nel loro duro lavoro, ad Angelo è affidato tra l’altro il compito di recarsi al pozzo di una masseria poco lontana; qui il ragazzo avverte una strana presenza e finisce col restare coinvolto in una storia più grande di lui... È questo uno splendido romanzo, nel quale il ritmo della prosa si armonizza con quello della vita d’anteguerra; una grande forza descrittiva rende il “respiro” dei paesaggi, mentre l’asciuttezza dei dialoghi esprime con efficacia la natura chiusa eppure intensa dei vari personaggi. Fedelissima la ricostruzione degli ambienti, delle credenze, della scala di valori che ispirava l’esistenza del popolo in quel periodo; coinvolgente l’esplorazione degli atteggiamenti umani; attenta la ricostruzione di un mestiere perduto. La delicatezza con cui è affrontato il tema sentimentale (sia nella scoperta del sesso, sia nel maturare dei rapporti d’affetto tra Angelo e gli adulti), il richiamo ad usi e tradizioni e l’equilibrato ricorso al griko rendono godibile la lettura mentre la vicenda del protagonista si intreccia a richiami storici e antropologici di tutto spessore.

L’autore: Salvatore Tommasi, calimerese, laureato in Filosofia e in Lingue e Letterature straniere, dopo un’esperienza di ricercatore presso l’Università statale di Mosca si è dedicato all’insegnamento nella Scuola secondaria superiore. Ha pubblicato la raccolta di poesie Le mie bandiere (Firenze Libri, 1988), Katalisti o kosmo (Ghetonia, 1996), raccolta di dialoghi e guida grammaticale al griko, Io’ mia forà (Ghetonia, 1998), fiabe e antichi racconti inediti della Grecìa Salentina, e Alia loja (Ghetonia 2009), antologia di versi in lingua grika.


domenica 6 giugno 2010

Il libro del giorno: Perchè siamo infelici a cura di Paolo Crepet (Einaudi)




















Le abbiamo dato nel corso dei secoli i nomi più diversi: malinconia, depressione, angoscia, pena, tristezza... Abbiamo tentato di esorcizzarla, di conviverci, di narcotizzarla, di addomesticarla o di farne una malattia da curare. Alcuni sono riusciti a farne la compagna di una vita, altri sono usciti sconfitti nel tentativo di negarla, altri ancora sono in cerca di consolazione. L'infelicità abita da sempre nel cuore dell'essere umano. La sua cura è stata affidata nei secoli alla religione, alla famiglia, ai manicomi, all'arte. Mai però come in questi anni la farmacologia è stata cosi invadente nel tentativo di appropriarsene per neutralizzarla. E il concetto di infelicità si è allargato a dismisura al punto da farci sentire come patologica ogni lacuna nelle nostre prestazioni. Ma siamo certi che l'infelicità sia una malattia? In questo libro non ci sono né ricette né rimedi. Ma un tentativo di rimettere la parola e l'ascolto al centro del discorso. E di restituire dignità a una condizione umana.

Sono ateo e ti amo, di Irene Chias (Elliot). Intervento di Nunzio Festa



















“Fucsia è il colore del disincanto”, “San Francisco 17”, “L’amica di Parigi”. Sono i titoli dei tre, sorprendenti, racconti che vanno a costruire, incastrandosi, il romanzo “Sono ateo e ti amo”. Quest’ opera prima è frutto delle invenzioni, si deve cominciare a precisare, della giornalista finanziaria Irene Chias; una penna, dunque, ben abituata e atta benissimo a indagare altri settori – soprattutto, meandri meno vergati da fantasia e ‘creatività’. Dove, per esempio, si deve solamente fare a conti con le certezze dei numeri e degli Affari. Chias s’affida, dunque, a tre racconti, in sostanza, che dopo aver fatto il giro del mondo convergono in un puntino sul globo: la Sicilia: per comporre un romanzo di parenti vicini e lontani. Sull’evasione e sull’inevitabile legame alle radici. Una fotografia (uno scatto di quelli arcaici e perfino moderni) ai circa trent’anni delle tre giovani protagoniste della storia. In sostanza: Ulna, Adele ed Elena. Tre donne fermatesi un attimo nel quotidiano tram-tram a contemplare i rapporti e le solitudini. Le assenze e le presenze. Un libro che porta a riflettere sulle origini e sui “cortili che ci hanno cresciuti”, senza perdere le occasioni che il presente offre e quelle che il futuro a volte non sembra propinare proprio rosee. Un inno alle sorelle e ai fratelli. Che simili o diversi che siano, originati dallo stesso grembo e cresciuti calpestando la stessa terra sono o dovrebbero essere i primi a sapersi nell’apice dei momenti di gioia o dolore. Tre storie che toccano tre intimità differenti fatte di lutti, ritorni e partenze. Senza mai perdere di vista crisi economiche, esistenziali e affettive che a trent’anni sembrano prendere forma in una società che offre lavori gratis a neolaureati e relazioni yogurt (con scadenza ben in vista sull’etichetta) con uomini – ma con uomini né uomini né ragazzini. In tutto ciò l’ultimo racconto almodovariano. Una full immersion sulla forza dei rapporti non solo del sangue ma del cuore. La volontà di non separarsi nonostante la morte imminente. La forza dell’amore che capovolge l’ordine costituito, e anche in un luogo difficile fatto di pregiudizi. E un segreto che nel rispetto delle parti, nel silenzio del segno solcato, in un silenzio dove lascerà un sorriso di stupore per la possibilità del non detto di persone care. Il linguaggio della Chias, pronto e vispo, praticato in special modo per trovare perfetta intesa con chi legge, subisce il fascino del racconto diretto e non condizionato da fluttuazioni retoriche. Una lingua a servizio della trama, innanzitutto. Dal suo mondo lavorativo, certamente, Irene Chias prende qualcosa. Ma senza farsi schiacciare da questo. Per uscire da fredde chiesette del Tremila.


Il libro del giorno: Consigli per un paese normale di Enzo Biagi (Rizzoli)





















Una cosa è certa: viviamo in un Paese da sempre abituato agli eccessi. Alle nostre spalle abbiamo una Storia millenaria, fatta di personaggi geniali e sregolati, crudeli e compassionevoli, candidi e loschi. A quanto pare le vie di mezzo non ci sono mai riuscite bene. E anche il nostro presente ci ha abituati a ogni tipo di esagerazione: dalla Tv che ha fatto a pezzi la privacy a una politica che ha fatto del vizio privato una pubblica virtù. E forse questa tradizione di eccessi, nel bene e nel male, ci ha disabituati a un concetto molto semplice e forse proprio per questo difficile da afferrare: la normalità. Quella cosa per cui un treno arrivato in orario non è un evento da festeggiare, quel principio in base al quale un lavoro sicuro e giustamente retribuito non è un obiettivo irrealizzabile, quella abitudine a vedere in chi è diverso da noi un compagno di strada e non una minaccia. In queste pagine Biagi delinea il profilo di un'Italia inconsueta eppure così facile da immaginare, un'Italia che sa stare composta non solo a tavola, ma anche nella vita di ogni giorno. E lo fa citando esempi concreti di oggi e di ieri, come i tanti eroi senza nome che sotto i nostri occhi spesso indifferenti salvano vite umane (o le rallegrano) o i nomi illustri che nel tempo ci hanno insegnato a essere persone migliori. Con la consueta semplicità che l'ha reso celebre, Biagi ci spiega cosa dovremmo fare per guadagnarci quello che ci meritiamo: un Paese normale.

Nel Paese della persuasione di Georges Saunders (Minimum Fax)












La casa editrice Minimum Fax, che da tempo apprezziamo per il suo encomiabile lavoro di scansione del meglio del meglio, offre nelle librerie del nostro paese, il volume dal titolo “Nel paese della persuasione” di Georges Saunders.

«Avevo portato mio nipote a New York a vedere uno spettacolo. Perché sapete cosa fa sempre quassù a Oneonta? Canta e balla, anche coi miei vecchi dischi delle commedie musicali, ma più che altro con il suo cd preferito, Babar canta!, a volte inventa pure i passi, ma non me ne preoccupo, o meglio cerco di non preoccuparmene.»

Siamo stati abituati a vagare nell’oscurità di un mondo della Muse che in apparenza non risulta essere in grado di fornire stimoli. Ma forse quando ci si abitua a camminare troppo nell’oscurità, anche i più piccoli punti di luce, possono apparire nitidi e divenire subito punti di riferimento. Ma che accade quando in un abissale baratro, esplode con intensità deflagrante un bagliore che acceca e stordisce? In tempi bui come i nostri una melodia frizzante, schietta e spregiudicata come quella che trasuda dalle pagine degli scritti di Georges Saunders, rinfranca e soddisfa gli appetiti dei palati anche più esigenti.

L’autore gioca molto con il surreale, o meglio con l’iper/reale e tra le righe si nascondono multiversi popolati da cani castrati, merendine dotate di “flatus vitae”, ed esistenze vissute e rivissute come in un eterno video frame mandato a circuito chiuso sui palcoscenici del nostro mondo.

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venerdì 4 giugno 2010

Il libro del giorno: Una brava ragazza di Joyce Carol Oates (Bompiani)


















La sedicenne Katya Spivar e il sessantottenne Marcus Kidder si trovano contemporaneamente in una località balneare sulla costa del New Jersey. Katya viene da una famiglia povera e corrotta e si trova lì come baby sitter. Marcus è un artista (scrittore, musicista, pittore) di New York, ricchissimo. Tra i due inizia una relazione. Inizialmente lui le chiede di posare seminuda e lei accetta per soldi; poi, però, tra i due si crea una reale intimità, sembra amore ma i soldi e lo status di Marcus fanno troppa gola a Katya. I piani vengono rovinati da Roy, un avanzo di galera, amico della madre di Katya, che vuole approfittare della relazione della ragazza per rapinare Marcus. Katya in un primo tempo si presta al gioco, ma poi abbandona il complice e torna da Marcus, facendosi perdonare e arrivando al matrimonio. Ad attendere i due sposi però c'è la zampata di una maestra della suspence come Joyce Carol Oates.

Alla fine il segreto viene fuori di W.H. Auden da "La verità, vi prego, sull'amore" (Adelphi)















Alla fine il segreto viene fuori,
come deve succedere ogni volta,
è matura la deliziosa storia
da raccontare all'amico del cuore;
davanti al tè fumante e nella piazza
la lingua ottiene quello che voleva;
le acque chete corrono profonde,
mio caro, non cè fumo senza fuoco.

Dietro il morto in fondo al serbatoio,
dietro il fantasma sul prato del golf,
dietro la dama che ama il ballo e dietro
il signore che beve come un matto,
sotto l'aspetto affaticato,
l'attacco di emicrania e il sospiro
c'è sempre un'altra storia,
c'è più di quello che si mostra
all'occhio.

Per la voce argentina che d'un tratto
canta lassù dal muro del convento,
per l'odore che viene dai sambuchi,
per le stampe di caccia nell'ingresso,
per le gare di croquet in estate,
la tosse, il bacio, la stretta di mano,
c'è sempre un segreto malizioso,
un motivo privato tutto questo.


"I temi di queste poesie sono l'amore e la disonestà, i due poli tra i quali ci siamo trovati a soggiornare nel nostro secolo, pronti a gloriarci della loro occasionale divergenza ma bravissimi, anche quando siamo sfortunati, a conciliarli fra loro, a fonderli insieme. Ci sono buone ragioni se i versi del poeta oscillano tra la più intensa tenerezza e parossismi di indifferenza, e se da queste oscillazioni nasce uno stridente lirismo che non ha precedenti". Così scrive Iosif Brodskij presentando queste dieci poesie di W. H. Auden, composte negli anni Trenta.

Il libro del giorno: Nobody di Charlotte Link (Corbaccio)


















A Scarborough, una località di mare dello Yorkshire, viene trovato il corpo di una studentessa brutalmente assassinata. Per mesi la polizia brancola nel buio alla ricerca non solo di un autore, ma anche di un movente. Fino a quando un nuovo omicidio scuote gli abitanti della cittadina. Questa volta la vittima è una donna anziana. Le modalità dell'assassinio, tuttavia, sono le stesse e la poliziotta incaricata delle indagini si convince che il nesso fra gli omicidi sia da ricercare nel passato delle due famiglie. E, con l'aiuto di un diario trovato per caso, si imbatte in una vicenda accaduta più di mezzo secolo prima, quando in paese era arrivato, insieme agli sfollati da Londra durante i bombardamenti, un bambino di cinque anni apparentemente orfano, ritardato e che si era subito attaccato a una ragazzina di poco maggiore. Brian era il suo nome: questo era tutto ciò che si sapeva di lui. Da tutti era stato "battezzato" Nobody e da tutti era stato maltrattato per anni, atrocemente. Che fine abbia fatto nessuno lo sa e a Scarborough tutti hanno cercato di dimenticare questa brutta storia. Ma ognuno in cuor suo sapeva che un giorno o l'altro sarebbe saltata fuori.

Il caso Amicizia (Studio 3TV)












Siamo nel 1956. Bruno Sammaciccia e alcuni suoi amici entrano in una storia che ha dell’incredibile: due individui misteriosi li contattano dicendo di appartenere ad una razza extraterrestre. Uno alto più o meno due metri e mezzo, l’altro quasi un metro. Sammaciccia ed i suoi amici, non ci credono. Si devono però ricredere quando vengono introdotti in una enorme base sotterranea dove incontrano altri alieni. La base si trova nei pressi della Fortezza Pia di Ascoli Piceno, e all’interno vi sono spazi e strumenti idonei dove quelli che “loro” definiscono giovani, vengono educati all’apprendimento di tecniche di pilotaggio di astronavi, e all’apprendimento di tecnologie iper/avanzate. Sammaciccia e i suoi amici iniziano ad aiutarli nello sbrigare le diverse e numerosissime incombenze che vengono loro richieste dai cosiddetti “amici”. Richieste delle più svariate, come ad esempio il trasporto di frutta, cibo ed altri materiali mediante carovane di camion che, secondo i testimoni, vengono svuotati in tempi non “umani”. In media ogni mese vengono fatti giungere almeno due camion alle varie basi in differenti regioni di Italia dove Sammaciccia ed i suoi aiutanti si trasferiscono in base alle necessità del momento. Questo è il contenuto del libro di Stefano Breccia dal titolo “Contattismi di massa” edito da Nexus. Per chi non lo sapesse Stefano Breccia, ha partecipato (talora come responsabile unico del progetto) alla creazione di Scuole post-universitarie per TLC a Ljubiana, Praha, Bucarest, Novosibirsk, Cordoba (Argentina); è stato direttore scientifico del Centro Studi ed Applicazioni delle TLC di Catania ed ha partecipato al Delta Project della Comunità Europea, in qualità di responsabile per le problematiche di intelligenza artificiale, nonché autore di svariati libri e centinaia di articoli su pubblicazioni specializzate. Ora escono ben 55 minuti di DVD per i tipi di Studio 3TV di Porto S. Elpidio dal titolo “Il caso amicizia”. Certo, qualcuno potrebbe obiettare, nulla di nuovo sotto il cielo. Ancora una volta si parla dello straordinario caso italiano accaduto tra gli anni 50 e 60, di contatto alieno rimasto segreto per mezzo secolo. Ma non in questo caso. Si parla di un prodotto editoriale sconvolgente. Innanzitutto le persone coinvolte sono di alto livello sociale e culturale. Un esempio? il noto Console Alberto Perego. I testimoni di questa incredibile vicenda si sono decisi non solo a uscire allo scoperto ma di parlare. I documenti filmati e fotografici sono davvero eccezionali. Imperdibile!

giovedì 3 giugno 2010

Il libro del giorno: Punto Omega di Don De Lillo (Einaudi)





















New York. Un giovane aspirante cineasta chiede a un noto studioso che per anni ha fatto il consulente del Pentagono di registrare un video in cui raccontare la sua esperienza. Un video-confessione, sospetta lo studioso, che si nega, recalcitra, sfugge, ma alla fine invita il cineasta in un posto perduto nel deserto, in California, non lontano da San Diego. Sarà per qualche giorno, si dice il giovane. Trova un biglietto economico e parte. Ma lo studioso non vorrà concedere alcuna ripresa. Desidera solo che l'altro gli stia accanto, in un posto troppo vasto, indifferente e bellissimo in cui i tramonti non siano che un essenziale cambiamento di luci e dove l'unica cosa che accade sia il tempo. Non il passare del tempo, ma il tempo come percezione essenziale di ogni singolo istante. È una prova generale dell'amicizia. Ma come tutto ciò che è essenziale, anche questa specie di tempo è un sogno troppo superbo per l'essere umano che esiste proprio perché dimentica il tempo. Qualcuno, qualcosa verrà da fuori, da news e traffico, sport e meteo, a riportare i due in città. A riportarli nel mondo dei compromessi, delle responsabilità individuali, dei precari affetti. Il punto omega è stato immaginato dalla fisica più metafisica. Suoi attributi sono che è sempre esistito, è personale e unisce il creato in forme sempre più complesse, è trascendente, è libero da limitazioni di spazio e di tempo, e deve offrire la possibilità di essere raggiunto.

Autobiografia di uno Yogi di Paramhansa Yogananda (Ananda edizioni)



















Yogananda nacque India, il 5 Gennaio 1893, in una famiglia Bengali devota ed agiata. Nel 1910, a soli 17 anni divenne discepolo di Swami Yukteswar Giri passando con lui la maggior parte dei successivi dieci anni della sua vita. Nel 1920 a Boston Yogananda prese parte in qualità di rappresentante per l'India al Congresso dei Liberali Religiosi, e fece scalpore con il suo discorso dal titolo “La scienza della religione”. Sempre a Boston realizzò il primo centro di ricerca spirituale e da qui per tutto gli Stati Uniti si diffuse la sua fama e celebrità grazie anche alle lezioni ch’egli teneva e alle quali partecipavano migliaia di ascoltatori . Scrisse numerosi libri, tra cui ricordiamo la famosa “Autobiografia di uno Yogi” ed i commenti sugli insegnamenti originali di Gesù Cristo e di Krishna. Una figura controversa e misteriosa quella di Yogananda, soprattutto se si pensa al suo lavoro più celebre “L’autobiografia di uno Yogi” sino a qualche anno fa pubblicata da Astrolabio ora edita Ananda Edizioni, che per l’occasione ha voluto attenersi rigorosamente all’originale del 1946, e inserire alcuni brani inediti per il piacere dei nuovi lettore. Tra le pagine di questo libro le parole d’ordine sono stupore, meraviglia, mistero, tenendo conto che parliamo di una sorta di viaggio sia mistico che biografico che tocca sino alle sue profondità gli universi di santoni, yogi, fachiri, Morte, Resurrezione, miracoli. Naturalmente non dico che si tratti di una lettura comprensibile e accettabile se non ci si fornisce di strumenti ermeneutici adeguati, perché altrimenti si corre il rischio di scambiare questa lettura come semplice folklore e colore. Lo spirito che si può respirare in “Autobiografia di uno Yogi” è la profondità e la saggezza con cui l’autore rischiara oscure porzioni dell’essere e dell’universo, cercando con una scrittura piana e mai artificiosa di aiutare il lettore, quasi in una sorta di puntuale pedagogia, ad aprire il cuore e la mente alla gioia, alla bellezza e al non/limitato potenziale spirituale che c’è in ogni uomo. “L'Autobiografia”, continua a tutt’oggi a essere considerato un best seller, viene tradotto in diciotto lingue, ed è stato un testo molto influente sulla cultura giovanile a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Per chi non lo sapesse o non lo ricordasse, Yogananda è uno dei personaggi che appaiono sulla cover di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles.

mercoledì 2 giugno 2010

Il libro del giorno: Gli errori di Darwin di Massimo Palmarini Piattelli e Jerry A. Fodor (Feltrinelli)




















In questo libro Massimo Piattelli Palmarini, biofisico e scienziato cognitivo, e Jerry Fodor, filosofo del linguaggio e cognitivista, sostengono che il principio darwiniano di selezione naturale e di progressivo adattamento all'ambiente non è verificabile. Anzi, con grande probabilità, è sbagliato. Lo dimostrano i dati più recenti della ricerca genetica, embriologica e biomolecolare. E lo dimostra l'esame stringente della logica interna della teoria darwiniana. Sulla scia di Stephen J. Gould e Richard Lewontin, i primi evoluzionisti a mettere in seria discussione il principio di selezione naturale, Piattelli e Fodor processano Darwin e i suoi seguaci più ortodossi. Oggi, sostengono, possiamo affermare con certezza che i viventi evolvono. Quali siano però i meccanismi che innescano il cambiamento è questione controversa e non ancora del tutto chiara. Atei, materialisti, non sospetti di derive creazioniste, i due autori credono che non esistano nella scienza discussioni "inopportune". Al contrario, proprio nel nome della scienza occorre discutere con chiarezza e onestà i presupposti, i riscontri e le aporie di tutte le teorie scientifiche. Darwin e il darwinismo sono stati a lungo ritenuti fondamentali per comprendere la natura del vivente, ma non sono un feticcio che non possa essere messo sotto osservazione critica.

Le figlie del libro perduto di Katherine Howe (Salani)



















Sapete cosa è successo a Salem? Vi rinfresco la memoria. Siamo nel 1692, l’anno in cui cominciarono una serie di persecuzioni, nei confronti di donne accusate di stregoneria. Persecuzioni localizzate geograficamente nel New England e nello specifico nel villaggio di Salem, oggi di pertinenza della città di Danvers. In fatto di cifre se non ricordo male, i condannati alla pena capitale furono 55 uomini e donne, 150 detenuti solo sulla base di sospetti, nel totale circa 200 persone accusate di stregoneria. Le incriminazioni di stregoneria dilagarono in pochi mesi nei comuni circostanti. Questo il “back stage” del libro di Katherine Howe dal titolo “Le figlie del libro perduto” edito in Italia da Salani, talentuosa scrittrice di oggi, laureata ad Harvard e soprattutto secondo quanto sostengono le voci più accreditate, diretta discendente di Elizabeth Howe e Elizabeth Proctor, due donne bruciate per stregoneria. In fatto di stregoneria la Howe ne sa una sicuramente più del diavolo! La protagonista delle pagine di questo libro, Connie Goodwin, neo-ricercatrice all'Università di Harvard, studia da tempo il caso Salem. Mentre si trova durante l’estate a risolvere le ultime questioni circa la vendita della vecchia casa di famiglia (in verità sente questa incombenza come un peso) scopre una serie di singolari e bizzarre “cose preziose”, tra cui una Bibbia contenente una chiave e dalla quale cade un biglietto roso dal tempo e dalla sporcizia con sopra scritto un nome: Deliverance Dune. Un nome legato sinistramente ai processi su cui Connie sta investigando, alla sua famiglia, a un segreto custodito attraverso gli anni da generazioni di donne. Un segreto che ha le sembianze di un libro, un grimorio proibito: il “Libro delle Ombre”, i cui contenuti più insignificanti, rischierebbero di distruggere il mondo da noi conosciuto. Ma Connie, mentre cerca di risolvere gli enigmi legati a quella casa e a tutto ciò che gli ruota attorno, non sa che si trova in pericolo poiché qualcun altro vuole impossessarsi di quel libro, per scopi oscuri e balsfemi. Ritengo che sia davvero un bel lavoro, anche se a tratti la lettura risulta lenta, ma penso sia una peculiarità del genere. In verità la scrittura della Howe, ha creato un ibrido splendido per cui non so se definirlo un romanzo gotico, fantasy, horror etc, etc. Inoltre pregio immenso di “Le figlie del libro perduto” è la capacità di resa dei luoghi e dei visi che animano le pagine di quest’opera, che lasciano un senso di appetito nel lettore che ne vorrebbe molto, molto di più!

martedì 1 giugno 2010

Il libro del giorno: Sii bella e stai zitta di Michela Marsano (Mondadori)



















"Questo libro è un atto di resistenza. Di fronte alle offese e alle umiliazioni che subiscono oggi le donne in Italia, in quanto filosofa, ho sentito il dovere di abbandonare la torre d'avorio in cui si trincerano spesso gli intellettuali per spiegare le dinamiche di oppressione che imprigionano la donna italiana. Lo scopo è semplice: si tratta di dare a tutte coloro che lo desiderano gli strumenti critici necessari per rifiutare la sudditanza al potere maschile. Perché le donne continuano a cedere alla tentazione dei sensi di colpa e, per paura di essere considerate 'madri indegne', abbandonano ogni aspirazione professionale? Perché tante donne vengono giudicate 'fallite' o 'incomplete' quando non hanno figli? Perché molte adolescenti pensano che l'unico modo per avere successo nella vita sia 'essere belle e tacere'? Perché il corpo della donna continua a essere mercificato? Perché stiamo assistendo al ritorno di un'ideologia retrograda che vorrebbe spostare l'orologio indietro e rimettere in discussione le conquiste femminili degli anni Sessanta e Settanta? La filosofia è un'arma efficace e potente, l'unico strumento capace di aiutare le donne a riappropriarsi della propria vita e non permettere più a nessuno di umiliarle o zittirle."

Michela Marzano

Incoronata pazza di Gaia Servadio (Salani)


















"Tra i più appassionanti enigmi che la Storia propone c’è quello di Giovanna la Pazza, regina di Spagna e delle Americhe, del Napoletano, delle Baleari, della Sicilia, delle Canarie e molto altro ancora, figlia dei re cattolici, madre di sei re due dei quali imperatori, Carlo V e Ferdinando I. Eppure alcuni testi storici non la nominano neppure; fortunatamente gli archivi di Simancas e la corrispondenza segreta di Carlo V fanno luce su molti episodi. Era davvero pazza? Era un’eretica? Perché venne rinchiusa, sepolta viva? Perché le fu tolto il trono, il potere più esteso del mondo?"

Giovanna di Trastamara, o Giovanna di Aragona e Castiglia detta la Pazza, ad altre latitudini linguistiche Juana la Loca (Toledo, 6 novembre 1479 – Tordesillas, 12 aprile 1555). Figura controversa sul palcoscenico della Storia, una donna sacrificata alle ragioni politiche e personali di un padre padrone prima, di un figlio poi, e di un marito malvagio e spietato. Tutto perché era Regina e colpa ancora più grave anti-conformista. Ma si sa che purtroppo argomenti come questi non sono oggetto di studio accademici, e dunque se non ci fossero ricercatori come Gaia Servadio, molte narrazioni ancora non prenderebbero corpo, soprattutto quando entra in gioco la follia, come nel caso specifico del contenuto di questo libro. Di questo in sostanza parla l’accativante libro della Servadio, edito da Salani e con il titolo “Incoronata Pazza”. Giovanna di Castiglia, donna dalla grande e ferrea volontà, arguta, a tratti eccentrica, figlia di Ferdinando II e di Isabella I, aveva nel sangue autorevolezza, sex appeal, passione. Non amava le formalità di corte, contraria all’Inquisizione, fu sempre al centro dell’attenzione della vita politica e sociale a cavallo tra il quindicesimo e sedicesimo secolo. Amata dal popolo, e stimata in tutte le corti europee. Figura quasi perfetta, e per questo passibile di persecuzione: ed ecco che dal primo all’ultimo personaggio che ha popolato la sua vita (compreso il figlio Carlo), ogni cosa è stata organizzata e architettata al fine di esautorarla e strapparle la sovranità dei regni a cui aveva diritto. Accusata di essere pazza, fu costretta fino agli ultimi giorni della sua vita a una dura prigionia che affrontò con una fermezza e una dignità senza eguali. L’autrice di questo volume, si riconferma una grande indagatrice dei multiversi della Storia, muovendosi con delicatezza ma grande acume, sulle ragioni di Stato e sulle forme discriminatorie di natura sessista che hanno causato il declino di una grande donna


Gaia Servadio, scrittrice e giornalista, vive a Londra. Molto nota nel mondo culturale inglese e italiano, ha tenuto lezioni e conferenze in varie università, ha realizzato documentari per la Rai e la Bbc. Il suo primo romanzo, Tanto gentile e tanto onesta è stato bestseller in sei paesi e tradotto in dodici lingue. Per Salani ha già pubblicato Il Rinascimento allo specchio.

lunedì 31 maggio 2010

Il libro del giorno: Per le strade del Cairo di Nagib Mahfuz (Newton Compton)



















Il Cairo, 1942. La seconda guerra mondiale imperversa e i raid aerei si abbattono sulla città seminando il panico tra la popolazione. La famiglia Akif si trasferisce nella zona storica di Khan al-Khalili, dove la presenza di numerose moschee e monumenti rende meno probabile il rischio di bombardamenti. Ahmad accetta con riluttanza la decisione del padre. Quarant'anni, impiegato ministeriale solitario e introverso, Ahmad ha rinunciato a tutto per mantenere la famiglia caduta in disgrazia e da anni vive appartato nella solitudine dei suoi studi e delle sue letture. È affezionato al quartiere benestante di al-Sakakini, dove ha sempre vissuto, ed è convinto che il nuovo, chiassoso rione popolare non potrà soddisfare le sue esigenze intellettuali. Ma il dedalo di viuzze affollate di caffè, negozi di cianfrusaglie e bancarelle di taamiya, i bambini che giocano in strada e gli intensi profumi speziati che aleggiano tra le terrazze apriranno il suo cuore a nuove, inaspettate emozioni e lo porteranno a riflettere su se stesso e la propria vita... Dal premio Nobel Nagib Mahfuz, un romanzo su una famiglia al bivio tra tradizione e modernità; un ritratto nostalgico della città del Cairo, delle sue strade affollate e polverose dove, tra sguardi silenziosi e chiacchiere nei caffè al tramonto, si intrecciano vita e distruzione, amore e morte, disperazione e speranza.

Angeli caduti di Harold Bloom (Bollati Boringhieri)



















Quando parliamo di paranormale ( e procediamo con spirito razionale) facciamo riferimento a tutta una serie di fenomenologie anomale, che secondo la scienza non solo sono inspiegabili, ma addirittura inesistenti, inconsistenti, anti-scientifiche nella loro formulazione di carattere teorico, o se esistenti e manifestantesi sul piano della realtà, spiegabili con le conoscenze che l’attuale livello della ricerca permette all’uomo indagatore. Quando diamo la parola ai parapsicologi essi ci dicono invece che i fenomeni osservati non sono spiegabili scientificamente, ma sono fiduciosi che la scienza possa in futuro fare luce su queste “perturbazioni” fenomeniche. Parliamo di un mondo complesso e pieno di livelli e sottolivelli culturali comunque sotto attenta osservazione ad esempio in Italia dal Cicap, il quale ad ogni modo ha ritenuto ad oggi nessun fenomeno paranormale vero e concreto. Quando parliamo di paranormale parliamo di fenomeni che vanno dai poltergeist, alla bilocazione, alla xenoglossia, agli Orbs, sino agli Ufo. Argomenti a tutt’oggi interessanti e che suscitano ancora dibattito. Ma in questi ambiti possiamo includere anche manifestazioni soggettivizzanti un Io, come demoni o angeli caduti? In merito a quest’ultima categoria è ancora valido parlare di “angeli caduti” come ha fatto qualche anno fa Andrew Collins in un libro edito da Sperling e Kupfer, quando ha parlato dei cosiddetti “Vigilanti", ovvero angeli caduti (una popolazione superiore) vissuti circa 9000 anni a.C., in Egitto? La Sfinge sarebbe per l’autore la traccia più evidente del loro passaggio. Ma al di là di considerazioni più vicine al folklore che ad un necessario scandaglio scientifico, ho letto con piacere uno splendido lavoro di Harold Bloom pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri con la magistrale traduzione di Elisabetta Zevi. Un libro che fondamentalmente è una provocazione nel senso più ampio del termine, sulla mitopoiesi dell'angelo e del suo alter ego in carne e ossa: l'uomo. Bloom porta alla luce una serie di osservazioni brillanti e a volte straordinarie che vanno dalla processione insana e malevola degli angeli (in particolare gli angeli caduti), verso gli inferi per seguire Lucifero, alla tensione trascendente ed umanissima di anelito alla contemplazione del volto di Dio. La catabasi inferica viene spogliata di ogni connotazione negativa, e diviene una parte della verità, che a volte si traveste di enigma e mistero. Un libro che ci presenta per poco più di cinquanta pagine una delle figure più seducenti della nostra cultura, gli angeli caduti per l’appunto, che più di qualche volta sentiamo come vicini a noi, creature finite che peccano e ri/peccano nella speranza di redenzione e ascesa. Libro che richiede in assoluto una lettura pregressa di Milton e Shakespeare. Imperdibile

domenica 30 maggio 2010

Il libro del giorno: Un tipo tranquillo di Marco Vichi (Guanda)





















Una vita normale, quella del ragionier Mario Rossi, contabile in una ditta di imballaggi a Scandicci. Un'esistenza tranquilla, scandita dal tran tran quotidiano, una moglie, due figli, le domeniche in collina o al cinema se piove. Un tran tran che l'ha portato, quasi senza accorgersene, a sessantatré anni, alle soglie della pensione. Eppure, negli ultimi giorni, qualcosa sembra tormentarlo, un'insoddisfazione di fondo, un malumore che nemmeno lui sa spiegarsi, una specie di rabbia, di rivalsa contro il mondo. Ma poi, un venerdì sera qualsiasi, un evento tragico sembra aprire a Mario tutte le porte rimaste chiuse, tutte le meravigliose possibilità prima solo intuite e vagheggiate. E la sua mente si affolla di fantasie, mescolate a episodi dell'infanzia lontana, sempre più pericolosamente vicino a quel confine labile che separa il malessere dall'orrore. Dall'autore del commissario Bordelli, la storia "nera" di un uomo come tanti, desideroso di indipendenza ma condannato a non viverla.

Suerte di Giulio Laurenti (Einaudi Stile Libero)



















«Vivevo sulla corsia di sorpasso e non badavo al panorama che mi sfrecciava a fianco. Ero tutt'occhi per i dettagli, avevo smarrito quella visione d'insieme che ti porta in vetta a un'organizzazione. Un tiro e via. Una transazione dopo l'altra e montagne di soldi all'incasso. Se c'erano ostacoli da rimuovere, li facevo rimuovere da qualcuno dei miei uomini, dei miei soldati. La roba attraversava l'Atlantico e imbiancava l'Europa senza che ormai io realmente facessi più che una decina di telefonate e qualche incontro d'affari».

Anni 80. Le vittime di morte violenta per narcotraffico a Cali sono circa tre/quattro mila. Ilan proprio in quest’anni riesce a mettere in piedi un organizzazione per il marketing della coca più grande al mondo: la prima volta come corriere viene usata la nonna di un suo amico, la seconda volta nei telai di uno stock di biciclette. Loro erano solo “niños”, non potevano essere presi sul serio. Invece erano squali, predatori già in tenera età spietati e senza scrupoli. Passo dopo passo Ilan e i suoi “partners” arrivano a fatturare milioni di dollari. La vita di Ilan Fernàndez, è un’esistenza caratterizzata dalla compagnia costante e terribile della “Signora vestita di nulla”; un’esistenza i cui contenuti per un certo periodo sono stati soldi, coca, orge. Poi il sistema detentivo stritolante a Cuatro Caminos in Spagna e San Quintino in USA. Il declino la rinascita, l’ascesa di Fernandez. Tutto questo e molto di più viene raccontato nel libro di Giulio Laurenti, dal titolo “Suerte” edito da Einaudi Stile Libero, in poco più di un anno. Vicende, volti, storie che sono diventate un romanzo, una narrazione non solo avvincente ma che ha la forza devastante della verità. La cocaina la fa da padrona incontrastata, ma è tutto il contesto che la circoscrive che è atroce, dalla descrizione di un’infanzia violenta a Cali oltre l’estremo (nel libro viene scritto “si inizia con i lividi e si finisce con i buchi delle sventagliate di mitra"), il desiderio titanico di voler riscattarsi dall’orrore e malvagità di un mondo sporco e maledetto, la consapevolezza amara e terribile che l’unico modo per restare a galla è la deriva del crimine, che sradica qualsiasi umanità, la compulsione alla performance a qualsiasi costo. Ilan a soli diciannove è l’uomo della cocaina in Europa, in Sudamerica e negli Stati Uniti. Tutto fila liscio come l’olio, fino a quando un poliziotto non si mette sulle sue tracce, e lo stana a Barcellona catturandolo. Ed è in galera che Ilan partorisce l'idea del marchio DePutaMadre69, mettendo alle spalle il suo passato burrascoso. Ora si dedica al suo brand un invito alla trasgressione certo, ma che non va al di là del divertimento in una notte in cui si voglia dimenticare gli affanni della quotidianità

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