Il compito più difficile in cui può riuscire la filosofia è quello di risultare comprensibile, cercando di instaurare un dialogo fruttuoso con gli uomini e non soltanto con un gruppo sparuto di accademici dediti alla scrittura. Un traguardo arduo che non sempre è raggiungibile. L'ultimo libro pubblicato da Mario Signore per i tipi di Pensa Multimedia riesce in questo intento, trattando un argomento di estrema attualità, il ruolo dell'etica nella società contemporanea. Il titolo del testo delinea fin da subito l'ambito della ricerca: “Economia del bisogno ed etica del desiderio” (Pensa Multimedia, collana Inter-sezioni, pp. 238, €19,00). L'economia è la scienza che organizza e studia i bisogni del genere umano strutturato in società; l'etica approfondisce le regole del comportamento. Fu Hans Jonas, nel 1979, con la sua opera “Il principio responsabilità”, a teorizzare per primo l'esistenza di un valore etico che travalica la durata dell'esistenza del singolo, rendendo l'individuo responsabile di scelte che hanno conseguenze su coloro che verranno dopo di noi. Un contributo fondamentale alla costituzione di un'etica responsabile è dato dall'Occidente, inteso come luogo dove tempo e spazio hanno dato luogo a una tradizione consolidata che sola può fornire le basi per un'antropologia etica rispondente alle esigenze dell'uomo contemporaneo: “L'Occidente può offrire al dibattito interculturale il risultato più maturo della sua tradizione culturale, etico-politica e religiosa, ripartendo, magari, da quella base filosofica ispirata al concetto aristotelico di essere umano e a quel liberalismo neoaristotelico, per il quale, il fatto che l'uomo si possa definire un «animale con bisogni» è altrettanto importante e fondamentale del possesso della ragione, e richiede che ogni concezione dei diritti, della libertà, della stessa dignità umana debba fare i conti con la condizione di bisogno degli esseri umani”. In questo testo, nel quale non mancano puntualizzazioni storico-filosofiche e 'scorribande inattuali' nella filosofia antica e moderna (da Aristotele a Hegel passando per Montaigne e Marx fino a Zygmunt Bauman), sono contenute diverse riflessioni sulla condizione del cittadino della polis attuale nei confronti della sua libertà di pensiero e azione; le questioni sollevate sono molteplici, non ultima la mutazione, ad esempio, del concetto e dell'applicazione della libertà intesa in senso 'moderno' nel mondo contemporaneo. Questo saggio riesce in un intento, quello di ricucire lo strappo avvenuto sul territorio filosofico dell'etica contemporanea tra il dopoguerra e oggi, integrando le acquisizioni della filosofia moderna alle più recenti istanze filosofiche dell'etica, assumendo diversi punti di vista, che vanno dal religioso e filosofico in senso stretto e approdano fino alla laicità più estrema, passando per l'etica dell'individuo sociale. E se la via di un'etica universalmente condivisa si nascondesse in una trascendenza laica? Come ha sostenuto lo stesso Massimo Cacciari, che oggi presenterà il libro a Salice Salentino, insieme all'autore, l'etica è laica per sua stessa definizione, non rifacendosi ad altro che a un ethos, ovvero sia a una norma di comportamento che si attua nel rispetto della salvaguardia della collettività, ad esempio potremmo difficilmente concepire un'etica che incoraggia all'uccisione del prossimo. Esistono fondamenti dell'etica, quindi, che sono incontrovertibili al di là del nostro credo o non-credo di appartenenza. L'invito è senza dubbio quello di approfondire queste tematiche a partire dalla lettura integrale di un libro come questo “Economia del bisogno ed etica del desiderio”, che offre allo stesso tempo risposte e domande su questioni importantissime dalle quali ogni nostro vissuto non può prescindere. Mario Signore è docente di filosofia presso l'Università del Salento da quaranta anni, con i suoi studi ha approfondito diverse aree della filosofia contemporanea, da Giovanni Gentile a Max Weber, passando per i filosofi dello Storicismo e dell'Ermeneutica. I suoi studi di storia della filosofia, epistemologia, etica della responsabilità e la globalizzazione, tradotti e pubblicati all'estero, costituiscono importanti strumenti nel dibattito delle discipline storico-filosofiche contemporanee.
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venerdì 28 maggio 2010
Il libro del giorno: Saigon e così sia di Oriana Fallaci (Rizzoli)
A braccia aperte, di Piersando Pallavicini (Edizioni Ambiente). Intervento di Nunzio Festa
Tanto per cominciare, sappiamo che il vigevanese Piersandro Pallavicini, che tra le sue attività ha quella di dare spazio di segnalazioni letterarie a diversi interessanti autori italiani, non è solamente l’autore dell’istrionico “Atomico Dandy”. Che Piersandro Pallavicini, per esempio, è lo stesso scrittore che per la piccina bolognese Edizioni dell’Arco – proprio quella dei libri distribuiti (per strada) da diversi ragazzi senegalesi e in diverse città italiane - cura una collana editoriale d’italiani che si muovo nella sfera ‘letteraria’ dei migranti. “A braccia aperte”, romanzo agile ma in un certo senso sfrenato che le puntuali Edizioni Ambiente hanno recentemente mandato in libreria, si svolge, innanzitutto tra Parigi e la provincia milanese, non senza echi di Camerun; e tra l’ospedale per il quale il protagonista svolge l’attività di primario, che va a intrecciarsi rumorosamente con i luoghi ameni che i migranti devono frequentare per ricevere un obolo sotto forma di permesso di soggiorno. Dunque, Samuel Badjang, nominato con l’abbreviativo Bad perché gli italiani non sanno pronunciare il vero “Badjang”, nonostante un matrimonio fallito e una vecchia storia che tornerà dalla culla dei tempi e dagli abissi appunto della geografia, è diventato un apprezzato chirurgo, un primario. A parte che le braccia chiuse della società italiana non accettano, alla fine, questo dato di fatto. Però, carriera a parte, a un certo punto il dottor Bad deve mettersi a rifare i conti con gli uffici dei “permessi” e, specialmente, con le leggi del governo della razzista Bossi-Fini. Perché direttamente da quel remoto del quale accennavano prima, arriverà una figlia, la figlia del dottor Bad, Gaelle. Dal Camerun. Che, come è ovvio, e come tanti altri migranti e studenti stranieri dei paesi non comunitari d’Europa, deve riuscire a ottenere la possibilità di stare nell’Italietta dei Berlusconi e dei D’Alema. Fino a recuperare un rapporto padre/figlia. Perché quindi le braccia aperte sono quelle del padre. Non ovviamente quelle brutte storte e respingenti dello Stato Italico. In questo romanzo civile la scrittura di Pallavicini è leggera ma abbottonata al tassametro della burocrazia. Senza impennate. Lineare. Eppure sempre capace di farci ritrovare, oltre al momento dell’inchiesta giornalistica, la malattia atroce che respira al di là di luoghi comuni comunque rappresentanti con una lingua svegliata dal piccolo e dolce letargo del barocco. Per incrociare, a tratti con accenti di ripristino d’un dialogo usato per le prove della normalità, le vicissitudini di campi dove l’immigrazione e i migranti costantemente sono serviti con soprusi.
giovedì 27 maggio 2010
Il libro del giorno: Quantum. Da Einstein a Bohr, la teoria dei quanti, una nuova idea della realtà di Manjit Kumar (Mondadori)
La battuta perfetta, di Carlo D’Amicis (Minimum Fax). Intervento di Nunzio Festa
D’Amicis, con “La battuta perfetta”, incastra la corrosività di passaggi al colore della satira a passaggi epocali, con “La battuta perfetta” Carlo D’Amicis incide, e avremmo volentieri – a questo scopo – eliminato quei troppo ridondanti “padre” e “figlio”, nel solco assurdo quanto anomalo che racchiude una vicinanza a tratti non visibile fra paesi che sappiamo bene (tipo Pomarico e, soprattutto, la più spaziosa Matera) con Pier Paolo Pasolini e Silvio Berlusconi. Questa volta, il D’Amicis Carlo, dopo aver nuovamente rappresentato il dramma ossessionante di ben due padri, intinge chiacchiere tutte sottratte alle più recenti vicissitudini della cronaca politica e giudiziaria. A ridire bocconi d’un’Italia piccolissima che fu ben annunciata appunto da Pasolini, e che Berlusconi Silvio il padrone suo e anzi nostro spinge sempre più nel baratro; il B. che, per esempio, è così preponderante nell’immaginario tutto individuale delle ‘vittime’ da riuscire a spiegare al suo dipendente più accanito, il protagonista, che lui sarà Silvio I mentre il figlio del protagonista del romanzo, in omaggio al ducetto, verrà battezzato e stramazzato al suo col nome di Silvio. Ma che sarà sempre, per il secondo padre ‘snaturato’, alla fine solamente un Silvio II. Però è il caso di risalire la china d’una trama scorrevole quanto carica di soggettività da conservare per anni. Filippo Spinato, appellato persino Spinato Filo, da maestro elementare a Matera, vivrà scappando da quando nella Città dei Sassi Pier Paolo Pasolini avrà già visto nascere gli stessi “stronzi” d’altri luoghi. Il democristianissimo e raccomandato, da un vescovo, Spinato è dunque assunto alla Rai. Il fatto è però che Filo Spinato è, appunto, meno simpatico e sicuramente più austero del filo spinato. Tanto da, per esempio, in contemporanea riuscire a devastare mentalmente una moglie che alla fine addirittura lo tradirà e nel lavoro essere più duro della censura mussoliniana. Infatti, l’ultra-bacchettone Spinato alla Rai, dall’alto della sua cultura e intransigenza di costume, vorrebbe bloccare l’ormai arrembante processo di spregiudicatezza del piccolo schermo. Lo Spinato, nonostante i DC raccomandati siano tantissimi, è solo soletto in una battaglia che appare anacronistica. Nel frattempo, il figlio Canio, che da bambino è da adulto sognava di far ridere la gente, diventa il ghost-writer delle battute dell’imperatore B. Oltre a diventare pappone di donne e donnine, d’altre vittime che incarnando il potente che può decidere se mandarle o no in video le chiama ad avere rapporti sessuali con lui. E Canio Spinato, infine, sarà sentito da un magistrato che in realtà è una sua ex compagna di scuola. Quella che in una grotta del Sasso Caveoso aveva impersonato per fare fesso un altro compagno. Lo stesso compagno cavia che poi si suiciderà. Proprio la stessa che anni prima aveva incontrato in un altro tugurio, ma di Pomarico quella volta, nel mentre lui per la festa patronale era arrivato all’esibizione prima da comico e su palcoscenico pubblico. Canio Spinato è brutto quanto il padre. Spinato figlio non riesce, infine, a essere padre. Pareggiando i conti col padre suo. La tragedia contenuta nel nuovo romanzo di Carlo D’Amicis è quasi speculare alla satira, a quei brandelli di comico che vengono fuori da pagine davvero divertenti e a tratti leggere. Oltre, ovviamente, alla corrosiva forza delle spesso non bellissime barzellette che inventerà non a favore della società. Ma contro di questa. A servizio, quindi, del capo. “La battuta perfetta” legge l’attualità per tracciare nel passato non proprio recente fili che stordiranno il futuro. La scrittura di D’Amicis, qui somigliante molto a quella di Cappelli, sperimenta più linguaggi per cedere al linguaggio comune dei tempi nostri. Che, al termine dell’opera, avrà per giunta accantonato i problemi della lingua stessa.
mercoledì 26 maggio 2010
Il libro del giorno: La casta dei radicalchic di Massimiliano Parente (Newton Compton)
Andrea Inglese a Lecce all'Università del Salento
Andrea Inglese è nato nel 1967: filosofo di formazione, è considerato uno degli autori più significativi nel panorama della poesia italiana contemporanea. Ha pubblicato un saggio di teoria del romanzo dal titolo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003); i libri di poesia: Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano a cura di F. Buffoni (1998), Inventari (2001), Colonne d’aveugles in edizione bilingue con traduzione (2007), La distrazione (Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009); le raccolte di prose Prati nel volume collettivo Prosa in prosa (Le Lettere, 2009); e Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001 (La Camera Verde, 2010). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei fondatori del blog letterario Nazione Indiana (www.nazioneindiana.com) ed è tra i redattori di http://gammm.org.
martedì 25 maggio 2010
Quando non ci sarò di MariaViteritti (LUPO Editore). Intervento di Donatella Neri
Primavera 2100.
Real, adolescente sognatore, ha aspettative di vita ben più lunghe; forse anche per questo ha deciso di cimentarsi a modo suo con L’albero della Vita di Klimt, visto che la sua passione è dipingere.
Elisa alias Artemisia (come firma sul blog i suoi “racconti al Lexotan”) e Real alias Lario (autore di curiosi personaggi che appaiono in rete) si imbattono l’uno nell’altro in modo fortuito, ed è un incontro di anime e di cuori, un amore che si traduce in sfida.
Dopo il successo di Al di là del muro, Mary Viteritti ritorna a Bologna in un futuro prossimo per parlarci di un mondo in cui l’efficienza socio-sanitaria è tutelata da un marchio di scadenza impresso sugli esseri umani come sui prodotti di consumo. La società è impregnata di arido laicismo e ognuno è chiuso in se stesso, se ha qualcosa da nascondere: ad esempio, una scadenza troppo vicina per poter essere un investimento affettivo per qualcuno, ma anche la capacità di creatività e di poesia.
Un’altra splendida storia di una scrittrice che ha il coraggio di guardare a un certo futuro come ad una terribile possibilità e sa trasformare la narrazione in un messaggio di speranza. Un romanzo mirato ad un lettore adolescente per intensità e messaggio etico, ma anche una lettura appassionante per tutti coloro che apprezzano le trame coinvolgenti e una bella penna.
Il libro del giorno: La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro di Gino Roncaglia (Laterza)
Quello che i mariti non dicono di Bal Efe, Berbenni Stefania (Mondadori)
"Non dico tutti, ma quasi tutti gli uomini, vogliono provare l'esperienza del trans, far girare adrenalina nelle vene sclerotizzate dalla routine. Se penso a chi è passato dal mio letto - avvocati, manager, operai, ragazzi, commercialisti, creativi, baristi, imprenditori, ignoranti e laureati - alla fine sono tutti uguali quando sono qui a casa mia, liberi di chiedere ciò che vogliono perché pagano”. L’eterna lotta tra mister Hyde e il compassato dottor Jekyll si sostanzia tra le pagine di questo libro, quasi fosse obbligatorio e del tutto normale, anzi consueto, per un uomo ai nostri giorni, voler esplorare certe zone d’ombra della sessualità, ovviamente continuando la barocca recita del bravo maritino, o della dolce metà tutta casa e chiesa. E proprio non molto tempo fa ricordiamo per un’insana associazione di idee dopo aver letto questo libro, le cronache di tutti media nostrani che hanno fatto esplodere il caso Marrazzo, generando un vespaio di inquietanti interrogativi da tenere rigorosamente e assolutamente privati, perché a dirli la vergogna sarebbe più pesante dell’essere messi alla gogna: Perché? Perché gli uomini, così tanti poi, anche insospettabili, vanno con le/i trans? Quali sono le prestazioni che richiedono questi maschi ai/alle trans, per risultare così desiderabili, così sessualmente appetibili? Efe (che ha scritto “Quello che i mariti non dicono” per i tipi di Mondadori) è il/la trans più famosa/o e desiderata/o d'Italia. Oltre i duemila uomini, sono stati oggetto delle sue attenzioni/prestazioni, in maniera totalmente e sinceramente democratica e perfettamente costituzionale, proprio come sostenuto dal pilastro dell’art. 3 della nostra Carta, circa la rimozione degli ostacoli di razza, credo o posizione sociale. Per Efe questo è assiomatico in ambito sessuale, kantiano forse. Fondamentalmente questo è un libro schietto e sincero (editing o ghost writing a parte) che racconta le esperienze di questo attore sociale trasversale rispetto a generi e connotazioni, senza la benché minima intenzione di voler necessariamente scandalizzare, ma quasi con la delicatezza di un pettegolezzo al femminile da dirsi in un bar del centro mentre fuori c’è traffico e stress. Una cosa è certa: ne viene fuori uno spettro di situazioni e tipologie maschili sicuramente sorprendente, ma non certo incoraggiante. Anche se il libro non risponde alla domanda del perchè gli uomini sposati vanno a trans c’è da dire che tutto il libro può essere letto come un felice prodotto di costume, un ulteriore tassello per stordirsi dalla crisi che ci attanaglia le viscere, e che sortisce l’effetto di un tonicizzante anti-depressivo rispetto alle solite seratine della nostra piccola povera patria
domenica 23 maggio 2010
Il libro del giorno: La nostalgia languida dell'Ombra di Fabio Cerretani (Edizioni Ilisso). Intervento di Sergio Pent *
Fabio Cerretani ha l’animo del provinciale di lusso, che contempla l’umanità in transito della sua epoca e ne coglie gli umori più intimi, malinconici o depressi. La fortuna di un narratore si gioca spesso, quasi sempre, sulle convenienze e sulle scommesse editoriali. Nella sua sordina, Cerretani è rimasto finora un narratore appartato e poco visibile, com’è tipico di chi si muove da indipendente sul terreno delle majors. Editori piccoli ma attenti gli hanno permesso di entrare in punta di piedi in libreria, anche se i suoi romanzi curiosi, emozionali, severi e scritti con lucida parsimonia non hanno finora trovato i meritati riscontri. Questione di stile? Non diremmo, visto che lo stile di Cerretani è assai più levigato e insinuante ad esempio di quello di un Andrea Vitali, che sta vedendo invece lievitare in classifica le acque del suo lago. Semplicemente, se mancano le giuste sponsorizzazioni, si corre come sempre il rischio di stazionare in un limbo di belle scritture ignorate dal pubblico. Spesso anche dalla critica, complice l’overdose ormai quasi letale di novità in libreria. Le ragazze del Delta e Finis terrae segnavano, ciascuno a suo modo, tappe già fondamentali per misurarsi con la capacità di scrittura di Fabio Cerretani. Tra memoir sentimentale alla Cassola e spruzzate gogoliane, i romanzi tracciavano un percorso esemplare della narrativa di questo autore appartato, alla ricerca di belle storie più che di scommesse azzardate o ammiccamenti sperimentali fortunosi. La nostalgia languida dell’ombra è un discorso ancora diverso, ma l’animo provinciale rimane in primo piano, con tutte le ironie e gli intoppi del caso. Dal delta del Po alle derive metafisiche di Finis terrae, arriviamo alla paciosa provincia umbra di un 1966 segnalato a vista dall’autore, poiché potrebbe benissimo trattarsi dell’altro ieri, nell’ambiguo e ricorrente gioco di tradimenti ed equivoci che portano infine come spesso accade nei deliri dei sensi all’omicidio. I personaggi, caratterizzati quasi sempre da nomi emblematici, ricoprono ruoli di confine in un contesto sociale bizzarro e bizzoso, dove tutto si gioca all’insegna di una grandeur sui generis, come se i destini dell’umanità dovessero dipendere dal chiacchiericcio irrisolto dei diversi interlocutori. Davide Golia, un nome un destino. Protagonista smorto e asettico, il classico “uomo dal vestito grigio” che attraversa il suo tempo in sordina, il mite insegnante di lettere presso il Liceo Classico “Sallustio Amedeo Brandini”, riveste invece un ruolo determinante nello scompigliamento di carte che porta alla morte della collega Cecilia De Maria, tracagnotta arrapante che ama sollazzarsi in amene scappatelle extraconiugali. E’ qui, in questa ironica visione di una provincia buzzurra e velenosa, che a tratti rammenta il geniale film di Germi “Signore e signori”, che si gioca la partita del romanzo di Cerretani, nato come commedia di costume provinciale e dirottato dall’autore sul versante di un noir quasi surreale. La vicenda minima, più grottesca che sensuale, del rapporto fedifrago tra il pavido professor Davide Golia e la vorace Cecilia, serpeggia infatti al di sopra di un sotterraneo contesto strapaesano in cui i notabili della cittadina umbra complottano per spartirsi i proventi della vendita di preziosi reperti etruschi rinvenuti da un rozzo tombarolo nel dedalo di gallerie dei dintorni. Malaffare in giacca e cravatta, sesso spicciolo e deprimente, tradimenti, ripicche e rancori, generano il disegno di una comunità bislacca ma perfida, dove è sempre il più debole a soccombere. Si lascia ovviamente al lettore il piacere di scoprire i piccoli, meschini segreti che covano sotto la cenere dei camini di provincia, ma è necessario rilevare come l’arguzia del narratore riesca a dirottare la trama verso un consapevole disegno di denuncia morale. La grettezze dei diversi personaggi in quel 1966 segnato da piovaschi sempre più dirompenti sfociati nell’alluvione di Firenze si riflette sulla nostra contemporaneità e sui nostri mali più di quanto non si creda. Figurine di un passato quasi remoto, stanno lì a significare malevolenza, invidia, arrivismo, indifferenza alle sorti del prossimo. Proprio come adesso. In questa dinamica da commedia con delitto, il romanzo di Cerretani svolge un suo ruolo sulfureo, a tratti landolfiano, nel delineare l’ottusità arricchita e potenzialmente delittuosa del contesto sociale, in cui ogni dettaglio deve sempre rimanere uguale nei secoli dei secoli. In un mondo di ancora ferventi campanilismi, non c’è tregua né compassione sotto il campanile in cui il povero professor Golia e la sua malcombinata amante trovano il loro unico, tragico punto d’arrivo.
(*) = Scrittore (“Il custode del Museo dei Giocattoli”, Mondadori 2002; “Un cuore muto”, e/o 2005; “La Nebbia dentro”, Rizzoli 2007) e critico de “La Stampa Tuttolibri”. Contenuti del post ricevuti dalla casa editrice Ilisso
Sabbia, di Paul Muldoon (Guanda ). Intervento di Nunzio Festa
La notorietà di Muldoon, soprattutto fuori dall’Italietta che sappiamo e dobbiamo mai scordare, è sempre più grande. Ma, grazie a “Sabbia” sappiamo che ogni ‘complimento’ e tutte le parole di stima e rispetto dirette a uno dei maggiori poeti del nostro tempo sono anche pochissima cosa rispetto al valore reale che s’apprendere verso su verso, verso in verso. Di poesia dentro poesia. Perché, tanto per fare iniziazione con le paroline spicciole e spiccianti, la poesia, anzi tutto il corpo poetico di Paul Muldoon è pieno d’altre liriche, d’altri poeti fratelli dell’autore irlandese. Ovviamente questo non è che un dettaglio. Muldoon è moderno e classico in quanto contiene nelle stesse parole la terra senza lampi e i lampi della letteratura, la storia priva di retorica e la retorica delle storie di donne e uomini come di paese e città e campagne. Con Sabbia, d’altronde, P. Muldoon ha ottenuto il Pulizer nel 2003. Già dal titolo, nonostante si debba andare meglio a vedere l’originale, è possibile capire qual è il contesto se così davvero si può dire – e a maggior ragione per il poeta che è Muldoon. L’analisi della lingua, la teoria per così dire sui termini e sulla terminologia utilizzata dal poeta nordirlandese, devono far affermare senza ombre di dubbi e paura d’illustri smentite che Muldoon è ugualmente in grado di sconvolgere mettendoci di fronte al chiarore della rima, alla purezza del verso libero estremo, all’imperiosità del taglio netto ove è necessario. Impastata, per servire i temi a lui più cari, la spensierata scorrevolezza d’accenni di versificazione discorsiva, accesa da picchi d’evocazione ritmata al fumo d’un’epica mai ma proprio mai stucchevole. Andiamo a scoprire, però, dove la ‘regola’ è rotta. Dove l’evasione da uno schema che non è schema né gabbia, per esempio, si fa evidenza di passaggio letterario. Piano sentiamo, allora, “Lo spaccone”: “Voleva farti credere di aver succhiato / il leggendario sesto dito della fetta / di una sosia di Marilyn Monroe giovane, // e che il maritino si fosse un po’ incavolato / scoprendoli sul sedile posteriore di quel catorcio. / Gli altri giornali prendano nota”. Per continuare, con “La sosta”: “Pensa a questa lapide / come a una sedia bassa e lunga / piazzata strategicamente / sul pianerottolo di una scala”. Non a caso abbiamo scelto questi due componimenti. Non a caso due poesie brevi, fra le più brevi e frammentate del poeta. Che, ma solo apparentemente, spezzano il filo dell’opera. E che invece sono la prova d’omogeneità. Nella prima lirica ci si nutre d’una rapsodia in tono minore, una scansarsi del verbo che deve intercettare l’immagine creata in principio di chiusa. Mentre nel secondo tempo poetico, Paul Muldoon, più che chiaramente, liscia il terreno sempre soffice d’un pensare oltre il vaghissimo ruggito della morte, scherzando effettivamente con questa. E sappiamo che amore e morte sono le tematiche della vita. Per lo meno del suo frangente letterario. Si legga Muldoon, infine, nonostante si debba nel contempo, oppure forse proprio per questa ragione ancora più specifica, riconoscere maggiormente quel maestro Sanguineti di “Ideologia e linguaggio”. In questi giorni che spremono il suo abbandono definitivo e infinito. In questi giorni che un Sanguineti letto da Muldoon o un Muldoon che legge Sanguineti ci fa innamorare costantemente delle poesia.
Il libro del giorno: Giro d'Italia. Gli eroi della bicicletta (Mattioli 1885). A cura di M. Ballestracci
"Scendo. Buon proseguimento" di Cesarina Vighy (Fazi editore). Intervento di Elisabetta Liguori
Mentre leggi non lo diresti affatto che Cesarina Vighy sia morta.
sabato 22 maggio 2010
Il libro del giorno: Quando cade l'acrobata, entrano i clown. Heysel, l'ultima partita di Walter Veltroni (Einaudi)
Io innalzo fiammiferi di Irene Ester Leo (LietoColle). Intervento di Nunzio Festa
Le parole di Irene Ester Leo, frammiste a passione immensa e universale con odore della terra di Sud, è molto semplice ma essenziale, almeno per alcune contemporaneità di contenuti, accomunarle fin da subito con i versi dell’indimenticabile ma sempre poco ricordata Claudia Ruggeri, non casualmente motore e ispirazione della Leo. Non basterà di certo, e non solo all’autrice, spiegare che le ciglia della Irene Ester Leo alimentano il Sud tutt’altro che melanconico o, come vorrebbero i critici oramai sempre più affermati, lagnoso.
venerdì 21 maggio 2010
Prossimamente per Manifesto Libri: Fenomenologia di ANTONIO DI PIETRO Pierfranco Pellizzetti
Il paradosso di un uomo intrinsecamente di destra (l'eroe di Tangentopoli, il fondatore e padrone dell'Italia dei valori) che lancia un'Opa sull'intera sinistra italiana come segnale di una crisi generale della politica nello stallo dei processi di modernizzazione del paese.
Il libro del giorno: Per l'alto mare aperto di Eugenio Scalfari (Einaudi)
Boing Generation di Luca Sacchieri (Edizioni della Sera). Un estratto
Pietro, tassista culturista, è aitante, equilibrato quasi in modo zen e amato dalla gente intorno a sé che non vede altra figura in lui se non quella del gigante buono. Rosco è un uomo attraente che è capace di amare e prodigarsi per la sua donna con una profondità e una premura di gesti e parole che sembrano d’altri tempi. Davor Crema è una rockstar di fama mondiale, che ama ciò che fa – la musica – e che viene costantemente ripagato da questa genuina passione che gli dona un’inesauribile scorta di combustibile emotivo. “Il narratore”, personaggio indolente di cui si raccontano le vicende in prima persona, sembra non riuscire a fare altro che lagnarsi, ma senza riuscire a prendersi mai sul serio (“...ero uno che si stava lamentando perché non aveva niente di cui lamentarsi. Quindi, un coglione.”). Vite queste, di gente più o meno realizzata, vite più o meno semplici, vite più o meno normali. Vite, comunque, tutte inattaccabili, come pretende la società odierna, che ti vuole senza punti deboli, in una gara che non sai nemmeno tu quando hai iniziano né perché e nemmeno cosa ci sia in palio. Ma noi le vediamo da fuori, le loro vite, da una distanza di sicurezza. E non ci stupiamo che siano così, poiché, vivendo in quella stessa società, sappiamo che sono il semplice prodotto di un determinato ambiente. Quattro varianti, su chissà quanto. Forse però sono proprio loro che vogliono farcele vedere così. Forse sono proprio loro che vogliono vederle così, le loro vite. Ma chi sono davvero Pietro, Rosco, Davor Crema e “il narratore”, loro lo sanno meglio di chiunque altro. Altrimenti per quale ragione, dopo pochi capitoli, Pietro si ritroverebbe a scarrozzare uno losco spacciatore e a sniffare cocaina con la Polizia che gli fa gli appostamenti sotto casa? Per quale ragione Rosco scaricherebbe l’ennesima ragazza, eliminandola dalla sua vita con la stessa facilità con cui la eliminerebbe dalla rubrica del suo cellulare? Per quale ragione Davor Crema, devoto fino alla morte a sua moglie e a sua figlia, verrebbe abbandonato di punto in bianco? Per quale ragione “il narratore” si ritroverebbe sul davanzale della sua finestra, pronto per buttarsi giù? Sull’orlo di un precipizio, per qualcuno più letterale, per qualcun altro un po’ meno, i quattro protagonisti si ritrovano quasi per caso (o per destino) nel taxi di Pietro con un solo scopo: andare. Andarsene. Ma non sarà un viaggio alla scoperta di nuovi orizzonti, nessuna romantica partenza alla ricerca di se stessi. Sarà la fuga istintiva da chi è braccato da un predatore più grande e affamato. Sarà la fuga animalesca ed ingenua di chi pensa di poter risolvere i propri problemi semplicemente mettendo più distanza possibile tra sé e loro. Ma, se c’è un qualche animale a cui l’essere umano può essere metaforicamente accostato, questo è il canguro. Quest’ultimo, di natura, nel marsupio di porta dietro la propria vita. Avete mai visto un canguro che va in giro lasciando a casa il marsupio? E per quanto si sforzeranno – Pietro, Rosco, Davor e “il narratore” – di frapporre asfalto tra loro e le loro vite quotidiane, per quanto proveranno ad allontanarsi da quello che sono, alla fine in un susseguirsi di tuffi nel passato si ritroveranno – loro malgrado – ad avvicinarsi a ciò che erano. E che li ha resi così. Un’infanzia comune, un amico “collante” che verrà a mancare, un progressivo allontanamento, una laboriosa costruzione di una propria corazza dorata, per una società fatta di specchi che ti vuole forte (più forte di chi ti sta accanto), ma al tempo stesso brillante, pieno di successi personali (almeno più di quelli di chi ti sta accanto). E poi droga, risse, rock, inseguimenti, scene talmente surreali da non poter essere che vere. Si ritroveranno faccia a faccia, i quattro canguri, con il loro passato, quello condiviso e quello personale. Merito o colpa proprio d quello stesso gioco di specchi che li ha allontanati l’uno dall’altro e sovraccaricati di frustrazione. Quindi si affronteranno, i canguri, tra loro e dentro di loro. E, finalmente, si accetteranno. Certo, per riuscirci servirà ritrovarsi in Australia (o meglio, Ausiralia: desolato paesino sperduto nell’entroterra italiano le cui insegne sotto vittime dell’umorismo scaccia-noia dei ragazzini del posto), ma in fondo sempre di canguri stiamo parlando. Servirà una notte lunga una vita, servirà cogliere un segno nel cielo ad un passo dall’ultimo salto, servirà la donna giusta al momento sbagliato, servirà improvvisare un concerto e passare una notte in cella. Ma tutto questo, alla fine permetterà un ritorno, lì dove nemmeno era stata prevista un’andata. E finalmente i canguri troveranno il coraggio per fare una promessa.
giovedì 20 maggio 2010
Il libro del giorno: Innocente di Scott Turow (Mondadori)
Dizionario di fate, gnomi, folletti e altri esseri fatati, di Katharine Briggs (Avagliano). Intervento di Nunzio Festa
Lo scrittore Riccardo Reim è sicurissimo nell’asserire come “la tradizione contadina afferma che si tratta di angeli caduti: non tanto cattivi per essere dannati, ma neppure abbastanza buoni per essere salvati… Del resto, la loro natura bizzarra sembrerebbe deporre a favore di tale ipotesi: sono capricciosi, incoerenti, stizzosi, lunatici, dispettosi, suscettibili, ma anche disponibili, simpatici, allegri e generosi – quasi mai maligni”. Un’informazione prima dell’uso nel vero senso della parola, quella di Reim. Una coincisa quanto essenziale noticina, poche righe e pennellate, che aumentano il desiderio d’entrare nel corpo del dizionario che fu stampato per la prima volta nel lontano ‘76; e che, coraggiosamente, Avagliano decide di mandare nuovamente in libreria in anni meno a disposizione di favole e fiabe. Che fate gnomi folletti dovrebbero essere, da quanto si capirà in seguito, proprio caratterialmente come con cura e meticolosità li descrive Reim. “Firbolgs: secondo un’antica tradizione, i primi abitanti d’Irlanda furono i Firbolgs che, in seguito, furono conquistati e confinati nell’Ovest dai Tuatha de Danann. I Firbolgs divennero, così, i primi esseri fatati dell’Irlanda, creature simili a giganti (Giants) di aspetto grottesco. Essi e i Tuatha de Danann possono essere equiparati ai Titani e agli dèi olimpici dell’antica Grecia”. Oppure: “Grateful Fairese (Gratitudine degli esseri fatati): Gli esseri fatati furono sempre gentili con coloro che prediligevano, generalmente per le buone maniere (Good maners) e la discrezione che questi mostravano nei loro confronti. Le fate usavano ringraziare sia con atti di pura cortesia sia con doni che portavano fortune e prosperità.(…)”. Le definizioni raccolta dal robusto dizionario possono essere descrizioni di ‘specie’ di fate o folletti come possono essere, addirittura, le descrizioni del carattere di questi, d’atteggiamenti, d’abitudini. Il dizionario della Briggs, corposa opera che lungo lavoro costò alla studiosa e ricercatrice inglese è la perfetta rappresentazione d’un vero e proprio mondo a parte. Se il tanto osannato, seguito, giustamente studiato Tolkien fu grandioso per aver inventato mondi su mondi e gnomi su gnomi, la Briggs ha creato un libro che il frutto d’un’interminabile operazione di scavo. Viaggiando su binari paralleli, le pagine di Katharine Briggs possono essere comunque unite a quelle, sicuramente più numerose, di Tolkien. Lo studio, lavorato da due attentissimi e fini traduttori, come si sono mostrati Casorati e Iovane, è indispensabile sia per i cultori di questo genere di ‘folklore’ sia per quante e quanti vogliono avere “informazioni” utili su terre solcate da esseri simili in tanto ai nostri monacelli. Eppure tanto diversi da noi brutti, sporchi e fetenti esseri umani.
Dizionario di fate, gnomi, folletti e altri esseri fatati, di Katharine Briggs, traduzione di Cecilia Casorati e Giovanni Iovane, con una nota di Riccardo Reim, con illustrazioni, Avagliano (Roma, 2009), pag. 495, euro 36.00.
mercoledì 19 maggio 2010
Il libro del giorno: Il viaggio d'inverno di Amélie Nothomb (Voland)
L'appetito vien leggendo
PROGRAMMA DELLE SERATE:
20 maggio ore 19.30: verrà presentata la casa editrice PENSA MULTIMEDIA con l’intervento del prof. Vito D’Armento e dell’autrice Katia DE ABREU CHULATA autrice del volume “Palavras”. Introduce Stefano Donno (appuntamento rinviato per i primi di giugno);
21 maggio ore 19.30: KURUMUNY con il libro di ANTONIO ERRICO dal titolo “Le ragioni della passione”. Presenterà l’autore Vito Antonio Conte.
22 maggio ore 19.30: presentazione del libro di Anna Maria DE LUCA dal titolo “Di Vento” (LUPO editore) e Compagnia intercomunale del Nord Salento.
23 maggio ore 19.00 :Il bar degli appuntamenti mancati” Reading musicale in duo tratto dalla raccolta di racconti brevi “Senza Storie”di Luisa RUGGIO (BESA Editrice)
Ore 20.00 BHOOMANS con il libro di poesie “Più luce” di LARA CARROZZO. L’autrice sarà presentata da Rossella Bufano della rivista culturale Ripensandoci.
Titania – Brand Consulting
di Pizzi Alessandra
Via Pasquale Cecere, n. 1
73100 Lecce
tel/fax +39 0832393212
I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno
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