Cerca nel blog

venerdì 9 aprile 2010

Richard Brautigan, IL GENERALE IMMAGINARIO. Traduzione: Enrico Monti (Isbn Edizioni). Intervento di Marco Montanaro




















Curioso il destino editoriale di Richard Gary Brautigan in Italia: proprio lui, capace di giocare sul culto dell’immagine quanto una popstar, viene riportato qui da qualche anno grazie alle copertine bianche di Isbn. E così, dopo American Dust, Una donna senza fortuna e Il mostro degli Hawkline, la casa editrice di Massimo Coppola ripropone Il generale immaginario, già approdato in Italia nel 1967 con traduzione di Luciano Bianciardi. 1967: Richard Brautigan non aveva ancora sfondato con lo psichedelico Pesca alla trota in America e il suo primo libro, quello di cui stiamo parlando, non aveva certo venduto milioni di copie. Dunque un oggetto misterioso nel Belpaese, e censurato: stando alle parole di Enrico Monti, attuale traduttore – e riscopritore – di Brautigan*. Ne Il generale immaginario, soprattutto nelle ultime pagine, c’è un bel po’ di materiale erotico che all’epoca dovette apparire troppo osé. O forse no: forse, come spiega lo stesso Monti nella nota finale, la stessa Rizzoli credeva poco in Richard. Tant’è che la traduzione non venne neppure firmata. Poi, negli anni successivi, con l’approdo di Brautigan alla Marcos y Marcos, nuovi traduttori, tra cui il fedelissimo di Carver, Riccardo Duranti (maledetto sarà Carver e il minimalismo, per Brautigan) e Pietro Grossi. Fino, appunto, a Enrico Monti, che ha adesso l’opportunità di metter mano a ciò che di Brautigan è ancora inedito in Italia. Partendo dalla fine, dagli ultimi romanzi, si è detto, e giungendo adesso all’esordio assoluto.

Lontano ancora dalla psichedelia di Pesca alla trota, questo Generale anticipa molti temi e soluzioni stilistiche che torneranno presto in Brautigan; lontano anche dalla disillusione decisamente poetica delle ultime prove, l’autore può permettersi di donare al protagonista Jesse una leggerezza che solo all’inizio degli anni della controcultura hippie riuscì ad apprezzare in pieno. E così viaggiamo col protagonista per Big Sur, luogo mitico dell’America beat e qui sogno di libertà ma anche posto desolatamente vuoto. In cui si dorme tra il deserto e le balene che nuotano nel Pacifico. In cui Jesse vivrà di niente («le parole sono fiori di niente» scriverà Brautigan anni dopo) insieme al folle Lee Mellon. Mellon, convinto di discendere da un generale dell’esercito confederato durante la Guerra di Secessione, è un vagabondo: con dei denti mobili in bocca. Un tipico personaggio alla Brautigan. Folle, sì, ma molto razionale di fronte alle assurdità della vita da strada. Con Mellon Jesse libererà uno stagno dalle rane accarezzando alligatori, per dirne una. Con lui conoscerà una bellissima donna – Brautigan si conferma maestro nel descrivere la bellezza femminile – e un assicuratore scemo che dorme legato a un tronco. Jesse stesso, di notte, nella capanna costruita da Mellon, si metterà a contare i bulloni dell’Ecclesiaste – cioè tutti i segni d’interpunzione del libro contenuto nel Vecchio Testamento.

Tra la follia, la leggerezza e la malinconia dei mille finali aperti, c’è già la sostanziale assenza di trama che caratterizzerà in un modo o nell’altro ogni lavoro di Brautigan. Che nei suoi romanzi è – appunto – procedere per lampi di poesia. Insieme all’ironia continua, spiazzante, che collega pianeti ed epoche lontanissime – del resto, cosa c’entra la Guerra di Secessione con Big Sur?

Marco Montanaro

www.malesangue.wordpress.com

un’intervista a Enrico Monti:

http://malesangue.wordpress.com/2009/05/12/enrico-monti-richard-brautigan-me/

giovedì 8 aprile 2010

Il libro del giorno: Inchiesta sul cristianesimo di Corrado Augias e Remo Cacitti (Mondadori)

Che cosa è accaduto dopo la morte di Gesù e com'è nata la religione che da lui ha preso il nome? Fino a che punto gli storici, esaminando fatti e testi e prescindendo da ogni considerazione di fede, possono ricostruire gli avvenimenti che hanno trasformato quel profeta umiliato, ucciso su un patibolo romano, nel fondatore di una delle più grandi religioni? Gesù non ha mai detto di voler fondare una Chiesa che portasse il suo nome, né di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamo ed Eva, ristabilendo l'alleanza tra Dio e gli uomini. Non ha mai detto di essere nato da una vergine che lo aveva concepito per intervento di un dio. Da dove viene allora tutto il complesso apparato di norme, cariche, vestimenti, liturgie, formule, che caratterizza la Chiesa che a lui si richiama? Corrado Augias si confronta e dialoga sulla storia del cristianesimo delle origini con lo studioso Remo Cacitti. Una complessa avventura umana che ha il suo punto di svolta nella figura dell'imperatore Costantino, il primo a trasformare il cristianesimo in uno strumento di potere, opera che sarà poi completata, al termine del IV secolo, da un altro imperatore, Teodosio, che lo renderà religione imperiale. Grazie a questa documentata ricostruzione si giunge a comprendere perché la fede cristiana, che inizialmente era soltanto una corrente minoritaria del giudaismo, sia riuscita a sopravvivere per oltre venti secoli e a imporsi come una delle religioni più diffuse sull'intero pianeta.

Tre secondi di Börger Hellström e Anders Roslund (Einaudi, Stile Libero)

A chi si sente in fatto di libri un palato difficile, o meglio un lettore forte, questo libro può essere definito con una sola parola scontato. Certo è, che se si superano le prime dieci pagine, e devo dire non a fatica, allora si viene catapultati in uno splendido prodotto pop, che rispecchia i canoni della serialità televisiva - d’eccellenza naturalmente - (quella che non ti fa perdere una puntata di C.S.I o di Fringe), e le peculiarità di una lettura godereccia che genomaticamente e di diritto entra a far parte del nostro immaginario collettivo di pubblico occidentale. Le poche scene estremamente violente non disturbano, anzi ti inchiodano ancora di più al libro. La storia viene impreziosita da una foltissima selva di particolari, e da una ricercata eleganza nel delineare i profili psicologici dei protagonisti. La Svezia per molti è un luogo ideale, sotto qualunque punto di vista. Quando si pensa a questo paese, subito saltano alla mente, città piene di vita, panorami infiniti, una natura bellissima, una politica (la Svezia è una monarchia costituzionale) che ha sempre creduto nella pace e nella neutralità della propria nazione, che ha uno standard di vita invidiabile. Insomma la Svezia può essere un luogo da cui prendere tanti spunti su un modo di vivere così diverso dal nostro ma così chiaro e terso da renderlo fortemente desiderabile. Tutto splendido certo, ma non sembrano d’accordo i due autori di “3 secondi” per i tipi di Einaudi Stile Libero: Börger Hellström e Anders Roslund. Piet Hoffman, nome in codice Paula, fa da molto tempo l’infiltrato per la polizia svedese. Tipica incarnazione dell’uomo qualunque, o meglio dell’uomo standard-medio, che vive per sua moglie e che puntualmente ogni giorno accompagna a scuola i suoi due bambini. La sua missione è quella di sgominare un traffico di stupefacenti griffato “mafia dell'Est”, e pertanto deve fingere di essere un criminale in un carcere di massima sicurezza. Come nella migliore tradizione in questo genere letterario, l’inghippo è dietro l’angolo, e Piet, totalmente solo, braccato a ogni passo, sembra in un vicolo cieco: o diventare un criminale se vuole proteggere la sua famiglia, o morire. Ewert Grems, il vecchio commissario “testardo come un mulo” di Stoccolma, è una delle tante figure che popolano le pagine di questo libro, accanto a poliziotti che si addestrano in America, killer senza nomadi, criminali polacchi all'assalto dell'Occidente, politici avidi e senza scrupoli. Il lato più oscuro della società alza un muro impenetrabile, davanti a un uomo solo, alla sua paura.

Börger e Roslund ci fanno conoscere il lato oscuro di un paese come la Svezia, da sempre considerata la patria della legalità e della tolleranza, e che ci fa provare sulla nostra pelle uno straziante senso del pericolo, grazie ad un intreccio narrativo condotto superbamente.

mercoledì 7 aprile 2010

Il libro del giorno: La fabbrica del mondo di Luigi De Luca (Lupo editore)

La realtà, indipendentemente dal ‘modello’ filosofico impiegato nella sua estrinsecazione, altro non è che una serie di immagini differenti che si stratificano, si creano e vengono distrutte davanti a noi. Non esiste quindi un Mondo, bensì differenti mondi che si intersecano e con cui ogni uomo si trova a fare i conti, se si intende la sua singolarità come incrocio di queste complementarità. Le differenti immagini e i differenti modelli sono quindi restituiti a seconda che l’approccio sia quello del lavoro, della storia, dell’economia, della comunicazione di massa, dell’arte, della scrittura, e così si potrebbe proseguire all’infinito. Tanto per fare un esempio, alcune sfaccettature di un sottosistema della cultura, quale può essere quello della letteratura, sono incomprensibili a chi ’sposi’ altri modelli; così come accade d’altro canto che fenomeni mass-mediatici vengano assurti a fenomeni culturali e fenomeni economici. Questi sono soltanto alcuni dei temi che trovano trattazione e spunto in questo bellissimo saggio che ‘si legge come un romanzo‘, nella misura di una trattazione piana e dal taglio divulgativo di un argomento affascinante e, di norma, relegato agli studi degli specialisti. Luigi De Luca nella presentazione che si terrà venerdì prossimo a Cursi sarà affiancato da Pier Giorgio Giacchè, Giovanni Albanese, Silvio Maselli e da Cosimo Lupo, il tutto con la moderazione della giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno, Gloria Indennitate; un’occasione per approfondire il pensiero di un autore che – come vicepresidente dell’Apulia Film Commission – si trova quotidianamente ad affrontare il legame tra la cultura e i suoi luoghi, tra il fare mondi e interpretare gli stessi.

La fabbrica del mondo
Politica ed Economia della Cultura
nell’Epoca della Globalizzazione

di Luigi De Luca

Venerdì 9 aprile alle ore 19, presso l’ex fabbrica tabacchi di Cursi, verrà presentato il libro La fabbrica del mondo. Politica ed economia della cultura nell’epoca della globalizzazione (Lupo editore), di Luigi De Luca. Nel corso del dibattito, moderato da Gloria Indennitate (giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno), interverranno alla presenza dell’autore:

Pier Giorgio Giacchè, antropologo;
Giovanni Albanese, artista e regista;
Silvio Maselli, direttore Apulia Film Commission;
Cosimo Lupo, editore.

Fabbricare mondi, attraverso le arti, la letteratura, la scienza, il pensiero, è la pulsione propria degli uomini. Parte da questa constatazione lo studio di Luigi De Luca che, nelle pagine del volume, analizza il contesto storico e la genesi del processo creativo, attraverso una ricerca che mette a confronto, oltre ai capisaldi, la letteratura più aggiornata sull’argomento ma anche la personale esperienza dell’autore, che da oltre vent’anni opera nel campo della cultura e delle istituzioni. In questo saggio, edito da Lupo editore, la narrazione intreccia storia sociale ed economica, politica e cultura, mettendo in scena attori e variabili che, a prima vista, potrebbero apparire in conflitto tra loro. Per questo motivo, La fabbrica del mondo è un “serbatoio di conoscenze” dove fonti specialistiche e nuove prospettive costituiscono gli ingranaggi di una ricerca che, a partire dal Rinascimento e sino ai nostri giorni, pone sotto una lente d’ingrandimento la natura della creatività, i mondi reali o possibili che prendono corpo nelle opere degli artisti, nei copioni teatrali e cinematografici e, in particolare, nella rete dei nuovi media. In anni di forte “spaesamento” e decadenza, in cui città ideali e biblioteche hanno ceduto il passo a cyber spaces, De Luca in questo primo lavoro si interroga sulla funzione etica dell’arte e sul ruolo dell’intellettuale negli anni della globalizzazione, in cui “disordine” e “metastasi mediatiche” sembrano prendere il sopravvento sui contenuti. Eppure un nuovo umanesimo è possibile ne La fabbrica del mondo, un saggio capace di appassionare come un romanzo e di parlare a un largo pubblico, non solo di addetti ai lavori.

L’autore

Luigi De Luca si è laureato presso l’Università degli Studi di Bologna con una tesi in semiologia dello spettacolo ed ha iniziato la sua carriera professionale come organizzatore teatrale per il Teatro Pubblico Pugliese di cui, successivamente, ha ricoperto la carica di membro del consiglio di amministrazione fino al 2006.
È stato responsabile dell’ufficio cultura e dirigente del servizio politiche giovanili, integrazione e pace della Provincia di Lecce.
Dal 2000, è direttore dell’Istituto di Culture Mediterranee per il quale ha curato diversi progetti di cooperazione culturale oltre alla rassegna di arte, musica, cinema, teatro, letteratura, Salento Negroamaro, dedicata alle culture migranti.
É anche vice presidente della Fondazione Apulia Film Commission e componente della Consulta Territoriale per le Attività Cinematografiche. Ha rivestito per lunghi anni l’incarico di assessore alla cultura e sindaco del comune di Cursi, in provincia di Lecce dove tutt’ora vive.

La fabbrica del mondo, politica ed economia della cultura nell’epoca della globalizzazione è il suo primo saggio.


fonte Luciano Pagano

Da Il secolo plurale per Avagliano a Recensire di Massimo Onofri per Donzelli. Intervento di Nunzio Festa



















“Il secolo plurale”, aggiornato dopo quasi dieci anni – era già pubblicato presso Zanichelli nel 2001 (ma con titolo privo del termine “novecentesca” a chiudere dopo “letteraria”) - , è un volume indispensabile per chi voglia cogliere o raccogliere argomenti e letture del Novecento; per quanti pensano sia giusto non lasciare all’accanimento della polvere e/o alle tiritere di qualche specialista d’occasione e occasionale opere nate e tutt’al più persino vissute in uno dei secoli di maggiore interesse. Oppure avere il vero peso dei grandi nomi dei cento anni recentemente accantonati dal calendario. Come una più datata, il libro è uscito nel 2008, opera del critico letterario Raffaele Manica (Gaffi, 2007), mi riferisco a “Exit Novecento”. Avventura che citiamo in quanto amata, giustamente, dallo stesso Onofri. Massimo Onofri, firma storica di “Diario”, e di tanti cartacei oltre che docente universitario a Sassari, al momento è uno dei più lucidi, oltre che autorevoli, critici che abbiamo a disposizione sullo scenario nazionale. Con “Recensire”, per esempio, lo stesso autore qualche anno prima aveva dato consigli utili sull’arte della recensione. Tanto per dire. Un manuale: ma definire quel manuale quel è ovviamente tutt’altro che rispettoso, più che riduttivo. Che, per esempio, in “Recensire. Istruzione per l’uso” si legge lo stato d’animo, allo stesso tempo, e la forma, in più, della critica letteraria d’Italia. Però vorrei partire da “Il secolo plurale. Profilo di storia letteraria novecentesca”. La ‘trama’ dello studio è tutta lineare. La trama della ricerca è, molto evidentemente, portatrice d’un filo che mantiene l’uscita dall’Ottocento con gli ingressi nel Novecento pure artistico o anche – ad accenni – politico, per finire nell’ultimo lembo d’un secolo che naturalmente cade in quello che viviamo adesso. Con fonti e strumenti inconfutabili, se soprattutto gli strumenti possono essere elemento vergato di soggettività, Onofri spiega dove realmente prende piede il Novecento delle Lettere e non solo. Della lettura. Eppure non solamente della Letteratura. O dello scrivere. Chiaramente viaggiando nei semi di Freud (la psicanalisi tutta e la sua importanza) – a servizio tanto per citare di scrittori e pittori. Il Decadentismo, termine interamente della ‘Critica’, e il fascismo con le sue adesioni, ‘tragiche’ e piene; che sempre hanno condizionato. Dopo circa un centinaio di pagine d’ambientazione e di disegno della storia, Onofri legge per intiero Pirandello Svevo Tozzi. Le riviste, in special modo, dei primi decenni appunto del Novecento e ad andare avanti. Massimo Onofri, tra le personalità che preferisce senza dubbio ci mette un Borgese. E altri nomi della letteratura dell’Italia. Che spesso sono riferimenti di quella europea e a volte altro ancora. Fra i maggiori meriti di Onofri, senza dubbio, l’esposizione priva di complessità delle differenze più spaventose ricorrenti tra realismo e sperimentalismo. Fra gli esempi più fascinosi, per così dire, i brani che ‘presentano’ o trattano figure quali Pasolini, amatissimo ci pare di capire dall’autore dell’opera, Zanzotto e altri difficilmente raggiungibili. Con “Recensire”, dove è possibile per giunta incontrare alcuni incroci proprio con l’ultima pubblicazione del critico, senza mezze misure posso dire che è facile comprendere che si deve fare per comporre una buona recensione, cosa non si deve fare. Passando in mezzo a esempi d’ottimi scritti e a ipotesi di recensioni pieni di pecche e, finanche, tutt’altro che recensioni. Fra le curiosità, oltre che ovviamente grazie all’analisi d’una incontrovertibile società letteraria dei tempi del consumo spietato, i brani che offrono piccole battaglie con critici di scarso valore oppure destinati a produrre come a gonfiarsi del proprio nome. Ma allo stesso tempo quei brani che risentono di doni necessari a critici inattaccabili, a veri e propri maestri della critica letteraria: un Cases su tutti. Questi due saggi di Massimo Onofri offrono materiale e soprattutto materia che i tanti e le tante che vogliono dedicarsi almeno a una lettura pienamente consapevole e che preveda l’obiettivo di scriverne per terzi non possono far finta di non vedere. I due saggi, con qualche sostanziale differenza, si servono delle abitudini della storia letteraria e del presente, onorando un legame imprescindibile con l’amore dello scrivere. In contrasto ai massimi luoghi comuni, ai loro non umili rappresentanti di sempre.


martedì 6 aprile 2010

Il libro del giorno: L'albero delle lattine di Anne Tyler (Guanda)

Quando la piccola Janie Rose Pike muore, a sei anni, per un banale incidente, il microcosmo della lunga casa trifamiliare dal tetto di latta che ospita la sua famiglia, le signorine Potter e i due fratelli Green sembra scombussolato per sempre. Il dolore di ciascuno e il senso di impotenza di fronte alla sofferenza degli altri alterano gli equilibri, riportano a galla vecchie ferite, mettono a nudo paralisi emotive ormai croniche. Ma Simon, il fratello maggiore di Janie Rose, è solo un bambino: ha bisogno di attenzioni, di qualcuno che giochi con lui e lo aiuti a ricordare, a integrare in quel presente desolato gli oggetti, i frammenti di memoria legati alla sorella che - per quanto strano e innaturale - le sopravvivono, si riaffacciano immancabilmente proprio quando, per un momento, si era riusciti a non pensarci. Un particolare rimasto intrappolato per sbaglio in una fotografia, un francobollo italiano, delle lattine appese a un albero spelacchiato che tintinnano al vento... Ed è proprio l'ostinato istinto vitale di Simon, la sua determinazione a cercare una via di fuga, a scuotere gli adulti dal proprio dolore, a ricordare loro che "l'aspetto più coraggioso degli uomini" è che "continuano a voler bene alle creature mortali anche dopo avere scoperto che esiste la morte", e a riunirli in un inatteso festeggiamento corale, tenero e solenne.

Le volpi vengono di notte di Cees Nooteboom (Iperborea)













Partire da una fotografia per raccontare i tracciati biografici di persone che sono a noi vicine o perfetti sconosciuti, significa andare oltre una semplice riflessione ad alta voce sui destini che spesso ci sfiorano nella vita di ogni giorno, e che per la maggior parte delle volte rimangono pure entità fantasmatiche di cui non conosceremo mai nulla. Si parte dai simboli e dai gesti quotidiani anche piccoli e insignificanti, per arrivare a costruire un quadro quanto più chiaro possibile di ciò che circonda, vive, respira in una dimensione narrativa che attinge fortemente la sua linfa creazionale dal reale. E’ questo ciò che fa Cees Nooteboom, uno dei più interessanti scrittori olandesi contemporanei, che dopo il successo di "Rituali" e de "Il Canto dell’essere e dell’apparire", torna sugli scaffali delle librerie italiane, e gli auguriamo di trovarsi presto nella top ten dei libri più venduti, con "Le volpi vengono di notte" (Iperborea), opera vibrante e intensa. Si tratta di otto racconti in cui la fotografia è la protagonista a tutto tondo delle vicende narrate in queste pagine, una specie di promemoria iconografico attraverso il quale l’innesco della finzione narrativa sblocca frammenti di vite perdute, vetrificate nel ricordo, nel dettaglio di un particolare. La geografia delle voci presenti si slarga dalla Liguria alla Spagna a Venezia, e l’atto magico che infonde concretezza e vigore a tutto l’impianto è una profonda riflessione dell’autore sul Nulla, qualcosa di cui – sembra suggerirci Nooteboom – tutti conosciamo l’esistenza, ma a cui difficilmente rivolgiamo più di qualche minuto delle nostre riflessioni. Per il grande Borges non si trattava di altro che un effetto dell’attitudine alla perplessità.

Passiamo un po’ in rassegna i ritratti che ci appaiono negli otto racconti brevi popolati da tanta irrequietezza e nostalgia: abbiamo Heinz, console in un piccolo paese della Liguria a strapiombo sul mare che continuamente “smarrisce la strada” in preda ad un eccesso di vitalismo tra litri di gin “anti-depressivi” e il sogno di trasferirsi sull’isola di Tonga; oppure un critico d’arte che torna a Venezia dopo molti anni inseguendo un suo capriccio tra le stelle. A mio avviso però la più bella creatura partorita dall’autore, è Paula, figura sensuale e sfrontata, un tempo iperbolica copertina del patinatissimo Vogue, poi insuperabile giocatrice d’azzardo e femmina fatale che fa perdere la testa a tutti. Una storia dove “l’al di là” perseguita “l’al di quà” senza posa e tregua, quasi a voler dimostrare come in fondo il gesto del dilatare il tempo della morte sia una modalità alternativa e diversa di scrittura della vita stessa. In fondo Roland Barthes diceva che una fotografia rappresenta l’impotenza di dire ciò che è evidente, e la letteratura nasce proprio intorno a un’immagine mancante, a un ricordo ancora vivo. Come non dargli ragione, anzi una sacrosanta ragione!

Cees Nooteboom è nato all’Aja nel 1933. Autore di romanzi, poesie, saggi, opere teatrali e resoconti di viaggi, è anche traduttore di poesia spagnola, catalana, francese, tedesca e di teatro americano. Dopo il brillante esordio a soli 22 anni con Philip e gli altri, ha raggiunto il successo internazionale con Rituali e Il canto dell’essere e dell’apparire. Iperborea ha pubblicato altri sei romanzi, tra cui La storia seguente (che gli è valso il Premio Aristeion della Comunità Europa e il Premio Grinzane Cavour 1994), Il Giorno dei Morti, Perduto il Paradiso. Nooteboom è inoltre vincitore del Premio Europeo di Poesia 2004.

lunedì 5 aprile 2010

Il libro del giorno: Autobiografia spirituale di Tenzin Gyatso (Dalai Lama) edito da Mondadori



















Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai Lama, ha settantaquattro anni, "ma la sua coscienza si estende per sette secoli di storia". Collocandosi in una linea di reincarnazione che risale al 1391, la sua esistenza costituisce un ponte tra passato e futuro, e assume una dimensione universale che ha valore per l'intera umanità. Ecco perché questa "autobiografia spirituale" rappresenta un evento che consente a ognuno di noi non solo di conoscere una personalità d'eccezione nella sua ricchezza e complessità, ma anche di diventare più consapevoli della nostra condizione attuale, per migliorarla e preservare così l'avvenire delle generazioni più giovani. Trasformarsi per trasformare il mondo, questo è l'insegnamento che il Dalai Lama intende trasmetterci attraverso la propria esperienza di uomo, di religioso, di capo spirituale. Il Dalai Lama parla di se stesso, rievoca i ricordi d'infanzia, gli aneddoti, le gesta delle sue vite anteriori, ricorda le figure dei predecessori, si sofferma sulle difficoltà della condizione di esiliato, sul suo ruolo pubblico e sull'impatto che ha in ambito internazionale. Senza mai dimenticare i tre principali impegni della sua missione: come essere umano riafferma l'importanza di sviluppare le qualità del cuore per il bene di tutti; come monaco buddhista esorta al dialogo con le altre religioni, con i non credenti e con gli scienziati; come Dalai Lama, in prima linea per la causa tibetana, promuove una politica tesa all'altruismo e alla solidarietà.

"Come polvere o vento" di Alda Merini (Manni editore)

Era una calda serata d’agosto di qualche anno fa ed io con mia madre (che aveva una personale allo studio D’Ars di Milano) andammo a trovare Alda Merini a casa. I suoi occhi erano di una dolcezza e profondità che lasciavano senza parole. Le parole uscivano dalla sua bocca come brezza lieve, quasi avessero dovuto accarezzare il nostro viso. Ci aprì il suo medico mentre lei ci attendeva in una stanza fatta di tutto, di tanto caldo, di tanta vita e di una miriade di piccoli oggetti sparsi un po’ in giro senza ordine. Mi vennero in mente brani di Gozzano, chissà perchè. Sfogliò il catalogo delle opere di mia madre definendo i suoi rossi pieni di forza .L’ incontro era stato preceduto da alcune telefonate e come sempre ogni giorno erano diverse. Un giorno era come se ci avesse conosciuto da una vita, altre volte ci trattava come dei perfetti estranei. In quell’occasione scambiammo poche parole perché non stava bene ma furono attimi molto intensi. Ora da qualche mese Alda Merini non c’è più, la grande poetessa già grande nel suo esordio a quindici anni, la generosa e immensa donna della poesia italiana, che ha conosciuto e frequentato personaggi del calibro di Salvatore Quasimodo, l’editore Giovanni Scheiwiller, Luciano Erba e tanti altri ancora, ha lasciato un vuoto profondo nella cultura di questo paese. Il mio non vuole essere uno dei tanti “coccodrilli”, ma una mia personalissima dedica al profumo e alla bellezza di questa donna meravigliosa. La Merini è stata inserita in importanti antologie, ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti e apprezzamenti di pubblico e critica, e si è ritagliata uno spazio più che consono nella poesia italiana del secondo novecento. E’ inutile ricordare che una malattia mentale la costrinse ad essere per molte volte ospite di istituti manicomiali. La sua poesia, nella sua compulsiva produzione poetica, è stata sempre un modo di chiedere alla vita un adeguato “risarcimento danni”, e dunque dalle sue voglie di discesa agli inferi sino alle estasi misticheggianti (che principia da Frassinelli nel 2000 con " L'anima innamorata ") la sua testimonianza in versi rimane sempre un’eterno sì alla vita. La casa editrice Manni sostiene di aver ritrovato ben 60 poesie che la Merini aveva mandato alla casa editrice salentina negli anni ’80, su suggerimento di Maria Corti, amica di Anna grazia D’Oria e Piero Manni. Poesie mai pubblicate, trovate magari sotto pile di polvere negli archivi dei manoscritti della casa editrice, e magari all’epoca qualche scheda di lettura la qualificava come non sufficientemente corposa per la pubblicazione. Ad ogni modo “Come polvere o vento”, è un testo gustosissimo che raccoglie poesie scritte tra il 1984 e il 1987, tra il soggiorno a Taranto e il ritorno a Milano, e si compone di cinque parti. Si tratta di liriche meravigliose, tre le più intense e passionali, che toccano tutti i suoi universi interiori dall'amore al disagio mentale, alla solitudine. Un libro tra i più significativi di Alda Merini, curato e introdotto dal critico letterario Giulio Ferroni.

domenica 4 aprile 2010

Il libro del giorno: AA.VV., I prepotenti (Lupo editore)



















Una storia lieve, immagini colorate e un ritornello che entra in testa per non uscirne più. Ecco I Prepotenti, primo titolo della collana di albi illustrati TrentatréperTrentatré, pubblicata con UnduetreStella in collaborazione con l’IED di Milano e il patrocinio di Unicef e Amref. Un progetto editoriale di ampio respiro nato per raccontare ai bambini le grandi questioni del tempo in cui viviamo. I Prepotenti affronta il tema dell’Acqua come risorsa preziosa. Una fiaba scritta, illustrata e musicata a più mani, quelle di Massimo Baroni, autore della storia, di Maddalena Gerli (illustratrice), di Gianluca de Rubertis e Lucia Manca autori di Non Ruberò le Nuvole, brano musicale ispirato al racconto e allegato all’albo.

Contiene cd audio con il brano inedito Non Ruberò le Nuvole e la fiaba recitata da Lea Barletti e Cecilia Maffei.

Amy e Isabelle di Elizabeth Strouth (Fazi editore)

Questo libro può utilizzare tre carte sul tavolo da gioco per essere un “best winner”: l’ha pubblicato Fazi, è dell’immensa Elizabeth Strouth (una delle più illustri esponenti dell’America Wasp), e la traduzione è a cura della bravissima Martina Testa. L’autrice è vincitrice del Premio Pulitzer 2009 con il romanzo Olive Kitteridge, ma Amy e Isabelle ora pubblicato in Italia, è stato il suo esordio nel 1998. Siamo nel Maine, in una cittadina anonima di un’anonima provincia americana, mentre fa caldo, molto caldo, un caldo torrido e soffocante, che ti fa appiccicare gli abiti come carta moschicida e ti debilita sino alla parte più recondita di te. Sullo sfondo un piccolo universo fatto di donne, impiegate negli uffici di una fabbrica locale: una di queste Isabelle, bella giovane e aitante, vive giorno per giorno dietro una facciata di falso decoro e perbenismo, immersa in una grande palude d’ipocrisia, pur di nascondere il suo terribile passato.
Tipico insomma di tutta un’antropologia del periferico, ricchissima di segreti, ma dove le rimozioni e le menzogne la fanno da padrone. Poi c’è Amy, la figlia, una “timida” adolescente che nasconde dentro se stessa un abisso che sta per esplodere. Tra le due donne i rapporti non sono dei migliori, molti non-detti infestano la loro esistenza, e ad aggravare le cose si mette anche una pesante incomprensione dovuta a rimpianti e rimorsi della madre, che scopre oramai di non poter irrimediabilmente tornare indietro.
In una notte poi i loro destini saranno totalmente sconvolti. Una sola maledetta notte dopo la quale niente sarà più come prima. La Strouth in questo vero e proprio capolavoro della letteratura internazionale, ci insegna che non esiste arena di combattimento più atroce e sanguinaria che quella che si cela tra le quattro mura domestiche. Poi ci lascia scoprire, con levità, pagina dopo pagina, come il sesso sia al centro del romanzo: il lettore scopre una Isabelle che da tempo non è stata a letto con un uomo, frustrata e gelosa di una figlia sessualmente già attiva. Un libro dove il punto di vista e' senza ombra di dubbio al femminile, perche' racconta di una madre e di una figlia, delle donne che lavorano negli uffici, delle loro chiacchiere, dei loro litigi. Un libro che anche se mette in secondo piano gli uomini, tuttavia si fa amare anche da questi, perché realmente ne descrive la loro intimità più profonda, e inconfessabile, ovvero quella caratterizzata da una certa mancanza di coraggio nell'affrontare le situazioni. Si pensi a Robertson, l'insegnante di cui Amy si invaghisce perdutamente, ad Avery Clark, idolatrato da Isabelle, al marito di Dottie Brown che la abbandona dopo un'isterectomia. Un’America quella descritta dalla Strouth, fatta di piccole citta' in cui gli incubi peggiori sono quelli della porta accanto.

sabato 3 aprile 2010

Il libro del giorno: Nessuno si muova di Denis Johnson (Mondadori)

Jimmy Luntz, spiantato cantante in un coro e scommettitore accanito, è in fuga inseguito da minacciosi creditori. Juarez, un usuraio arabo che si finge messicano, presta soldi che Gambol, "un uomo alto e triste, con una testa molto grossa", è incaricato di riscuotere: insieme hanno divorato i testicoli di un debitore che si rifiutava di pagare.
Anita Desilvera, incarnazione della femme fatale, nello spazio di un mattino si scopre "vagabonda, criminale e futura divorziata", incastrata dal marito e da un giudice corrotto per "appropriazione indebita di due virgola tre milioni di dollari". I quattro si incontreranno sulle strade periferiche della California, e la ricerca frenetica dei soldi innescherà una reazione a catena di tradimenti, vendette e omicidi.

Sai dove impiccano la notte? di Dino De Mitri (Palomar)


















16.
i tg dicevano "stanotte in America alle
quattro sarà giustiziato un uomo di colore
che si dichiara innocente" non riuscivo
a dormire adolescente aspettavo
le quattro m'immaginavo la radiocronaca
attimo per attimo dell'esecuzione
con gli applausi alla fine - al boia

La casa editrice Palomar pubblica il primo lavoro di Dino De Mitri, dal titolo "Sai dove impiccano la notte?" (pp. 96, euro 9), un Romanzo in 146 stanze con un sottotitolo che è tutto un programma: Videoclips, sbronze mistico-pulp, black bloc e tremodia rock. Non saprei se definirlo un romanzo o meno, ma quello che colpisce è senza ombra di dubbio una scrittura post-cyberpunk, dove scompare il senso di un qualsivoglia Io narrante, e prevale la massificazione mediatica della coscienza. Libro "arrabbiato" sotto ogni punto di vista, visionario, psico-cosmico, scrigno radioattivo di una lingua abitata da una desolazione pervasiva e onnipresente. È un romanzo irriverente, quello di De Mitri, con l'entusiasmo dell'ibridazione umano-cyborg più visionario e poetico. La trama è semplice: la cattura e la detenzione in una terra dismessa, Kolyma-City - un atroce lager-gulag-guantanamo - dove la vita ondeggia di memorie inutili e mostri di un futuro impronunciabile; l'esodo da un luogo che non sogna più nessuno. Dino De Mitri ha partecipato nel 2008 allla ventiduesima edizione del Premio di Poesia Lorenzo Montano e ha ottenuto una menzione di merito per la raccolta L'odore del mattino.

FINCHE’ AVRO’ VOCE di MALALAI JOYA (PIEMME)

Malalai Joya è una giovane donna di 34 annni afghana, che aveva solo quattro anni quando i russi invasero il suo paese, per la libertà del quale lotta ogni giorno con tutte le sue forze. Cresciuta in diversi campi profughi ha dichiarato di recente alla stampa italiana, come proprio in quei luoghi carichi di rabbia e paura, abbia avuto modo di imparare a leggere e scrivere, e abbia incitato allo studio quelle donne che ritenevano oramai finito il tempo dell’apprendimento, facendolo proprio attraverso i versi del grande Bertold Brecht. Malalai con grande sacrificio e col passare degli anni, riesce a fondare un orfanotrofio, divenendo molto popolare. Riesce, alle prime elezioni “libere”, ad ottenere un posto in parlamento, ma è solo simbolico, come simbolico è il ruolo dei 68 seggi tenuti da altrettante donne. Certo l’istruzione nelle città alle donne non è negata, ma non appena ci si sposta in provincia, la situazione è a dir poco tragica, tanto che spesso il suicidio diventa l’ultima via di fuga da un sistema socio-politico arretrato e a tratti disumano. Il libro parte dal momento in cui la sua famiglia si è rifugiata in Pakistan. Racconta la guerra civile negli anni Novanta, l’ascesa al potere dei talebani, la "guerra al terrore" degli americani, il crollo del regime talebano, dopo il quale Malalai, ha la possibilità di far parte dei delegati della Loya Jirga, il gran consiglio dell’Afghanistan che in teoria dovrebbe dirigere la nuova storia di quel paese. Dovrebbe, perché in realtà si ritrova accanto gli aguzzini di sempre. Un solo suo intervento dinanzi agli altri parlamentari ha trasformato la sua vita in un inferno. Ancora oggi Malalai è oggetto di continue minacce di morte e di continui tentativi di attentati, fino poi all’espulsione dal governo stesso avvenuta non molto tempo fa. Ormai vive una vita blindata, cambia dimora ogni giorno, gira con il burqa, proprio lei che lo combatte da sempre. “Finché avrò voce” è una cronaca di non facile lettura, che racconta i coni d’ombra di un paese ancora oggi ignoto a noi occidentali. Malalai usa le pagine del suo libro per fare i nomi dei talebani “riciclati” macchiatisi nel passato di delitti terribili, punta il dito sul Governo di Karzai, arrivato al potere con elezioni altro che libere, racconta le sofferenze delle donne afgane, parla della coltivazione dell’oppio favorita anche dagli Stati Uniti. Ed è proprio verso gli Stati Uniti che il grido di protesta di Malalai si fa più forte e contro la loro guerra al terrore, condotta contro quelle persone che in passato erano loro “alleati”. Il libro di Malalai è la fortissima protesta di un popolo calpestato, umiliato, messo in ginocchio, forse il tentativo di creare un ponte verso il futuro senza dimenticare o negare la storia e le tradizioni dell’Islam.


venerdì 2 aprile 2010

Il libro del giorno: Santo padre. La santità del papa da San Pietro a Giovanni Paolo II di Roberto Rusconi (Viella)

"Santo subito" è il grido che si è levato da piazza San Pietro a Roma mentre si celebravano le onoranze funebri di Giovanni Paolo II. Questo libro ricostruisce in maniera esaustiva il modo in cui nella Chiesa si è rappresentata la santità del papa, dalle origini a oggi, facendo ricorso alle fonti disponibili per le diverse epoche storiche: dalle scritture agiografiche ai processi di canonizzazione, dall'arte alla fotografia. Il volume getta così nuova luce sulla storia della Chiesa e sul rapporto tra sentire religioso, fama e riconoscimento della santità nel corso dei secoli. Se i papi dell'antichità cristiana godettero di un ininterrotto culto liturgico in quanto martiri, ben più rari furono in seguito i casi di pontefici canonizzati: nel corso del medioevo soltanto Celestino V, il papa del "gran rifiuto" dantesco, e per l'età moderna Pio V, il papa della vittoria di Lepanto contro i Turchi. Sarà il processo di secolarizzazione della società innescato dalla Rivoluzione francese a conferire ai pontefici un'aura di santità, in quanto nuovi martiri, così come la dissoluzione del potere temporale dei papi favorì la devozione per Pio IX, "prigioniero del Vaticano" dopo la breccia di Porta Pia. La crescente centralità attribuita dalla Chiesa alla figura del pontefice ha portato al riconoscimento di una sua personale santità, al punto che per quasi tutti i papi del secolo appena trascorso è stata avviata la beatificazione o la canonizzazione.

Sette piccoli sospetti di Christian Frascella (Fazi editore, collana le vele)



















Dopo aver ottenuto consensi di critica e riconoscimenti con “Mia sorella è una foca monaca”, Christian Frascella ecco che presenta al pubblico un romanzo spassosissimo e dolcemente tenero “Sette piccoli sospetti” (Fazi editore), che in maniera magistrale sa parlare delle paure inconsce e dei desideri che popolano quel mondo a parte che è l’infanzia, e che vuoi per un motivo vuoi per un altro ci portiamo dietro e dentro anche quando compaiono i primi capelli bianchi.
Corre l’anno 1985. In estate. Siamo nel sud italia. Sette ragazzotti, nella piccola piazza del paese, discutono di qualcosa animatamente. Motivo di tanta concitazione, la rapina del secolo che cambierà radicalmente i loro destini.

Dalla loro il fatto che è un’assoluta novità che ci siano rapinatori della loro età, nessuno ci ha mai pensato e soprattutto nessuno l’ha mai fatto, e dunque l’effetto sorpresa è garantito … In fondo cosa ci vuole per fare una rapina: basta dare un potente sonnifero alla guardia di turno e il gioco è fatto. Ma si sa, certe cose non vanno mai per il verso giusto, e quella che doveva essere la rapina “perfetta” fatta da uno sparuto numero di teppistelli da strapazzo ( nelle cui fila troviamo cazzeggiatori di professione, talenti calcistici e mini boxeurs desiderosi di prendere a pugni il mondo), passerà per una serie di circostanze nelle mani del ben più esperto e maturo bandito soprannominato il “Messicano”, che proprio come l’ “Innominato” del Manzoni – potentissimo e sanguinario signore – accende, per i suoi obliqui trascorsi, le fantasie dei sette ragazzini e dell'intero paese.

Devo dire che la cosa più desolante, (e qui sta la bravura esorbitante di Frascella, a cui piace la scrittura a tutto tondo quella che si può leggere totalmente senza la triste consuetudine post-moderna del doverla pure interpretare di sopra) è vedere come vi sia un sub-confine morale che appartiene a questi sette nani cafoncelli, brutti, sfigati, fatto di nulla, fatto di uno zero tondo come una palla. Insomma come una Coca-Cola che non vuole esserlo e dunque diventa una Coca-Cola Zero. E questo vale, per Billo, Corda, Ranacci, Lonìca, Letizia la Chiattona e tutti gli altri personaggi senza distinzione o preferenza alcuna. Non più finzione, lo fosse almeno. No, questa è la realtà, la nostra e di certa parte di ragazzini di oggi. Sono ben 348 pagine che si leggono d’un fiato, pullulanti di dialoghi sincopati e incalzanti. Un libro poco spavaldo, poco ruvido, anzi bellissimo dove pulsa una grande capacità letteraria che va oltre il mestiere puro e semplice.

giovedì 1 aprile 2010

Il libro del giorno: La Bibbia dei villani di Dario Fo (Guanda edizioni)

Esiste una Bibbia degli imperatori, splendidamente miniata, ed esiste, meno appariscente e meno nota, anche se non meno preziosa, una Bibbia dei villani. È la Bibbia dei contadini, degli straccioni, dei poveracci, che la tradizione orale e scritta di ogni regione d'Italia ci ha tramandato, e che Dario Fo e Franca Rame hanno scoperto in anni di ricerche sulle tradizioni popolari e ricreato sulla scena e, in una versione inedita e arricchita, in questo libro. Sono tabulazioni tragiche, miste al grottesco e alla sempre presente autoironia, inventate nei secoli dai siciliani, dai calabresi, dai napoletani e dai contadini di tutta la valle del Po. In questa Bibbia dei villani Dio è nella brocca del vino, nell'agnello che nasce o che stanno ammazzando.
Da sempre i villani mangiano Dio, lo amano e discutono con lui, perché sono certi che Dio sia il bene ma in parte anche il male, la vita ma anche la morte. Dio per loro è gioia ma anche sofferenza, godimento e pianto, sorriso e sghignazzo. Ecco perché la Bibbia dell'imperatore è solenne e spesso ridicola, mentre quella dei villani è commossa e piena di risate.

Aaa! di Aldo Busi (Bompiani)

















Aldo Busi ha una produzione editoriale degnissima e ricchissima, ed in ogni suo lavoro ha avuto il potere di conservare una freschezza e magia nella scrittura tali da entusiasmare i lettori. E di questo non gli si può non dare merito. Certo a qualcuno, a qualche militante severo, a qualche penna austera e impietosa, potrebbero sembrare piccole cose, un guizzo, un’immagine, un modo di porsi elegante nell’esprimere un concetto, un pensiero, uno stupore, un’invenzione, che lo scrittore di Montichiari mette nelle sue pagine. Ma, che cosa possiamo volere di più da una firma bella ed intrigante della nostra italica narrativa. Dopo ben tre anni, Aldo Busi ritorna per Bompiani con “Aaa!”, tre racconti mai piatti, spumeggianti, in una veste editoriale ridotta per formato ma che per il suo essere graficamente un bel ricordo di elementari d’antan, subito magari riporta la mente, e solletica la memoria, a deliziosi momenti delle nostre vite, quando si pensava a far volare gli aquiloni, e si faceva i girotondi con la nostra maestra. In queste 162 pagine, mi sembra che Aldo Busi sia ritornato ad essere se stesso, solo se stesso, e dunque a farsi nuovamente amare. Uno dei racconti presenti nel volume, lo splendido "Il Casto, sua moglie e l'Innominabile" era già apparso nell'edizione 2008 di "Sentire le donne", ma al genio di Aldo Busi, che non ci si stanca mai di leggere e rileggere, glielo si può perdonare. Devo dire che ho molto gradito, il secondo racconto, dove troviamo un’Italia dura e spietata con gli immigrati. Vengono raccontate le “mirabolanti” avventure alla deriva di un misero marchettaro di origini rumene, vera e propria apologia della bestiale stupidità razzista nel nostro stivale; più fashion, anzi radical-chic, il terzo racconto dove Busi si propone come badante alla Carla Bruni Sarkozy. Ora è pacifico che non ci troviamo dinanzi a opere immense come “Seminario sulla gioventù”, o “Vita standard di un venditore provvisorio di collant”, e mi sembra chiaro che per quest’opera non si possano utilizzare gli stessi criteri ermeneutici, o gridare allo scandalo dell’autore che ha ormai smarrito se stesso o che, come ha scritto l’immenso Massimiliano Parente qualche tempo fa, sulle pagine de Il Giornale, ci troviamo dinanzi ad uno scrittore “impantanato in un solipsismo moralistico e macchiettistico e politico e sociale”. “Aaa!” è un libro bello, che ne vorresti di più, dopo tanto silenzio da parte di Busi, e che alla fine nonj ti fa pentire di aver speso anche quegli 11 euro che in tempo di crisi magari fanno tanto! Meglio di così...

mercoledì 31 marzo 2010

Il libro del giorno: Dante's Inferno di Christos Gage e Diego Latorre (Panini Comics- Wildstorm)

Il videogame: nei panni di Dante il giocatore dovrà scendere nelle viscere dell'Inferno per salvare l'amata Beatrice, trascinata negli inferi da Lucifero. Durante il suo viaggio Dante capirà di trovarsi all'Inferno anche per affrontare i suoi stessi demoni e riscattarsi dai peccati che ha commesso, affrontando enormi creature mostruose (con la possibilità di prenderne il controllo) e tutti gli incubi del suo passato). Quello che troverete invece in DANTE’S INFERNO, nuovo fumetto della Wildstorm creato sulla scia del videogioco di Visceral Games e pubblicato da Electronic Arts, è invece una storia molto diversa dalla classica Divina Commedia di Dante Alighieri. Il Dante che incontrerete qui è un guerriero nato, disposto a tutto pur di salvare la sua amata Beatrice che, a causa sua, è caduta tra le braccia del diavolo. Per questo non esita a entrare nell’Inferno e qui inizierà la sua avventura tra la perduta gente. Di Christos Gage e Diego Latorre.

Mondo meraviglioso, di Javier Calvo, traduzione di R. Schenardi (Fanucci). Intervento di Nunzio Festa




















Un romanzo senza madre né padre. Come Lucas Giraut e Valentina Parini, principali attori in scena nell’ultimo romanzo dello spagnolo Javier Calvo. Proprio l'istrionico e indomabile animatore del “dio riflettente”, tradotto qualche anno fa in Italia dall'altra furbacchiona, Isbn. Un padre morto e quasi mai esistito, e uno fuggito via. Una madre snaturata fredda e calcolatrice e una sorda alle grida d’una figlia sola piuttosto che pazza. Dentro una Barcellona sempre in bilico tra sogno e realtà. Una foto pinkfloydiana di tempi andati. Tre tele apocalittiche di valore al centro della matassa tutta da sbrogliare. Una villa Ummagamma e un libro del King (passione, e ossessione, della quasi adolescente Valentina). Ecco cosa ruota attorno agli strani personaggi di “Mondo meraviglioso”. Un cocktail di descrizioni vivide, scenari psichedelici e intrecci a mestiere. Che stordiscono piacevolmente il lettore lasciandolo sorseggiare cicchetti di storie interrotte e poi riprese. Senza che si perda mai il filo, né la curiosità di sapere cosa c’è oltre il Lato Oscuro della Luna, quel luogo non luogo che affonda le sue radici nell’amicizia tra Lorenzo Giraut, appassionato d’antiquariato ormai morto, padre di Lucas, Bocanegra - strano personaggio molto temuto persino dal grande e grosso Manta - e Koldo Cruz l’uomo con la tempia metallica esageratamente elegante tanto da far pensare alla solitudine di chi ha avuto tutto. Piacevole lasciarsi trascinare nei luoghi più assurdi d’un mondo fantastico. Un tarantiniano “Alice nel paese delle meraviglie” senza Alice, ma con una gamma di personaggi con pellicciotti al collo, abiti firmati e tute sudice abituati a gallerie d’arte come a sotterranei loschi. Tutti fottutamente con morte e vita insieme dietro l’angolo. Un inno al passato, al presente e al futuro: intesi come crisi e opportunità. Di e per un’umanità costantemente alla ricerca di madri e padri. “Mondo meraviglioso” è un libro per chi osa stupirsi ancora davanti all’ironia e all’assurdità della realtà. Un modo per riflettere con i piedi per aria su quello che è il nostro Stare al mondo.


martedì 30 marzo 2010

Il libro del giorno: I cari estinti. Faccia a faccia con quarant'anni di politica italiana di Giampaolo Pansa (Rizzoli)

"Il primo comunista che ho conosciuto era una comunista. Si chiamava Elvira, aveva curve maliziose e ballava divinamente il samba all'italiana. Per di più s'era invaghita di Walter Audisio perché lo riteneva il killer di Mussolini. Andavo per i tredici anni e la sbirciavo nel dancing del Pci, vicino al mio caseggiato di ringhiera. Dopo l'odalisca rossa, ho fatto molti altri incontri per raccontare da cronista le avventure dei padroni politici della Prima Repubblica. Li ho conosciuti talmente bene che, con l'andar del tempo, sono diventati i miei vicini di scrivania. Più li osservavo, più me li vedevo accanto. Così oggi mi domando: stavamo meglio quando c'erano la Dc, il Pci e il Psi, oppure adesso, con i carrozzoni personali di questo fosco 2010? Lascio la risposta ai lettori dei .Cari estinti., un titolo beffardo e un tantino nostalgico. Gli estinti sono i potenti che dal 1948 al 1989 hanno guidato l'Italia. Nel rievocarli, mi sono sentito un viaggiatore che narri la fine di un mondo esplorato per anni. Dominato da leader come il pio Rumor, l'irriducibile Fanfani, l'eterno Andreotti, l'enigmatico Moro, l'aggressivo De Mita, il monacale Berlinguer, l'ardimentoso Craxi, il tenace Almirante, l'ambizioso Spadolini. Li ho rimessi sulla scena ripercorrendo il loro tempo. Il caos delle correnti. L'alterigia dei ras locali. Il cancro della mafia. Le bombe del terrorismo. Il sequestro di Aldo Moro. Il ciclone della Loggia P2. La guerra fra comunisti e socialisti."

Ereva Curaggio di Valerio Cascini (Altrimedia edizioni)

















Pazzo


Non è stato il fatto di un momento.
Ci siamo preparati piano piano, per tempo.
Quando è arrivata l'ora del combattimento,
gente di carne e ossa non ha contato niente.
Sangue con sangue, pazzo, se n'è andato,
e chi è rimasto, la testa l'ha perduta.

Paccio

Nu è stato u fatto i nu mumendo.
Ni simo preparate a tembo a tembo.
Arrivata l'ora ru combattimendo,
gende i carne e ossa nun simo valute nende.
Sango cu sango, paccio, si nn'è gghiuto,
e chi è rumasto, a capo s'ha pirduta

Questa è la nuova raccolta del poeta di Castelsaraceno, sradicato dalla sua terra per vivere e lavorare a Torino. Ma radicato nel fiore del ricordo e nel ricorso al ricordo quale tentativo d'abilitare la memoria all'abolizione del rimpianto. Dialoga e interagisce con paesaggi e personaggi del tempo stato. Valerio Cascini destina versi che paiono venire dal centro gravitazionale dell'omaggio al sentimento, senza per questo cadere nella trappola del vagheggiamento. L'utilizzo del dialetto, in tutto ciò e in tanto altro ancora, ha il ruolo e il destino di dare testimonianze a queste volontà dell'autore.

Troppo piombo di Enrico Pandiani (Instar Libri)

“Aveva cominciato a picchiarla non appena aperta la porta. Calci e pugni di una violenza inaudita. Era crollata. Poi l’aveva rimessa in piedi e l’aveva avvertita: se fosse caduta l’avrebbe colpita ancora. E lei non voleva che lo facesse. Ma era successo. Due, tre volte, non riusciva a ricordare. Per questo, nonostante la nausea che arrivava a ondate successive, si sforzava di rimanere dritta. L’unica funzione che il suo cervello riuscisse a fare. Le aveva strappato di dosso la camicia da notte e le aveva legato le mani dietro la schiena. L’acciaio delle manette che le mordeva a sangue i polsi non era che un dolore lontano, come spilli spinti in profondità nella carne. Il calcio in mezzo alle gambe è arrivato improvviso, il dolore un’esplosione di luce che le ha inondato il cervello. È caduta in ginocchio e ha vomitato sul pavimento, conati lunghi e nervosi che non riusciva a fermare. L’ha lasciata finire, poi l’ha afferrata per i capelli, lei ha dovuto strisciare sulle ginocchia per tenergli dietro. Altri colpi in testa e nel basso ventre. Il labbro è scoppiato e il sapore del sangue le ha riempito la bocca. Ha notato i guanti di lattice che fasciavano le mani del suo aggressore. Poi un calcio sul seno l’ha gettata a terra. Ha respirato sangue e aria, il liquido denso le è scivolato in gola. Ha tossito rischiando di soffocare e si è lasciata cadere sulla schiena. Adesso tutto era ovattato attorno a lei, tutto era tranquillo. C’era solo questo ronzio incessante che le attraversava la testa, avanti e indietro, avanti e indietro. Il suo corpo stava diventando leggero. Il soffitto era una macchia scura che continuava a dilatarsi, il dolore una sensazione lontana, come una sinusoide che si ampliava e restringeva senza fermarsi mai. Non sentiva più nulla.” Così inizia “Troppo Piombo” di Enrico Pandiani edito da Instar libri. Tutto si svolge in una Parigi avvolta da una neve malata e grigia. Il protagonista è il commissario Jean Pierre Mordenti, professionista in pestaggi, ma fine lettore di Camus e Proust. Uno insomma in bilico tra l’essere un picchiatore di strada e un intellettuale. E non lo si può biasimare purtroppo vista che la madre l’ha voluto iscritto a Filologia Moderna. Un serial killer si è messo in testa di fare fuori la redazione femminile di "Paris24h", Indizi quasi all’osso, sospetti pochi, ma in compenso una selva di pettegolezzi. Mordenti dovrà capire quale è il nesso criminale tra una sfilata di moda, le banlieues in fiamme, e la redazione del giornale parigino. Tutto sarebbe più facile se non alegiasse la figura obliqua e oscura di Nadège, pulcherrima giornalista di colore che forse ha più di qualche scheletro nell’armadio.

Si tratta di uno splendido noir, con tanto di incipit ad alta definizione, e dotato di una fluida struttura narrativa. “Troppo Piombo” risulta essere un’alchimia perfetta tra desiderio di ritornare ai classici di questo genere e un sottile ammiccamento al post-moderno. Nulla da eccepire sulle atmosfere plumbee che angosciano e fanno tremare i polsi dalla tensione, e incredibile la cura ossessiva degli aspetti militari e balistici. Questo lavoro convince, avvince, e proclama Enrico Pandiani, grafico di professione e scrittore più che dotato, “magister elegantiae” del noir italiano in grado di convincere anche i lettori più smaliziati.

lunedì 29 marzo 2010

Il libro del giorno: La tv che non c'è. Come e perché riformare la Rai di Gilberto Squizzato (Minimum Fax)

Di chi è la Rai? • Audience, canone e pubblicità • In concorrenza con le tv private? • Cos’è la qualità? • Un CdA senza partiti • Format, appalti e libertà creativa • Quanti canali per il servizio pubblico? • Vera azienda culturale o semplice finanziaria? • Giovani, web e tv • La green tv del futuro.

Con una nota di Roberto Natale (Presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana).

Ripercorrendo con lucidità affilata e rigorosa gli ultimi decisivi 15 anni della storia del servizio pubblico e prima di proporre soluzioni radicali e perfino sovversive, Squizzato analizza le cause di una malattia mortale che ha portato oggi la Rai, come ha ammesso lo stesso presidente Garimberti, «ad una lenta agonia» da cui non ci sarà ritorno: «o si cambia o il nostro destino è segnato».
È tempo di mettere in discussione antiche certezze, luoghi comuni e sommari pregiudizi che impediscono di affrontare con lucidità le questioni fondamentali del servizio pubblico.
«Se fossimo in un paese normale o almeno seminormale, i dirigenti della Rai dopo aver letto queste pagine dovrebbero alzare il telefono e ringraziare Gilberto Squizzato, che nonostante lo spirito dei tempi ha deciso di scrivere un libro che rappresenta un vero e proprio atto d'amore per il ruolo e la funzione di quello che una volta veniva chiamato il servizio pubblico radiotelevisivo.
Se e quando la lunga notte della politica e dell'informazione finirà, sarà il caso di ringraziare i giornalisti come lui, che non hanno mai rinunciato a esercitare la loro funzione civile, anche quando amici, e magari compagni, li invitano a lasciar perdere e adeguarsi».

Dalla prefazione di Beppe Giulietti, Portavoce dell'Associazione Articolo 21

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

Cerca nel blog

My Hero Academia: Oltre l'eroismo, un'esplosione di poteri e valori

  PUBBLICITA' / ADVERTISING Un mondo di supereroi, ma non come lo conosciamo In un futuro non troppo lontano, il mondo di My Hero Academ...