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martedì 20 novembre 2007

La Besa alla Città del Libro di Campi 2007


Campi Città del libro 2007 – novembre 2007
Giovedì 22 novembre 2007 ore 10,30 Sala Centro Servizi
Relatore: Mauro Marino
Laura La Penna – Mi chiamo Brian (Besa editrice)

Mi chiamo Brian è la storia di un ragazzo difficile la cui identità era stata persa per fortuna avversa sin dall’età di quattro anni. L’amore, l’amicizia, il coraggio e la fede in questi valori fanno riemergere quello che c’è in ognuno di noi anche quando il sogno sembra impossibile.
La storia di Brian può essere la storia di ognuno di noi: quando diamo per scontato che ogni cosa che abbiamo ci appartenga di diritto e per sempre…; quando pensiamo di non avere niente, abbiamo ancora tutto da conquistare.

LAURA LA PENNA nasce a Lecce l’ 8 aprile del 1967 da padre pugliese e madre toscana. Ha vissuto in varie città d’Italia sin dall’età di nove anni. Ha frequentato il liceo classico e si è laureata in giurisprudenza. Dall’età di ventisei anni vive a Lecce dove si è sposata. Ha due figli e lavora in banca. Oltre alla famiglia ama leggere, dipingere su ceramica. Una passione per la scrittura (sin da bambina) mairesa esplicita prima.



Venerdì 23 novembre ore 9,00 Sala A
Relatore: Raffaele Gorgoni

Il legame
Di Fabio Omar El Ariny (Besa editrice)

Scheda Libro
Esiste un collegamento, nascosto, forse volutamente occultato, tra l’attentato alle Torri Gemelle a New York l’11 settembre 2001 e l’incidente avvenuto all’aereoporto di Milano Linate poche settimane dopo. Silenzi, complotti e inganni si intersecano in questo thriller mozzafiato, il cui ritmo incalzante non ha nulla da invidiare a maestri del genere, come Robert Harris e Ken Follet.
FABIO OMAR EL ARINY, trentadue anni. Nato a Milano e cresciuto in Egitto a cavallo tra due culture, ha sempre considerato la sua doppia «identità» come un valore da cui trarre ispirazione.


Venerdì 23 novembre 2007 ore 10,30 - Sala A
Relatori: Antonio Tondo, Giovanni Pellegrino, Giacinto Urso
Manlio Castronuovo, Vuoto a Perdere (Besa editrice)

Scheda Libro
"Perché Aldo Moro? La questione della scelta dell'obiettivo da colpire è tutt'ora un problema che non trova d'accordo gli studiosi che da 26 anni si occupano del caso Moro. (...) L'attacco al cuore dello stato è l'evoluzione dell'esperienza fatta dalle BR nella prima fase della loro esistenza quando l'organizzazione si rese conto dello stretto legame esistente tra potere industriale e Stato". Inizia con questo interrogativo e queste considerazioni il nuovo viaggio nell' “affaire Moro” in “Vuoto a perdere” di Manlio Castronuovo. L’obiettivo dell’opera è quello di essere un testo divulgativo che aiuti il lettore ad avere tutte le informazioni essenziali sulla vicenda e a farsene un'opinione. La lucidità, la conoscenza del caso con cui Castronuovo ricostruisce il tutto, ne ha fatto un libro assolutamente interessante. "Vuoto a perdere" non è solo un libro ma è anche il titolo del sito Web dedicato dallo stesso Castronuovo al caso Moro: www.vuotoaperdere.org. Vi si possono trovare interessanti risorse e strumenti.

Manlio Castronuovo
Da oltre vent'anni si interessa del caso Moro e della lotta armata diventando un profondo conoscitore delle logiche e delle dinamiche degli avvenimenti che hanno attraversato il periodo più buio della storia contemporanea d'Italia. Questa è la sua prima pubblicazione.


Sabato 24 novembre 2007 ore 17,30 Sala Centro servizi
Relatore: sen. Rosario Giorgio Costa
Ada Culazzo – Libera di pensare (Besa editrice)

Scheda libro
Il resto del giorno scorse lento e Niko si chiuse in se stesso a riflettere. Voleva conoscere la donna che lentamente si era infiltrata nella sua mente come un'immagine furtiva. Cosa poteva fare? Aveva come indizio solo un numero di cellulare.

ADA CULAZZO (1949), dopo una vita dedicata all'insegnamento delle lingue straniere, ha sentito il bisogno, a un certo punto, di dare libero sfogo alla voce del cuore e ha cominciato a scrivere




Domenica 25 novembre 2007 h.16,30 Sala B
Titolo dell’appuntamento: “ Dagli Eco-mostri ai mostri di provincia”
Relatori: Silvia Famularo, Antonio Errico

Vittorino Curci, Era Notte a Sud (Besa editrice)
Scheda Libro
L’area del Sud-Est barese, ai giorni d’oggi, è lo sfondo per raccontare le vicende di una serie di personaggi che l’autore, con incredibile abilità narrativa, scova in un prismatico campionario di lunatici, imbranati, mentecatti e “scemi del villaggio”, immergendoli in situazioni più che paradossali, sovente tragi-comiche, come nelle migliori tradizioni di comunità paesane di provincia, che sotto molti aspetti invece sono detentrici di nuance di felliniana memoria e di pulsante umanità.
Il tutto condito da ricche immagini di alta poesia che solo Curci riesce a dare al lettore attraverso la sua formidabile scrittura, e da un riso sardonico, mai troppo amaro.
Un libro godibilissimo che accoglierà il plauso anche dei lettori più smaliziati.

VITTORINO CURCI
Poeta, sassofonista, operatore culturale, vive a Noci. Collabora alla rivista “Nuovi Argomenti” e ai quotidiani “Repubblica-Bari” e “Corriere del Mezzogiorno”.
Nel ’99 ha vinto il Premio Montale di poesia per la sezione “Inediti”.


Giacomo Annibaldis, Casa Popolare, vista mare (Besa editrice)

Scheda Libro

Raccolta di racconti, o meglio di episodi narrativi legati da un unico filo conduttore narrativo che ruota attorno ad un microcosmo esistenziale di una sola famiglia protagonista ai margini dell’esistenza. L’operazione scritturale di Annibaldis, sa di pura antropologia letteraria. Pare che l’autore, trasporti la vita delle periferie romane raccontate da Pasolini, nel moto ontologico alla deriva degli eco-mostri alla periferia di Bari, in cui trovano vita personaggi la cui vita non potrebbe essere che descritta come fuori dal comune, per quante situazioni spesso paradossali incontrano nel loro trascorrere la vita quotidiana, piena di numerosissime e singolari difficoltà. Il tutto condito da uno stile sobrio, asciutto, mai banale, e soprattutto mai incline alle lusinghe di toni da slang e carico di una sorniona ironia. La ricercatezza stilistica di quest’opera sta nell’aderenza di Annibaldis allo stile giornalistico, proprio del suo mestiere, e a quella di acuto osservatore di un’umanità che sembra quasi aver toccato con mano.


Giacomo Annibaldis è nato a Bari nel 1950. Già redattore della rivista Belfagor e ora delle pagine culturali della Gazzetta del Mezzogiorno, si occupa di cultura classica traducendo romanzi dell'antica Grecia e collaborando all'Enciclopedia Treccani per voci Oraziane e Virgiliane. Collabora inoltre con diverse riviste internazionali. Per la casa editrice Besa ha curato la riedizione della settecentesca Dissertazione sopra i vampiri di Giuseppe Davanzati. Sempre per Besa ha pubblicato il volume dal titolo “Codici”. “Casa popolare, vista mare” è il suo ultimo lavoro.






Domenica 25 novembre 2007, ore 19,00 – Sala Centro Servizi


Tabula Rasa e Besa, presentano “Tra le pagine chiare e le pagine scure – percorsi di lettura tra prosa e poesia alla Città del Libro”: Carla Saracino, Vito Antonio Conte, Antonio Natile, Marthia Carrozzo, Elena Cantarone, Simone Giorgino, Alessandra Nicita, Stefano Cristante, Giovanni Santese, Stefano Donno, Elisabetta Liguori, Luciano Pagano, Rossano Astremo, Elio Coriano, Mirosa Sambati, Sara De Giorgi, Stefano Di Lauro, Maria Pia Romano, Irene Leo, Giuseppe Mariano, Piero Grima, Michelangelo Zizzi, Mauro Marino.

lunedì 19 novembre 2007

Noi romeni e il razzismo. In attesa degli "europei". Di Mihai Mircea Butcovan








da l’Osservatore RomEno novembre 2007

Come romeno che vive e lavora da oltre quindici anni in Italia, vorrei fare alcune considerazioni su quanto accaduto in questi giorni. Chissà che non vengano chiamate “qualunquiste” o “antipolitica”.

C’è stato un delitto. E la vittima, donna, ha nome e cognome. Italiano. L’autore del reato, uomo, anch’egli ha nome e cognome, romeno. Se da qui si può desumere che in qualche modo è stato offeso l’intero popolo italiano e le donne non si può certamente ritenere che il delitto sia stato commesso dall’intero popolo romeno o da tutti gli uomini.

E l’uomo che si è macchiato di questo delitto non è rappresentante del popolo romeno, della Romania e nemmeno del popolo rom.

Questa facile equazione “romeni = delinquenti”, dove la variabile romeno non è incognita ma semplicemente soluzione di tutti i mali, non rende onore all’intelligenza delle persone che la praticano.

E nemmeno la rabbia, umana e più che mai legittima, non può trasformarsi in accuse ad un intero popolo, ad un’intera nazione. C’è chi invoca “i roghi, i fucili, lo sterminio”…

Per una volta vorrei “sprecare” una riga del già esiguo spazio editoriale assegnato agli immigrati per esprimersi. Una riga di silenzio a commento e sgomento di fronte a tali frasi scritte sui forum del terzo millennio da persone che si ritengono dei bravi, quando non ottimi, cittadini.

E questa volta chi inneggia a “stermini, roghi, fucilazioni” non è cresciuto, per sua fortuna, in baracche come quelle che vorrebbe bruciare, non è vissuto in condizioni di miseria e degrado come quelle che ci mostra la televisione in questi giorni. No, da quelle situazioni non possiamo aspettarci grandi impianti filosofici, nemmeno programmi di politiche sociali.

Ma da chi invece è cresciuto in ambienti puliti, è andato a scuola in un paese democratico, ha studiato, ha fatto sport e viaggiato per diletto, da chi vota liberamente i suoi rappresentanti e può farsi eleggere come rappresentante, non ci aspettavamo frasi razziste, disumane, che spesso fanno da anticamera o motore ad aggressioni tanto ingiustificate ed orrende quanto l’uccisione della signora Giovanna Reggiani.

Persone che accusano i criminali primitivi cresciuti in situazioni di degrado e miseria si lasciano andare a dichiarazioni belliche altrettanto primitive e belluine. La differenza sconcertante sta nell’ambiente in cui sono maturate queste aggressioni, verbali e fisiche.

Un importante telegiornale si esprimeva così mentre descriveva i funerali di Giovanna: “nella basilica tanti rappresentanti delle istituzioni ma anche tanta gente comune”.

Quale sarà la differenza tra i primi ed i secondi? I secondi, attraverso l’espressione del voto libero e democratico deliberano chi non debba essere più “gente comune” come loro e diventi rappresentante delle istituzioni, quindi del popolo, della gente comune. Oppure quel voto rinforza la - già fuori dal comune - condizione di quelli che poi diventano rappresentanti?

Da quel voto in poi il potere decisionale è delegato a loro, ai “rappresentanti”.

Il marito di Giovanna arriva con una rosa” prosegue il telegiornale nella descrizione dei funerali. E poi si precisa: “i politici sfilano davanti alla bara”.

Al marito di Giovanna, gente comune, non rimane che la parola o il silenzio che può esprimere una rosa. Ha perso la moglie eppure trova la forza per non lasciarsi andare in frasi di odio e si prodiga per fermare quella crescente ondata di razzismo che anche la sua Giovanna avrebbe disapprovato. E non si fa scappare facili equazioni del tipo “romeni = delinquenti”.

I politici “sfilano”. Termine che fa pensare ancora ad una passerella funebre, utilizzata per esprimere un doveroso cordoglio ma che appare una cosa già vista troppe volte per credere che sarà seguita da impegni concreti, volti a cercare soluzioni ai problemi e non rattoppi, più o meno virtuali. Nelle dichiarazioni che precedono la sfilata, ed anche in quelle che seguono, appaiono tardive ed hanno sapore di autoassoluzione certe esternalizzazioni della responsabilità e certe colpevolizzazioni. Ma non si può lasciare un vuoto nel campo delle responsabilità. Ecco allora che si offre un’alternativa alla “gente comune”, una soluzione facile-facile per i malanni di questa società: i rom, anzi i romeni, colpevoli ormai di tutto…

L’assenza di provvedimenti lungimiranti e non urgenti, quelli che non possono diventare merce di scambio per una manovra economica, è un’assenza per cui qualcuno, non certo gli immigrati, dovrebbe rispondere alla gente comune.

C’è chi dice: “non doveva accadere”. Ed alcuni giornalisti dicono che “la sicurezza resta terreno di scontro tra i poli”. Su questo terreno di scontro non devono cadere vittime i migranti, tanto meno i romeni.

“I rappresentanti delle istituzioni sfilano al funerale”…

Ora, i “cittadini comuni” danno il loro consenso a chi poi istituzionalmente amministra la cosa pubblica. Ed è sulla raccolta e sulla perdita di questi consensi che si basa la vita e l’attività di questi rappresentanti del popolo.

Eppure oggi qualcuno diceva ancora che “servono più forze di polizia”.

Forse perché buona parte sono impegnate a scortare i tifosi ed a difendere le città ed i treni dalla furia distruttiva di certe tifoserie?

Ma prospettare come soluzione uno stato di polizia non sarebbe risolutivo di un bel niente.

Se c’è un problema chiamato “sicurezza”, tanto grave da far scender in campo più forze dell’ordine, allora si predispongano le scorte, una volta al mese, per gli anziani che vanno a ritirare la pensione agli uffici postali. Li si consideri come dei tifosi legittimati a difendere la cifra della propria pensione dall’eventualità di un’aggressione di chicchessia.

Spiegare al marito, arrivato al funerale di sua moglie col silenzio di una rosa, perché non è stato possibile scortarla dalla stazione del pullman fino a casa, alla stregua dei tifosi violenti che mettono a ferro e fuoco le città in nome di una fede calcistica, non può essere compito della gente comune, tanto meno dei romeni.

Ma le forze dell’ordine da chi difendono i tifosi che scortano allo stadio? Dagli immigrati?

E non possono gli immigrati, i romeni, e nemmeno i rom spiegare alla gente comune il fallimento delle politiche dell’immigrazione e del decreto flussi dello scorso anno (e nemmeno quello dell’anno precedente).

Ed ai rom si dovrebbe trovare un posto sotto questo sole del terzo millennio. È una questione romena, italiana o europea? Nessuno ha la soluzione in tasca ma la domanda bisogna porla.

Troppo facile puntare il dito e sparare nel mucchio dei romeni, dei rom, e definirli tutti delinquenti. Come se tutti i mali dell’Italia provenissero dalla Romania. Noi, gente comune, se non vogliamo restare senza parole e doverci affidare ai fiori ed a qualche applauso, è a loro, ai rappresentanti delle istituzioni che dobbiamo chiedere conto della gestione della cosa pubblica.

Un anno fa a Milano un certo don Colmegna aveva sollecitato le istituzioni a prendere in considerazione la questione rom con progetti di inclusione sociale. Ed affermava: «Gli sgomberi privi di un conseguente piano sociale non servono a nulla se non a spostare il problema da un’altra parte». Chi avrebbe dovuto raccogliere quel drammatico appello?

La Casa della Carità di Milano, con l’impegno quotidiano di volontari e operatori, in concerto con alcune istituzioni, aveva attuato un progetto di inserimento sociale basato su convivenza, condivisione e costruzione di reciproca fiducia. Oggi i risultati dimostrano che in due anni, con il patto di socialità e legalità come strumento di relazione sociale e mediazione culturale, si è potuto ridare dignità ad alcune famiglie di rom provenienti dalla Romania, altrimenti destinate a situazioni di miseria e disagio come quelle che hanno generato il delitto di Roma.

Qualcuno, durante i presidi di gennaio contro il campo di Opera, alle porte di Milano, aveva gridato: «don Colmegna, vattene in Romania con i tuoi rom!». Frase ripetuta durante le manifestazioni al Parco Lambro di Milano. Don Colmegna in Romania? La Romania ne avrebbe sicuramente da guadagnare. Per la città di Milano e per i milanesi, ed anche per chi avrebbe potuto seguire il suo modello, sarebbe una grande, insostituibile perdita.

La situazione è delicata ma forse i problemi dovrebbero essere affrontati con una progettualità lungimirante e non emergenziale, con proposte concrete e non attraverso contestazioni esclusiviste e politiche espulsive.

Ma a sostenere i progetti, a spingere nella direzione di accordi bilaterali, ad approntare politiche di ampio respiro che affrontassero le situazioni oggi definite “disumane, inconcepibili, bestiali”… questo avrebbero potuto farlo soltanto i rappresentanti delle istituzioni.

Non si rendano responsabili anche dell’innesco di violenze e rappresaglie disumane. Ancora una volta non sarebbero soluzioni. Ed il giorno dopo ci sveglieremmo con gli stessi problemi di ieri ed uno in più.

Mi chiedo anche perché nel resto d’Europa non c’è ancora l’allarme romeni?

O tutti i delinquenti romeni sono in Italia e le eccellenze romene vanno altrove oppure…

Qui mi pare che si parli di “fuga di cervelli” per altrove.

Non è la gente comune, quella che vive senza scorta e senza sconti “onorevoli”, a dover dare una risposta.

Perché sfilare ad un funerale può essere un segno, simbolicamente una presenza, di certo non è ancora una soluzione ai problemi della penisola.

“Non si dovrà ripetere mai più.” Stesse parole sentite durante i roghi dei campi rom di un anno fa, stesse parole sentite in occasione del ritrovamento dei 17 morti del Mediterraneo – già dimenticati -, ultimi di una strage della traversata che non ha fine. Forse non conosceremo mai i loro nomi.

Si chiamano invece Lorenzo, Roberto, Julio, Claudio, Chiara, Marisa, Adriano, Rosaria, Michela, Laura, Adeodato, Arnold, Tullio, Daniele, Melita, Rossella, Norman, per citare soltanto 17 delle persone che mi hanno espresso la solidarietà in questi momenti di “caccia al romeno”. Ringraziandoli ho ricordato anche a loro che il giudizio nei confronti di un popolo non deve fermarsi all’amicizia di una persona…

Semmai un primo incontro deve suscitare la curiosità per approfondire la conoscenza reciproca tra i popoli. E questo è un atteggiamento europeo di chi è “comunitario” da molto più tempo rispetto ad altri.

Un rappresentante delle istituzioni, in parlamento da oltre 20 anni, dichiara ai microfoni il giorno dopo il funerale di Giovanna Reggiani: “stanno arrivando da tutte le parti perché qui c’è maggiore tolleranza verso l’illegalità”.

Egli si riferiva agli immigrati. Ma a questo punto non importa il soggetto di una frase di questo genere ma la subordinata affermazione su un dato di fatto che dovrebbe avere più responsabili tra i rappresentanti delle istituzioni, compreso il dichiarante, che non tra la gente comune, e nemmeno tra gli immigrati.

“Stanno arrivando da tutte le parti…”

“…Perché qui c’è maggiore tolleranza verso l’illegalità.”

Detto da uno che da oltre vent’anni è nel parlamento italiano ha un certo significato.

La sicurezza non è solo una questione di luce nelle strade di periferia. Ma l’antirazzismo è questione di luce nelle menti delle persone. Prima che cali un buio simile a quello dell’aggressore, romeno, rom, europeo, che dir si voglia… buio sicuramente maturato in una situazione di disagio e degrado di cui, vogliamo o no, dovremmo prendercene cura.

Ora alcune persone inneggiano a roghi, fucilazioni, sterminio, espulsioni.

Si dimenticheranno in fretta anche di noi… sappiamo che è consuetudine. Altrimenti aspetteremo con fiducia i prossimi campionati di calcio. Gli “europei”…

In caso di vittoria l’oblio dei problemi, anche di questo delitto, anche dei morti nel mediterraneo, anche dei romeni, e pure dei rom, è assicurato.

versione integrale rispetto a quella pubblicata sul Manifesto del 6 novembre 2007
fonte iconografica da www.altremappe.org

mercoledì 7 novembre 2007

Spot book n.2


comunicato stampa

“TANA PER LA BAMBINA CON I CAPELLI A OMBRELLONE”
Un aspro romanzo di formazione
per capire come si è arrivati agli anni ottanta

Questa è la storia di una ragazzina affamata d’amore e d’accettazione in una famiglia romana troppo numerosa e caotica per saziarla. È la storia di una generazione ibrida e rimossa: quella di chi era troppo giovane per il ’77 e troppo vecchio per gli anni Ottanta. È la storia di una Bambina con i Capelli a Ombrellone cresciuta a cavallo dei due decenni, inciampando nelle spine più aguzze della vita: le molestie dei fratelli, la malattia e la morte della madre, l’indifferenza del padre. È la storia di un’Italia prima insanguinata e impaurita, poi d’improvviso futile e leggera.
“Tana” è uno di quei rari romanzi di formazione in cui la storia con la “s” minuscola – che come la protagonista si appiccica, seduce e non molla – riesce a intercettare la Storia con la “s” maiuscola, a farsene bandiera. In cui il privato è “politico” nel senso più ampio del termine. Il monologo interiore che l’autrice Monica Viola ci regala – con una prosa potente, aspra e originale – rivela le fragilità di un’adolescente vissuta sentendosi marginale in un contesto di angoscia collettiva: ripercorriamo nei suoi flash sgomenti gli anni delle stragi e degli omicidi “politici”, Bologna e Moro, Serpico e i gambizzati, le mille “paranoie collettive”. E, allo stesso tempo, sbandiamo con i suoi sbandamenti: gli errori, le bugie, il sesso inutile e pieno di odio, il pochissimo amore, le amicizie, le perdite dolorose. Con una colonna sonora che, da sola, batte il tempo del romanzo, dai Pink Floyd ai Gong di Daevid Allen e Steve Hillage, da Guccini a De Gregori, dagli Chic alla Sugarhill Gang, dai Genesis agli Earth Wind & Fire, da David Bowie ai Genesis, fino a Madonna e ai Duran Duran, icone pop di un decennio pop, per concludersi con il lirismo degli Smiths.
Non c’è nulla di buonista: la Bambina diventa donna e rifonda la sua vitalità, ma a caro prezzo. Il messaggio è scabro e concreto: si può sopravvivere. Nessun eroismo, se non quello della sopravvivenza.
Dice bene Lidia Ravera nella quarta di copertina: “La piccola educazione sentimentale di una bambina sincera e scostumata. Un’apologia del disagio giovanile come solo e insostituibile motore per una formazione decente. Epica frammentaria di pigrizie e crudeltà, alla ricerca di un po’ d’amore, anche poco, anche usato, anche effimero. Un bel personaggio, la Bambina con i Capelli a Ombrellone, tana per lei, fra Flaubert e Woody Allen”.
Dice bene l’autrice: “Questa storia vuole anche essere – con poche pretese – la cronaca di una generazione senza identità: troppo giovane per il ’77 e troppo vecchia per gli anni 80. Generazione ibrida che ha fatto da ponte tra due estremi, sotto l’ombra lurida degli anni di piombo e delle stragi di Stato. Una generazione rimossa di cui non parla mai nessuno, assente anche dall’immaginario cinematografico. E però eravamo tanti, scuole con le sezioni fino alla lettera 'T'. Dove siete, tutti?”.

quarta di copertina

“La piccola educazione sentimentale di una bambina sincera e scostumata. Un’apologia del disagio giovanile come solo e insostituibile motore per una formazione decente. Epica frammentaria di pigrizie e crudeltà, alla ricerca di un po’ d’amore, anche poco, anche usato, anche effimero. Un bel personaggio, la Bambina con i Capelli a Ombrellone, tana per lei, fra Flaubert e Woody Allen.” [Lidia Ravera]


Roma, anni Settanta. Epoca di passioni politiche che infiammano, di attentati ed esecuzioni a insanguinare le strade, di giorni intrisi di una tremenda, capillare angoscia collettiva. Fino al sopraggiungere degli anni Ottanta, futili e liberatori, carichi di voglia di leggerezza e di evasione, di musiche di tendenza, di mode irrinunciabili.

A cavallo dei due decenni, la storia interiore di un’infanzia e adolescenza, il racconto di una bambina che, passando attraverso esperienze dolorose e destabilizzanti - ma senza mai rinunciare a rincorrere la felicità -, infine diventa donna.

Cresciuta in una famiglia numerosa, caotica e vecchia maniera, con un padre autoritario, una madre dolcissima, sorelle, fratelli e una nonna rinchiusa nel suo passato di sogno, la Bambina con i Capelli a Ombrellone inciampa nella vita e nelle sue spine più aguzze, subisce lacerazioni traumatiche (le molestie sessuali di due dei fratelli più grandi, la grave malattia della madre), sbanda - ma si reinventa con nuova, sorprendente, trascinante vitalità.

Affronta la scuola con i suoi piccoli grandi insuccessi, le difficoltà degli amori e l’ambiguità del sesso, sa riconoscere la vera amicizia (anche se non sempre sa rispettarla), ma si adegua alle compagnie più diverse, sempre alla ricerca di un po’ di attenzione, di un po’ di affetto, spinta da quella voglia urgente dell’adolescenza di piacere e conquistare e con la necessità profonda e sommersa di un inconsapevole, istintivo costruirsi. Sostenuto però da una grande risorsa: la capacità di cercare negli altri il miracolo dell’accettazione nonostante tutte le proprie traballanti insicurezze, quel miracolo che, unico, potrà aiutarla a “ricucirsi”.

Un romanzo a forma di lungo monologo interiore, che alterna brani di narratività accattivante a momenti di autentico lirismo. Una prosa attenta, scrupolosa, dallo stile sintetico e pregnante e dal linguaggio intensamente evocativo: parole dense e vere per raccontare una storia che, come la protagonista, si appiccica, seduce, non molla.

Monica Viola è nata a Roma l’anno in cui nasceva il beat. Ci abita ancora, infelicemente impiegata. Questo è il suo esordio narrativo.

Tre ragioni per NON leggere questo romanzo:
1. ami la letteratura “minimum fax”
2. odi i memoir
3. in un romanzo cerchi una narrazione compiuta con una storia e un finale, magari inaspettato.
mv

fonte iconografica e comunicato stampa tratti da www.monicaviola.it

martedì 6 novembre 2007

Ciao Enzo

Il mondo dell'informazione viene lasciato oggi orfano di una figura non solo di grande spessore e professionalità, ma di grande umanità. Sì perchè Enzo Biagi, ha rappresentato, come un altro grande del giornalismo italiano, faccio riferimento a Indro Montanelli, un esempio per una professione che ormai tende sempre più alla standardizzazione e alla formattazione automatica della notizia. Enzo Biagi, se ne va così, in silenzio, con grande signorilità, una qualità che lo ha contraddistinto sempre in ogni occasione. Se ne va un pezzo della nostra storia!

fonte iconografica da www.ilmolinello.it

martedì 30 ottobre 2007

Guido Ceronetti, La lanterna del filosofo.













Lungo le vie della città, quelle che disegnano lo spazio delle relazioni urbane, seguendo precise meccaniche configurazionali di molteplici flussi informativi fantasma che raccolgono, inghiottendole, storie che puoi più che altro immaginare, ti ritrovi a osservare per pochi istanti, frazioni di secondo forse, particolari che solo con una discreta dose di attenzione non perdi per strada. E così ti collochi all’improvviso nella condizione ideale di essere raccontato da una ruga, uno sbatter di ciglia, uno sguardo intenso schiacciato sotto le macerie di un cielo estivo. Affannarsi a comprendere che cos’è che non va nel mondo, qual è il veleno che circola nelle vene di tutti tanto da scolorirne la pelle, da far perder la gioia di afferrare una mano come segno di partecipata con-presenza, di aprirsi a un sorriso, ad un incauto donarsi nei potenzialmente sconfinati perimetri di uno spazio esistenziale che si apre sull’orizzonte della fiducia nel prossimo, giocare il tutto per tutto prima di scegliere i sentieri impervi, difficili, oscuri, dell’Ombra, sentirsi obbligati, non come infervorati da un dogma di fede ma da un trovare necessario l’essere e il divenire nella storia di ogni giorno agente morale, a reperire quel coraggio necessario nell’affrontare il delicato compito di gestione della massa critica dell’Indifferenza, insomma tentare di
avvicinarsi al nocciolo della questione continuando a porsi degli interrogativi, e compito più difficile, tentando di risolverli. Non quelli sclerotizzatti e museificati del chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando, giusto per non correre il rischio di divenire protagonisti grotteschi di una mediocre rappresentazione teatrale della vita che ci consuma istante dopo istante, giorno dopo giorno e per di più (oltre il danno la beffa!) di pessimo livello e gusto. E di consunzione parliamo, ogni qualvolta ci guardiamo allo specchio! Certo, dobbiamo pure in qualche modo sopravvivere, qualcuno il pane deve portarlo in tavola! E come se non con il sudore della fronte, e come se non rinunciando a passare più tempo con i propri figli, (l’aumento delle ore lavorative giornaliere ha disintegrato la possibilità del dialogo all’interno del micro-sistema familiare, dando spazio ad un nuovo corso nella storia della pedagogia che ha trovato più efficaci strumenti educativi e di costrizione psico-fisica per l’infanzia, nella figura imponente del Silenzio ludico iper-teconologico : Microsoft, Sony, Nintendo) o facendo a meno di leggere un buon libro, o di gustare un tramonto, o una cena romantica in due, o ascoltando della musica facendosi rapire dalle folli traiettorie direzionali delle note, emozionalmente consustanziali alla nostra sensibilità, o ancora semplicemente rinunciando a parlarsi, a fermarsi, a rispondersi. Possiamo dircelo francamente, senza tirare in ballo Foucault e la sua sintassi analitica e pratica circa i modi del Potere di incasellare, controllare, misurare, addestrare gli individui, assoggettandone i corpi, e prosciugandoli delle loro forze (vedi Sorvegliare e Punire)! Luther Blissett prima e Wu Ming poi ad esempio in letteratura (solo in essa?) con il riflettere sulla categoria del condividuo hanno aperto una breccia nel sistema di controllo sociale, la prima fase di un progetto di gioia e libertà ancora più ampio e tuttora in progress, proprio a partire dal corpo e da tutto ciò che ad esso attiene rizomaticamente (la riconoscibilità identitaria come strumento di controllo e repressione consegnato nelle mani del Grande Fratello o del Pizzardone Astratto come lo si voglia definire!). In verità, in tanti, tantissimi sono a corto di energie, e presto moriranno dissanguati. L’aspetto fondamentale di tutto un apparato comunitario gestito e fondato su ideali da porcile, è che ha fatto in modo di far cadere nei sottoscala dell’esistenza, l’attaccamento alla vita, alla paura, all’orrore degli sbagli, all’insulto, al crimine, al dissenso, all’impegno, al disimpegno. In una parola non ci facciamo più domande, perché non siamo in grado di reggere la devastante deflagrazione di un ordigno paragonabile solo per gli effetti, ad un’arma di distruzione di massa che corrisponde a un solo nome: Verità! Chi si assume l’onere di intraprendere il viaggio alla Sua ricerca, dovrà essere dotato di così tanto amore per la conoscenza, da avere non solo un endoscheletro in adamianto, ma la possibilità di trasformare la sua superficie dermica in acciaio organico. Ed ecco perché non poteva sfuggire, come bussola in questo contemporaneo regno del caos, il libro di Guido Cernetti, La lanterna del filosofo, pubblicato da Adelphi, che negli ultimi trent’anni ha pubblicato alcuni dei libri più importanti di quest’autore, nonché tutte le sue versioni dei libri biblici e molte traduzioni poetiche, fra cui nel 2004, un volumetto di poesie di Costantino Kavafis, Un’ombra fuggitiva di piacere. Ceronetti apre quest’opera, (che raccoglie tra le altre suggestioni interventi dagli anni ’70 agli anni ’90, tra scritti critici e saggi prefattivi) con un “Ricordaci, Filosofia”, invito esplicito ad un gioco variabile di risorgimenti epigonali, prologo per la Costruzione del Nuovo Soggetto in viaggio a pag. 13 e 14 : “ Ora che il mondo dei non-viventi e dei male-viventi, in un delirio di conoscenze e di onniscienza inseparabili dalla sua condanna alla polvere e all’espiazione ti ha espulsa, buttata fuori dalla casa della coscienza e ti ha costretta a rifugiarti non si sa dove, in luoghi rivelati, perché determinato ad adorare e a servire soltanto degli idoli che hanno radici tra oscuri dannati – ricordaci, filosofia”. Quest’amore per il sapere nel corso del suo dispiegarsi storico, che tanti lutti addusse a noi comuni mortali, talvolta ha infervorato anime, cuori e intelletti di innumerevoli fanatici del pensiero, grandi assassini della ricerca speculativa che hanno sentito il crimine teoretico come pura Necessità, per tanta forza di pensiero. E in carrelata, scopriamo gli scheletri nell’armadio di uno Spinoza, l’assassino par excellence della libertà umana, tanto è perfetto more geometrico il regno di Dio in terra; o la suprema volontà di malattia di quel vampiro di Schopenahuer disposto a non propagare il proprio seme nel futuro della sua discendenza, proprio perché ineluttabilmente sentiva l’intima predisposizione a succhiare il sangue come azione catartica e narcotica alla sua incapacità di stare dritto sulla schiena; e perché no, dulcis in fundo, ci mettiamo in mezzo anche Lutero, un S. Francesco dai titillamenti demoniaci, prodigo e amorevole verso quelle creature di Satana, come i poveri licantropi (Lutero e il lupo, pag. 128). La storia del pensiero come gigantesco contenitore fognario ripieno di merda! E dopo tante illusioni, dopo aver vissuto per tanti anni incatenati in una caverna, avendo pagato, il biglietto per questo immondo teatrino delle ombre, dopo tanti anni passati a dire il rosario davanti al falò della Vanagloria e dell’Autocommiserazione, potrebbe pur uscire un motto di stizza, un rimbrotto senza alcuna traccia di acrimonia, certo, per questa sfigata razza umana, proprio come Goya quando commentava il suo 58° Capricho: “ Chi viva tra gli uomini sarà fottuto irrimediabilmente; se vuole evitarlo dovrà andarsene ad abitare sui monti e anche quando sarà, là conoscerà che il vivere è solo una fottitura” (pag.48). Ma come è possibile allora trovare il proprio centro, quella calma piatta nell’occhio del ciclone, se neanche nell’impero della Filosofia, dove nugoli di arpie si agitano tra i buoni propositi della collettività, regna la quiete? Potrebbe allora, ci dice sottovoce Ceronetti, venirci in aiuto la Poesia, con quel suo fare incantatore, così letale nell’illudere (altro che velo di Maya), nel promettere paradisi fiscali sui sensi di colpa di tanti poeti e poetesse che con la loro testa cinta di alloro e la cetra, lucidano piuttosto lapidi e celebrano altri poeti oramai scomparsi, preparandogli l’altarino, dal momento che più a fondo stanno scavando, mai stanchi, grandi fosse comuni della Memoria. No! Nemmeno la Poesia, può assurgere al ruolo di machine de guerre contro le forze del Male. “ Perché non valgono niente, i poeti, più niente? La malattia è profonda, viene di lontano. Non è soltanto il loro numero insensato: fossero anche tre o quattro in tutto, che cosa cambierebbe nel Disvalore? Neanche la lingua c’entra molto: la spossata vacca Italia ha i capezzoli della lingua morti; mungiamo artificialmente; parole fumano da uno schermo; scambi di rimozioni di ogni vero, i nostri dialoghi: « Oh come stai?». « Ti vedo bene sai?». « Mi separo da mia moglie».” “ La poca umanità degli autori non è il solo responsabile. A volte, di umanità ce n’è, e anche molta; è il bavaglio occulto che è insormontabile. Ci vorrebbe dell’urlo – ma che urlo! Non sarebbe neppure più poesia … No, neanche l’urlo sfugge al bavaglio … Eppure avremmo bisogno di sentire, attraverso la città, l’urlo di qualcuno che interpretasse le pene di tutti, invece che i clacson inferociti e le sirene della forza e del soccorso materiale” (pgg. 55 – 57,58). E non può che essere questa la malattia succhiasangue, la stessa ammorbante l’intero genere umano: il mercato, quello delle grandi corporation, della pubblicità, la macchina macina neuroni del merchandising, a ogni costo, senza se e senza ma, del possesso senza limiti e decoro, del feticismo delle lamiere cromate e dei motori potenti!
“ L’economia rateale riesce a collocare il demente al suo posto di lotta prima che abbia messo da parte il denaro per conquistarselo. Pagando una sola rata, qualunque tristissimo prodotto uterino entra legalmente in possesso di un involucro omicida che può lanciare dove vuole, contro chi capita; adoperare come feritoia o catapulta, spavento di deboli, deposito di droga o di fucili, letto da stupro. Ogni macchina senza occupanti può significare una trappola di superiore efficacia: riempita di esplosivo col congegno a tempo, all’angolo di una strada, davanti a un caffè, a un teatro, a un grande emporio, aspetta l’ora migliore, in cui la folla è più fitta, per far vedere di che cosa è capace l’idealismo umano” (pag.66). Non sfugge il riferimento colto alla filosofia del feticismo da carrozzeria di Ballard e il suo Crash. Ma allora non c’è proprio niente da fare! Dobbiamo aspettare immobili la fine del mondo o la guerra dei mondi che verrà, forse sentiamo come necessaria nella circolazione oceanica della Storia, quella Terza Guerra Mondiale che si combatterà con le clave come diceva Einstein? La premonizione, perché di premonizione e non riflessione si tratta (vissuta in stato di trance) quando Hobbes, sentiva vicino, secondo i tempi della teologia cristiana un semplice sbatter d’ali, l’inverarsi del Leviatano, del Super Stato-Corpo … il mondo delle multinazionali odierno nello star system del mercato spettacolare a ragione può chiamarsi Leviatano! Dovremmo forse passare intere giornate a flagellarci, recitando a cantilena i passi dell’Apocalisse di Giovanni? Ad una prima lettura di questo volume di Ceronetti, ci si sente un po’ preda di certi malumori, sgocciolamenti psicotici inevitabili per chi vive o cerca di vivere oggi, e alla fine quasi vorresti farti venire un sorriso sardonico alla Stirner, perché hai scovato la tana di un nichilista della porta accanto, di quelli peggiori, quelli che hanno nel DNA il distruggere per distruggere. Ma non sarebbe onesto, soprattutto perché Ceronetti consegna nelle mani del lettore non solo una particolarissima lucidità dolorosa di uno sguardo che coglie fino in fondo l’insensatezza e il ciarpame del quotidiano, ma anche una indiscutibile ricetta di lotta, non antidoto perché ci potrebbero sempre essere degli effetti collaterali indesiderati, e per essere ancora più obiettivi un kit di sopravvivenza, quando scrive: “Il tango, il tango, il tango, ci dà la certezza che la coppia umana esclusivamente di amanti ( di amanti senza ombra di famiglia) è iscritta nell’esistenza, che il suo modello ideale pre-esiste a tutto e che su questa terra tale Idea si è fatta, tra abissi di solitudine e di dolore, carne-carne che canta, singhiozza e vola. Come uomo solitario sei fango, ma coppia sei tango” (pag.121). Ed anche se per qualcuno può non essere tango, ma jazz, blues, heavy metal, l’invito all’ascolto, o al saper ascoltare l’altro, è manifesto, chiaro, cristallino, perché dal recupero della capacità di ascolto a partire da una coppia, per poi ad arrivare alla comunità di un paese, di una città, di una metropoli, di una nazione, di un continente, parlare e saper ascoltare insieme, riflettere, sentirsi partecipi di un momento orizzontale di costruzione della democrazia (ce n’è poca in giro) in cui i disagi della vecchietta che vive accanto a me, non mi riguardano! Maledetto imperativo categorico del Dividi e Comanda! Comunque, un libro non solo da leggere e da meditarci in più di qualche occasione, ma un piccolo promemoria da portare ovunque con sé, come una bussola … state certi che non smarrirete mai più la strada!

da www.musicaos.it

mercoledì 24 ottobre 2007

Babsi Jones e lo spazio tragico della scrittura

La funzione Burroughs in Sappiano le mie parole di sangue


di Rossano Astremo


da www.vertigine.wordpress.com



Quattro donne sotto assedio a Mitrovica, in Kosovo, durante il conflitto più dimenticato della storia moderna: la guerra fratricida nella ex Jugoslavia. Un’inviata scrive al direttore della testata per cui lavora pagine di un reportage che mai sarà spedito. Ci sono passi di rara bellezza in Sappiano le mie parole di sangue, l’esordio di Babsi Jones, edito da Rizzoli, nell’onnivora collana 24/7, pagine in cui Mitrovica diviene la parte di un tutto, luogo del tragico che s’annida in ogni guerra. E’ questo spazio tragico che l’io narrante di slmpds cerca di mettere in scena, attraverso l’accumulo di parole su un taccuino prezioso, ultimo oggetto da custodire assieme ad una copia sdrucita dell’Amleto tradotto da Cesare Garboli. Ma le parole non possono raccontare una guerra. Il reportage non verrà mai spedito perché è un manufatto che non rende giustizia a ciò che gli occhi vedono, a ciò che la bocca assapora, a ciò che il corpo sente.Ed ecco che Babsi Jones costruisce un quasiromanzo nel quale si sente fortemente l’influenza della teorie elaborate da uno dei grandi maestri della letteratura del Novecento: William Burroughs.Il Verbo è il male assoluto, ciò attraverso cui niente può sfuggire all’essere dell’identità: Burroughs postula un rovesciamento della logica implicita in ogni ontologia. Attraverso l’essere, l’uomo è prigioniero della lingua, definitivamente separato dal “teatro biologico”. Egli è contaminato dal virus del linguaggio. I suoi libri compiono una mirabolante descrizione di questa contaminazione. Il conflitto manicheo che vi si trova sempre soggiacente è quello del corpo contro il “meccanismo verbale”, che lo rende estraneo a se stesso. Per sfuggire all’intossicazione prodotta dalle parole, al quadro di controllo che, imponendo delle linee associative, rafforza questa possessione, lo scrittore deve rompere il cerchio magico, spezzare le tavole della legge associativa, confondere le piste discorsive per uscire dall’algebra del bisogno e abolire la dipendenza assoluta dalla funzione asservitrice della comunicazione linguistica.Babsi Jones ha scritto il suo quasiromanzo tenendo ben presente l’insegnamento di Burroughs. Decostruire dall’interno il linguaggio, depotenziarne il suo quadro di controllo. L’inviata non spedisce il suo reportage perché il genere è un insulso meccanismo di soggetti-verbi-complementi inadatti a sprigionare l’orrore della guerra. La guerra, ogni guerra, è indescrivibile, inenarrabile. Sappiano le mie parola di sangue è la rappresentazione di questo fallimento narrativo. Le parole non dicono, sono stracci lacerati dai quali zampilla liquido di morte.

venerdì 19 ottobre 2007

I libri nel borgo


















LIBRI NEL BORGO
IMMAGINARIO MEDITERRANEO E CULTURE MIGRANTI
Specchia, 26/27/28 ottobre 2007

Iniziativa promossa da:

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DIREZIONE GENERALE PER I BENI LIBRARI - ISTITUTO PER IL LIBRO
A.N.C.I. (ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEI COMUNI ITALIANI)

COMUNE DI SPECCHIA

Al via la seconda edizione di Ottobre, piovono libri. I luoghi della lettura, un progetto e un appello lanciato dall’Istituto per il Libro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in Italia, in stretta collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, l’Unione delle Province d’Italia, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani. La campagna di promozione, unica nel suo genere, è stata ideata, nel 2006, per rilanciare, incentivare e valorizzare la rete di strutture e iniziative che sono impegnate nel nostro Paese quotidianamente nella promozione del libro. Dopo il successo dello scorso anno, con gli oltre 260 eventi in tutta Italia raccordati sotto il segno della campagna, questa seconda edizione si presenta con un successo raddoppiato che ha superato le aspettative: circa 500 eventi per oltre 480 “luoghi della lettura” su tutta la Penisola, dai più piccoli e intimi (biblioteche civiche, scolastiche, centri anziani, asili, circoli culturali...) ai più affollati e visibili (fiere, festival, piazze e parchi letterari...), uniti tutti, per un mese, in un unico programma di promozione della lettura.

Il suggestivo centro storico di Specchia, uno dei “Borghi più belli d’Italia”, situato nel cuore più antico del Basso Salento, ospita la prima edizione della rassegna culturale “Libri nel Borgo. Immaginario mediterraneo e culture migranti”.

L’iniziativa, promossa dall’Assessorato alla Cultura e dall’associazione Diotimart, in collaborazione con la Libreria Idrusa di Alessano, prevede un ricco e articolato programma di eventi dedicati ai temi dell’emigrazione, della memoria, delle radici e dell’integrazione tra le diverse culture. Si punterà l’attenzione sugli esiti letterari, storici, linguistici e sociali scaturiti dall’esperienza migratoria, dando particolare risalto agli autori cosiddetti “migranti”, cioè scrittori che, una volta emigrati in Italia, si sono cimentati con la scrittura in italiano.

VENERDì 26 OTTOBRE

Chiesa dei Francescani Neri, ore 20.00

Incontro con l’autrice

Simonetta Agnello Hornby

Introduce

Anna Rita Merico (scrittrice)
Con la partecipazione di
Silvia Famularo (giornalista)

Simonetta Agnello Hornby, nata a Palermo, avvocato minorile e giudice, ha concluso gli studi giuridici in Inghilterra. Risiede da trent’anni a Londra, dove attualmente è presidente del Tribunale di Special Educational Needs. Il suo studio legale nel quartiere di Brixton lavora per lo più con la comunità nera e musulmana. Si è occupata della donna nel mondo arabo ed è autrice di testi legali dedicati all’infanzia. Il suo primo romanzo, La mennulara (la “raccoglitrice di mandorle”), è stato un vero e proprio caso letterario, presente a lungo ai vertici delle classifiche ed è stato tradotto in dodici lingue. È una grande storia siciliana, che si dipana nell'arco di un mese – dal 25 settembre al 23 ottobre 1963 – nel paese inventato di Roccacolomba, in provincia di Agrigento. Il successo si è ripetuto con La zia marchesa e Boccamurata, ambientato nella Sicilia di oggi.

SABATO 27 OTTOBRE

Chiesa dei Francescani Neri, ore 10.30
Matinée per gli studenti delle scuole superiori:

Incontro con l’autrice
Simonetta Agnello Hornby

Introduce
Silvia Famularo (giornalista)

Chiostro del Convento dei Francescani Neri, ore 18.00
Inaugurazione mostra fotografica:

“Scatti dal vicino Oriente”
immagini dai reportages di Duilio Giammaria

Intervengono:

Duilio Giammaria
(giornalista – Rai)

Prof. Stefano Cristante
(docente di Sociologia della Comunicazione – Università del Salento)

Duilio Giammaria è inviato speciale esteri per la Rai Tg1. Lavora dagli anni ottanta nei principali programmi di approfondimento delle reti Rai, realizzando numerosi reportages premiati nei festival internazionali. Ha seguito gli avvenimenti nelle principali aree di crisi del mondo. È autore del libro “Seta e veleni. Racconti dall’Asia Centrale”, Feltrinelli, 2007


Chiesa dei Francescani Neri, ore 20.00
“Letteratura OltreConfine”

Incontro con l’autore
Gezim Hajdari

Introduce
Stefano Donno (critico letterario)

Letture
Giovanni Piero Rapanà

Musiche
Admir Shkurtaj

Gëzim Hajdari si è laureato in Letteratura Albanese all’Università di Elbasan e in Lettere Moderne a “La Sapienza” di Roma. La sua attività letteraria si svolge all’insegna del bilinguismo, in italiano e in albanese. È poeta, narratore, saggista e traduttore. E’ormai riconosciuto da critici e dalla stampa nazionale e internazionale come una delle voci poetiche più significative dei nostri tempi. È vincitore dei premi letterari: “EkseTra”, “Montale”, “Fratellanza nel mondo”, “Dario Bellezza”, “Grotteria”, “Trieste EtniePoesie”, “Ciociaria”, “Popoli in cammino”, “Multietnicità”.

Ha pubblicato: Erbamara, Antologia della pioggia, Ombra di cane, Sassi contro vento, Corpo presente, Stigmate, Spine nere, San Pedro Cutud: viaggio negli inferi del tropico, Maldiluna, Poema dell’esilio, Muzungu: Diario in nero. La sua ultima raccolta poetica è Peligorga, pubblicata da Besa nel 2007.

DOMENICA 28 OTTOBRE
Piazza del Popolo, ore 10.30

TeatroBlitz/Fondo Verri
Che Fortuna…sono qui

teatro-poesia in un atto unico dentro itineranze urbane
Testi da: D. Campana / A. Verri / M. Gualtieri / S. Toma / V. Bodini / E . De Candia

di e con
G. Piero Rapanà - Roberta Marini Gianni Minerva

musiche originali eseguite da
Rocco Nigro

canti
Nadia Martina

Salone del Castello Risolo, ore 18.00

“Letteratura OltreConfine”

Incontro con

Mircea Butcovan Mihai

autore del libro “Allunaggio di un immigrato innamorato”, Besa, 2006

Leonard Guaci

autore del libro “I grandi occhi del mare”, Besa, 2005

Introduce

Stefano Donno (critico letterario)

Mihai Mircea Butcovan è nato nel 1969 a Oradea, in Transilvania, Romania. In Italia dal 1991, vive a Sesto San Giovanni e lavora a Milano come educatore professionale nell'ambito del recupero dei tossicodipendenti e dell'interculturalità. Vincitore nel 2003 del premio "Voci e idee migranti", ha pubblicato il romanzo Allunaggio di un immigrato innamorato (Besa 2006), e con la raccolta di poesie Borgo Farfalla (Eks&Tra 2006) ha vinto, nel 2006, la XII edizione del Premio Eks&Tra. Narratore e poeta, alcuni suoi testi sono inseriti nelle antologie Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (a c. di Mia Lecomte, Le Lettere 2006), A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy (a c. di Mia Lecomte e Luigi Bonaffini, in uscita presso le ed. Green Integer di Los Angeles), Nuovo Planetario Italiano.

Leonard Guaci è nato a Valona (Albania) nel 1967. Ha iniziato la sua attività letteraria con numerosi scritti sui giornali albanesi. Nel 1990 si trasferisce a Roma dove vive e lavora. Da allora ha collaborato con i periodici «Lo Stato» e «Il Borghese» e con il TG1. Con Panciera Rossa, nel 1999 ha vinto il premio internazionale di letteratura «Antonio Sebastiani».

I grandi occhi del mare è il suo secondo romanzo.

Salone del Castello Risolo ore 20.00

Incontro con

Maksim Cristan
autore del libro “(Fanculopensiero)”, Feltrinelli, 2007

A seguire
concerto letterario tratto dal libro omonimo

Chitarra e voce:
Maksim Cristan

Chitarre:
Tommaso Manfredi

Chitarra, charango, violino, voce:
Juan Violineiro

Maksim Cristan è nato nel 1966 a Pola, in Croazia. Cresciuto nella Iugoslavia comunista del maresciallo Tito e arricchitosi rapidamente dopo il crollo del regime e l'introduzione del libero mercato, Maksim a un certo punto ha mollato tutto, è scappato dal suo paese ed è venuto in Italia per ricominciare. Per strada.


Tutti gli eventi sono a ingresso libero.
Info: Diotimart 320 2838681 – Libreria Idrusa 0833 781747

nelle foto Maksim Cristan, Gezim Hajdari, Simonetta Agnello Hornby da www.feltrinelli.it e www.el-ghibli.it

sabato 13 ottobre 2007

Omicidio di Stato: il caso Stilos

Più che un allarme, la definirei una vera e propria emergenza. Non appartengo alla schiera di gente che segue con attenzione gli inserti dei quotidiani nazionali che si occupano di libri. Ce ne sono davvero tanti e tutti di ottimo livello tanto che fare una selezione mi procurerebbe non qualche difficoltà. Ma vedere come da qualche settimana non trovo in edicola una delle più interessanti riviste che si è occupata seriamente di letteratura, poesia e saggistica, mi fa pensare a un vero e proprio omicidio di stato... sotto lo sguardo indifferente dell'editoria libraria, oggi più che mai distratta. Parlo di Stilos diretta da Gianni Bonina. E adesso ...?

venerdì 12 ottobre 2007

Il matematico pertinente ... ovvero Piergiorgio Odifreddi


Se mi ritrovo a pensare, anche solo per un attimo, a come stanno andando le cose, intendo per noi comunità civile, società , stato, nazione, mondo, mi vengono in mente i soliti luoghi comuni: le famiglie italiane non arrivano a fine mese se non indebitandosi, il precariato selvaggio, morti violente lungo le strade, il terrorismo internazionale, le armi di distruzione di massa, le istituzioni e la politica lontane dalla gente e dai loro bisogni, etc, etc. Ed è però arduo, riflettere anche solo superficialmente sulle questioni sopra menzionate, liquidandole come luoghi comuni, dal momento che basterebbe solo poco per non incominciare a valutare i diversi aspetti sotto la lente di discipline che superficiali non sono come la sociologia, l’antropologia, la filosofia, l’economia, l’etica. E se ancora cerco di distrarmi, perché esausto dal rumore assordante di ciò che è fuori di me, stanco dal dover assolvere all’imperativo categorico di popperiana memoria, che la vita è un risolvere problemi, cercando di scovare un buon libro istintivamente rivolgo la mia attenzione alla letteratura, alla poesia, con tanto di strizzatine d’occhio a Truman Capote (sia lode alla Minimum Fax che lo ha degnamente editato e fatto conoscere in chiave più massivamente pop!!!) a Don De Lillo, al grande Valerio Magrelli per la poesia. Ma in fondo rimango con un pugno di mosche in mano: il mio stomaco brontola ancora, quasi come se un prolungato digiuno avesse fiaccato anche l’appetito intellettuale. Indubbiamente da più parti si avverte l’esigenza di trovare un equilibrio rispetto al mare magnum di informazioni, distopie, aberrazioni, false ideologie, bugie, e inganni in cui siamo immersi sino al collo ( e penso che i più sappiano quale sostanza organica ricopre con la sua densità e olezzo le nostre membra!) . Un equilibrio che deve essere cercato in maniera logica, quindi per passaggi o meccanismi geometrici del pensiero, che ne recuperino perlomeno quella dimensione di esatto funzionamento. Riprendere dunque a pensare correttamente, a togliere di mezzo tutte quelle ombre nella nostra vita, che anche solo lontanamente puzzano di muffa e marciume. “Il matematico impertinente” di Piergiorgio Odifreddi, edito da Tea, rappresenta a mio avviso un ottimo libro grazie al quale finalmente chi lo legge può iniziare a fare delle meticolose “pulizie di fine stagione” nella sua testa. Chissà da quanto tempo la spazzatura non veniva svuotata! Il libro si suddivide in diverse sezioni che espongono il punto di vista dell’autore sulla storia, sulla politica, sulla religione, sulla logica, sulla letteratura, sulla matematica, e sulle scienze. Un punto di vista ricco di argomentazioni, portate avanti con grande rigore e un linguaggio altamente divulgativo tanto che perfino a me, che di formule, diagrammi, e numeri non ne capisco un accidenti, ho avvertito un senso di soddisfazione nel seguire passo dopo passo Odifreddi, mentre espone e spiega ai lettori, tra cui il sottoscritto, “L’equazione di Erwin Schrodingher (giugno 1926)” a pag.300 del suo lavoro.
E’scontato consigliare il libro di Odifreddi, il cui ultimo lavoro “Perché non possiamo essere cristiani” per i tipi di Longanesi, vende più di 100.00 copie in due mesi. La gente vuole saperne di più da un autore che sa amalgamare nei suoi scritti ironia, leggerezza, acume, implacabilità analitica anche su questioni delicatissime come la religione, le religioni, di come spesso nella storia la teologia (quella cristiana nello specifico) sia stata base e strumento di morte per la divulgazione scientifica e per il pensiero scientifico, come nel caso del processo a Galileo, o il barbecue in onore di Giordano Bruno, dove la carne in cottura era quella del filosofo, mentre il cardinale Bellarmino, comodamente in relax nei suoi appartamenti ecclesiali, si chiedeva se Gesù Cristo, in base alla fisica aristotelica, nella sua ascesa verso il cielo, dopo aver spirato sulla croce, avesse oltrepassato o meno il cielo delle stelle fisse. Andando nel dettaglio, il messaggio che Piergiorgio Odifreddi lancia attraverso la forza esplosiva della sua scrittura, si concretizza nell’esortare la gente a non essere passivo spettatore del mondo, solo incameratore acefalo di informazioni, ma attore coinvolto praticamente nel mettere in discussione tutto ciò che aveva dato per acquisito e scontato, e mettere le proprie sinapsi in moto sintonizzandole sulla frequenza della razionalità e della consapevolezza: “ (…) i mezzi buffoni hanno vita dura, perché la gente preferisce di gran lunga seguire quelli interi, in uniforme o in borghese” (pag.291). Il volume è strutturato in una serie di saggi monografici suddivisi per categorie, con un prisma talmente vasto da far capire esattamente quali sono le capacità analitiche, argomentative, e gli interessi di Piergiorgio Odifreddi: tanto da poter masticare e digerire le sue riflessioni sulla Bibbia e Gesù Cristo, su Noam Chomsky e Jhon Nash, sulla letteratura (il procedere matematico in Nabokov e Saramago), sulle scienze come il bellissimo paragrafo “Il genio buffone” dedicato al fisico eccentrico e geniale, Richard Feynman: “Il 28 gennaio 1986 la navetta spaziale Challenger esplose in diretta televisiva, e la NASA istituì una commissione d’inchiesta. Quattro mesi dopo un fisico, membro della commissione, mostrò in diretta televisiva le cause del disastro, immergendo semplicemente in un bicchiere d’acqua ghiacciata una delle guarnizioni di gomma della navetta, e mostrandone gli effetti: uno smacco per la NASA, che aveva cercato inutilmente di metterlo a tacere, ma un successo strepitoso per lui, che divenne noto al grande pubblico nel giro di dieci minuti. Quel fisico, che i colleghi conoscevano benissimo da più di quarant’anni, si chiamava Richard Feynman …” (pag. 288). Insomma un “discorso sul metodo” alternativo, brillante, nuovo, paradossale che mantiene viva l’attenzione del lettore e lo induce finalmente a indignarsi, per tutto ciò che non va, quasi come ad aver assunto lucidamente la consapevolezza di aver perso la capacità di riconoscere i problemi. In realtà l’unico grande problema rimane l’uomo nocivo per se stesso, pericoloso per la sua specie! Un memorandum utilissimo inoltre per mirare verso un altro obiettivo sensibile: la ricerca della verità, ad ogni costo seguendo quel senso di armonia e fluidità che solo un’euteoresi può dare: “ (…) verità e bellezza, lungi dall’essere contrapposte, sono in realtà complementari, e possono confluire mirabilmente: non soltanto in un senso superficiale, secondo cui la verità ha una sua bellezza e la bellezza una sua verità, ma nel senso profondo che a volte le verità più pure e astratte si rivelano dotate di una bellezza sensibile e concreta” (pag.219).Qualcuno una volta ha scritto di questo libro: “Un benefico massaggio per il cervello”. Come potergli dar torto…

da www.musicaos.it

lunedì 8 ottobre 2007

Visite inattese di Stefano Cristante




La poesia merita luoghi, spazi di confronto e di sperimentazione.
La pagina è stretta, la voce preme, nascosta dietro ogni rigo, presa in ogni virgola, in ogni “a capo”, in ogni scarto di ritmo.
La voce dei poeti è oggi, ancora una volta, necessaria a scaldare le Arti nel confronto con i “capricci” del Tempo.
Voce di poeta è quella di Stefano Cristante, sociologo della comunicazione e della politica, in libreria con una raccolta di versi edita da Besa nella collana Lune Nuove: “Visite inattese”, dedicato “A chi non sa amare”. Versi volti al dire in una tessitura che gioca la poesia tra necessità e disincanto. Un “diario poetico” dove l’osservazione e l’analisi del reale si riversa in una lingua densa di significazioni intime, di interrogazioni: “Io non voglio abbandonarmi ai ricordi. / Io non voglio piangere. / Vorrei sapere perché / abbiamo scelto quelle strade, / quelle lame piantate sul selciato, / perché le abbiamo guardate, / così poco attraenti, / così velenose.”
Un dialogo aperto con il Mondo, cose piccole e cose grandi, intrecciate, strette nel mormorare del pensiero, si fanno scrittura, scherzo e sferza, tuono e ticchettìo di pioggia. Un quotidiano che non si basta nel suo ordinario costruisce questi versi, li spiega in una ritmica sapiente che rende la poesia cosa possibile, utile all’incontro, non lingua segreta o vezzo stilistico, monumento inutile dell’autocelebrarsi: “Sì, io vivo adesso, con tutte le mie pene, / io vivo adesso / occluso al mio futuro / superato il passato come macchina lenta / perso all’ingegno del segreto / svelato il paradigma antico / come enigma: oggi, / mondano arrampicarsi / allo specchio del giorno / quello di Oggi / che ha ucciso Ieri / e che nessun Domani prega.”
Bellissimi i versi che Cristante dedica al Salento. Così recita “Dimora”: “Per me abitare non è appartenere. / E’ amare la mia terra / per quante vie di fuga mi regala. / […] Intendo le volte / che arrivo alla fine di questa terra / e i miei occhi sono obbligati a vedere / solo cielo e mare e nient’altro. / Intendo quando parole greche / entrano d’improvviso nell’autoradio / e mi prende l’idea che questa terra / appoggiata sul mare come una ninfea / viva se stessa come un’isola remota / lontana da ogni paragone / lontana da ogni altra terra / per quanto magnifica.”
Una poesia distesa, chiara e chiarificatrice, che prende andature “classiche”. Di quel classicismo della poesia italiana del Novecento militante ed impegnato. Danilo Dolci, il sociologo-poeta che a Partinico inventò lo sciopero alla rovescia e l’università dei poveri cristi di Spine Sante, è sponda efficace per comprendere il “perché poeta” di Stefano Cristante. Certo egli non ha la stessa “santità” del triestino che si fece siciliano. La natura del loro “sacrificio” è differente, così le urgenze del tempo che attraversano, la maieutica che dispiegano, ma non l’affinità di funzione e il travaglio intellettuale. Il tormento provocato dallo stare sempre vigili, mai quieti al cospetto del Mondo. Mai domi dell’aver compreso e, se lo si è fatto, si e pronti a sgualcirsi, rovinarsi, a tornare nell’interrogazione. “Gareggiandomi contro / lascio dietro a me / spirali di angoscia / e fiumi di equivoci. / Io vivo nell’errore, / attendo la violenza come rimedio / la metto in pratica / la sento / la trasmetto. // Esiste un solo antitodo / uno solo / ma io / - come voi - / ne ho scordato il nome.”
C’è speranza, non c’è speranza? Questo non sappiamo dirlo. C’è amarezza ma: “Come blitz o colpo di stato / il buon umore sale al potere nel mio cuore. // E io non so attendere gli eventi / - eleggendo un governo-fantoccio dei miei sentimenti - / o se organizzare la resistenza armata / al nuovo usurpatore / degli umori neri precedenti. / L’economia interna dei miei nervi / s’adatta assai bene / a quel malessere vago e dominante. // Ma ora - nel frattempo - / il buon umore ha preso il sopravvento.”
di Mauro Marino
fonte iconografica da www.iltaccoditalia.it

venerdì 5 ottobre 2007

Fuori di penna

Riprenderà il prossimo martedì, 9 ottobre, nella saletta degli eventi della Libreria Guida Capua a Palazzo Lanza, il laboratorio di scrittura creativa per bambini e ragazzi “Fuori di penna”.
Dopo il successo degli scorsi anni, l’ormai collaudato laboratorio di scrittura creativa “Fuori di penna”, ideato e condotto da Silveria Conte, aperto a tutti i bambini delle classi terza, quarta e quinta elementare e delle scuole medie inferiori, ritorna con una interessante novità.
Al consueto percorso tra avventure, storie buffe e filastrocche, che ogni anno affascina sempre più bambini, si affiancherà per i più grandi (ossia per coloro che frequentano la scuola media inferiore) un percorso che porterà alla creazione di una vera e propria redazione giornalistica, che darà vita a un mensile a misura di ragazzi.
Il laboratorio “Fuori di penna” si svolgerà all’interno della libreria Guida Capua (Palazzo Lanza, c.so Gran priorato di malta 25, Capua) tutti i martedì: dalle 17 alle 18 per i bambini delle ultime tre classi della scuola elementare, e sempre il martedì dalle 18.30 alle 20.00 per tutti i ragazzi delle scuole medie.

Per informazioni: Libreria Guida di Capua, c.so Gran Priorato di Malta – cortile Palazzo Lanza – te-mail: guidacapua@liberto.it; ass.architempo@libero.it.
fonte iconografica da www.dba.unito.it

giovedì 4 ottobre 2007

Spot Book 1














SILVANA BEDODI


LUCREZIA, I TUOI SOGNI

Amori e passioni di una donna del ’500 schiava delle convenzioni.

Chi si accosti a Lucrezia, i tuoi sogni! di Silvana Bedodi resterà colpito dalle vicende di Lucrezia Buonvisi e della sua vita lacerata tra il rigido rispetto delle regole imposte dalla tradizione familiare, le convenzioni, e un amore vissuto tragicamente: figura di spicco e di grande spessore nella Lucca del Cinquecento.
Un’opera scritta con grande eleganza e ricchezza di riferimenti storico-letterari, possiede la stessa freschezza di una piéce teatrale. Il romanzo è un vivacissimo documento sui danni che le convenzioni sociali determinano sulla sorte degli individui, anche in una società, quella rinascimentale, che sovente nasconde numerose zone d’ombra.
La Bedodi guida il lettore con mano sicura nei meandri di un’anima, quella della protagonista, lacerata dalla stizza di avere perduto la vita in nome del decoro e delle normecoercitive di un società ipocrita.


SILVANA BEDODI (1956) vive e lavora a Cuneo. Appassionata di studi classici, si diletta a scrivere soprattutto su argomenti storici. Pellegrino di Provenza è stato il suo primo romanzo.

mercoledì 26 settembre 2007

Saramago e il partito democratico: Tutti candidati! Ma proprio tutti!










C’è stato un tempo in cui a sinistra della sinistra, della sinistra, si discuteva se si era marxisti leninisti o marxisti-leninisti. Un trattino di differenza che smorzava o esaltava il senso di una appartenenza, di un’identità, nell’affollato parterre della contestazione dei caldi anni settanta.

Quel trattino via via s’è trasformato. Ne sono nate sigle, appartenenze, identità e, in esse, tante sfumature, modi e stili, in un metabolismo cannibalico incapace di corrispondere all’utopia dell’unità. Valore sperato ma mai veramente perseguito dalla sinistra.

Oggi siamo al governo con una compagine che sembra avere nostalgia di quel vuoto dibattito sul trattino, di quella astrazione che vestiva l’eskimo. Ogni tentativo di semplificazione sembra essere vano e tutti, proprio tutti, hanno voglia di esserci, di apparire, di frazionare e franare il sogno di un progetto chiaro, capace di corrispondere alle esigenze di un’Italia sempre più mortificata e piegata nella sua sostanza etica e culturale.

Toglierla a Berlusconi e al berlusconismo per ridarle senso, direzione e futuro, sembrava essere il punto di partenza di un profondo rinnovamento. Così non è stato. Prodi, ostaggio delle necessità e dei distinguo, ha partorito il mostro: un governo sovradimensionato esposto a quelli che via via sono diventati gli strali dell’ “antipolitica”.

Neanche il partito democratico è utile all’abbisogna, anzi!!! Al suo interno, a partita chiusa in vista del confronto per l’elezione del segretario e degli organi di direzione, mostra una mastodontica moltiplicazione di componenti e di candidati. Vecchio e nuovo frullato insieme, affidato alle macchine elettorali di gruppi e sottogruppi. Quello che più fa sorridere sono i distinguo. I “per” e i “con” moltiplicano le liste: innesti, partenogenesi, clonazioni. Tutto a freddo, al riparo dalle passioni che vogliono sostanza, inconti veri, abbracci, inni, pelle d’oca e condivisio

Agli occhi di chi sta a guardare appena fuori dalla soglia dei partiti tutto appare incomprensibile, inutile, vano, ininfluente. Un’astrazione che sembra svilire quella conquista democratica che sono state le primarie, usurate e sovraesposte in una funzione solo strumentale priva di sostanza e di desiderio politico.

Quello che l’invettiva dell’antipolitica smuove non è qualunquismo. E delusione! Frustrazione anche. Il profondo sconforto che ha colto tutti coloro che con entusiasmo avevano scelto il centro-sinistra con la speranza di vedere un’Italia diversa, altra, volta ad una nuova stagione.

Il paradosso è che dopo dieci anni di disastroso governo la destra appare essere salvifica. Ma di questo, nel Pd e nella sinistra, nessuno sembra preoccuparsi. Dopo il “trattino”, il dibattito speriamo si volga al “che fare”, ma temo che i tempi saranno lunghi. Nell’attesa del parto di ottobre a tutti consigliamo, a monito, la lettura del “Saggio sulla lucidità” di Josè Saramago, meglio attrezzarsi!

fonte iconografica da www.claudiocaprara.it

di Mauro Marino

venerdì 21 settembre 2007

Gli Este ... energia di vita





















Dal 21 settembre 2007 al 4 ottobre 2007


Gian Luca Amaroli, Anna Maria Angelini Chiarvetto, Roberto Ascoli, Fiorenzo Barindelli, Christophe Bouquin, Marco Cannata, Lucia Corbinelli, LeoNilde Carabba, Luca Chiesura, Franco Di Pede, Anna Galli, Anna Giussani, Francesca Licari, Gionatan Lombardi, Giò Marchesi, Antonio Massari, Maria Antonietta Michelon, Attilio Milani, Cinzia Reggiani, Tiziana Robbiani Trevisan, Angelo Sblendore, Paola Scialpi, Jorge Sicre, Elisa Troccoli
Galleria 9 Colonne - SPE Il Resto del Carlino (Ferrara)

Via Armari, 24 Ferrara (Italia)

ore 9 - 12.30 / 15.00 - 18.30 sabato e festivi chiuso


Nell'ambito della XXIV SETTIMANA ESTENSE tra le manifestazioni culturali collaterali La Galleria 9 Colonne/SPE/Il Resto Del Carlino, non poteva non essere partecipe alle manifestazioni che vede il 2007 l'anno degli Estensi. Nell'ambito delle manifestazioni culturali collaterali, indette dalla Camera di Commercio di Ferrara per la XXIV Settimana Estense, in collaborazione con la Carife, la direzione artistica della SPE ha dato vita a questa vivace rassegna ideata e a cura di Grazia Chiesa, con l'appoggio del ferrarese Gian Luca Amaroli, invitando, a creare un'opera attinente al grande casato, artisti scelti per la loro cultura e per la loro attenzione e ammirazione verso gli Este. Alcune opere sono figurative e rappresentano in modo preciso personaggi, castelli, eroi del grande casato. Altre sono libere interpretazioni in cui giocano frammenti di decorazioni ambientali tipiche dell'epoca e anche riferimento agli ornamenti e ai gioielli delle grandi dame. Le foto presenti sono un corale omaggio alle tradizioni e al folclore colto della Ferrara di oggi perpetua con ammirevole sostegno sia del pubblico che del privato.Si tratta di una esposizione ricca di spunti e ritmata da un comune interesse verso Ferrara, la sua tradizione, la sua terra. Anche a Copparo, nella Torre Estense, la D'Ars Agency è partner della rassegna che si inaugura nello stesso giorno dell'apertura di questa mostra. Una rassegna che dà onore a Dante Bighi, grande designer copparese, e fa conoscere la collezione d'arte contemporanea che questo grande uomo ha raccolto anche su suggerimento del famoso critico francese, suo grande amico, Pierre Restany, e coordinata negli anni dalla sezione eventi della D'Ars Agency.
fonte iconografica da www.arte.go.it

giovedì 20 settembre 2007

Mirella Floris e le sue strisce di vento















Argini...



…di stoltezza
dei nostri
fiumi d’anima
bloccano il corso
Forte la spinta,
tenace l’andare,
severo l’impegno…
a plasmare la storia
il corso scorre.
fingere di ridere per sempre,
simulare festa e allegria nello sfacelo,
così pure
può andar bene

MIRELLA FLORIS scrive da sempre, esprimendosi in vari generi, dalla poesia al romanzo, all’articolo giornalistico.
Ha già pubblicato: Lampi d’estate, un libretto di poesie intense e musicali; Lampi del tempo, una raccolta di liriche che indagano problematiche e sofferenze del nostro tempo;La terrorista, romanzo giallo che narra vicende di lotta armata tra l’Italia e il Marocco; e, per i tipi di Besa, Venuta dal mare, romanzo giallo particolare, con un racconto nel racconto, leggibile “tutto d’un fiato”.
Cura gli inediti per www.libreriadonna.com e opera nell’ADI (Ass. Donne Insieme) e nell’Od@P (Officina delle Parole) delle quali è fondatrice e presidente.
Con Strisce di vento ha vinto il secondo premio Elsa Morante (Roma 2006) e il Premio speciale della giuria Istituto Italiano di Cultura (ICI) Napoli nel 2007.
Il suo sito personale è http://www.mirellafloris.com/

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

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