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mercoledì 26 settembre 2007

Saramago e il partito democratico: Tutti candidati! Ma proprio tutti!










C’è stato un tempo in cui a sinistra della sinistra, della sinistra, si discuteva se si era marxisti leninisti o marxisti-leninisti. Un trattino di differenza che smorzava o esaltava il senso di una appartenenza, di un’identità, nell’affollato parterre della contestazione dei caldi anni settanta.

Quel trattino via via s’è trasformato. Ne sono nate sigle, appartenenze, identità e, in esse, tante sfumature, modi e stili, in un metabolismo cannibalico incapace di corrispondere all’utopia dell’unità. Valore sperato ma mai veramente perseguito dalla sinistra.

Oggi siamo al governo con una compagine che sembra avere nostalgia di quel vuoto dibattito sul trattino, di quella astrazione che vestiva l’eskimo. Ogni tentativo di semplificazione sembra essere vano e tutti, proprio tutti, hanno voglia di esserci, di apparire, di frazionare e franare il sogno di un progetto chiaro, capace di corrispondere alle esigenze di un’Italia sempre più mortificata e piegata nella sua sostanza etica e culturale.

Toglierla a Berlusconi e al berlusconismo per ridarle senso, direzione e futuro, sembrava essere il punto di partenza di un profondo rinnovamento. Così non è stato. Prodi, ostaggio delle necessità e dei distinguo, ha partorito il mostro: un governo sovradimensionato esposto a quelli che via via sono diventati gli strali dell’ “antipolitica”.

Neanche il partito democratico è utile all’abbisogna, anzi!!! Al suo interno, a partita chiusa in vista del confronto per l’elezione del segretario e degli organi di direzione, mostra una mastodontica moltiplicazione di componenti e di candidati. Vecchio e nuovo frullato insieme, affidato alle macchine elettorali di gruppi e sottogruppi. Quello che più fa sorridere sono i distinguo. I “per” e i “con” moltiplicano le liste: innesti, partenogenesi, clonazioni. Tutto a freddo, al riparo dalle passioni che vogliono sostanza, inconti veri, abbracci, inni, pelle d’oca e condivisio

Agli occhi di chi sta a guardare appena fuori dalla soglia dei partiti tutto appare incomprensibile, inutile, vano, ininfluente. Un’astrazione che sembra svilire quella conquista democratica che sono state le primarie, usurate e sovraesposte in una funzione solo strumentale priva di sostanza e di desiderio politico.

Quello che l’invettiva dell’antipolitica smuove non è qualunquismo. E delusione! Frustrazione anche. Il profondo sconforto che ha colto tutti coloro che con entusiasmo avevano scelto il centro-sinistra con la speranza di vedere un’Italia diversa, altra, volta ad una nuova stagione.

Il paradosso è che dopo dieci anni di disastroso governo la destra appare essere salvifica. Ma di questo, nel Pd e nella sinistra, nessuno sembra preoccuparsi. Dopo il “trattino”, il dibattito speriamo si volga al “che fare”, ma temo che i tempi saranno lunghi. Nell’attesa del parto di ottobre a tutti consigliamo, a monito, la lettura del “Saggio sulla lucidità” di Josè Saramago, meglio attrezzarsi!

fonte iconografica da www.claudiocaprara.it

di Mauro Marino

venerdì 21 settembre 2007

Gli Este ... energia di vita





















Dal 21 settembre 2007 al 4 ottobre 2007


Gian Luca Amaroli, Anna Maria Angelini Chiarvetto, Roberto Ascoli, Fiorenzo Barindelli, Christophe Bouquin, Marco Cannata, Lucia Corbinelli, LeoNilde Carabba, Luca Chiesura, Franco Di Pede, Anna Galli, Anna Giussani, Francesca Licari, Gionatan Lombardi, Giò Marchesi, Antonio Massari, Maria Antonietta Michelon, Attilio Milani, Cinzia Reggiani, Tiziana Robbiani Trevisan, Angelo Sblendore, Paola Scialpi, Jorge Sicre, Elisa Troccoli
Galleria 9 Colonne - SPE Il Resto del Carlino (Ferrara)

Via Armari, 24 Ferrara (Italia)

ore 9 - 12.30 / 15.00 - 18.30 sabato e festivi chiuso


Nell'ambito della XXIV SETTIMANA ESTENSE tra le manifestazioni culturali collaterali La Galleria 9 Colonne/SPE/Il Resto Del Carlino, non poteva non essere partecipe alle manifestazioni che vede il 2007 l'anno degli Estensi. Nell'ambito delle manifestazioni culturali collaterali, indette dalla Camera di Commercio di Ferrara per la XXIV Settimana Estense, in collaborazione con la Carife, la direzione artistica della SPE ha dato vita a questa vivace rassegna ideata e a cura di Grazia Chiesa, con l'appoggio del ferrarese Gian Luca Amaroli, invitando, a creare un'opera attinente al grande casato, artisti scelti per la loro cultura e per la loro attenzione e ammirazione verso gli Este. Alcune opere sono figurative e rappresentano in modo preciso personaggi, castelli, eroi del grande casato. Altre sono libere interpretazioni in cui giocano frammenti di decorazioni ambientali tipiche dell'epoca e anche riferimento agli ornamenti e ai gioielli delle grandi dame. Le foto presenti sono un corale omaggio alle tradizioni e al folclore colto della Ferrara di oggi perpetua con ammirevole sostegno sia del pubblico che del privato.Si tratta di una esposizione ricca di spunti e ritmata da un comune interesse verso Ferrara, la sua tradizione, la sua terra. Anche a Copparo, nella Torre Estense, la D'Ars Agency è partner della rassegna che si inaugura nello stesso giorno dell'apertura di questa mostra. Una rassegna che dà onore a Dante Bighi, grande designer copparese, e fa conoscere la collezione d'arte contemporanea che questo grande uomo ha raccolto anche su suggerimento del famoso critico francese, suo grande amico, Pierre Restany, e coordinata negli anni dalla sezione eventi della D'Ars Agency.
fonte iconografica da www.arte.go.it

giovedì 20 settembre 2007

Mirella Floris e le sue strisce di vento















Argini...



…di stoltezza
dei nostri
fiumi d’anima
bloccano il corso
Forte la spinta,
tenace l’andare,
severo l’impegno…
a plasmare la storia
il corso scorre.
fingere di ridere per sempre,
simulare festa e allegria nello sfacelo,
così pure
può andar bene

MIRELLA FLORIS scrive da sempre, esprimendosi in vari generi, dalla poesia al romanzo, all’articolo giornalistico.
Ha già pubblicato: Lampi d’estate, un libretto di poesie intense e musicali; Lampi del tempo, una raccolta di liriche che indagano problematiche e sofferenze del nostro tempo;La terrorista, romanzo giallo che narra vicende di lotta armata tra l’Italia e il Marocco; e, per i tipi di Besa, Venuta dal mare, romanzo giallo particolare, con un racconto nel racconto, leggibile “tutto d’un fiato”.
Cura gli inediti per www.libreriadonna.com e opera nell’ADI (Ass. Donne Insieme) e nell’Od@P (Officina delle Parole) delle quali è fondatrice e presidente.
Con Strisce di vento ha vinto il secondo premio Elsa Morante (Roma 2006) e il Premio speciale della giuria Istituto Italiano di Cultura (ICI) Napoli nel 2007.
Il suo sito personale è http://www.mirellafloris.com/

giovedì 13 settembre 2007

Michelangelo Zizzi cura un Laboratorio di scrittura creativa

















Dell’Eroico Furore
Corso avanzato di II livello

(Fucine letterarie)


Scrittura Creativa e Consulenza filosofica

Ideato e condotto da Michelangelo Zizzi.


1 La questione dello stile: sporcarsi le mani
2 La questione dello stile: contaminazione, entropia e integrazione.
3 Una passione infinita. La figura narrativa e la figura poetica: relazione, intensità, concentrazione. (Laboratorio di scrittura)
4 La rimozione dei blocchi immaginativi ed emozionali nell’agire letterario. Fluidificazione e consolidamento oltre la congestione stereotipa. (Laboratorio di scrittura)
5 Poesia e movimenti concentrici: il concetto di ripresa, discontinuità e riconnessione immaginativa. La fecondazione emotivo – sentimentale. (Laboratorio di scrittura)
6 Generi narrativi: noir, giallo, rosa, fantasy, favolistico, storico, di formazione, borghese, ecc. (Laboratorio di scrittura)
7 I linguaggi e lo stile: catabasi dell’identità e sua riformulazione. (Laboratorio di scrittura)
8 Narrativa: incipit, exitus, dialoghi, personaggi, storia. Oltre il flusso di coscienza: gli intermezzi e il lavoro di ricognizione dopo le tecniche di abbandono. (Laboratorio di scrittura)
9 Narrativa: il regista, il filosofo e la scrittrice: come tre persone scrivono un romanzo. (Laboratorio di scrittura)
10 Incontri con massimi scrittori, giornalisti e critici nazionali.
11 Risultati, confronti e rapporti con editoria e pubblico.


Il corso si articola in 11 incontri di full immersion di 3 ore ciascuno, è riservato a scrittori semi – professionisti e già praticanti ed è finalizzato all’immissione nel mondo editoriale. Il calendario verrà reso noto dopo l’incontro promozionale, fissato per il giorno martedì 18 settembre alle ore 18, 30 presso il Fondo Verri di Lecce.

Info: 328/3292451
fonte iconografica da www.francois.darbonneau.free.fr

martedì 11 settembre 2007

Marcello D’Orta e le sue Fiabe sgarrupate!













Ho trascorso interi pomeriggi non più di un decennio fa, appassionandomi, pagina dopo pagina, alle avventure di Frodo Baggins, sin dall’inizio del suo viaggio per le terre oscure di Mordor, accanto ad Aragorn, Sam, Gandalf e il famigerato Gollum ( o Smigoll), tremando con loro al cospetto di figure sinistre come orchi e Uruk-hai, odiando l’ambiguità di Saruman, gioendo per ogni vittoria sul male, incarnato dall’immortale Sauron. In altre parole il più grande capolavoro fantasy mai scritto sino ad oggi: Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Come poi non lasciarsi solleticare dalle nuances similtolkieniane di C. S. Lewis e le sue Cronache di Narnia, un’opera dove fauni, minotauri, streghe, animali parlanti amano, gioiscono, combattono in una dimensione ed un tempo altri, in cui l’eterna lotta tra il Bene e il Male,viene arricchita (a vantaggio del lettore in merito alla godibilità complessiva del testo) da una notevole dose di descrizioni e caratterizzazioni che solo un illustre medievalista come Lewis poteva dare. Insomma, una serie di riferimenti necessari per introdurre un discorso sulla fiaba ( come non considerare gli esempi sopracitati appartenenti al genere in questione), una delle tante facce della letteraturaall’interno della quale solitamente il protagonista per portare a buon esito ogni impresa intrapresa, deve fare i conti con la paura, la truculenza e l’orrore. Prima di giungere al sudato riscatto, è sempre necessario pagare un pedaggio salato. E fare ovviamente i conti con il mito, oggi divenuta un’altra categoria che ha determinato un deciso salto di paradigma sulla cognizione del percepire la fiaba stessa, che sacrifica se stessa pur di diventare racconto puro, assoluto, nonché produzione del proprio corpo di narrazioni mitiche o mitopoietiche nella Storia. Ad esempio nell’odierna produzione letteraria italiana, quest’esigenza di raccontare, creare storie, attraversandole, cambiandone connotati, misurandosi nella fondazione di universi o multiversi mitopoietici, la riscontriamo in opere come New Thing di Wu Ming 1, Perceber di Leonardo Colombati, Neuropa di Gianluca Gigliozzi, Occidente per principianti di Nicola Lagioia. E come nelle fiabe, anche in queste opere prende corpo la vita nei suoi aspetti più decisamente realistici, con la consapevolezza che in fondo anche le nostre esistenze si collocano in un percorso fatto di innumerevoli difficoltà, e che solo grazie alla volontà di riuscire di ciascuno di noi, tutti gli ostacoli possono essere superati (forse…). Anche la famigerata questione della morale trova una sua collocazione in ogni processo narrativo di tipo creazionale: se dovessimo seguire Karl Popper e la sua teoria falsificazionista, sapremmo con certezza affermare che tutta la vita è un risolvere problemi, e che prima di confutare una teoria qualsiasi, occorre verficarne la sua rispondenza logica nei flussi informativi intercorrenti tra premesse e conclusioni ( se si esclude naturalmente l’anarchismo metodologico). Non è forse anche questa una sorta di morale? Ho avuto di recente l’opportunità di imbattermi nell’ultimo lavoro di Marcello D’Orta , dal titolo Fiabe sgarrupate per i tipi di Marsilio. Non molto incline alla tipologia letteraria di stampo umoristico, e non troppo contento dei precedenti lavori di quest’autore ( Io speriamo che me la cavo, Dio ci ha creato gratis, Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso e il Maestro sgarrupato) per un’eccessiva leggerezza di stile e di contenuto, l’opera, in questa sede recensita, sembra possedere una serie di peculiarità che la rendono veramente apprezzabile. A parte la profusione di citazioni colte nell’introduzione, giusto per rendere noto ai lettori l’interesse per la fiaba da parte di grandi personaggi come Jean de la Fontaine, Henry Bergson, Schiller, Freud, appare riuscitissima la detournazione simbolica fatta da Marcello D’Orta sulla struttura narrativa di classici della fiaba a partire da Cappuccetto Rosso, Il Soldatino di stagno, per arrivare a La Bella e la Bestia, Il Gatto con gli stivali, Il Pifferaio magico, e gli eterni La volpe e l’uva, nonché Il topo di campagna e il topo di città e molti altri. Passando così con disinvoltura da Hans Christian Andersen, ai fratelli Grimm, Charles Perrault, Madame Le Prince de Beaumont, Robert Browning, Oscar Wilde, il meno noto Giovan Battista Basile, Esopo, Fedro, e dulcis in fundo Jean de La Fontaine. A voler snellire la museificazione che da troppo tempo ha subito la fiaba, relegata nei sussidiari delle scuole, o come leggenda mito-iconografica ( la mamma o il papà di turno che leggono una fiaba al figlio ogni sera, prima del bacio della buona notte), ci pensa lo stesso autore, che non solo contamina ripetutamente ogni storia con del sano umorismo napoletano, ma si diverte a inserire elementi pop che vanno dai riferimenti cinematografici come la Febbre dell’oro di Chaplin, a Godzilla, ET, ai grandi della letteratura internazionale come Kafka, per non parlare della sottile critica sociale( per lo meno in chiave umoristica) realizzata in punta di penna.. Due esempi potrebbero rendere più chiare le idee. Il primo: “ (…) Il giorno dopo di buon mattino, il pifferaio scese in strada e cominciò a suonare. Intonò un motivo di sua invenzione, intitolato Chella zoccola’ e màmmeta e il successo fu strepitoso. Dalle case, dalle stalle, dai granai, dalle botteghe e dai campi uscirono folle dei topi: grassi e magri, bianchi e neri, vecchi e giovani; tutti insomma, e presero a seguire il flautista”. ( Il flauto magico, pag. 130). Il secondo: “ (…) Una volta un sorcio – ora sapete di che si tratta – ricevette nella sua tana, la visita di un amico, un topo proveniente dalla città. Questi veniva da Londra, dove i roditori sono divisi per classe: alla classe alta – Upper class – i topi di castelli, manieri e palazzi signorili; alla classe media – middle class – i topi borghesi; alla classe bassa – working class – i topi di condomini popolari” ( Il topo di campagna e il topo di città, pag. 161). Oltre la possibilità di definire un lavoro come questo, degno di attenzione, per l’operazione in sé che rappresenta, occorre spingersi su una considerazione a mio avviso necessaria da farsi in merito. Fiabe sgarrupate, contiene tanti e tali riferimenti letterari, filmici, provenienti dal mercato dello spettacolo, da poter essere un generatore di link di senso così ricco, tale da divenire un prodotto editoriale spendibile come libro di testo nelle scuole, fruibile e utile per un sostanzioso lavoro interdisciplinare. In fondo, potrebbe essere un inizio per un modo diverso di pensare la scuola oggi… e sarebbe già un qualcosa!


da www.musicaos.it

venerdì 7 settembre 2007

Il mondo di Afra di Luisa Ruggio


















Luisa, tu sei uno dei volti del giornalismo televisivo più conosciuti nel sud (e penso e te lo auguro a breve anche sul territorio nazionale), hai ideato e condotto diversi programmi, insomma ti sei fatta conoscere e apprezzare in questo campo, come una seria e valente professionista. Ma Luisa ha anche un altro lato, che è quello della passione per la scrittura, che stiamo apprezzando con il tuo libro d’esordio, dal titolo Afra, per i tipi di Besa.
Quando hai contratto questa malattia?
Scrivere ha sempre popolato la mia vita, incantandola. E’ stato il mio oracolo, la mia sola gioia di vivere, un’insonnia che porta troppo lontano e invita a ritirarsi dal mondo, anche quel mondo di cui sembro fare parte nello slalom continuo del mio lavoro di giornalista televisiva, che a me non svela nulla, è intrattenimento per gli altri, una specie di copertura per il laboratorio alchemico dove mi rintano da quando ero pressapoco una bambina, innamorata della combinazione impossibile delle parole. Quelle parole mi chiamavano come compagni di gioco in un cortile, come amanti in fumose camere d’albergo, come luoghi di elezione e salvifico smarrimento, le trovavo sulla vecchia Olivetti Lettera 35, dono di un vecchio signore col Borsalino blu, che era mio nonno. Un uomo del Sud, pratico e romantico allo stesso tempo, atratto dalla letteratura ma non al punto da lasciarsi sedurre dalla Bellezza. Io credo che mi abbia regalato quella vecchia macchina da scrivere per scardinarmi e insegnarmi che a volte i cardini del Palazzo di Armida nel nostro cuore e nella nostra penna non sono d’oro bensì di un vile metallo, come quello che muove le lettere da battitura. Perchè si scrive a colpi, a colpi diretti, cercando di dimenticare un corpo che ci è stato dato non perchè ci limitassimo a viverlo. E’ difficile lasciare che l’immagine di ragazza che nella vita fa ” la televisione ” passi sullo sfondo rispetto a quello che sono veramente, una ragazza che scrive. Sono più una che scrive che una persona viva. Ha detto Pavese: chi sa vivere non scrive e chi sa scrivere non sa vivere. Io non è che non abbia saputo vivere, il fatto è che mi è riesciuto di farlo meglio nei miei mondi.Afra. Una terra che rievoca per il suo calore il ventre gravido di una madre, un orizzonte esistenziale fatto di uva regina, di ulivi secolari dal profumo inconfondibile, di sudore, di amore, oscenità e tradizioni. Sì, perché Afra in fondo è la storia di una famiglia, in questo nostro Sud del mondo, dove si intrecciano passioni e sentimenti, rinunce pesantissime, incomprensioni e profondo sentimento, in un intreccio che coinvolge sentimentalmente il lettore sino in fondo, con uno stile davvero maturo e intrigante che qualifica come pregevolissima l’opera di questo tuo esordio.
Come è nata l’idea di questo libro? Da quanto tempo ci stavi lavorando? E ancora, ci sono stati lettori “VIP” che ti hanno dato qualche consiglio?
Non esistono consigli nella scrittura. Esistono i fogli di scrittura, i continui ripensamenti, il desiderio costante, feroce, di cancellare tutto, di domandarsi davanti alla prossima parola da scrivere che cosa si crede di fare. Non c’è scrittura se non c’è un problema, il libro è lì anche quando non siamo ancora in grado di parlarne, è l’ignoto che è dentro di noi, profondo e astratto, nella placenta dei giorni e nel lievito dei fatti della vita. Ho cominciato a scrivere Afra in un pomeriggio di primavera di tre anni fa, tre anni sono tanti per scrivere un romanzo, tre anni non sono niente per scrivere un romanzo. Ci sono romanzi che durano tutta la vita, che non finiscono mai, come certi quadri e questa è una cosa in pittura si impara presto: i quadri sono superconduttori di tempo perchè intrappolano la luce di cui è fatto il mondo, di cui siamo fatti noi. Luce e spazio vuoto. Mi piace applicare quest’immagine anche alla scrittura, i romanzi come superconduttori di tempo, come quel genio finito nella bottiglia che qualcuno ha trovato il modo di acciuffare, proprio come nelle favole arabe, le più antiche del mondo e così attuali quando si tratta di farsi un’idea della narrazione. Mi fermo spesso a pensare che in Oriente esistono ancora i narratori di storie, si fermano per strada, nei mercati, tra gli incantori di serpenti e di scorpioni, nella polvere di una strada di spezie e preghiere: laggiù ci sono ancora i cantastorie, i portatori dell’oralità di un tempo, i libri umani, con mani raggrinzinte come le antiche pagine di un codice miniato e scampato a un incendio. Se un consiglio ho trovato sono stati proprio i libri a darmelo. Ho un’inconsolabile voglia di leggere. E’ tutta colpa di Marguerite Duras se ho deciso che da grande avrei scritto. Poi, certo, nella mia carriera televisiva ho avuto modo di incrociare la strada di molti scrittori che amo, Erri De Luca, per esempio, Antonio Tabucchi, Rina Durante, Roberto Cotroneo. Credo che già il solo fatto di aver avuto il privilegio di una chiccherata e un paio di caffè con questi sultani della scrittura sia stato come carpire i segreti nella bottega del cesellatore.

In Afra, c’è un forte desiderio di raccontare, o meglio un gusto del narrare che risponde a quell’istanza della mitopoiesi (della creazione del mito, quello del saper dire di una storia o di più storie) propria di una tradizione narrativa post-millennio. Ed Afra pare in verità più che un mito, un discorso sul mito, quello di un Sud del Sud del mondo. Tu a quale tipo di Sud appartieni?
Appartengo a un Sud che non esiste. Che invento di continuo e dal quale, qualche notte, mi lascio pensare, come sapendo che il Sud impossibile del mio cuore non si dimenticherà di me nei suoi continui, emorragici, slittamenti di memoria. Quando vivevo lontano dal Salento, a Milano, chiudevo gli occhi per ritrovare una bussola che mi indicasse almeno una delle verità che soffiano tra i due mari di questo Mediterraneo delle meraviglie che di meraviglioso in questi anni ha poco e niente, che vede nei suoi fondali pascere i morti di tante traversate dell’ultima speranza e ha cancellato le rotte per le città sommerse cantate dai poeti e dai disturbati del sonno. Appartengo a un Sud visionario, dove la Bellezza ha un valore panico e molti militanti della scrittura finiscono con lo scomparire come le vergini della Hanging Rock australiana nel bel film di Peter Weir tratto dal romanzo irrisolto di Joan Lindsay. Il tradimento di una Natura che entra in ogni cosa, come una donna che toglie il fiato e che continueremo a perdonare anche se sappiamo che ci mentirà sempre. Ma a volte sono i luoghi che ci tradiscono di più quelli che più amiamo. Il Sud è solo spleen, è una nostalgia, una sospensione, un parallelo ambiguo della veglia, al rallenti.
Sappiamo, Luisa, che tu hai avuto anche esperienze editoriali, in sedi più scientifiche, nel campo della saggistica psicologica e cinematografica. Lì i codici cambiano, occorre più rigore, più capacità di sviluppare in chiave analitica, quello che si vuole dire. Nella realizzazione di Afra, hai sentito un gap, tra quel tuo modo di scrivere e questo?
I saggi sul cinema e la psicanalisi hanno comunque richiesto e mantenuto ferma la mia vocazione narrativa. Sono soprattutto memorie, gli archivi di un rapporto con la sala cinematografica che è stata, presto nella vita, la mia seconda casa. Perchè negli anni di mezzo, tra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza, mio padre decise di rilevare la gestione di molte delle antiche sale cinematografiche salentine. Questo ha significato per me passare intere giornate al cinema, vedere una quantità di film impressionante, assaporare il contatto, psico-fisico, con il buio protettivo della sala, stringere alleanze con i vecchi proiezionisti resistenti all’avvento delle super-attrezzature dei multisala. E’ stato come viaggiare. Nei miei saggi ho solo riportato i diari di questi viaggi che si svolgono sempre nella mente di uno spettatore incallito, in quella felicità del non esistere che prende chiunque davanti a un buon film. Ho analizzato questo aspetto ma senza la tecnica dello scandaglio accademico, con la semplicità di chi riporta un paesaggio di dentro. Anche con Afra ho fatto questo, Afra si può leggere in molti modi, così come ogni film si presta a esegesi amplificate per ogni spettatore. Come negli antichi restauri dove è facile intuire un doppio sfondo, anche in questa storia c’è un altro panorama oltre a quello di una terra che accomuna tutti i personaggi, ed è un panorama umano, un panorama della mente dove forse parlare di psicologia può sembrare abusivo ma non lo è considerando il fatto che pur essendo avvistati quotidianamente nei luoghi che la vita ci ha assegnato, tutti noi, chiudendo gli occhi, siamo sempre da un’altra parte.
Entriamo in una sfera più personale … quali sono gli autori contemporanei in prosa e/o in poesia a cui ti senti più vicina, più legata, che ti hanno magari aiutata a superare alcuni ostacoli nella dimensione del quotidiano?
Avrei voluto conoscere Marguerite Duras, guardarla scrivere, anche sbirciando da una porta socchiusa. Così anche Anais Nin, e Jeanette Winterson, che vive attualmente in Inghilterra. Ho amato il primo Baricco, ma poi correvo a leggere Henry Miller. Ho divorato Marquez, ma poi mi sono ubriacata con Allen Ginsberg. Ho pianto per colpa di Meir Shalev, ma poi ho scoperto Amos Oz. C’è sempre un Tabucchi sul mio comodino, anche se è coperto dai capolavori di Maurizio Maggiani. Karen Blixen mi ha cambiato la vita, in tutti i modi in cui una vita può essere cambiata.
Questa domanda è d’obbligo … progetti per il futuro?
Scrivere. Cos’altro?
da booksblog.it

domenica 2 settembre 2007

Il potere di Noam Chomsky: distopia dell’ordine sociale









Il potere di Noam Chomsky, (Editori Riuniti) rappresenta un tentativo da parte dell’autore di trovare quelle coordinate teoretiche necessarie per effettuare un discorso sulla natura umana e l’ordine sociale nella storia. Interessanti gli studi in apertura del volume, sul linguaggio, passando in rassegna una serie di testimonianza che vanno da Von Humboldt, a Wittgenstein a Quine, sino a studi più contemporanei, con indomabile spirito di ricerca e di esplorazione per la costruzione di nuovi orizzonti che aiutino a comprendere come la facoltà più importante appartenente in maniera complessa e articolata alla razza umana (ma anche gli animali e le specie vegetali hanno un loro modo di comunicare attraverso altre tipologie di “linguaggi”), cioè quella del linguaggio e della nostra capacità di utilizzarlo per comunicare, riveli ancora numerose zone d’ombra sulle sue modalità generative, di applicazione e di finalizzazione che ancora devono essere studiate. Una parte considerevole del volume prosegue l’impegno di Noam Chomsky, a denunciare il potere, quello delle grandi corporation americane dell’ingegneria militare, che cerca di costruire un dis-ordine mondiale dove la dominazione del più forte sul più debole è la prassi da perseguire ad ogni costo. Qualche nome? Oltre gli U.S.A, Gran Bretagna e Australia. Interessante come queste nazioni nascondano sotto il fulgore accecante dei più alti idealismi ( l’intervento in tutto il mondo laddove il Male – il comunismo per intenderci- diffonde la sua influenza e il suo potere) un mero interesse per gli affari, senza alcuno scrupolo né limite. Il Male, per questi paladini della Giustizia, a volte assume connotazioni addirittura più subdole del nemico storico del comunismo … addirittura la Democrazia, un virus letale, da debellare con qualsiasi mezzo. Interessante l’analisi dell’affaire Timor Est fatta da Chomsky, in questa pubblicazione tradotta in Italia da Massimo Maraffa, redazionata con grande cura soprattutto per ciò che concerne le fonti citate, e che illustra come funzionano le logiche di dominazione neo-coloniale degli Stati più forti sui più deboli in ambito internazionale.

fonte iconografica da www.tmcrew.org

giovedì 30 agosto 2007

Per Cesare Battisti


fonte iconografica da www.wumingfoundation.com
Alla latitanza per il compagno Cesare Battisti dopo il suo arresto in Brasile


Cade un governo e brindo sul telegiornale

alzano il pollice e il fanale sul più moderno degli arresti.


Quello dello scrittore hanno fatto un favore

al buco da coprire con un altro buco

agli indigesti

pranzi del cuoco della memoria che tutto in una grossa pentola

mette e d’un buon corpo

ha sempre bisogno

per prepararele bugie


Nunzio Festa

mercoledì 29 agosto 2007

Il blog di Con-Fine


















Sono lieto di informarvi che è online
il blog di con-fine
all’indirizzo http://blog.libero.it/confinearte/

Un punto di ritrovo dedicato a tutti i lettori e agli amanti dell'arte che vorranno intervenite sugli argomenti affrontati di volta in volta sulla rivista cartacea, creando una discussione virtuale sull'arte e sugli artisti che ci accompagnano in questo viaggio intrapreso alla ricerca della bellezza e alla scoperta dei temi che sottendono l'atto creativo.
Nel blog è possibile intervenire, lasciando commenti e considerazioni, sulle mostre e su tutto ciò che succede nel mondo dell’arte contemporanea.

lunedì 27 agosto 2007

Periferie















“La finestra sul cortile è nata per gioco. Gioco letterario elementare, come un compito di scuola: - Descrivi cosa vedi dalla tua finestra -. Volevo che a rispondere fossero gli scrittori italiani accusati a più riprese di non essere in grado di raccontare la realtà”. Così Stefania Scateni, esponeva la sua progettualità editoriale nel libro da lei curato e prodotto da Quiritta nel maggio 2005 dal titolo “Le finestre sul cortile”. Un lavoro interessante, senza ombra di dubbio, a nostro avviso con molta più sostanza di un semplice gioco letterario. Ora la Scateni ci riprova, con “Periferie” edito da Laterza nella collana CONTROMANO. Un lavoro quest’ultimo che rivela più aderenza a quelle che sono le categorie proprie di un’antropologia letteraria. Il gioco questa volta si fa serio. Ebbene, la sostanza dell’intero percorso seguito dai diversi autori e dai numerosi artisti e fotografi che hanno con-partecipato all’iniziativa, è un sostanziale desiderio di base nel voler sottrarre l’immagine della periferia come luogo urbano-architettonico monoliticamente grigio e inespressivo e umanamente mostruoso, popolato da figure di reietti, fessi, disadattati, immigrati clandestini, mignotte, e responsabile di una superproduzione di atti da bullismo che si riversano dalle scuole alla strada, luogo dove financo l’umanità dei servizi sociali o del volontariato della diocesi di turno, si sente sconfitta non perché gli manchi la forza per reagire a una situazione di degrado, ma perché l’orizzonte dell’esistenza si tinge di contorni sempre più evanescenti. In fondo l'emarginazione delle periferie è un fenomeno metropolitano riscontrabile in tutte le grandi città del mondo: dalle Favelas di RIO, alle bidonville di Manila, Shangay o alle periferie dormitorio di Parigi, Berlino, Roma, Milano. Sono espressioni tangibili di un sistema socio-economico-politico che vuole imporre la Differenza nella sua espressione istituzionale più palesemente visibile del Controllo e del Dominio. Fenomeni che hanno ad ogni modo la stessa origine: le macroscopiche disparità sociali tra una moltitudine sempre più ampia di poveri esclusi dal consumismo che penetra nelle menti tramite l’instillo quasi lubrico dei desideri provenienti dal mondo della pubblicità mediatica e una minoranza sempre più ristretta di ricchi che del consumismo materialistico da griffe ad ogni costo hanno fatto la forma di esistenza a loro più consona. Le macchine che sono bruciate nelle periferie di Parigi hanno riportato in primo piano, e non solo sulle prime pagine dei giornali, il disagio sociale, la paura, l'insicurezza, la diffidenza che ritroviamo nell’intra/relazionalità all’interno delle periferie delle nostre grandi città. Molti non sono in grado di comprendere quale bomba sociale si sta nascondendo dietro lo spettro dell'emarginazione. Non è possibile più girarsi dall'altra parte facendo finta di non vedere, e accettare che una minoranza, ben istruita ed economicamente benestante punti il dito contro quella gente delle periferie che è rimasta ai margini perché non in grado di essere competitiva in una società che è sempre più a scartamento ridotto. In Periferie, gran parte di quello che si legge e iconograficamente si osserva, fa riflettere e questo è già un ottimo punto di partenza per un libro, in un momento in cui il libro ormai da tempo non espone la sua certificazione di origine controllata. L’intreccio costruito sapientemente da Stefania Scateni, coordinando il lavoro di tutti gli scrittori e gli artisti, è davvero magistrale, soprattutto perché il narrare si fa vedere e vivere anche attraverso l’attualità creazionale di Annalisa Sonzogni, il Gruppo Underworld, Andrea Chiesi, Laura Palmieri, il duo Botto e Bruno, e Alessandro Piva. Un libro che al di là di tutto si fa apprezzare, si lascia assorbire e metabolizzare, tanto che ne nasce una sottile gioia, quasi che il messaggio alla fine arriva in tutta la sua forza dirompente: la/le periferie sia intese come siti urbanisticamente individuabili sia come geografie del vivente-essente, rappresentano un crogiuolo di energia e libertà fantasmagorica impressionante. Si può e si deve ripartire dalle periferie, anzi, come dice il Gruppo Underworld, occorre pensare ad una Periferia Totale, che azzeri le differenza discriminanti e favorisca lo scambio, il rispetto reciproco, la dimensione della pulsionalità attiva nella creazione artistico-scritturale che si riversi poi come cascata sul sociale come azione di riscatto, progresso, e riumanizzazione. Un’umanità che, seppur tangenziale rispetto al centro, rivela un’infra-lingua etica più densa, viva e rigenerante. In Bari. Dieci anni scrive Nicola Lagioia: “ (…) Il derubato poteva esercitare un vero diritto di prelazione sull’oggetto del furto. Avrebbe potuto, in definitiva, riscattare il motorino entro due giorni dalla sua scomparsa. Lo Sghigno ti fregava la vespa, avevo detto a mia sorella. Tu bestemmiavi, lo maledicevi, promettevi di fargli sputare sangue. Poi, nel pomeriggio, cercavi in qualche modo di racimolare due o trecentomila lire. Ti facevi accompagnare da un amico in una zona semideserta vicino Torre a Mare. Qui, al posto di quello che un tempo doveva essere stato un campo di carciofi, c’era una piccola officina. Era il quartier generale dello Sghigno. Lo trovavi che stava lavorando su un cilindro, o stava fumando, o si stava masturbando davanti ad un giornalino pornografico. Lo Sghigno ti vedeva. Diceva «Eh?». Tu presentavi le tue generalità: eri il proprietario della Vespa rossa che lui si era fregato il giorno prima. Lo Sghigno agitava nervosamente le mani nel vuoto come per dire un – attimo – e scompariva per qualche minuto. Tornava con la tua Vespa rossa, che naturalmente non era più la tua Vespa rossa. Lo Sghigno ci aveva messo mano. Aveva allargato il collettore, sostituita la marmitta, montato il 102, piombato le coppe e riverniciato la carrozzeria tutta di blu. Tu gli dicevi – bene -. Pensavi – grazie -. Lasciavi i soldi da qualche parte e ritornavi con un bolide da 120/km orari capace di bruciare in curva, in rettilineo e persino su una ruota qualunque ridicolo Red Rose della Aprilia.”. (pp.97, 98). Allora buona lettura e soprattutto cambiate il vostro punto di vista: le periferie di Milano, Napoli, Bologna, Roma, Torino e Bari hanno ancora molto da raccontare. Gianni Biondillo, Giuseppe Montesano, Emidio Clementi, Beppe Sebaste, Silvio Bernelli, Nicola Lagioia, lo hanno fatto in maniera esemplare.

(AA.VV, Periferie, a cura di Stefania Scateni, Laterza editori, collana Contromano, pp.118)

da www.musicaos.it

mercoledì 22 agosto 2007

Alla corte di Re Artù di Noam Chomsky









La guerra in Vietnam è stato uno degli episodi più agghiaccianti della storia degli Stati Uniti d’America. Una guerra nella quale i francesi combattevano, sostenuti economicamente e logisticamente dagli U.S.A, per riportare sotto la loro sfera di influenza e controllo l’ex-colonia in Indocina. La conferenza di Ginevra del 1954 aveva diviso in tre grandi porzioni politico-territoriali: Laos, Cambogia e Vietnam. Inoltre aveva previsto delle elezioni democratiche per il 1956 al fine di poter unificare il Vietnam del Nord con capitale Hanoi sotto la guida di Ho Chi Minh di chiara tendenza filosovietica, e il Vietnam del Sud con capitale Saigon sotto la guida di Diem, di chiara ispirazione cattolica. Il coinvolgimento degli Stati Uniti, è stato graduale con l’impiego di forze militari a partire dal 1950, per poi diventare sempre più massiccio nel corso degli anni sessanta sotto la presidenza Eisenhower, Kennedy, Johnson, e Nixon. Gli U.S.A si erano assunti la responsabilità di portare sostegno ed aiuto ad un alleato, il Vietnam del Sud minacciato dal comunismo sovietico e filo-cinese di Ho Chi Min (Repubblica del Vietnam del Nord), per la difesa della democrazia, secondo poi un programma di azione politica negli affari internazionali, che l’America consoliderà e perfezionerà nel tempo (Afghanistan, Iraq, etc). Una guerra, o meglio un’aggressione illegale perché non vi era stata alcuna dichiarazione di guerra formalizzata, che ha segnato in maniera profonda l’America stessa portandola quasi al collasso economico, e soprattutto creando una pericolosa destabilizzazione sul piano internazionale. A parte tutti gli orrori che la guerra in Vietnam ha provocato (ad esempio in un libro del 1963 di Richard Tregaskis venivano riportate le interviste fatte ai piloti degli elicotteri impegnati in operazioni militari, i quali dichiaravano di divertirsi come pazzi a sparare sui civili in aree con una massiccia presenza di vietcong), l’attenzione di Noam Chomsky nel suo libro Alla Corte di Re Artù (Eleuthera), verte sull’analisi delle fonti sia istituzionali (Pentagon Papers) che dei media, nel periodo che va dall’assassinio di Kennedy sino ai nuovi incarichi del presidente Johnson. Entrando nello specifico, l’attenzione dell’esimio professore del M.I.T si concentra su questioni particolarmente scottanti come ad esempio la presunta decisione di Kennedy di cominciare un ritiro graduale delle truppe americane dal Vietnam. Una decisione assolutamente impopolare in quel periodo soprattutto nell’area dei “falchi”, tanto da far sorgere il dubbio, in numerosi ambienti dell’establishment americano, di una vicinanza del presidente al “demone” del socialismo. Soprattutto ad esempio alla luce di documenti come il NSAM 263 di Taylor e McNamara, dove si affermavano i seguenti punti operativi (pp.121 e 122): “ 1) Intensificazione delle attività militari in tutto il Paese in modo da portare a termine la campagna militare nelle aree settentrionali e centrali entro la fine del 1964 e in quelle meridionali entro la fine del 1965; 2) Addestramento dei vietnamiti a prendersi carico delle funzioni essenziali che vengono attualmente svolte dal personale militare americano,in modo che si renda possibile ritirare il grosso del personale americano entro tale scadenza; 3) In accordo con il secondo punto il Dipartimento della Difesa dovrà annunciare in un futuro molto prossimo i piani, attualmente in fase di preparazione, per un ritiro di 1000 addetti militari americani entro la fine del 1963. Questa misura dovrà essere spiegata,con toni cauti, come la mossa iniziale di un programma a lungo termine per sostituire il personale americano con vietnamiti addestrati, senza pregiudicare lo sforzo bellico”. Ad ogni modo dopo l’assassinio di Kennedy, la situazione in Vietnam continuò a precipitare anche sotto la presidenza Johnson, sino a quando la situazione, tra il1968 e il 1969 non rese indispensabile il ritiro immediato delle truppe americane. Chomsky analizza l’intera vicenda in maniera non solo lucida e puntuale dal punto di vista storico e politico, approfondisce la figura di Kennedy nella sua attività politica sino all’attentato a Dallas, ma anche con qualche riferimento alla mitologia cinematografica attorno al presidente, creata da Oliver Stone nel film JFK con Kevin Costner, frutto di uno studio accurato del regista sull’opera John Newman, il maggiore esperto sull’ “affaire” Vietnam.

Nuvole di Carta 2007




Associazione Nuvole di Carta e Comune di Nardò - Assessorato al Turismo e Assessorato agli Affari generali - presentano: Nuvole di Carta sulle Quattro Colonne

ARRIVANO A NUVOLE DI CARTA 2007:
BRUNO BRINDISI, PLURIPREMIATO DISEGNATORE DI DYLAN DOG, AUTORE DEI NUMERI 200 E 250 E DEL VENTENNALE
LUPO LUCIO, DALLA TIVU' A NARDO' PER CERCARE GIOVANI LUPETTI SALENTINI
E TANTI ALTRI AMICI DEL FUMETTO

25 E 26 AGOSTO A SANTA MARIA AL BAGNO (LECCE)
Grandi orecchie, pie’ veloce e cervello fino. Ma soprattutto una gran fame che non si riesce a placare. “Alla ricerca di Lupo Lucio nel Salento” è il momento clou del festival del fumetto e della fantasia “Nuvole di Carta sulle Quattro Colonne” che si svolge a Santa Maria al Bagno il 25 e 26 agosto nella marina di Nardò. Lupo Lucio cercherà i lupetti tra i bambini salentini sia nella serata di sabato che in quella di domenica.
Anche per i più grandi c’è una grossa sorpresa: la presenza di Bruno Brindisi, il disegnatore del ventennale di Dylan Dog e del mitico numero 250. Brindisi è uno dei disegnatori più amati di casa Monelli.
Si tratta della quinta edizione della fiera del fumetto e quest’anno si cambia anche sede: la grande festa dei comics si svolge nella bellissima Oasi delle Quattro Colonne (www.quattrocolonne.it), un luogo dalla bellezza purissima, un giardino verde che ingloba i resti della cinquecentesca “Torre del Fiume”, uno dei giganti che difendevano la costa dalla incursioni saracene.
Lupo Lucio, dunque, alias Guido Ruffa, direttamente dalla Melevisione arriva a Santa Maria per cercare quanti lupi si nascondono tra i bambini salentini e per spiegare perchè ha sempre fame e come si diventa Lupo Lucio. Per questo motivo ogni bambino dovrà portare con sé un cartoncino bianco misure A4 21 x 29 cm, un bastoncino come quelli del gelato, piatto e lungo circa 15- 20 cm., un pennarello nero e un pennarello giallo. Il Lupo consiglia anche di portarsi appresso un cuscinetto per sedersi e lavorare meglio.
Per il programma completo basta ciccare http://www.blogger.com/.
“Nuvole di Carta”, poi, darà grande spazio ai temi della “fifa pura” con un vero e proprio “horror fest” al quale parteciperanno, in (poca) carne e ossa, i personaggi più famosi in questo ambiente: certa la presenza di Freddy Krueger, di Frankenstain, di Shrek, di Mask ma altri mostri mostruosi si uniranno alla allegra brigata per salutare il disegnatore di Dyd.
Tanta, anzi tantissima, la carne al fuoco per quanto riguarda il parterre degli altri ospiti: sono attesi Emilio Urbano (Pirati dei Caraibi e Disney), Alessio Fortunato (John Doe), Cosimo Ferri (Skorpio e Jonathan Steele), Giuseppe De Luca (Nemrod), Ketty Formaggio (colorista), Tenaga (area Manga), Domenico Sicolo (supereroi), Claudio Rugge (caricature), Diego Cavalca (Intrepido).
Grandi novità anche sul fronte di allestimento e scenografia: l’azienda Micaletto di Melissano che dal primo anno cura le scenografie, bellissime, tutte in polistirolo speciale, quest’anno ha delle sorprese in serbo in linea con il tema della festa. Poi anche una azienda di Nardò, Fantasy Party, sarà in campo con le sue creazioni fatte tutte di... palloncini. Non mancherà, infine, Juri dell’Angolo del fumetto di Lecce con i tornei di carte Magic L’Adunanza e Yu-Gi-Oh! e decine di collezionisti e mercanti di fumetti, sorpresine e carte di ogni genere. Poi anche i burattini e il laboratorio giocoso di riciclaggio. Anche quest’anno la manifestazione gode del patrocinio del Comune di Nardò (Assessorati al Turismo e agli Affari Generali) che ne ha fatto, ormai, un classico della sua programmazione estiva. Appuntamento, dunque, a Santa Maria al Bagno il 25 e 26 di agosto per la quinta edizione di Nuvole di Carta sulle Quattro Colonne.
A tutti i partecipanti verrà regalato il libretto a fumetti e non solo “Vacanze coi fiocchi - Dai un passaggio alla sicurezza” in collaborazione con il Centro studi Antartide di Bologna. Sarà presente anche un ministand della mitica Star Comics di Perugia, la prima casa editrice a riportare i supereroi in Italia dopo la crisi degli anni Ottanta. Saranno offerti, fino ad esaurimento, i numeri “Zero” delle pubblicazioni lanciate nei prossimi mesi dall'editore che detiene per l'Italia i diritti di Dragonball.

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PROGRAMMA DETTAGLIATO - L’INGRESSO E’ GRATUITO
A tutti i partecipanti verrà regalato il libretto a fumetti “Vacanze coi fiocchi - Dai un passaggio alla sicurezza” in collaborazione con il Centro studi Antartide di Bologna. Sarà presente anche il ministand della mitica Star Comics di Perugia, la prima casa editrice a riportare i supereroi in Italia dopo la crisi degli anni Ottanta. Saranno offerti, fino ad esaurimento, i rarissimi numeri “Zero” delle nuove pubblicazioni Khor e Nemrod. Inoltre alcuni numeri di Dragonball, personaggio del quale la Star detiene i diritti per l’Italia.

Sabato 25 agosto
Ore 10.00/23.00 – Oasi Quattro Colonne di Santa Maria al Bagno (corridoio):
- Grande festa del collezionista con la “V mostra mercato di fumetti, gadget, cards, sorpresine e altri oggetti da collezione”
Ore 10.00/23.00 – Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Esposizione permanente di tavole originali di Bruno Brindisi, Alessio Fortunato, Cosimo Ferri, Emilio Urbano, Giuseppe De Luca, Ketty Formaggio, Tenaga, Domenico Sicolo, Claudio Rugge, Diego Cavalca
- I fumetti... di polistirolo a cura dell’artista Luigi Micaletto
Ore 10.30 - Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Grande festa del disegno: Incontro con gli artisti per una lunga sessione di autografi, disegni e schizzi dal vivo con Bruno Brindisi (Dylan Dog), Alessio Fortunato (John Doe), Cosimo Ferri (Jonathan Steele), Emilio Urbano (Disney), Giuseppe De Luca (Nemrod), Ketty Formaggio (colorista), Tenaga (manga), Domenico Sicolo (supereroi), Claudio Rugge (caricature), Diego Cavalca (Intrepido) e i ragazzi della scuola Lupiae Comix
Ore 10.30 - Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Tornei di Magic e Yu-Gi-Ho! a cura della fumetteria “L’angolo del fumetto”
Ore 17.30 - Oasi Quattro Colonne (giardino):
Festa dei Cosplayers fino a tarda ora. Attesi per tutta la serata i personaggi delle “Anime” giapponesi e i mostri “tanto cari” a Dylan Dog
Ore 17.30 - Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Grande festa del disegno dal vivo: Incontro con gli artisti per una lunga sessione di autografi, disegni e schizzi dal vivo con Bruno Brindisi, Alessio Fortunato, Cosimo Ferri, Emilio Urbano, Giuseppe De Luca, Ketty Formaggio, Tenaga, Domenico Sicolo, Claudio Rugge, Diego Cavalca e i ragazzi della scuola Lupiae Comix
Ore 19.00 - Oasi Quattro Colonne (pista):
- “Le avventure di Betto” a cura dell’associazione socio-culturale Iesalel. In questa storia fantastica il protagonista è un adulto che, travolto dagli impegni di ogni giorno, non si ferma più a sognare e non ricorda più di essere stato bambino. In soccorso arriva un simpatico coniglietto che, aiutato dalla magia del Mago Ago, riesce a riportarlo nel suo mondo fanciullesco facendogli rivivere i momenti magici dell’infanzia
Ore 20.30 - Oasi Quattro Colonne (pista):
- Lupo Lucio alla ricerca dei lupetti nel Salento. Guido Ruffa, in diretta dalla Melevisione, cercherà i giovani lupetti affamati tra il pubblico dei bambini e per spiegare come si diventa Lupo Lucio. Per questo motivo ogni bambino dovrà portare con sé un cartoncino bianco (misure A4 21 x 29 cm), un bastoncino come quelli del gelato, piatto e lungo circa 15- 20 cm., un pennarello nero e un pennarello giallo. Il Lupo consiglia di portare anche un cuscino per sedersi sulla pista: sarà più facile lavorare!
Ore 22.00 - Oasi Quattro Colonne (pista):
Arriva Batman! Preparate videocamere e macchinette per un ricordo indimenticabile: il vostro bambino accanto al cavaliere oscuro! Foto e ricordi anche con i personaggi, dal vivo, dei cartoon giapponesi e con tutti i mostri mostruosi del mondo di Dylan Dog

Domenica 26 agosto
Ore 10.00/23.00 – Oasi Quattro Colonne di Santa Maria al Bagno (corridoio):
- “V mostra mercato di fumetti, gadget, cards, sorpresine e altri oggetti da collezione”
Ore 10.00/23.00 – Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Continuano le esposizioni
Ore 10.30 - Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Grande festa del disegno dal vivo: Incontro con gli artisti per una lunga sessione di autografi, disegni e schizzi dal vivo con Bruno Brindisi, Alessio Fortunato, Cosimo Ferri, Emilio Urbano, Giuseppe De Luca, Ketty Formaggio, Tenaga, Domenico Sicolo, Claudio Rugge, Diego Cavalca e i ragazzi della scuola Lupiae Comix
Ore 10.30 - Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Tornei di Magic e Yu-Gi-Ho! a cura della fumetteria “L’angolo del fumetto”
Ore 17.30 - Oasi Quattro Colonne (giardino):
Festa dei Cosplayers fino a tarda ora. Attesi per tutta la serata i personaggi delle “Anime” giapponesi e i mostri “tanto cari” a Dylan Dog
Ore 17.30 - Oasi Quattro Colonne (gazebo):
- Grande festa del disegno dal vivo: Incontro con gli artisti per una lunga sessione di autografi, disegni e schizzi dal vivo con Bruno Brindisi, Alessio Fortunato, Cosimo Ferri, Emilio Urbano, Giuseppe De Luca, Ketty Formaggio, Tenaga, Domenico Sicolo, Claudio Rugge, Diego Cavalca e i ragazzi della scuola Lupiae Comix
Ore 18.00 - Oasi Quattro Colonne (pista):
- “Le avventure di Betto” a cura dell’associazione socio-culturale Iesalel (replica)
Ore 19.00 - Oasi Quattro Colonne (pista):
RICICLOCREANDO: parlare dei rifiuti in maniera giocosa è importante perché aiuta i ragazzi a riflettere su un tema che, ormai da anni, trova impegnate istituzioni, associazioni e cittadini. Come sarà il mondo di domani se continueremo a produrre tanti oggetti, materiali di scarto e imballi da buttare? Attraverso questo laboratorio i bambini sono invogliati a creare giochi o utensili con i cosiddetti materiali poveri o, meglio, con materiali da riciclo. Il progetto è a cura di Maria Rosaria Iacomino dell'associazione Messapia.
Ore 20.30 - Oasi Quattro Colonne (pista):
- Lupo Lucio alla ricerca dei lupetti nel Salento. Guido Ruffa, in diretta dalla Melevisione, cercherà i giovani lupetti affamati tra il pubblico dei bambini e per spiegare come si diventa Lupo Lucio. Vedi il programma di sabato per i dettagli.

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BIOGRAFIA DI BRUNO BRINDISI
Nasce il 3 giugno 1964 a Salerno, dove tuttora vive e lavora.
L’esordio è su Trumoon n° 1 (1983), rivista edita in proprio da un gruppo di amici fumettari che qualcuno in seguito ha voluto etichettare come “scuola salernitana”.
Tecnicamente è autodidatta, non avendo seguito nessun corso a indirizzo artistico.
Nonostante la passione per il fumetto, gli ci vorranno anni prima di decidersi a sceglierlo come mestiere, rinunciando a una quasi sicura carriera di cameraman alla RAI ed a quella molto più incerta di musicista.
Prima pubblicazione “pagata”, due storie brevi per le Edizioni Cioè nel novembre 1986.
E’ del 1988 la gavetta sui pocket “hard” della E.P.P., tramite lo studio On Mollo M di Francesco Coniglio, che poi diventerà edizioni ACME dando alla luce una serie di testate tra cui Splatter, Torpedo e Mostri. Per quest’ultima disegna “La signora di Alessandria” su testi di Peppe Ferrandino.
Nel 1989 i primi contatti con Sergio Bonelli Editore, con varie prove per Nick Raider, Nathan Never (prima) e Dylan Dog (poi), su cui esordirà nel novembre 1990 con la storia di Tiziano Sclavi “Il male” (n°51). Da allora produce per la Bonelli oltre 3500 tavole, quasi tutte per Dylan Dog (ma anche per Nick Raider, Martin Mystère, Tex, Brad Barron), riuscendo a realizzare nel frattempo una miniserie in tre episodi per la Comic Art (Bit Degeneration), i primi episodi della serie “Billiteri”(per la Universo) e cosettine varie (Orazio Brown).
La miniserie “Bit Degeneration” esce in America sulle pagine della rivista Heavy Metal (maggio ’95-novembre ’95- maggio ’96).
Nel 1997 realizza le sigle dello sceneggiato RAI in sei puntate “Il conto Montecristo”(sic) di Ugo Gregoretti.
Nel 2001 esce per la prestigiosa collana di Tex Gigante (il cosiddetto “Texone”) la storia “I predatori del deserto”.
Nel 2002 i “Neri Per Caso” lo vogliono per la copertina e le illustrazioni interne del loro disco. Nel novembre dello stesso anno esce negli USA la ristampa di un suo Dylan Dog (Zed) per la Dark Horse.
Nel gennaio 2004 fa il suo esordio sulla serie regolare di Tex.
E’ autore del numero uno della miniserie di fantascienza Brad Barron (maggio 2005), su testi di Tito Faraci, sempre per Bonelli.
Attualmente lavora a “Novikov”, una serie di libri a fumetti di ambientazione storica per uno dei più importanti editori francesi, Les Humanoides Associés, ovviamente non tralasciando Dylan Dog che rimane il suo impegno primario e per il quale ha realizzato anche alcuni albi speciali a colori, come il decennale, il numero 200, il doppio numero del ventennale e il numero 250.
Numerose le sue mostre, personali e collettive, in giro per l’Italia.

1993: Premio Albertarelli (ANAFI).
1995: Miglior disegnatore (ANAFI).
1997: Miglior disegnatore Realistico (Fumo Di China).
2003: Miglior disegnatore (Cartoomics-if)
2003: Migliore storia realistica: Dylan Dog- “Il Numero Duecento” (Fumo Di China)
2004: Miglior disegnatore (ANAFI)
2006: Targa Grandi Autori (XXIII Mostra di Falconara)

lunedì 20 agosto 2007

Le luci gialle della contraerea di Mario Desiati




















Mario Desiati, è nato a Locorotondo (Bari), nel 1977. Vive attualmente a Roma dove è redattore della rivista Nuovi Argomenti per i tipi di Mondadori. Fa parte dell'antologia "I poeti di vent'anni" (Stampa 2000), il suo primo romanzo "Neppure quando è notte" é uscito nel 2003 per i tipi di peQuod di Ancona. Di recente pubblicazione alcuni suoi contributi poetici nell'antologia "Nuovissima Poesia Italiana" a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi per la Mondadori. Le luci gialle della contraerea, è il suo ultimo lavoro poetico. Sono convinto del fatto che questi versi non possano essere oggetto di un'accurata analisi per ciò che concerne strettamente la ricerca stilistica dell'autore, le modalità di gestione e strutturazione fenomenologica dei codici poetici o il loro iscriversi in una precisa configurazione ghestaltica! Considerazioni che nascono dall'esiguo spettro di scrittura presente in questo prezioso libretto della Lietocolle, e che mi auguro sia seguìto a breve da un'opera più corposa dove non ci si lascerà trascinare da considerazioni superficiali dettate dal piacere e dall'amore per la poesia in se stessa. Per il momento però cercherò di provare a dire come questi versi di Mario Desiati siano catapultati nel mondo, nel suo mondo e in quello di chi scrive versi e legge poesia, cercherò di specificare qual'è il caratteritisco esserci di questa raccolta. Mario Desiati parte da un'accurata descrizione dermografica dei ricordi, di quegli orizzonti vicini ad una memoria localizzata ai luoghi inscritti geneticamente nella sua esistenza, quella della terra natìa fatta di odori, umori, paranoie misticheggianti, e ossessioni generate da paure ancestrali. Si vedano ad esempio i versi a pag. 9, 10, 12,13. "Il ricordo delle nenie d'infanzia/ s'inerpica per angusti palchi/ la messinscena dell'oblio/ negromanzia ispirata dall'alto/ Ed era in lontananza Valona/ Durazzo, i monti celesti dell'Albania/ seppelliti al contrario sulla cortina/ dietro la coda del miraggio"; "L'incrocio perfetto è intimo bersaglio/ il segreto dei vetri trasparenti/ di un parroco anziano in preghiera/ dei riti della Sant'Anna, con terribili profezie per chi ci creda o no (...)"; "C'è qualcuno che mi vuole uccidere/ senza saperlo con le grida, le maledizioni/ i gesti semplici della giornata/ una posata incrostata, un tovagliolo malmesso/ uno squillo inopportuno". Questo trincerarsi dietro un microcosmo di ciò che resta sospeso nel limbo del passato viene percepito come scarsa lucidità di possesso della propria esistenza, ed è così che che l'autore lancia una sfida a se stesso, che rompa gli argini di un'ingombrante claustrofilìa fine a se stessa e che non permette di assaporare anche l'oblìo del perdersi nell'asettica quotidianità. Percepire quindi la dimensione dell'assenza di punti nodali di riferimento, non diviene mera rassegnazione, ma sospensione, attesa di orizzonti carichi di nuove possibilità. Ad esempio si leggano a pag. 16 questi versi: "Siamo fuori dal mondo/ sospesi nel giudizio, incoscienti attendiamo/ certi passi crepitano sulle foglie ...". Per Mario Desiati ancora tutto questo non è sufficiente, perchè la lotta diviene impari rispetto alla massiccia presenza della cosalità che schiacchia ogni istinto, ogni slancio, ed è neccessaria una reiterazione interiore come un mantra di queste particelle indistrubili di realtà : "Gli oggetti servono per essere amati/ inghiottiti, frantumati, oppure dimenticati/ il pendolo, il cane parlante, i libri mangiati/ un orologio di grande valore/ i fiori di legno/ le stelle allo zucchero/ Gli oggetti sono idee/ come lucenti/ di notte immagino assomigliarli: / non invecchiare" (pag. 18). In questo pasto pantagruelico, il verso non risolverà l'angoscia di non avercela fatta a portare agli uomini la fiamma che rischiarerà l'oscurità di un'esistenza quotidiana cristallizzata nel non-colore, dove un rumore bianco di delilliana memoria, é più angosciante perchè ce l'hai a portata di mano, tra le mani, nelle orecchie riducendosi a ronzìo: "Avrete avvertito almeno per una volta, il ronzìo/ delicatissimo nel cerchio d'aria circostante/ con la campagna che faceva da cuscino/ alla sigla finale e poi la voce rotta della pubblicità." Ecco che allora l'assedio alla parola diviene estenuante " ... odiare l'occorrenza, il limare delle parole/ il sottintendere precipitosamente/ poggiando la lingua sotto il palato/ sino a rimuovere delicati/ il gusto verbale della collisione/ l'impasto che si fa termine/ fiorendo sul dente e poi sul labbro" (pag. 20), e talvolta appare necessario deporre le armi e aspettare ... aspettare forse di rvolgere lo sguardo al cielo ... " ... A volte non ci resta che pregare" (pag 24). In tale immensa solitudine solo il nome di una donna compare ripetutamente ... Claudia! A lei sono rivolti gli sguardi, e le carezze che sembrano non scalfirla, perchè lei forse, angelo della morte, sogno archetipico di una confusio linguarum preferisce il silenzio di chi la spia con gli occhi del cuore : " Claudia è soffice con il viso pallido del chiaro d'uovo/ S'impossessava dello spazio alla fermata oscillando sulle gambe lunghe, con le dita che sanno/ di tabacco, occhi freddi come compresse effervescenti/ il collo che sale come ortica e i capelli che scendono come la barba del papavero, profumata di gelo/ i seni ingombranti sotto il giubotto come incubatrici/ le riaffiorano come residuo di civiltà babelica ...". Questi sono i versi di Mario Desiati, versi metropolitani, versi malinconici, aspri e amari, versi lasciati a se stessi su un tram!

da www.musicaos.it

venerdì 17 agosto 2007

Noam Chomsky: linguaggio e libertà oltre le illusioni necessarie












La più grande patologia del mondo occidentale, è la creazione di sistemi di controllo del comportamento della gente, ad opera delle grandi corporation della pubblicità e di quelle inserite a pieno titolo nel mare magnum del libero mercato. Un controllo creato appositamente da autorevoli editorialisti, intellettuali, accademici, manager, grazie ad un pressante e stritolante lavoro di sottrazione o distorsione dogmatica (vedasi i casi di Herman Khan nel suo libro On Thermonuclear War, e l’analisi di Gabriel Jackson nella sua opera The Spanish Republic and the civil war: 1931/1937) delle informazioni circa tutte quelle questioni che l’establishment non vuole in nessun modo far trapelare dalla “stanza dei bottoni”, in modo che magari si venga a creare una vasta porzione di popolazione che sappia argomentare da specialisti su argomenti come le scelte messe in campo dal coach dei Los Angeles Lakers su chi far giocare o meno magari nei play-off dell’NBA, anziché magari sul fatto che gravi violazioni dei diritti umani, con il sostegno diretto o indiretto degli U.S.A., si siano verificate poco più in là dei “cortili dello zio Sam”: in Nicaragua (la serpe filo-sovietica cresciuta in seno alla grande madre America), in Salvador (dove i commandos degli Atlacatl hanno ucciso migliaia di civili innocenti) o il Plan Colombia voluto da Clinton per la Colombia come sostegno economico per il paese, in realtà una sorta di embargo “gentile” a favore degli investitori americani, tanto per fare qualche esempio più vicino ai nostri tempi. Per non parlare poi dei casi più eclatanti di orrore e persecuzione nella storia della politica estera degli Stati Uniti, da paragonare alle più terribili atrocità naziste, come i devastanti bombardamenti del Laos settentrionale e la Cambogia nel 1969 o l’invasione del Vietnam del Sud (concetto assolutamente inesistente per le categorie mentali dei politici e politologi statunitensi, pena l’essere tacciati di follia o di spalleggiamento al comunismo terroristico internazionale) . Una modalità operativa propria della fabbrica del consenso creata appositamente per la nascita delle cosiddette illusioni necessarie, quelle che hanno lo specifico compito di rendere una popolazione spaventata dal pericolo costante di un’invasione da parte di demoni russi, o di orde di fondamentalisti provenienti dal Terzo Mondo. La logica è sempre la stessa. Un esempio, a sostegno di questa affermazione, lo si può trarre dal libro di Noam Chomsky Illusioni necessarie, ovvero le versioni modificate di cinque conferenze radiofoniche tenute da Chomsky alla Canadian Broadcasting corporation nel 1989, (Elèuthera), ad esempio alle pagg. 183 e184 : “Gli obiettivi a lungo termine dell’Amministrazione Reagan in Centro America sono stati chiari fin dall’inizio. Shultz, Abrams, Kirkpatrick e compagnia rappresentano l’ala estremista dello spettro politico, con il loro entusiasmo per il terrore e la violenza, ma gli obiettivi generali della sua politica sono convenzionali e profondamente radicati nella tradizione e nelle istituzioni statunitensi; ed è per questo che hanno ricevuto scarsissime critiche da parte della cultura dominante. Ed è sempre per il medesimo motivo che ci si può aspettare che proseguano. Quello che serve è annientare le organizzazioni popolari che lottano per difendere i diritti umani fondamentali (arcivescovo Romero) ed eliminare il pericoloso ultranazionalismo nelle democrazie in fasce (…)”. Complementare l’altro lavoro di Noam Chomsky, Linguaggio e libertà, che raccoglie interventi risalenti agli anni ‘60 e ’70 e una bella intervista introduttiva al volume di James Peck, (NET- MarcoTropea editore) in cui vengono affrontate una serie di tematiche riguardanti importanti episodi della storia contemporanea internazionale americana e non solo, tra cui la splendida analisi sulla rivoluzione anarchica in Spagna tra il luglio 1936 e il maggio 1937, secondo alcuni tra i più autorevoli punti di vista, da chi la rivoluzione l’ha vissuta come Orwell, e da chi la rivoluzione l’ha saputa raccontare teoricamente e non solo, come Rudolf Rocker. Anche se in termini di abbozzo,viene sviluppata teoreticamente una condizione necessaria per scavalcare tutte quelle logiche di controllo e potere, per cui in teoria tutti sono detentori di diritti, ma in realtà nessuno è in grado economicamente di acquistarli. Sembra un paradosso, ma non lo è! Una condizione emancipativa per l’uomo che parte dal linguaggio, strumento indispensabile per costruire e migliorarsi in una costante azione non solo dialettica ma di prassi interattiva all’interno del sistema-mondo, con alla base quattro pilastri fondamentali per arrivare a pensare e costruire il Bene Comune: onestà e sincerità, responsabilità e sollecitudine. Il linguaggio può divenire fenomenologia della liberazione umana!

martedì 14 agosto 2007

Andrea Di Consoli. Il padre degli animali


Andrea di Consoli, ha poco più di trent’anni, nato a Zurigo, da genitori lucani emigrati. Quando aveva all’incirca dieci anni, i Suoi ritornano in madre patria. Di Consoli oggi vive a Roma, dove collabora con diverse testate nazionali come il Messaggero e L’Unità. L’ultimo suo lavoro è “Il Padre degli animali” edito da Rizzoli nella collana 24/7. Le vicende narrate parlano di una Lucania primitiva, selvaggia, quasi oserei dire spietata, con molta probabilità individuabile temporalmente negli anni ’80, anche se in verità, ci troviamo dinanzi ad una precisa volontà dell’autore, di ridurre a zero qualsivoglia categoria spazio-temporale, come a voler preservare una dimensione mitologica del Sud, del Meridione. L’intero romanzo sembrerebbe ( il condizionale è d’obbligo perché c’è molto, molto di più!) solo incentrarsi sullo sviluppo di un dialogo, quello tra il padre (emigrato in Svizzera e rientrato in Italia distrutto e sconfitto da una serie di insuccessi esistenziali) e il figlio. Un figlio che chiede continuamente al padre, pone domande, lo incalza sino allo sfinimento, perché le domande sul mondo, sulla vita, sugli innumerevoli come e perché dell’ordinario e cannibalico scorrere dei giorni e dei mesi, non si possono esaurire in pochi interrogativi e soprattutto meritano un certo tipo di risposte, piene, autentiche, risposte che alla fine possano servire perlomeno alla sopravvivenza. E questo il padre lo sa, perché dinanzi al figlio sente non solo un tipo di responsabilità pedagogica, educativa, formativa, quella propria insomma del mestiere di genitore, ma avverte anche la necessità di dover fornire ad ogni costo strumenti utili alla sua progenie, per fare in modo che impari a saldare, sempre a testa alta, i conti che la vita con inesorabilità, presenta ad un uomo, a tutti gli uomini. Ad esempio leggiamo a pag. 84: “ Ci lasciano così, le persone, lentamente, e nessuno è preparato, nessuno sa cosa c’è di là, quando la luce si spegne. Tutte le persone del mondo, le persone dell’India, della Russia, dell’Egitto, che di colpo lasciano le cose a metà, e non entrano più in casa, non accendono più il fuoco, non baciano più i figli prima della mezzanotte, ignorano l’oltrevita, il senso di tutta questa paura prima di lasciare il mondo”; e ancora a pag. 92: “ (…) Il mondo perso e crudele parla, ma parla inutilmente, perché le parole cadono per terra, si sciolgono come neve al sole”. Un titolo emblematico accompagna questa ultima fatica di Andrea Di Consoli: “Il Padre degli animali”. Ebbene … Il padre diviene “Il Padre degli animali” sentendosi messo alle strette da una dimensione vitale soffocante, grigia e opprimente, comprendendo che per rimanere a galla, non gli resta altra scelta che smerciare frutta, facendo l’ambulante, unica via praticabile, da un uomo tornato al Sud, con le ossa rotte, per stare vicino al Suo di padre, che usava costantemente fare violenza alla madre Sua, recuperando delle radici malate quindi nella Sua terra. Ma ancor di più sembionticamente fondendosi alla naturale linearità e coerenza degli animali delle sue terre, quelli sotto la sua “giurisdizione” per la precisione, esenti dalla gramigna della disonestà e della cattiveria. Questo romanzo, non è certo da affrontare a cuor leggero, perché parla di persone imbestiate nella mediocrità più profonda, nella bassezza morale più sordida, disgraziati costretti a chiudere gli ultimi anni rimasti, soli, abbandonati, perché i figli non ci hanno pensato due volte a fare i bagagli e andarsene al Nord, o in qualunque altro posto per non rimanere lì, pur di dimenticare, e dimenticarsi immemori di un destino troppo pesante da portare sulle spalle in una terra che ha la malevola aura di una maledizione: “Questa terra è un tranello del demonio”. Non è quello di Di Consoli, un romanzo tranquillizzante, e meno male, perché di superficiali amenità letterarie il mondo dell’editoria italiana è piena sino all’orlo. L’autore è abilissimo a riversare sulle pagine uno stile dialogato, quasi febbricitante, con estesi squarci di grande lirismo che spesso scivolano nell’oracolare, necessario passaggio tecnico però, al fine di scomporre, rimontare e in-formare la dimensione del dolore e dell’assenza, e di un improbabile eterno ritorno. Un romanzo necessario, un’opera da far leggere e da discutere, proprio oggi, quando tra gli scaffali delle nostre librerie, il pop viene scambiato per idolatria dell’evanescenza.

Andrea Di Consoli, Il padre degli animali, Rizzoli 24/7, pp.193

da www.musicaos.it

lunedì 13 agosto 2007

1977 Fantasmi armati di Roberto Saporito su YouTube



Millenovecentosettantasette, fantasmi armati rappresenta un’attenta e lucida analisi narrativa realizzata in punta di penna su quanti hanno vissuto in presa diretta esperienze legate al terrorismo negli anni ’70. Un gruppo di ex-terroristi, ognuno dei quali ha intrapreso una nuova vita a distanza di quasi trent’anni, si incontra nuovamente con l’esplicita intenzione di organizzarsi ancora una volta, appoggiando idealmente un gruppo di giovani sovversivi che vede in loro la vecchia generazione del movimento. Uno di essi è un poliziotto che è stato fatto fuori dalla polizia. Un altro un docente universitario. Un altro ancora un latitante, soprannominato il ‘fantasma’. Le vicende vengono descritte in maniera incalzante, rapida, tagliente da Albino, Fabio, Franco che rappresentano i tre volti della narrazione. Un romanzo che mette a nudo una porzione della storia d’Italia, della nostra storia, che ha lasciato aperte ancora molte ferite.

ROBERTO SAPORITO, classe 1962, è autore di libri cult come Harley

Davidson (racconti) e H-D/ Harley Davidson, deserti e nuovi vampiri.

Ha pubblicato suoi interventi narrativi sulle più prestigiose riviste del settore.

Millenovecentosettansette, fantasmi armati (Besa editrice) è il suo ultimo lavoro.

Ora su YouTube. Book Trailer di Nick Tambone

domenica 12 agosto 2007

I cortili dello zio Sam. Il nuovo ordine mondiale visto da Noam Chomsky


“Noi possediamo circa il 50% delle ricchezze del globo, ma solo il 6,3% della sua popolazione… In questa situazione, non possiamo che essere oggetto di invidie e di risentimenti. Il nostro vero compito nell’immediato futuro consiste nell’individuare uno schema di rapporti che ci consentano di mantenere tale posizione di disparità…Per poterlo fare, dovremo rinunciare a tutti i sentimentalismi ed i sogni ad occhi aperti; la nostra attenzione dovrà concentrarsi, sempre ed in ogni caso, sul nostro immediato obiettivo nazionale…Dovremo smetterla di parlare di obiettivi vaghi … e irreali come i diritti umani, l’innalzamento del livello di vita e la democratizzazione. Non è lontano il giorno in cui dovremo agire in termini di potere diretto.Meno saremo intralciati dagli slogan idealistici, meglio sarà per noi” (Studio n.23 del 1948, di Pianificazione Politica di George Kennan per il Dipartimento di Stato – pp.19/20).

Gli obiettivi della politica estera americana dal Vecchio al Nuovo Ordine Mondiale sono gli argomenti trattati nel volume I cortili dello zio Sam di Noam Chomsky, a cura di David Barsamian, per i tipi di Gamberetti editrice. Sembrerebbe che ad impegnarsi nell’analisi di tutte le strategie politiche sul piano internazionale, portate avanti dagli Stati Uniti d’America, ci si troverebbe coinvolti nel fornire un quadro non solo disorganico, ma alquanto caotico e disordinato del tutto, quasi non vi fossero delle strategie politiche sufficienti a stabilire una serie di regole puntuali tali da dare solidi punti di riferimento per affrontare la questione. In realtà questo accade ad un’analisi superficiale. Dalla seconda guerra mondiale gli Stati Uniti d’America sono usciti come il paese economicamente e militarmente più forte al mondo, e col passare del tempo tale forza e potenza non solo è andata ad aumentare, ma si è rinforzata, portando a far assumere all’establishment governativo americano, un eccesso di euforia, con non poco delirio di onnipotenza. Non solo è plausibile pensare all’uso preventivo della forza, e giustificarlo, contro i continui nemici dell’America che sono sempre sul punto di attaccarla ( con il costante terrore mediaticamente somministrato alla società civile dai media americani collusi con le forze governative) , laddove gli interessi economici degli investitori americani nel mondo sono minacciati da “tentativi democratici” di cultura del progresso per la gente (il Fondo Monetario Internazionale è un gigantesco racket internazionale delle estorsioni che offre finanziamenti ingenti ai paesi del Terzo Mondo in cambio della liberalizzazione selvaggia degli investimenti delle corporation americane a solo beneficio di quest’ultime e a scapito dell’economia del paese “saccheggiato”) , ma è altrettanto possibile osservare come una prassi costante di volontà di dominio nel mondo, proceda secondo uno schema ben consolidato: si fa uso della polizia, in quanto sono agenti spettacolari di controllo del sorgere del malcontento in grado di eliminarlo sul nascere, prima delle operazioni chirurgiche su larga scala, ovvero attraverso l’utilizzo dell’esercito interno al paese che si è in procinto di “colonizzare”. Se questo nemmeno risulta essere un’operazione utile, allora si utilizza le risorse militari proprie, cercando di ammortizzare quanto più possibile i rischi e i costi. Ulteriore modalità d’azione consolidata è il controllo di territori strategici, per risorse naturali, economiche o semplicemente perché geograficamente utili come postazioni di monitoraggio su obiettivi internazionali sensibili, attraverso il sostegno occulto, nella storia come sino ai giorni nostri, a sanguinari terroristi (fino a quando ovviamente non pestano i piedi al governo statunitense) come Somoza in Nicaragua, Marcos nelle Filippine, Duvalier ad Haiti, Saddam Hussein in Iraq, ed altri tra i quali Mobutu e Ceausescu. I cortili dello zio Sam, sono uno spazio vitale che tende ad allargare sempre più i suoi confini, arrivando a “macinare” qualsiasi cosa si trovi sul suo cammino. E quando lo zio Sam dice “I want you” dice io voglio il mondo!

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