«E così siamo rimasti soli,
amabile lettrice, caro lettore. (...) Ci guardiamo attraverso questo strano
specchio che è un libro». (p. 206) Mi rifletto nello specchio della solitudine
della mia stanza, dove a farmi compagnia, è il cinguettio di uccelli che
sembrano non stancarsi mai, loro sono in compagnia e cantano ad unisono una
melodia armoniosa.
Così mi ritrovo a condividere la
solitudine ed altri stati d’animo che aleggiano imperiosi nel libro di Stefano
Benni, Di tutte le ricchezze.
Emozionata e coinvolta - come senz’altro accadrà ad ogni lettore - dal
principio, dove l’autore esordisce scrivendo i versi di un poeta molto caro al
protagonista del racconto, Martin: «La soltudine sta ai vecchi / Come un
vecchio vestito / E nelle tasche tintinnano / I sogni che più non spendono ...
», (p. 13) sino alla conclusione in cui il protagonista, o chissà l’autore, si
presenta con garbo e cordialità, vivendo un presente insolito, frizzante,
brioso, e anche un pò grottesco, ed un passato nostalgico e colmo di rimpianti.
Narra Stefano Benni il sentimento
dell’amore di Martin, un sentimento vissuto e rivissuto che regala puntualmente
rimpianti, rimorsi, dolore con una felicità che vorresti fosse eterna, ma che
non dura più di pochi istanti. Sensazioni, emozioni traboccano soprattutto
nell’innamoramento descritto con abile maestria da Benni, tra il protagonista e
la sua giovane e bella vicina di casa (che mi ha commosso come un adolescente
al primo amore, coinvolgendomi sino alla fine della storia), e la tormentata nostalgia
per la giovinezza ormai fuggita e la solitudine dei settant’anni voluta, cercata, imposta, costretta e subita
per alcuni versi.
È complicato parlare d’amore,
tutte le forze centrifughe si mescolano: emozioni, pulsioni, fantasmi,
desideri, ragioni, repressioni, rimpianti. Come scriveva Rilke nella Lettera a un giovane poeta, l’amore è la
prova più difficile che ognuno di noi affronta nella vita, e lo sa bene
l’autore che lo racconta e lo fa vivere ad ogni lettore tra magia, incanto e
disincantata quantomai ingiusta realtà.
Straordinario poeta e scrittore,
Stefano Benni, e si nota a chiare lettere la maestria di scrittore, l’innata
sensibilità di poeta e il talento portentoso di giornalista in descrizioni
attente e puntuali. Si alternano i dialoghi ironici e pungenti con personaggi
del passato di Martin, come il collega professore, Remorus, i dialoghi col
figlio lontano tra missive e telefonate e le spassosissime conversazioni con
gli animali del bosco. Sembra di vivere nel mondo di Fedro e le sue favole.
Appassiona e coinvolge Di tutte le ricchezze, e potrebbe
diventare una trama di un film incantevole, se qualche regista volesse, a mio
avviso, riempirebbe le sale.
Non è opportuno raccontare tutto,
ma dopo aver letto il libro verrebbe spontaneo farlo, le emozioni in scrittura
fuoriescono come lava incandescente. Così la passione, il fuoco raccontato
dell’età giovanile, l’entusiasmo, sino a giungere a settant’anni, età che il
professore definisce «venerabile quando non è sordida», per poi chiedersi «se
possiamo fingere di non avere rimpianti, ritrovandosi così a fare i conti con
se stesso».
Ogni capitolo è introdotto da
versi poetici che ammaliano, fanno sognare e riflettere. Le poesie sono di
Catena, un misterioso poeta locale morto in un manicomio, che Martin ama e
cerca di farne rivivere il talento, segue il racconto solitario interrotto
quasi bruscamente da un incontro con dei nuovi vicini di casa: Aldo il Torvo,
un pittore senza infamia nè gloria, e la sua compagna, Michele, chiamata dal
professore “Principessa del grano” e successivamente “Nasten’ka” e il lettore
comprenderà il motivo.
Nulla è lasciato al caso, e la
trama si dipana: «si sente in questo momento come se qualcuno avesse tirato una
bomba nel suo tranquillo specchio d’acqua ... » e si alternano immagini
irriverenti, poetiche, idilliache, ilari quali l’incontro tra Martin e il
serpente che lo beffeggia perchè lo vede innamorato, preludendogli una
sofferenza, così come il gufo o la capra che incontra nel bosco o il lupo ormai
invecchiato e solitario nel qule il professore sembra rispecchiarsi.
«L’amore degli uomini è uno
specchio rotto / Che non rimanda più la tua immagine / è come un libro di cui
vediamo / La copertina, non più le pagine. / ... / L’amore degli uomini è uno
specchio rotto / Forse è svanito,
cerchiamo invano / Lui è sempre lì, al solito posto». (p. 174)
È lo specchio - l’emblema della
vita che passa - icona del romanzo, l’identità di ogni uomo che rivede se
stesso e a volte non si riconosce come nel romanzo di Pirandello, Uno, nessuno e centomila, dove il
personaggio, Vitangelo Moscarda, guardandosi allo specchio prende coscienza di
essere altro rispetto a ciò che immaginava e comincia per lui il dramma. Lo
specchio può essere un amico fedele ma a volte un abile ingannatore e nello
specchio si riflette anche l’immagine di Martin, da giovane, poi da adulto - e
nel frattempo - veleggia la solitudine, quella solitudine che compare, con la
quale ha inizio e fine il romanzo di Stefano Benni così come la vita di ognuno
di noi.