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sabato 28 luglio 2012

Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani (Feltrinelli)


A Ferrara, la comunita israelitica e sempre piu minacciata dalle leggi razziali. La famiglia dei Finzi-Contini reagisce conducendo una vita appartata, in una grande e lussuosa villa. La loro proprieta e circondata da un maestoso giardino, ammantato da un'aura di mistero. Albert e Micol, i ragazzi della famiglia, decidono di invitare a giocare a tennis, a casa loro, alcuni amici, per lo piu ebrei, estromessi dal circolo di tennis cittadino. Il protagonista della storia, che narra in prima persona, entra cosi in questa piccola comunita a cui appartiene anche il milanese Malnate. Nei lunghi colloqui tra il narratore, Micol e gli amici, si intrecciano temi politici e privati e affiora anche un sentimento d'amore tra la giovane ebrea e il protagonista. Questi si vedra invitato a diradare le sue visite alla villa quando Micol decidera di chiudere ogni via ai possibili sviluppi di quell'affetto. Il rifiuto prelude alla tragica fine della famiglia: Alberto muore di una grave malattia; Micol e tutti i suoi vengono deportati in Germania e uccisi. Malnate cade in Russia. Per il narratore rimangono i ricordi brucianti di una stagione irripetibile.

La Contessa di Lecce di Liliana D’Arpe (Lupo editore)


Liliana D’Arpe, leccese, compie gli studi presso l’Istituto margherita di Savoia, conseguendo il diploma di Maturità Magistrale. Fin dalle scuole medie le Suore scoprono e incoraggiano le sue predisposizioni artistiche e letterarie. A dieci anni, iscritta dal padre ad un concorso canoro, inizia una strada che la porterà negli anni ‘80 e ‘90 a affermarsi come una delle cantanti più conosciute e apprezzate nel Salento. Dal 2000, sentendosi matura per evolversi in un altro ruolo, si dedica alla stesura di sceneggiature e commedie musicali che metterà in scena al Politeama di Lecce, con successo di pubblico e critica. Presidente dell’Associazione culturale “Il Saraceno” dal 2006, cura la regia dei suoi spettacoli, dipingendone le scenografie teatrali. Da ogni suo elaborato traspare una profonda conoscenza e un’ardente passione.

Ci sono storie che ci aiutano a trascorrere un po’ di tempo della vita, spesso così complicata, ambigua, poco chiara. Ci sono storie che ci fanno conoscere dei personaggi che ad un certo punto vorresti fossero tuoi amici, per passare del tempo insieme a loro, al di fuori delle pagine. È il caso della famiglia Darini, di Caterina e Dalila, della loro bontà e pulizia nel cercare di lottare contro gli attacchi e gli agguati di familiari privi di scrupoli e troppo infelici per lasciarle in pace. In situazioni del genere solo l’intervento di uno spirito buono potrebbe… In una Lecce solare, in balia di profumi e colori, del suo passato e del suo avvenire, tra l’Università e il Centro Storico, in palazzi pieni di storia e di fascino si dipana un’avventura in cui fantasmi, risate, innamoramenti, gioie e dolori si intrecciano a comporre una storia leggera d’emozioni. Con, come sfondo, l’incanto e la magia di una città calda e mediterranea. Un mondo di buoni sentimenti e delicatezze dovrà difendersi dall’attacco di insospettabili (e non) pronti ad approfittare di ogni minima debolezza e piccola titubanza. La lotta tra il bene e il male si svolgerà fino alla fine, non lasciando indifferenti in cielo ed in terra. Una lettura che ci farà dimenticare i mondi di carta densi di buio e pesantezza e ci consolerà con la leggerezza e le dolci linee degli attori di quest’avventura. Il fantastico, il romantico, i buoni sentimenti ed un inarrestabile senso di giustizia ci riscalderanno come una delicata primavera.

Storia segreta del capitalismo italiano. Cinquant'anni di economia finanza e politica raccontati da un grande protagonista, di Cesare Romiti, con Paolo Madron, prefazione di Ferruccio de Bortoli (Longanesi). Intervento di Nunzio Festa.


Poche settimane fa abbiamo parlato del romanzo di Angelo Petrella, "Le api randage" (Garzanti, 2012), che tra le pagine racconta una fantasiosa storia degli anni Novanta, la quale parla delle lotte per la presa del Mattino di Napoli dalla politica-gestione con il tramite del Banco di Napoli. E casualmente adesso scopriamo, giochetti appunto del caso, tra le tante risposte affidate al giornalista amico Paolo Madron dal manager Cesare Romiti in "Storia segreta del capitalismo italiano" che Il Mattino é stato uno di quei giornali dove davvero il potere s'é scontrato per designarne la direzione. Questo dunque valga da esempio per farci capire di che libro stiamo parlando. Perché innanzitutto il termine del titolo "segreta" non può che aver piacere solamente di marketing; in quanto spesso le delucidazioni dateci da Romiti sono retroscena della finanza e dell'economia italiota che tante e tanti già avevano potuto imparare in letture offerte dai medium indipendenti. Ma premesso che Romiti ha realmente fatto la storia dei soldi italici per oltre cinquant'anni, é senza dubbio interessante comprendere che maniera di raccontarsi e guardare alle proprie zone d'influenza e condizionamenti può usare un anziano dirigente delle istituzioni finziarie che hanno caratterizzato i contorni dell'Italia. Siamo nel capitalismo nostrano, proprio. Allora Cesare Romiti non può che ripartire, anche per dovere di mitologie, da Cuccia e Agnelli nel riprendere in mano le fila d'un discorso che recentemente le televisioni hanno voluto interrogare. Dall'avvocato Agnelli e famili a Berlusconi. Per il tramite di Craxi/Ligresti. Ché Romiti parla senza vergogne di sorta. Romiti fu l'uomo della restaurazione Fiat appellata col significativo e palesemente eccessivo "marcia dei Quarantamila", e con questo sfogo racconta oltre duecento amici e avversari tra imprenditori, banchieri, giornalisti. Un libro-intervista che s'aggiunge al "Questi anni alla Fiat" scritto con Pansa più di vent'anni or sono. Pensato anche per sconvolgere dicendo tipo del rifiuto al Silvio Berlusconi che gli chiese di dirigere il suo gruppo mentre era nella vasta famiglia Agnelli. Uno spaccato del capitalismo nostrano che uno dei suoi protagonisti riferisce abolendo pudori di sorta. E se sapevamo, ancora, che solitamente i direttori dei giornali sono scelti dagli azionisti più forti dei gruppi che li mandano in tipografia, non sapevamo alcuni altri dettagli pratici che hanno formato una catena lunga e solida tra finanza-imprenditoria-politica e indietro così.


venerdì 27 luglio 2012

L FOR LAZARUS


“Formed in early 2011, Amsterdam based L for LAZARUS creates unique, stylish yet practical fashion accessories, based on founder and designer Nicolette Lazarus’ passion for personal style and wearable innovation. L for LAZARUS is a brand for women who love to follow fashion but, more importantly, have developed an inner confidence and their own personal style. It’s a brand for women who are comfortable with who they are, and know what they want from fashion accessories: style, quality, versatility, and the ability to transform their look on a daily basis. L for LAZARUS successfully launched its first fashion innovation, the Échapeau, in October 2011. Derived from the French for hat and scarf (écharpe and chapeau), the Échapeau is an elegant combination of both that can be worn as one unique piece, as a classic hat & scarf set or as individual items. Rather than follow fashion industry ‘rules’ by sticking to one fashion category, L for LAZARUS focuses on individual pieces that represent wearable innovation. And by answering women’s requirements for timeless, beautifully-made items that: enhance their personal style; work with their current wardrobe for multiple seasons; and are as versatile as they are, L for LAZARUS pieces also represent good value for money. In addition to the Échapeau, the collection for Fall/Winter 2012 includes a versatile wool wrap and a capsule leather bag collection and will include clothing items for future seasons. L for LAZARUS pieces are designed to be part of, and enhance, a woman’s wardrobe from one year to the next. Founder and Creative Director, L for LAZARUS After completing a degree and MBA, founder Nicolette spent over 20 years in the advertising and communications world. She worked for well-known agencies, including a seven-year stint at Saatchi & Saatchi in London, running international campaigns for household name brands. Nicolette moved to Amsterdam, The Netherlands in 2007 to continue her career, and in 2010 set herself a new challenge to create unique pieces and L for LAZARUS, a business based on her passion for personal style and wearable innovation.”


Romanzi vol. 2 di Emile Zola (Mondadori)


L'opera di Zola è sterminata; la nuova edizione dei Meridiani - diretta e curata da Pierluigi Pellini, comparatista e francesista dell'università di Siena - ne propone i romanzi più significativi in traduzioni quasi tutte nuove o comunque rivedute per questo progetto dai loro autori e condotte - con criteri condivisi - da traduttori di prestigio. Altro elemento importante di novità è l'utilizzo, negli apparati, dei materiali manoscritti da poco integralmente disponibili in francese. In questo secondo volume, tre grandi romanzi non tra i più noti ai lettori italiani: "La solita minestra" (1982), il "ferocemente allegro" romanzo di un palazzo, che attacca il cinismo, l'ipocrisia e la corruzione della classe borghese; "Au Bonheur des Dames" (1883), dove la nascita trionfale dei grandi magazzini con la conseguente rovina delle botteghe e dei piccoli commercianti, il mutamento urbanistico della Parigi haussmanniana fanno da sfondo a una storia d'amore insolitamente a lieto fine; "La gioia di vivere" (1884), romanzo sul dolore e sulla bontà umana incarnati in personaggi indimenticabili, dove trova spazio ed espressione anche l'amore di Zola per gli animali.

Fattoria di Magliano


“La Fattoria di Magliano, sorge nel centro di una vasta tenuta agricola, in Toscana, nel cuore di un territorio famoso - la Maremma. Anima e baricentro del luogo sono il vigneto e la cantina, intorno a cui è nato l’intero progetto. Quasi per naturale evoluzione, è nata e cresciuta l’idea di aprire agli ospiti le porte delle case che fanno parte della proprietà.
Oggi, la Fattoria di Magliano offre un soggiorno ideale a chi desideri quiete e raccoglimento, e sia in cerca di fonti di benessere e di svago autentiche e poco convenzionali.
Per vocazione, gusto, atmosfera, la fattoria è una struttura di accoglienza diversa, perché nuova nei servizi e particolare nello stile, informale, ma raffinato, in linea con la tendenza la più attuale. La gestione sposa efficienza, discrezione, sollecitudine, in accordo con il carattere dell’ambiente, disteso e piacevole.”


EUGENIO COLLAVINI


“La storia dei Collavini inizia a Rivignano nel 1896. Eugenio, il fondatore, forniva vini alle famiglie nobili di Udine ed alle botteghe. La guida poi passa a Giovanni, che attraversò ben due guerre alla fine delle quali i commerci ebbero, come sappiamo, una veloce accelerazione, mentre si affermava l’enologia, dando ai vini una qualità fino ad allora  sconosciuta. Sarebbe stato Manlio, figlio di Giovanni, a cogliere quei primi segnali di forte cambiamento, quasi anticipandoli. Fu tra i primissimi a portare i vini friulani nel mondo. Nel 1966, trasferisce le cantine a Corno di Rosazzo, dove acquista il castello Zucco-Cuccanea (1560). Fu un antesignano nel credere al Pinot grigio vinificato in bianco (era il 1969) e nel 1971 crea Il Grigio, spumante che fece tendenza, al quale poi si aggiunse la Ribolla Gialla brut. Oggi la Collavini è una Srl “familiare” che vede, accanto a Manlio, i figli Giovanni, Luigi ed Eugenio.”


giovedì 26 luglio 2012

CASINO ROYALE DI IAN FLEMING (ADELPHI)


Il 15 gennaio del 1952, quando si siede alla scrivania di Goldeneye, la sua villa in Giamaica, Ian Fleming non ha idea di cosa scriverà. Parte dal nome del suo personaggio, rubato a un allora celebre ornitologo, e dal ricordo di una partita a carte al Casino di Lisbona, nel 1941. Il primo James Bond nasce così, ed è un romanzo molto diverso da come forse lo stesso Fleming amava raccontarlo. Le scene sono poche, non più di quattro, i veri personaggi anche meno. James Bond impareremo a conoscerlo meglio, perché qui è ancora nei panni – eleganti, spiritosi, crudeli – di Ian Fleming. Ma l'abominevole Le Chiffre, e il suo occhio quasi bianco, non li dimenticheremo, come difficile sarà scordare la Bond Girl forse più letale, la sublime Vesper Lynd. Tutto dunque comincia da qui, dall'o­dore nauseante di un casinò alle tre del mattino. E la speranza è che duri il più a lungo possibile.

Le botteghe di Leonardo


“Andrea e Lorenzo non cercano semplicemente un progetto imprenditoriale, ma un sogno da realizzare. Nel 2008 Lorenzo Marconi e Andrea Portolani studiano il settore e il mercato dal punto di vista finanziario per conto di un cliente investitore. La comune passione per il gelato e per il cioccolato, in qualità di golosi, si unisce naturalmente e rapidamente alla visione positiva del business economico. Prima di intraprendere l’attività imprenditoriale e fondare la società Andrea e Lorenzo studiano il ciclo produttivo del gelato partecipando a numerosi corsi sulla realizzazione del gelato artigianale, sull’utilizzo delle migliori materie prime, maturando un’esperienza intensa e coinvolgente anche con responsabili di produzione di ingredienti delle maggiori società del settore. Alla Carpigiani University, durante un corso avanzato di perfezionamento conoscono il professor Gianpaolo Valli, che forte di un’esperienza ultraventennale diventa l’anello che chiude la catena del valore. Nell’ottobre del 2010 iniziano al loro attività.”


MIMI’ ALLA FERROVIA


“L’ antico ristorante “Mimì alla ferrovia” nasce nel settembre del 1944 nel cuore della Napoli storica. gestita da Emilio Giugliano, il cosiddetto Mimì, e dalla moglie Ida. Mimì era un abile commerciante del settore con l’hobby dei cavalli, una passione della quale ancora si trova traccia in quel cavallo al trotto, sormontato dall’immancabile ferro di cavallo, che costituisce lo stemma del ristorante. In origine semplice trattoria frequentata dalla media borghesia napoletana e dai più celebri personaggi napoletani, quali TOTO’, i De Filippo, il maestro Fellini, è divenuto nel corso degli anni un ristorante dall’atmosfera calda e accogliente, punto di riferimento per tutti i napoletani e non. La vicinanza ai mezzi di trasporto, aeroporto, ferrovia, porto, autostrade, e al centro delle principali vie del commercio, lo rende una meta “obbligatoria”. Da qui nasce la famosa frase “l’Italia passa per Mimì”, pronunciata da Michele Giugliano, soprannominato “Don Mimì”, che assieme al cugino Michele e alla nuova generazione, gestisce questo rinomato locale, ora ampliato e rinnovato in un’atmosfera di eleganza formale, capace di non perdere quell’impronta classica di genuinità dei sapori e rispetto della tradizione. Accanto a nuove e ricercate ricette primeggiano piatti semplici e intramontabili per una cucina che resta immutata nella bontà rispetto a quella di tanti anni fa. Le numerose personalità della politica, dello spettacolo o della cultura che, nel corso degli anni, hanno scelto di fermarsi da Mimì sono stati accolti da quest’atmosfera d’amore per la cucina di qualità, per l’ospitalità ed il servizio,  ma soprattutto sono stati contagiati dalla stessa passione che da circa 70 anni accompagna i titolari di questo ristorante. Come afferma la giornalista Daniela Vergara nella prefazione del libro “Napoli è servita. Mimì alla ferrovia racconta la città dal dopoguerra a oggi”: “… tutta l’esperienza, la saggezza, l’attenzione, l’amore che Michele senior e Michele junior usano per i loro piatti … quel pezzo di storia di una città che è passata per i locali di via Alfonso D’Aragona…sono ingredienti che non si scrivono su un pezzo di carta. Fanno parte di Mimì”. La storia di questa tradizione non si ferma alla ferrovia, nella Napoli antica, ma raggiunge la collina vomerese, in uno dei luoghi più suggestivi di tutta Napoli cha avvolge con lo sguardo l’intero Golfo di Napoli: “Villa D’angelo”, una Villa armoniosamente inserita nel verde, location Location ideata e sognata per eventi esclusivi, per matrimoni, cerimonie, meeting e catering. Protagonista indiscussa non potrebbe che essere la buona cucina, attraverso la selezione accurata delle materie prime e la creazione di continue nuove portate che esplorano ogni aspetto della ricca tradizione culinaria mediterranea, rielaborate con gusto e un tocco di fantasia.”



mercoledì 25 luglio 2012

L’Economia buona di Emanuele Campiglio (Bruno Mondadori). Intervento di Vito Antonio Conte


Sono svogliatamente spoltronato e altrettanto svogliatamente accendo la TV. Non è per l’afa mitologicamente (ma non soltanto) bestiale di questi giorni. Accade qualche mese addietro. Svogliatamente faccio zapping. Poi, Corrado Augias parla di libri. C’è un giovane economista che dice che questo è un periodo stimolante per parlare di economia. Lo dice muovendo una faccia simpatica e sveglia. Con un tono misurato e sereno. Con un ritmo convincente. Non fa pesare la sua laurea, né il suo master in Cooperazione e Sviluppo. È dottorando in Economia Politica. Lavora in terra anglica presso la New Economics Foundation. Augias chiede, un po’ professoralmente, com’è nel personaggio. Il giovane economista, senz’alcuna supponenza, risponde. Augias, impostato nella voce, legge un passo del libro scritto dal giovane economista. E fa un’altra domanda. La risposta contiene e rivela un’altra possibilità. A ben vedere, ogni parola del giovane economista è un’altra possibilità. Un altro modo (melius: un modo altro) di approcciarsi all’economia e d’intendere l’economia. Partendo dalla consapevolezza che il vecchio concetto di economia, quello fondato sulla visione neoclassica dell’economia, può e dev’essere criticato, ché ha fallito e altre voci esistono! E allora, decido che –nonostante la mia atavica riluttanza per le questioni dell’economia- comprerò il libro scritto dal giovane economista che così comprensibilmente e bene sa dire di economia. Comprerò quel libro. Per leggerlo. Ché i libri son fatti per essere letti. Sì, è vero, qualcuno li usa per arredare. Qualcun altro per sostituire un piede rotto del comodino. Qualcun altro ancora per esibirli. Così. Tanto per darsi un tono. Io ci spendo dei soldi e credo sia danaro ben speso se un libro mi restituisce qualcosa. Il che non vale per tutto il resto. Per tutte le altre cose della vita, intendo. Per i libri, sì! Di più, per questo: “L’economia buona”, scritto dal giovane economista che mi fa fare pace con l’economia e, foss’anche sol per questo, gli sono grato. Sono grato a Emanuele Campiglio che non si perde dietro concetti quali “stabilità, sostenibilità, giustizia”, enunciandoli e punto o riempiendoli delle solite nefandezze vestite all’ultima moda atte esclusivamente a giustificare il dominio del profitto a scapito di ogni umano respiro, ma dà contenuto e sostanza al suo progettare, iniziando da quel che non funziona e che va cambiato perché vi sia una concreta idea di cambiamento, perché prenda consistenza una “Grande transizione”, cioè “un processo condiviso di riorganizzazione delle libertà che coinvolga le comunità, l’ambiente, le norme sociali, la cultura e, naturalmente, l’economia”. E sono d’accordo che la peggiore bestia che ha concorso con altre bestie a uccidere l’economia è la finanza. Che dovrebbe alimentare –nel puro disegno originario- “l’impianto produttivo delle economie” e non servirsene per moltiplicare il suo squallido e sporco gioco di potere. Ma se morte dell’economia per mano (soprattutto) della finanza è davvero, beh –forse- è un omicidio (o, se volete, infanticidio) necessario. Ché ha dimostrato come non sia più concepibile un sistema basato sull’incessante crescita del PIL e via dicendo. Ché ha finito per distruggere se stessa. Ché l’una e l’altra, economia e finanza, vanno ripensate. Ché i parametri per misurarne lo stato di salute vanno rivisti. E non è un caso che un altro acronimo cominci a comparire sempre più spesso quando si parla di economia: FIL. Che sta per Felicità Interna Lorda. E ch’è conseguenza di quella decrescita felice della quale pure da un po’ si sente discutere. Qualcosa si muove. Si muove “dal basso”, nel crescente (ma non sufficiente) senso di coscienza, presa di responsabilità e pratica comportamentale dei singoli individui in relazione al consumismo. Lo sviluppo di tali condotte e il mutamento delle abitudini indotte dal mostro del consumismo, il netto generalizzato rifiuto dell’insulso paradigma compra-usa-e-getta costituisce (e, quando sarà pienamente attuato, sarà) uno dei mezzi verso un utilizzo consapevole delle risorse e, quindi, di un cammino su una strada linda perché priva di sprechi e di rifiuti. Ciò indurrà l’economia a produrre a misura dell’utilizzo del necessario. Da un punto di vista fenomenico, il processo potrà subire una reale svolta e una forte accelerazione a condizione che i “macro-attori” del sistema economico (“governi, banche e sistema finanziario, apparato produttivo ed energetico, istituzioni internazionali”) vogliano smettere di far proclami e ci mettano il culo. Il loro. Sì, insomma, ci siamo intesi, si diano da fare, operando, per davvero… - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE? “Il Bhutan è un piccolo Stato di nemmeno un milione di abitanti, incastonato tra le montagne dell’Himalaya. Per spinta del proprio re, da alcuni anni calcola un indice di Gross National Happiness (Felicità Interna Lorda), formulato in modo da includere non solo la soddisfazione dei bisogni materiali, ma anche alcune variabili e valori tipici della spiritualità buddhista. Si tiene, perciò, conto della salute fisica e mentale dei cittadini, di come essi utilizzano il tempo, della qualità dell’ambiente circostante, della forza delle connessioni comunitarie, e in base a queste misure si giudica la bontà delle politiche proposte… Può sembrare ovvio scriverlo, ma ciò che rende la vita degna di essere vissuta va ben oltre il livello di reddito o l’ammontare di ricchezza posseduta…” - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE! Sono svogliatamente spoltronato e altrettanto svogliatamente accendo la TV. È per l’afa (questa volta, sì) minossea. Accade adesso. Svogliatamente faccio zapping. Su RAI 5 c’è un documentario: alcuni abitanti d’una (per me) sconosciuta isola del Pacifico (se non erro) sono ospiti di un loro conterraneo che vive a Manchster insieme alla sua compagna inglese. Non hanno mai visto una città. Con tutto quello che in una città c’è. Non hanno mai visitato una città. Meno che mai una città inglese. Con tutto quello che in una città inglese c’è. Stupore e meraviglia li ammaliano. Musei e monumenti, negozi e vetrine, palazzi e giardini, uomini e donne di tutte le razze, mescolati si muovono in un’apparente opulenza. Poi, la discarica dei rifiuti differenziati, le macchine per lo stoccaggio e il successivo riciclaggio. Uno di loro (dalle fattezze più marcatamente aborigene) chiede alla donna di cui sopra: anche le persone vengono riciclate? Lei ci pensa su, poi risponde: noi qui veniamo cremati e le polveri vengono affidate al vento e sparse nel fiume oppure vengono interrate e, dunque, sì –il nostro corpo, sì- veniamo riciclati. Ma l’anima? Quella vola via e va a abitare (…) altrove. Lui le stringe la mano. Era la risposta che voleva. Poi, continuano il giro della città. Altre novità e panchine, e uomini e donne che sulle panchine dormono. Senzatetto. Inconcepibile. Per loro. Poi, a sera, il fratello del loro conterraneo è ospite pure lui e racconta che, per diverse vicissitudini esistenziali, anche lui è rimasto senza una casa. Inconcepibile. Per loro. Con tutti i palazzi che ci sono. Con tutte le case disabitate che hanno visto. Inconcepibile. Per loro. Sulla loro isola ognuno ha una casa. Se non ce l’ha, raccoglie legna e paglia e inizia a costruirla. E tutti lo aiutano a farla. Vedere un senzatetto e sentire la sua storia agli abitanti dell’isola del Pacifico chenonsocomesichiama ha spezzato il cuore e porgendogli quel loro cuore infranto gli dicono che non hanno altre parole. Difficile costruire una capanna di tronchi di legno e paglia a Manchster. Com’è difficile pensare al FIL in occidente. Ma il PIL ha fallito. Il PIL è agonizzante. Il PIL è alla fine. Ogni fine segna un nuovo inizio. Ricominciamo. Facciamolo bene. Per il Bene. Nostro. E di tutti. Questo libriccino di Emanuele Campiglio andrebbe letto in tutte le scuole. Si può fare. L’insegnante di lettere di mia figlia ha “consigliato” di leggere (durante e vacanze estive) “Guerra e Pace” di Lev Tolstoj. Un Autore contemporaneo no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. Un figlio di questa Terra no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. E con altro. Che non dirò. Ho spento la TV. Ho letto “L’economia buona”. Ho imparato delle cose. Accenderò ancora la TV. Leggerò ancora. E altro farò. Che neppure dirò. Voglio imparare ancora. Ci vuol tutto. Un po’ di tutto. Al momento giusto. Facciamo leggere “L’economia buona” ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri cugini, ai nostri amici. Facciamolo leggere a scuola. Cambiamo l’economia. Cambiamo il mondo. Per questo non c’è più tempo. Ho detto. Augh!

La felicità del testimone di Elisabetta Liguori (Manni). Intervento di Vito Antonio Conte


C’è un tempo per ogni cosa. E ogni cosa ha il suo tempo. Queste poche parole compongono due piccole frasi che (per me) contengono un concetto salvifico… E, percorrendo la mia strada, sono quasi diventate un mantra da librare sottovoce quando il tempo sembra essere (o davvero è) in dirittura d’arrivo, prossimo a tagliare il traguardo, col petto sul nastro, nel mentre arranco, con l’affanno, le gambe acide e pesanti, la mente capace soltanto di mandare nebbia sporca agli occhi, nella penultima curva. Quasi una filosofia di vita. Che, soprattutto in quei momenti, mi ricorda quanto poco valga il tempo senza il proprio Tempo. Soltanto la cura e l’attenzione del proprio Tempo possono far stare davvero al passo col tempo. Pausa. Che questo non sia l’incipit di un saggio l’avrete capito dalla “pausa”, ma casomai vi fosse sfuggito ora lo sapete. Le pause sono necessarie. Sempre. Comunque. Quella di cui sopra si è materializzata sul filo e potrei dire che aveva il sapore del… cuscus. Da lì sono andato nel Maghreb: kuskusu; poi, ho ascoltato la voce di un berbero: seksu; e, quindi, il mio volo è planato in Francia: couscous. Di ritorno, riannodando quel che dicevo, aggiungo che –finalmente- ho letto un libro che mi aspettava dal dicembre dell’anno passato: “La felicità del testimone” (Manni Editore, Collana Punto G, pagine 271, € 17,00, 2011), di Elisabetta Liguori. Un libro sorprendente. Liquido. Spiazzante. Non tanto per la storia narrata, quanto per come è narrata. Non tanto perché non te l’aspetti dall’Autrice, quanto per l’importanza della svolta. Non tanto per l’anomalia del noir, quanto per la distanza (abissale) dai precedenti noir (“Il credito dell’imbianchino” e “Il correttore”) di Elisabetta Liguori. S’è vero, come credo, che il genere che chi scrive adotta per dire quel che gli sta dentro e/o quel che lo tocca da fuori, ebbene penso che Elisabetta Liguori abbia concluso la sua esperienza col noir proprio con questo libro, che compie una trilogia (con i citati precedenti) che non lascia spazio a similari esperienze. Ché ne “La felicità del testimone” tutto il meglio del repertorio espressivo di Elisabetta Liguori è stato toccato. Beninteso, ci potranno essere altri noir, l’Autrice ci regalerà altri romanzi (cimentandosi con altri generi letterari), di sicuro la verve narrativa l’accompagnerà e ci farà compagnia finché respiro avrà e voglia di leggerla avremo, ma non sarà più la stessa cosa. Ecco, dire quel che ho notato (io che rifuggo le classificazioni…), m’è servito per appuntare questo: “non sarà più la stessa cosa”. Voglio dire che dopo questa altissima prova letteraria, niente (come si suol dire) sarà più come prima. Elisabetta Liguori, col prossimo libro che sarà (…), supererà la scrittrice nata che è, ma niente sarà più come prima. Ché “La felicità del testimone” è un punto d’arrivo. Ma è anche un luogo, ché questo libro è anche un luogo –come di pietra miliare-, dal quale si può e si deve iniziare un altro viaggio. Come alla fine di ogni fine. Questo libro chiude un percorso più dei precedenti e che coi precedenti era cominciato e s’era fatto strada. Questa è la mia lettura. Senza presunzione critica e con tutti gli altri senza che volete. Dovrei motivare quel che ho scritto. Credo di cavarmela se, evitando il già detto e ogni ovvietà, aggiungo che questa storia –tra quelle scritte da Eisabetta Liquori (da me lette)- contiene la meraviglia della perfetta unione, dell’intimo connubio, dell’inseparabile contaminazione, richieste dal romanzo quando la narrazione segue i tempi del realismo: la realtà e la fantasia stanno così bene insieme, ci stanno da dio, si godono come pazze, che non distingui (da lettore) l’una dall’altra. E, se si condivide quel che pensa Richard Millet a proposito del romanzo, ossia che “il romanzo può ancora sfuggire a se stesso, essendo in fin dei conti un’esperienza dell’inferno”, ebbene “La felicità del testimone” (eliminate definizioni di genere e mie elucubrazioni mentali) è un romanzo autentico che sbaraglia l’impostura di tanti scrittori odierni che si fregiano di essere tali perché ben inseriti nella mistificazione della scrittura siccome imposta e elargita da un sistema che della letteratura ha fatto simulacro a uso e consumo di invertebrati lettori. Ché Elisabetta Liguori ha qualcosa d’importante da trasmettere e lo fa con una lingua che arriva dritta ai sensi e si fa senso e, parola dopo parola, similitudine dopo similitudine, aforisma dopo aforisma, abisso dopo abisso, riemerge piena di levità: ch’è quella leggerezza che ogni uomo vorrebbe provare dopo averla detta per intero. In questo libro, Elisabetta Liguori l’ha detta tutta. Per intero. E, si sa, il vuoto è una brutta bestia. Ma fare il vuoto è felicità. Già, la felicità! Se va bene puoi toccarla e esserne toccato, attraversarla e farti attraversare, provarla e nutrirla. Ma poi? Si sa, anche questo si sa, è uno stato temporaneo. Ma è davvero uno stato temporaneo? La risposta, la mia, non so se possa interessare a qualcuno. Elisabetta Liguori ce l’ha indicata. È nelle pagine di questo libro. Oltre il fatto di cronaca da cui muove la narrazione e che diventa narrazione. Oltre i personaggi -che, se esistesse la perfezione, non esiterei a dire- perfettamente delineati caratterialmente. Oltre ogni realtà descritta. Oltre la fiction. Mirabilmente amalgamate (l’ho già scritto). E, dunque, oltre tutto, questo è un libro sulla ricerca della felicità. Non credo esista una ricetta universale per trovarla. Credo di sapere cos’è. È lunghi capelli sciolti, tesa sulle punte dei piedi, braccia larghe verso l’orizzonte ch’è una vallata spersa nel blu, naso sù. È una striscia di fumetto e nuvolette senza parole. È quattro gambe a pelo d’acqua e il resto (che non si vede) su un pontile di legno a dondolare un ritmo solo. È un campo giallo dove tutti gli altri colori fanno a gara con le nuvole di sopra sapendo di perdere. È mani nelle mani dopo che mano ha stretto mano. È linguaccia a fragola di una bimba che sgrana occhi birichini tra le dita. È una coccinella su un girasole ma potrebbe essere su qualsiasi altro fiore. È un film in B&N dove cappelli si guardano e non importa altro. È sguardo di occhi aperti su occhi chiusi intanto che il cielo scorre. È il sonno di un bambino che vederlo è sogno. È una sigaretta dopo un bacio per mischiare sapori. È un aquilone senza filo che sospeso comunque sta. È una canzone qualunque tranne quella. È “Ciccio” pancia all’aria e “Nino” che porge la zampa. È il vento nei capelli, tra i capelli, nelle radici dei capelli, e oltre quelli. È quella detta e mai provata e quella provata ma indicibile. È quella che tutti cercano: lunga come un arcobaleno e corta come un accento. È quella che le parole stanno prima e dopo ma la narrazione non finirà mai. E ancora… Epicuro e molti altri hanno segnato strade, ma nessuna via che porta diritta verso la felicità. Ognuno può inventarsi la propria. Elisabetta Liguori ci dice che esiste la felicità e che ci vuole “un gran coraggio per continuare a essere felice”. Ah, dimenticavo: c’è un’intera pagina del libro che da pura poesia è diventata prosa. Ma la sua origine non può essere nascosta. Rimane poesia. Che il cambiamento stia in una diversa frequentazione della poesia?


“Il corpo estraneo (Una tragedia on the road)” di Marco Montanaro (Caratteri Mobili Edizioni, Collana Molecole). Intervento di Vito Antonio Conte


Non ho mai dovuto aspettare così a lungo, dopo averlo prenotato, un libro! Oltre un mese! E il buon Marco voleva portarmelo lui, di persona. Ché di quel libro avrei avuto il piacere di parlarne, poi. Ho declinato l’offerta di Marco: i libri si comprano, gli ho detto! Ma, intanto, la data della presentazione si avvicinava e del libro ancora niente. Ci siamo sentiti. Con Marco. Ripetutamente. È sempre un piacere. Quando accade. Sempre nulla di già detto... E quella voce, la sua, un po’ tremula, in divenire, a tradurre in lemmi il pensiero che scorre… Mi ha mandato il PDF e così ho iniziato a leggerlo il suo ultimo libro. Poi, finalmente, è arrivato in libreria. L’ho ritirato. Ho ricominciato a leggere. Dall’inizio. Sino all’ultima parola: “anch’io”. Ho metabolizzato. E ho cominciato a pensare, come sempre mi succede in simili occasioni, a quel che avrei detto… Il ventuno a sera, alla libreria Ergot, cosa dirò? Sì, perché, in fine, stasera farò parole de “Il corpo estraneo (Una tragedia on the road)”, (Caratteri Mobili Edizioni, Collana Molecole, pagine 111, € 12,00), insieme all’Autore, Marco Montanaro, e Ennio Ciotta. Cosa dirò? Andrò a braccio. Improvviserò. Tanto per cambiare. Ché non riesco mai a preparare nulla, in circostanze del “genere”. Ma la “specie”, stavolta, è diversa. E quando dico “specie” intendo la scrittura e, ovviamente, lo scrittore (che l’ha resa, ché dire generata aprirebbe un altro capitolo). La scrittura è nuova, siccome può essere nuova una scrittura che contiene la “cifra” del suo Autore. Voglio dire che in questo libro Marco Montanaro ha lasciato un segno del suo intendere “scrivere”: niente di preconfezionato, nulla di preordinato, nessuno spazio al rapimento del lettore e/o alle aspettative del lettore stesso, e –paradossalmente- sangue e sudore che sgorgano a fiumi da ogni pagina, da ogni frase, da ogni parola, ché Marco Montanaro ha dato corpo (diventato tangibile) a un racconto lungo (ch’era sconosciuto dentro di lui) sudando e sanguinando ogni singola parola de “Il corpo estraneo”. Si può scrivere soltanto quel che si è attraversato nell’esistenza. E allora scrittura e scrittore, in questo caso, coincidono, ché questo libro e il suo Autore sono (a me sembra) così: rifiuto di ogni regola nota, rigetto di qualsiasi ruffianeria letteraria, reiezione di qualunque canone acquisito, in nome di una legge superiore: quella dell’onestà intellettuale e del rispetto del prossimo. Che possono realizzarsi davvero esclusivamente rendendo di sé quel che si è! Marco Montanaro mette in atto se stesso e quel che lo circonda traverso parole che formano periodi che starebbero in piedi anche se isolati e letti di per sé soli. Il monco e il rimando sono contenuti diffusamente in questo libro. Sembra un mare aperto dove la narrazione sdonda s’un surf toccando acqua e cielo e dove nessuna terra è in vista. Ho pensato a cosa dire di questo libro e come cominciare a parlarne stasera. Mi sono passati per gli occhi almeno sei diversi incipit. 1) Corpo estraneo è il ventinovesimo album de “I Nomadi” ed è uno dei tre singoli estratto da quel lavoro musicale del 2004. Musica. Assente quasi del tutto nel libro, quanto a riferimenti. Più che presente per ogni scena. Per ogni movimento. Per ogni stare e andare. 2) Alla fine della lettura m’è venuta voglia di masturbarmi… la pornografia non c’entra niente; certo erotismo sì. Un certo eros disperato, che fa venire in mente l’atmosfera di quella canzone di Lucio Dalla tanto nota ch’è inutile ricordarne il titolo. E non mi riferisco all’erotomane Danilo, ovvio… penso a tutto quel che volete e a niente in particolare. 3) La sensazione che ho avuto, giunto all’ultima pagina del libro, è stata di bagnato, d’umidore diffuso sulla pelle e dentro, fradicio nei capelli… No, qui l’erotismo non c’entra. Mi sentivo proprio come un panno appena tirato fuori da una vaschetta colma d’acqua. Mi si sarebbe potuto strizzare ogni braccio, ogni mano, le gambe e i piedi, il petto e no, l’uccello no (Danilo docet), ma persino l’anima. Tutto avrebbe grondato acqua. Ché questo libro mi ha fatto avvertire tutta l’umidità del mondo e m’è venuto desiderio di sole, di deserto, di terra spaccata dalla siccità… 4) Il titolo del libro evoca immediatamente una brutta sensazione di blocco, di asfissia, di alterazione… Il corpo paralizzato da un elemento esterno, sconosciuto, ignoto, tinto di nero, la gola serrata da mani invisibili, l’impossibilità di respirare, l’aria già incamerata sta finendo, l’affanno sta vincendo, ogni parte del corpo è in estrema tensione, gli occhi strabuzzano fino a esplodere, voglia disperata di gridare ma la voce non esce, un urlo, ci vorrebbe un urlo, ma le mani invisibili stringono sempre più, perché nessuno presta aiuto? Nessuno può! L’unica è cercare l’ultimo sforzo sovrumano, riprendere senso e sputare via l’estraneo ch’è di traverso in groppo. Ché tenerlo dentro uccide! 5) Il sottotitolo suggerisce una certa pietà e un sentimento di paura… Che, poi, rinvengo nei personaggi che animano questa storia “sulla strada” e nella storia stessa… 6) “Corpo Estraneo” è il titolo di un romanzo di Robin Cook. L’avrà letto Marco Montanaro? 7) “Il corpo estraneo” è anche un poemetto (di trentasei pagine) di Vilma Costantini. Non ho letto neppure questo! E Marco? 8) E, poi, c’è anche “Un corpo estraneo”, testo teatrale di Renzo Rosso… 9) Questo libro è il terzo di Marco Montanaro e (avendo io letto il primo e non ancora il secondo) mi verrebbe da dire ch’è il più Dannoso, ma potrò affermarlo soltanto quando avrò colmato la lacuna della lettura del suo secondo libro.  Ecco, avevo pensato ben più di sei modi per cominciare a dire de “Il corpo estraneo” e me li sono giocati tutti qui. Mi toccherà inventarmene un altro. Stasera. Sarà facile. Perché questo libro fornisce spunti infiniti su qualcosa che non finisce mai d’accadere e quella cosa la viviamo ogni maledetto-benedetto giorno. Vorreste sapere cosa, vero? Beh, vi toccherà venire alla libreria Ergot, questa sera! E non fatemi pensare, ché “è in questi momenti che avverto una certa solitudine. La solitudine è una grande balla, come la religione, la musica, l’incontro; ma val bene crederci per non sentirsi soli davvero”. E questo è soltanto un piccolo assaggio della scrittura di Marco Montanaro, che ha il colore dell’avorio perché ridotta all’osso; la consistenza di quella terra spaccata di cui sopra è parola; il ritmo di una ballata per sola voce, tipo: “As Yet Untitled” di Terence Trent D’Arby; la melodia della pioggia nel mentre ci cammini sotto senza proteggerti, ché lavarti così è purificarti; l’incedere del ramingo, ché per ricominciare tutto deve finire; il mistero di una valigia chiusa che tale deve restare prima di disfarsene. Poi, chissà!?!

Sofia Schito con il suo lavoro La B Capovolta al Premio Kallistos


L'Amministrazione Comunale di Alliste ha deciso di conferire il "Premio Kallistos - Sezione Giovani Eccellenze 2012" a Sofia Schito, autrice de LA B CAPOVOLTA (Lupo Editore). TALE RICONOSCIMENTO MIRA A VALORIZZARE LA SUA ATTIVITA', CON L'AUSPICIO CHE POSSA CONSOLIDARSI NEGLI ANNI E DARE LUSTRO AD ALLISTE E FELLINE. Consapevole di quanta strada ci sia ancora da percorrere, mi auguro che così possa essere. Intanto ringrazio di vero cuore chi ha creduto in me sin dall'inizio e ha voluto fortemente che mi fosse conferito questo premio: il Sindaco del Comune di Alliste, Avv. Antonio E. Renna, il Presidente del Consiglio Comunale, Dott. Angelo Catamo e il Dirigente Comunale, Avv. Luca Leone. Lupo Editore, L’appuntamento è previsto per giovedì 26 luglio 2012 ore 21,00 presso Piazza San Quintino ad Alliste (Lecce)
Si può parlare della Shoah in tanti modi. In "Se questo è un uomo" Primo Levi lo ha fatto con poesia, coinvolgendo l'umanità intera in un capolavoro che tocca l'emozione di tutti, nel suo unire la bellezza della parola all'orrore umano. E in questa storia proprio "Se questo è un uomo" e Primo Levi guidano un bambino che vivrà con la grazia propria della sua età un evento che ancora gli uomini non si riescono a spiegare. L'infanzia entra nella Storia più cupa ed aberrante, provando a sfiorare il mistero del buio della coscienza dell'uomo europeo. Levi la accompagna nei luoghi del degrado della nostra civiltà, e lo fa con la sua prosa immortale come intermezzo, che cerca di spiegare l'inspiegabile all'innocenza di chi non ha ancora saputo tutto dell'Uomo. Questo romanzo ci condurrà per mano in un incubo che non può essere lasciato solo al passato. Una storia che ci porterà a sentire l'inesorabilità del male ammantato dall'ingenuità dell'infanzia e dalla profondità della letteratura. Un libro che fa della semplicità lo strumento di narrazione per rispettare quei fatti senza rinunciare all'immaginazione e alla speranza. Riuscirà l'ingenuità dell'infanzia a lenire la drammaticità della realtà? O nulla si può al cospetto di quello che l'uomo è capace di fare quando conosce l'inverno della sua coscienza? Un libro scritto senza artifizi intellettuali, che parla con la lingua dei ragazzi di quello che i ragazzi non dovranno mai conoscere.
Sofia Schito vive a Felline, in provincia di Lecce. Da anni impegnata in attività che vedono coinvolti ragazzi delle scuole elementari e medie, trae da loro continua ispirazione. Ama scrivere da sempre, sin da quando a scuola ha sentito parlare per la prima volta di soggetto, verbo e complemento. Lo testimoniano le scatole sull'armadio della sua stanza piene di diari che ha cominciato a scarabocchiare quando era poco più che bambina. La storia invece è una passione che le è venuta negli anni. Lo testimoniano i voti, poco lusinghieri, che ai suoi compiti dava il professore del liceo. Ogni volta che le restituiva un compito corretto, la domanda era sempre la stessa: "Sofia, a che serve copiare?". Per lei allora aveva un senso, significava evitare di trascorrere interi pomeriggi a memorizzare date, luoghi e avvenimenti. Col passare del tempo, per fortuna, si è resa conto che la storia è ben altro. Dopo la maturità scientifica, si iscrive alla facoltà di Lettere dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e al terzo anno, al momento della scelta dell'indirizzo, forse per una sorta di legge del contrappasso, sceglie proprio l'indirizzo storico. La B capovolta è il suo primo romanzo per ragazzi. Nella scelta dell'argomento, ci sono buone probabilità che si sia ispirata alle iniziali del suo nome.

Info . http://www.lupoeditore.it/lupo/ - 0832949510

martedì 24 luglio 2012

SENTIERI A SUD 2012 ... si parte con il primo sentiero!


Anche per questo 2012 si rinnova l’appuntamento con la rassegna “SENTIERI A SUD”, dedicata alle produzioni e agli attraversamenti culturali, tra musica e poesia, tra documentario e racconto, tra cultura antica ed evoluzioni moderne: uno spazio di confronto su vari temi in un luogo ricco di storia e di storie. “SENTIERI A SUD” nasce con l’idea di condividere in uno spazio fisico e mentale, un luogo dell’anima che è stato fulcro della vita di una comunità, impressioni utili a favorire una maggiore conoscenza della cultura orale salentina e di coloro che sono oggi le nuove voci narranti in questa “isola sonante”. Si parte con il primo sentiero mercoledì 25 luglio 2012 alle ore 21,00 nelle campagne di Kurumuny a Martano con "Ricci i tuoi capelli, arie e canti popolari di Cannole" edito da Kurumuny con contributi critici di LUIGI CHIRIATTI, CIRO DE ROSA, SALVATORE ESPOSITO, RAFFAELE CRISTIAN PALANO, ADRIANA BENEDETTA PETRACHI. E’ previsto l’intervento musicale delle Cantrici di Cannole
"Ricci i tuoi capelli - Arie e canti popolari di Cannole" aggiunge un ulteriore tassello nel percorso di ricerca musicale al quale la casa editrice salentina Kurumuny, con assiduità, dedica parte del suo ricco catalogo; basti pensare ad uscite recenti come "Corimondo", "Canti e suoni della tradizione di Carpino", "Uccio Aloisi il Canto della Terra", "Uccio Bandello la Voce della Tradizione", dove la formula del booklet+cd reinventa la trasmissione della tradizione. "Ricci i tuoi capelli" dà voce a un canto tutto al femminile. La maggior parte del repertorio presente in questo lavoro è rappresentato dai canti diffusi in tutta la Penisola e questo elemento conferma, ancora una volta, come la poesia popolare e la sua musica, che toccano corde del sentire comune, sono conosciute ovunque, appartengono a tutti e suscitano uguali sentimenti anche se il "modo" di esecuzione assume caratteristiche diverse e le fanno appartenere al luogo e al tempo in cui vengono eseguiti. Al centro dell'indagine che ha dato vita a questa pubblicazione è la voce che è corporeità, spessore, timbro, calore comunicativo, e che si fa mezzo per riannodare i fili della memoria, per narrare, testimoniare. I canti a sole voci di questa raccolta possiedono una marcata valenza emozionale: sono storie più o meno conosciute, che raccontano dell'amore, della fatica del lavoro, delle relazioni sociali, della quotidianità, dell'emigrazione, della lontananza. Il cantare di queste donne è giocoso e nudo, senza orpelli e senza palchi e riflettori, un cantare distante dai codici spettacolari che è il segno di quanto l'analisi della pluralità sonora salentina non possa darsi del tutto completata e riveli ancora tesori, al di là del mare, sole, mieru (vino) e pizzica, giustamente celebrati, ma più spesso spacciati e consumati con superficialità. Il volume è corredato da due Cd che contengono un'antologia di brani scelti, per un totale di 42 tracce. Il Cd "Ricci i tuoi capelli, arie e canti popolari di Cannole" è promosso con il sostegno di PUGLIA SOUNDS - PO FESR PUGLIA 2007/2013 ASSE IV" ed è patrocinato dalla Provincia di Lecce, dall'Istituto Diego Carpitella e dal Comune di Cannole.

Cell.. 3299886391

HOLLOW MMIX – indipendent clothing


“Hollow was founded in 2009 by three lifelong friends, Dan, George & Joel based out of their love for surfing and the urban lifestyle. Since Hollow began we've released over 25 designs and sold to 19 countries on a regular basis, including United States, Cananda, Germany, Australia, Switzerland and of course the mighty United Kingdom to name a few. We pride ourselves on delivering the best quality product (every way we possibly can) to our consumers. All of our items are limited edition, once they're sold out - they're gone! Thanks for supporting Hollow :)”


Io viaggio da sola di Maria Perosino (Einaudi)


Questa è la storia di una donna la cui vita ha sterzato all'improvviso. Ma è anche molto altro. Un kit di sopravvivenza per cavarsela da sole, tra alberghi, treni, piazze deserte, amici, amori e agguati di malinconia. Una guida gioiosa, eccentrica, ricca di consigli pratici ed esistenziali: da come infilare l'intera vita in valigia a come gustarsi una città acchiappando i piaceri, le emozioni, l'altrove e se stessi. Un libro che fa bene al cuore, al cervello e a numerosi altri organi, perché mescola con naturalezza intelligenza e ironia. Queste pagine sfuggono a una semplice definizione: sono un corso di autostima, un racconto divertente, un diario involontario, un manuale intemperante. Soprattutto sono vive, effervescenti, e fanno meglio - molto meglio - di una seduta dall'analista. Fanno quello che farebbe una cara amica. Se sei giú, ti fanno venire voglia di metterti in ghingheri e uscire. Se sei incline a guardarti l'ombelico, ti fanno venire il sospetto che là fuori, in mezzo alla gente e alle cose che ancora non conosci, si giochi una parte importante della partita.
Viaggiare da sole significa buttarsi con curiosità nei luoghi in cui capita di trovarsi per scelta, per lavoro, per fuga. Significa cambiare valigia («è il trolley l'invenzione che piú di ogni altra, pillola anticoncezionale inclusa, ha contribuito alla liberazione delle donne»); scegliere l'albergo giusto, mangiare a un tavolo per uno senza sentirsi tristi. Anche da sole si può prendere un aperitivo sulla terrazza di un bar di Istanbul guardando il Bosforo. E dirsi che, certo, per mangiare le ostriche sarebbe meglio essere in due, ma in fondo la scelta peggiore è non mangiarle affatto. E a poco a poco, grazie alla forza dei pensieri e della scrittura, le pagine di questo libro trasmettono un'energia davvero contagiosa, ti spingono a partire anche da fermo, preoccupandoti di aprire delle porte e non di chiudere casa.

lunedì 23 luglio 2012

Paola Scialpi al Joli Park Hotel di Gallipoli


Paola Scialpi presenta dal 25 luglio al 10 agosto 2012 presso il Joli Park Hotel di Gallipoli (Lecce) in via Lecce 2, le sue opere dedicate al Tango. «Il tango non è maschio; è coppia: cinquanta per cento uomo e cinquanta donna, anche se il passo più importante, l' "otto", che è come il cuore del tango, lo fa la donna. Nessuna danza popolare raggiunge lo stesso livello di comunicazione tra i corpi: emozione, energia, respirazione, abbraccio, palpitazione. Un circolo virtuoso che consente poi l'improvvisazione. (Miguel Ángel Zotto)»
Il tango trova la sua origine in Argentina e Uruguay come espressione di una cultura popolare, per poi divenire vera e propria forma d’arte , che comprende nella sua fenomenologia musica, danza, testo e canzone. Danza sensuale, di grande fisicità e seduzione che vive nella simbiosi performativa ed esistenziale della coppia. 
In questo momento di profonda crisi sociale a livello mondiale, l’artista Paola Scialpi presenta un progetto pittorico, bello, ludico, sensuale, gioioso e giocoso. “Tango” è dunque  il titolo di questa mostra che Paola Scialpi presenta al pubblico al Joli Park Hotel di Gallipoli. Nelle sue opere non c’è posto per l’essere maschile spesso relegato in secondo piano, proprio mentre risuonano le note della danza e mentre una donna archetipo della leggendaria Eva si serve del tango per sfoderare le sue “armi” migliori in fatto di seduzione. Una gamba tornita che fa capolino tra le balze di una gonna rossa o una scollatura ardita e generosa, la fanno diventare vera e assoluta protagonista di un percorso di seduzione che rifuggendo da baluardi di fumose rivendicazioni, ammalia l’uomo che si lascia morbidamente trascinare nel vortice ritmato della passione. L’artista torna alla leggerezza con i suoi colori che da anni la caratterizzano, il bianco, rosso e nero che sembrano rappresentare perfettamente le atmosfere del tango argentino

Palazzo Jannuzzi Relais


“Sorrento has an incomparable geographical and political position, and that is why since ancient times has been a popular destination for many people, who, with their passages have influenced the culture and traditions of this charming place kissed by God and the sun . The etymology of the name “Sorrento” is not entirely certain, some scholars state it is attributable to the myth of the Sirens (Sirentum) while others argue that the term derives from the greek word which means surreal “contribute“, “flows” and in this case would relate to the hydrological and morphological conformation of the Sorrento peninsula, marked by two rivers that flow into the sea by defining both the old boundaries of the city. Some archaeologists state that in the hilly areas an origin of the first settlements actually date back to Neolithic times, and can be seen partly in the Museum Correale of Sorrento, partly in Vallet Gorge Museum of Villa Fondi in Piano di Sorrento (tombs of the civilization of Gavdos). Among the famous and illustrious people visiting Sorrento are: Lord Byron, John Keats, Walter Scott and Goethe. Sorrento is the birthplace of the famous poet Torquato Tasso (1544-1595), and the city’s main square is dedicated to him. A statue stands in his honor. Tasso, is the author of the famous Gerusalemme Liberata and he is considered the most famous and influential Italian poet of the sixteenth century. The famous tenor Enrico Caruso loved Sorrento, and visited many times, especially during his convalescence after his surgery. The great singer-songwriter Lucio Dalla, dedicated a song to Enrico Caruso . Dalla,enjoys Sorrento and has become an honorary citizen .”


Guida rapida agli addii di Anne Tyler (Guanda)


Aaron, giovane vedovo ancora sconvolto dalla perdita della moglie Dorothy, comincia a riceverne le visite. Per strada, al mercato, al lavoro, Dorothy lo affianca silenziosa nei mesi del lutto. Per Aaron, balbuziente, leggermente zoppicante, soffocato per tutta la vita dalle attenzioni di donne troppo premurose - dalla madre apprensiva alla sorella invadente, alle fidanzate votate più ad assisterlo che ad amarlo - l'incontro con Dorothy era stato una liberazione. Finalmente una donna diretta, pratica, quasi asociale ma per nulla sentimentale e soprattutto refrattaria a ogni pietismo, una donna che lo trattava come un uomo e non come un bambino da accudire. Insieme si erano costruiti un rifugio, vivendo in una simbiosi assoluta che portava ciascuno a coltivare le proprie idiosincrasie e ad amplificare quelle dell'altro. Ma ora che lei non c'è più, tranne che nelle sue brevi apparizioni, Aaron è costretto ad avventurarsi di nuovo in un mondo dove i vicini di casa lo foraggiano ogni giorno con abbondanti provviste di cibo; la sorella insiste per ospitarlo; i colleghi fanno di tutto per rendergli la vita più facile e qualcuno già cerca di combinargli un incontro con una giovane vedova altrettanto sola e bisognosa d'affetto. Con tono leggero e divertito, e la consueta capacità di tratteggiare i personaggi, Anne Tyler descrive il percorso tortuoso che dallo smarrimento della perdita conduce alla scoperta di nuove, infinite possibilità, sfociando in un inno alla vita e alla sua stupefacente varietà.

DERREN BROWN


“Dubbed a ‘psychological illusionist’ by the Press, Derren Brown is a performer who combines magic, suggestion, psychology, misdirection and showmanship in order to seemingly predict and control human behaviour, as well as performing mind-bending feats of mentalism. For the past ten years Derren has created TV and stage performances that have stunned audiences, debunked the paranormal and encouraged many to improve and enhance their own mental abilities. His first show appeared in 2000, Derren Brown: Mind Control, and followed with Trick of the Mind, Trick or Treat and a series of Specials including the controversial Russian Roulette and the hugely popular Events. (…)
Derren is a keen writer and has penned four books to date. Whilst his first two books, Absolute Magic and Pure Effect, are both out of print his third release Tricks of the Mind spent over 30 weeks on the Amazon best-seller list. His fourth release Confessions of a Conjurer was released in.(…)
Derren has consistently stunned audiences across the nation with his live stage shows, earning him a string of award nominations. He has won both the Laurence Olivier Award for Best Entertainment Show, and a Silver Rose d’Or for Variety. A 2011 tour is planned as well as a possible broadway run. While his performances create the illusion that he has some kind of paranormal powers, Derren is a prominent sceptic and a pronounced atheist. The Blog is a repository of news items that explore these facets of Derren’s persona. The articles are submitted by visitors to the Blog and discussed in the comments sections. A diverse range of topics are covered, encompassing Science, Technology, Art, Magic, Religion and some good old-fashioned silliness. In addition to his award-winning performances on stage and television, Derren is also an accomplished artist. Specialising in a unique style of caricatured portraiture, Derren’s work has been exhibited at the prestigious Rebecca Hossack Gallery in central London as well as being published in a collected volume of works in which Derren also writes about his passion for the medium and his development as an artist.”


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Jonty. Le avventure di un pinguino. Ediz. a colori di Julia Donaldson con la traduzione di Axel Scheffler e le illustrazioni di Laura Pelaschiar (Emme Edizioni)

  PUBBLICITA' / ADVERTISING ei pronto ad affrontare un viaggio avventuroso da Polo a Polo? Jonty, un intrepido pinguino, sta per partire...