A Ferrara, la comunita israelitica e sempre piu minacciata
dalle leggi razziali. La famiglia dei Finzi-Contini reagisce conducendo una
vita appartata, in una grande e lussuosa villa. La loro proprieta e circondata
da un maestoso giardino, ammantato da un'aura di mistero. Albert e Micol, i
ragazzi della famiglia, decidono di invitare a giocare a tennis, a casa loro,
alcuni amici, per lo piu ebrei, estromessi dal circolo di tennis cittadino. Il
protagonista della storia, che narra in prima persona, entra cosi in questa
piccola comunita a cui appartiene anche il milanese Malnate. Nei lunghi
colloqui tra il narratore, Micol e gli amici, si intrecciano temi politici e
privati e affiora anche un sentimento d'amore tra la giovane ebrea e il
protagonista. Questi si vedra invitato a diradare le sue visite alla villa
quando Micol decidera di chiudere ogni via ai possibili sviluppi di
quell'affetto. Il rifiuto prelude alla tragica fine della famiglia: Alberto
muore di una grave malattia; Micol e tutti i suoi vengono deportati in Germania
e uccisi. Malnate cade in Russia. Per il narratore rimangono i ricordi brucianti
di una stagione irripetibile.
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sabato 28 luglio 2012
La Contessa di Lecce di Liliana D’Arpe (Lupo editore)
Liliana D’Arpe, leccese, compie gli studi presso l’Istituto
margherita di Savoia, conseguendo il diploma di Maturità Magistrale. Fin dalle
scuole medie le Suore scoprono e incoraggiano le sue predisposizioni artistiche
e letterarie. A dieci anni, iscritta dal padre ad un concorso canoro, inizia
una strada che la porterà negli anni ‘80 e ‘90 a affermarsi come una delle
cantanti più conosciute e apprezzate nel Salento. Dal 2000, sentendosi matura
per evolversi in un altro ruolo, si dedica alla stesura di sceneggiature e
commedie musicali che metterà in scena al Politeama di Lecce, con successo di
pubblico e critica. Presidente dell’Associazione culturale “Il Saraceno” dal
2006, cura la regia dei suoi spettacoli, dipingendone le scenografie teatrali.
Da ogni suo elaborato traspare una profonda conoscenza e un’ardente passione.
Ci sono storie che ci aiutano a trascorrere un po’ di tempo
della vita, spesso così complicata, ambigua, poco chiara. Ci sono storie che ci
fanno conoscere dei personaggi che ad un certo punto vorresti fossero tuoi
amici, per passare del tempo insieme a loro, al di fuori delle pagine. È il
caso della famiglia Darini, di Caterina e Dalila, della loro bontà e pulizia
nel cercare di lottare contro gli attacchi e gli agguati di familiari privi di
scrupoli e troppo infelici per lasciarle in pace. In situazioni del genere solo
l’intervento di uno spirito buono potrebbe… In una Lecce solare, in balia di profumi
e colori, del suo passato e del suo avvenire, tra l’Università e il Centro
Storico, in palazzi pieni di storia e di fascino si dipana un’avventura in cui
fantasmi, risate, innamoramenti, gioie e dolori si intrecciano a comporre una
storia leggera d’emozioni. Con, come sfondo, l’incanto e la magia di una città
calda e mediterranea. Un mondo di buoni sentimenti e delicatezze dovrà
difendersi dall’attacco di insospettabili (e non) pronti ad
approfittare di ogni minima debolezza e piccola titubanza. La lotta tra il bene
e il male si svolgerà fino alla fine, non lasciando indifferenti in cielo ed in terra. Una lettura che ci farà
dimenticare i mondi di carta densi di buio e pesantezza e ci consolerà con la
leggerezza e le dolci linee degli attori di quest’avventura. Il fantastico, il
romantico, i buoni sentimenti ed un inarrestabile senso di giustizia ci
riscalderanno come una delicata primavera.
Storia segreta del capitalismo italiano. Cinquant'anni di economia finanza e politica raccontati da un grande protagonista, di Cesare Romiti, con Paolo Madron, prefazione di Ferruccio de Bortoli (Longanesi). Intervento di Nunzio Festa.
Poche settimane fa abbiamo parlato del romanzo di Angelo
Petrella, "Le api randage" (Garzanti, 2012), che tra le pagine
racconta una fantasiosa storia degli anni Novanta, la quale parla delle lotte
per la presa del Mattino di Napoli dalla politica-gestione con il tramite del
Banco di Napoli. E casualmente adesso scopriamo, giochetti appunto del caso,
tra le tante risposte affidate al giornalista amico Paolo Madron dal manager
Cesare Romiti in "Storia segreta del capitalismo italiano" che Il
Mattino é stato uno di quei giornali dove davvero il potere s'é scontrato per
designarne la direzione. Questo dunque valga da esempio per farci capire di che
libro stiamo parlando. Perché innanzitutto il termine del titolo
"segreta" non può che aver piacere solamente di marketing; in quanto
spesso le delucidazioni dateci da Romiti sono retroscena della finanza e
dell'economia italiota che tante e tanti già avevano potuto imparare in letture
offerte dai medium indipendenti. Ma premesso che Romiti ha realmente fatto la
storia dei soldi italici per oltre cinquant'anni, é senza dubbio interessante
comprendere che maniera di raccontarsi e guardare alle proprie zone d'influenza
e condizionamenti può usare un anziano dirigente delle istituzioni finziarie
che hanno caratterizzato i contorni dell'Italia. Siamo nel capitalismo
nostrano, proprio. Allora Cesare Romiti non può che ripartire, anche per dovere
di mitologie, da Cuccia e Agnelli nel riprendere in mano le fila d'un discorso
che recentemente le televisioni hanno voluto interrogare. Dall'avvocato Agnelli
e famili a Berlusconi. Per il tramite di Craxi/Ligresti. Ché Romiti parla senza
vergogne di sorta. Romiti fu l'uomo della restaurazione Fiat appellata col
significativo e palesemente eccessivo "marcia dei Quarantamila", e
con questo sfogo racconta oltre duecento amici e avversari tra imprenditori,
banchieri, giornalisti. Un libro-intervista che s'aggiunge al "Questi anni
alla Fiat" scritto con Pansa più di vent'anni or sono. Pensato anche per
sconvolgere dicendo tipo del rifiuto al Silvio Berlusconi che gli chiese di
dirigere il suo gruppo mentre era nella vasta famiglia Agnelli. Uno spaccato
del capitalismo nostrano che uno dei suoi protagonisti riferisce abolendo
pudori di sorta. E se sapevamo, ancora, che solitamente i direttori dei
giornali sono scelti dagli azionisti più forti dei gruppi che li mandano in
tipografia, non sapevamo alcuni altri dettagli pratici che hanno formato una
catena lunga e solida tra finanza-imprenditoria-politica e indietro così.
venerdì 27 luglio 2012
L FOR LAZARUS
“Formed in
early 2011, Amsterdam
based L for LAZARUS creates unique, stylish yet practical fashion accessories,
based on founder and designer Nicolette Lazarus’ passion for personal style and
wearable innovation. L for LAZARUS is a brand for women who love to follow
fashion but, more importantly, have developed an inner confidence and their own
personal style. It’s a brand for women who are comfortable with who they are,
and know what they want from fashion accessories: style, quality, versatility,
and the ability to transform their look on a daily basis. L for LAZARUS
successfully launched its first fashion innovation, the Échapeau, in October
2011. Derived from the French for hat and scarf (écharpe and chapeau), the
Échapeau is an elegant combination of both that can be worn as one unique
piece, as a classic hat & scarf set or as individual items. Rather than
follow fashion industry ‘rules’ by sticking to one fashion category, L for
LAZARUS focuses on individual pieces that represent wearable innovation. And by
answering women’s requirements for timeless, beautifully-made items that:
enhance their personal style; work with their current wardrobe for multiple
seasons; and are as versatile as they are, L for LAZARUS pieces also represent
good value for money. In addition to the Échapeau, the collection for
Fall/Winter 2012 includes a versatile wool wrap and a capsule leather bag
collection and will include clothing items for future seasons. L for LAZARUS
pieces are designed to be part of, and enhance, a woman’s wardrobe from one
year to the next. Founder and Creative Director, L for LAZARUS After completing
a degree and MBA, founder Nicolette spent over 20 years in the advertising and
communications world. She worked for well-known agencies, including a
seven-year stint at Saatchi & Saatchi in London, running international campaigns for
household name brands. Nicolette moved to Amsterdam,
The Netherlands in 2007 to continue her career, and in 2010 set herself a new
challenge to create unique pieces and L for LAZARUS, a business based on her passion
for personal style and wearable innovation.”
Romanzi vol. 2 di Emile Zola (Mondadori)
L'opera di Zola è sterminata; la nuova edizione dei
Meridiani - diretta e curata da Pierluigi Pellini, comparatista e francesista
dell'università di Siena - ne propone i romanzi più significativi in traduzioni
quasi tutte nuove o comunque rivedute per questo progetto dai loro autori e
condotte - con criteri condivisi - da traduttori di prestigio. Altro elemento
importante di novità è l'utilizzo, negli apparati, dei materiali manoscritti da
poco integralmente disponibili in francese. In questo secondo volume, tre
grandi romanzi non tra i più noti ai lettori italiani: "La solita
minestra" (1982), il "ferocemente allegro" romanzo di un
palazzo, che attacca il cinismo, l'ipocrisia e la corruzione della classe
borghese; "Au Bonheur des Dames" (1883), dove la nascita trionfale
dei grandi magazzini con la conseguente rovina delle botteghe e dei piccoli
commercianti, il mutamento urbanistico della Parigi haussmanniana fanno da
sfondo a una storia d'amore insolitamente a lieto fine; "La gioia di
vivere" (1884), romanzo sul dolore e sulla bontà umana incarnati in personaggi
indimenticabili, dove trova spazio ed espressione anche l'amore di Zola per gli
animali.
Fattoria di Magliano
“La
Fattoria di Magliano, sorge nel centro di una vasta tenuta
agricola, in Toscana, nel cuore di un territorio famoso - la Maremma. Anima e
baricentro del luogo sono il vigneto e la cantina, intorno a cui è nato
l’intero progetto. Quasi per naturale evoluzione, è nata e cresciuta l’idea di
aprire agli ospiti le porte delle case che fanno parte della proprietà.
Oggi, la
Fattoria di Magliano offre un soggiorno ideale a chi desideri
quiete e raccoglimento, e sia in cerca di fonti di benessere e di svago
autentiche e poco convenzionali.
Per vocazione, gusto, atmosfera, la fattoria è una struttura
di accoglienza diversa, perché nuova nei servizi e particolare nello stile,
informale, ma raffinato, in linea con la tendenza la più attuale. La gestione
sposa efficienza, discrezione, sollecitudine, in accordo con il carattere
dell’ambiente, disteso e piacevole.”
EUGENIO COLLAVINI
“La storia dei Collavini inizia a Rivignano nel 1896.
Eugenio, il fondatore, forniva vini alle famiglie nobili di Udine ed alle
botteghe. La guida poi passa a Giovanni, che attraversò ben due guerre alla
fine delle quali i commerci ebbero, come sappiamo, una veloce accelerazione,
mentre si affermava l’enologia, dando ai vini una qualità fino ad allora sconosciuta. Sarebbe stato Manlio, figlio di
Giovanni, a cogliere quei primi segnali di forte cambiamento, quasi
anticipandoli. Fu tra i primissimi a portare i vini friulani nel mondo. Nel
1966, trasferisce le cantine a Corno di Rosazzo, dove acquista il castello
Zucco-Cuccanea (1560). Fu un antesignano nel credere al Pinot grigio vinificato
in bianco (era il 1969) e nel 1971 crea Il Grigio, spumante che fece tendenza,
al quale poi si aggiunse la
Ribolla Gialla brut. Oggi la Collavini è una Srl
“familiare” che vede, accanto a Manlio, i figli Giovanni, Luigi ed Eugenio.”
giovedì 26 luglio 2012
CASINO ROYALE DI IAN FLEMING (ADELPHI)
Il 15 gennaio del 1952, quando si siede alla scrivania di
Goldeneye, la sua villa in Giamaica, Ian Fleming non ha idea di cosa scriverà.
Parte dal nome del suo personaggio, rubato a un allora celebre ornitologo, e
dal ricordo di una partita a carte al Casino di Lisbona, nel 1941. Il primo
James Bond nasce così, ed è un romanzo molto diverso da come forse lo stesso
Fleming amava raccontarlo. Le scene sono poche, non più di quattro, i veri
personaggi anche meno. James Bond impareremo a conoscerlo meglio, perché qui è
ancora nei panni – eleganti, spiritosi, crudeli – di Ian Fleming. Ma
l'abominevole Le Chiffre, e il suo occhio quasi bianco, non li dimenticheremo,
come difficile sarà scordare la
Bond Girl forse più letale, la sublime Vesper Lynd. Tutto
dunque comincia da qui, dall'odore nauseante di un casinò alle tre del
mattino. E la speranza è che duri il più a lungo possibile.
Le botteghe di Leonardo
“Andrea e Lorenzo non cercano semplicemente un progetto
imprenditoriale, ma un sogno da realizzare. Nel 2008 Lorenzo Marconi e Andrea
Portolani studiano il settore e il mercato dal punto di vista finanziario per
conto di un cliente investitore. La comune passione per il gelato e per il
cioccolato, in qualità di golosi, si unisce naturalmente e rapidamente alla
visione positiva del business economico. Prima di intraprendere l’attività
imprenditoriale e fondare la società Andrea e Lorenzo studiano il ciclo
produttivo del gelato partecipando a numerosi corsi sulla realizzazione del
gelato artigianale, sull’utilizzo delle migliori materie prime, maturando
un’esperienza intensa e coinvolgente anche con responsabili di produzione di
ingredienti delle maggiori società del settore. Alla Carpigiani University,
durante un corso avanzato di perfezionamento conoscono il professor Gianpaolo
Valli, che forte di un’esperienza ultraventennale diventa l’anello che chiude
la catena del valore. Nell’ottobre del 2010 iniziano al loro attività.”
MIMI’ ALLA FERROVIA
“L’ antico ristorante “Mimì alla ferrovia” nasce nel
settembre del 1944 nel cuore della Napoli storica. gestita da Emilio Giugliano,
il cosiddetto Mimì, e dalla moglie Ida. Mimì era un abile commerciante del
settore con l’hobby dei cavalli, una passione della quale ancora si trova
traccia in quel cavallo al trotto, sormontato dall’immancabile ferro di
cavallo, che costituisce lo stemma del ristorante. In origine semplice
trattoria frequentata dalla media borghesia napoletana e dai più celebri
personaggi napoletani, quali TOTO’, i De Filippo, il maestro Fellini, è
divenuto nel corso degli anni un ristorante dall’atmosfera calda e accogliente,
punto di riferimento per tutti i napoletani e non. La vicinanza ai mezzi di
trasporto, aeroporto, ferrovia, porto, autostrade, e al centro delle principali
vie del commercio, lo rende una meta “obbligatoria”. Da qui nasce la famosa
frase “l’Italia passa per Mimì”, pronunciata da Michele Giugliano,
soprannominato “Don Mimì”, che assieme al cugino Michele e alla nuova
generazione, gestisce questo rinomato locale, ora ampliato e rinnovato in
un’atmosfera di eleganza formale, capace di non perdere quell’impronta classica
di genuinità dei sapori e rispetto della tradizione. Accanto a nuove e
ricercate ricette primeggiano piatti semplici e intramontabili per una cucina
che resta immutata nella bontà rispetto a quella di tanti anni fa. Le numerose
personalità della politica, dello spettacolo o della cultura che, nel corso
degli anni, hanno scelto di fermarsi da Mimì sono stati accolti da
quest’atmosfera d’amore per la cucina di qualità, per l’ospitalità ed il
servizio, ma soprattutto sono stati
contagiati dalla stessa passione che da circa 70 anni accompagna i titolari di
questo ristorante. Come afferma la giornalista Daniela Vergara nella prefazione
del libro “Napoli è servita. Mimì alla ferrovia racconta la città dal
dopoguerra a oggi”: “… tutta l’esperienza, la saggezza, l’attenzione, l’amore
che Michele senior e Michele junior usano per i loro piatti … quel pezzo di
storia di una città che è passata per i locali di via Alfonso D’Aragona…sono
ingredienti che non si scrivono su un pezzo di carta. Fanno parte di Mimì”. La
storia di questa tradizione non si ferma alla ferrovia, nella Napoli antica, ma
raggiunge la collina vomerese, in uno dei luoghi più suggestivi di tutta Napoli
cha avvolge con lo sguardo l’intero Golfo di Napoli: “Villa D’angelo”, una Villa
armoniosamente inserita nel verde, location Location ideata e sognata per
eventi esclusivi, per matrimoni, cerimonie, meeting e catering. Protagonista
indiscussa non potrebbe che essere la buona cucina, attraverso la selezione
accurata delle materie prime e la creazione di continue nuove portate che
esplorano ogni aspetto della ricca tradizione culinaria mediterranea,
rielaborate con gusto e un tocco di fantasia.”
mercoledì 25 luglio 2012
L’Economia buona di Emanuele Campiglio (Bruno Mondadori). Intervento di Vito Antonio Conte
Sono svogliatamente spoltronato e altrettanto svogliatamente
accendo la TV. Non
è per l’afa mitologicamente (ma non soltanto) bestiale di questi giorni. Accade
qualche mese addietro. Svogliatamente faccio zapping. Poi, Corrado Augias parla
di libri. C’è un giovane economista che dice che questo è un periodo stimolante
per parlare di economia. Lo dice muovendo una faccia simpatica e sveglia. Con
un tono misurato e sereno. Con un ritmo convincente. Non fa pesare la sua
laurea, né il suo master in Cooperazione e Sviluppo. È dottorando in Economia
Politica. Lavora in terra anglica presso la New Economics
Foundation. Augias chiede, un po’ professoralmente, com’è nel personaggio. Il
giovane economista, senz’alcuna supponenza, risponde. Augias, impostato nella
voce, legge un passo del libro scritto dal giovane economista. E fa un’altra
domanda. La risposta contiene e rivela un’altra possibilità. A ben vedere, ogni
parola del giovane economista è un’altra possibilità. Un altro modo (melius: un
modo altro) di approcciarsi all’economia e d’intendere l’economia. Partendo
dalla consapevolezza che il vecchio concetto di economia, quello fondato sulla
visione neoclassica dell’economia, può e dev’essere criticato, ché ha fallito e
altre voci esistono! E allora, decido che –nonostante la mia atavica riluttanza
per le questioni dell’economia- comprerò il libro scritto dal giovane
economista che così comprensibilmente e bene sa dire di economia. Comprerò quel
libro. Per leggerlo. Ché i libri son fatti per essere letti. Sì, è vero,
qualcuno li usa per arredare. Qualcun altro per sostituire un piede rotto del
comodino. Qualcun altro ancora per esibirli. Così. Tanto per darsi un tono. Io
ci spendo dei soldi e credo sia danaro ben speso se un libro mi restituisce
qualcosa. Il che non vale per tutto il resto. Per tutte le altre cose della
vita, intendo. Per i libri, sì! Di più, per questo: “L’economia buona”, scritto
dal giovane economista che mi fa fare pace con l’economia e, foss’anche sol per
questo, gli sono grato. Sono grato a Emanuele Campiglio che non si perde dietro
concetti quali “stabilità, sostenibilità, giustizia”, enunciandoli e punto o
riempiendoli delle solite nefandezze vestite all’ultima moda atte
esclusivamente a giustificare il dominio del profitto a scapito di ogni umano
respiro, ma dà contenuto e sostanza al suo progettare, iniziando da quel che
non funziona e che va cambiato perché vi sia una concreta idea di cambiamento,
perché prenda consistenza una “Grande transizione”, cioè “un processo condiviso
di riorganizzazione delle libertà che coinvolga le comunità, l’ambiente, le
norme sociali, la cultura e, naturalmente, l’economia”. E sono d’accordo che la
peggiore bestia che ha concorso con altre bestie a uccidere l’economia è la
finanza. Che dovrebbe alimentare –nel puro disegno originario- “l’impianto
produttivo delle economie” e non servirsene per moltiplicare il suo squallido e
sporco gioco di potere. Ma se morte dell’economia per mano (soprattutto) della
finanza è davvero, beh –forse- è un omicidio (o, se volete, infanticidio)
necessario. Ché ha dimostrato come non sia più concepibile un sistema basato
sull’incessante crescita del PIL e via dicendo. Ché ha finito per distruggere
se stessa. Ché l’una e l’altra, economia e finanza, vanno ripensate. Ché i
parametri per misurarne lo stato di salute vanno rivisti. E non è un caso che
un altro acronimo cominci a comparire sempre più spesso quando si parla di
economia: FIL. Che sta per Felicità Interna Lorda. E ch’è conseguenza di quella
decrescita felice della quale pure da un po’ si sente discutere. Qualcosa si
muove. Si muove “dal basso”, nel crescente (ma non sufficiente) senso di
coscienza, presa di responsabilità e pratica comportamentale dei singoli
individui in relazione al consumismo. Lo sviluppo di tali condotte e il
mutamento delle abitudini indotte dal mostro del consumismo, il netto
generalizzato rifiuto dell’insulso paradigma compra-usa-e-getta costituisce (e,
quando sarà pienamente attuato, sarà) uno dei mezzi verso un utilizzo
consapevole delle risorse e, quindi, di un cammino su una strada linda perché
priva di sprechi e di rifiuti. Ciò indurrà l’economia a produrre a misura
dell’utilizzo del necessario. Da un punto di vista fenomenico, il processo
potrà subire una reale svolta e una forte accelerazione a condizione che i
“macro-attori” del sistema economico (“governi, banche e sistema finanziario,
apparato produttivo ed energetico, istituzioni internazionali”) vogliano
smettere di far proclami e ci mettano il culo. Il loro. Sì, insomma, ci siamo
intesi, si diano da fare, operando, per davvero… - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE?
“Il Bhutan è un piccolo Stato di nemmeno un milione di abitanti, incastonato
tra le montagne dell’Himalaya. Per spinta del proprio re, da alcuni anni
calcola un indice di Gross National Happiness (Felicità Interna Lorda),
formulato in modo da includere non solo la soddisfazione dei bisogni materiali,
ma anche alcune variabili e valori tipici della spiritualità buddhista. Si
tiene, perciò, conto della salute fisica e mentale dei cittadini, di come essi
utilizzano il tempo, della qualità dell’ambiente circostante, della forza delle
connessioni comunitarie, e in base a queste misure si giudica la bontà delle
politiche proposte… Può sembrare ovvio scriverlo, ma ciò che rende la vita
degna di essere vissuta va ben oltre il livello di reddito o l’ammontare di
ricchezza posseduta…” - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE! Sono svogliatamente
spoltronato e altrettanto svogliatamente accendo la TV. È per l’afa (questa volta,
sì) minossea. Accade adesso. Svogliatamente faccio zapping. Su RAI 5 c’è un
documentario: alcuni abitanti d’una (per me) sconosciuta isola del Pacifico (se
non erro) sono ospiti di un loro conterraneo che vive a Manchster insieme alla
sua compagna inglese. Non hanno mai visto una città. Con tutto quello che in
una città c’è. Non hanno mai visitato una città. Meno che mai una città
inglese. Con tutto quello che in una città inglese c’è. Stupore e meraviglia li
ammaliano. Musei e monumenti, negozi e vetrine, palazzi e giardini, uomini e
donne di tutte le razze, mescolati si muovono in un’apparente opulenza. Poi, la
discarica dei rifiuti differenziati, le macchine per lo stoccaggio e il
successivo riciclaggio. Uno di loro (dalle fattezze più marcatamente aborigene)
chiede alla donna di cui sopra: anche le persone vengono riciclate? Lei ci
pensa su, poi risponde: noi qui veniamo cremati e le polveri vengono affidate
al vento e sparse nel fiume oppure vengono interrate e, dunque, sì –il nostro
corpo, sì- veniamo riciclati. Ma l’anima? Quella vola via e va a abitare (…)
altrove. Lui le stringe la mano. Era la risposta che voleva. Poi, continuano il
giro della città. Altre novità e panchine, e uomini e donne che sulle panchine
dormono. Senzatetto. Inconcepibile. Per loro. Poi, a sera, il fratello del loro
conterraneo è ospite pure lui e racconta che, per diverse vicissitudini
esistenziali, anche lui è rimasto senza una casa. Inconcepibile. Per loro. Con
tutti i palazzi che ci sono. Con tutte le case disabitate che hanno visto.
Inconcepibile. Per loro. Sulla loro isola ognuno ha una casa. Se non ce l’ha,
raccoglie legna e paglia e inizia a costruirla. E tutti lo aiutano a farla.
Vedere un senzatetto e sentire la sua storia agli abitanti dell’isola del
Pacifico chenonsocomesichiama ha spezzato il cuore e porgendogli quel loro
cuore infranto gli dicono che non hanno altre parole. Difficile costruire una
capanna di tronchi di legno e paglia a Manchster. Com’è difficile pensare al
FIL in occidente. Ma il PIL ha fallito. Il PIL è agonizzante. Il PIL è alla
fine. Ogni fine segna un nuovo inizio. Ricominciamo. Facciamolo bene. Per il
Bene. Nostro. E di tutti. Questo libriccino di Emanuele Campiglio andrebbe
letto in tutte le scuole. Si può fare. L’insegnante di lettere di mia figlia ha
“consigliato” di leggere (durante e vacanze estive) “Guerra e Pace” di Lev
Tolstoj. Un Autore contemporaneo no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. Un
figlio di questa Terra no, eh? Con tutto il rispetto, s’intende. E con altro.
Che non dirò. Ho spento la TV.
Ho letto “L’economia buona”. Ho imparato delle cose.
Accenderò ancora la TV.
Leggerò ancora. E altro farò. Che neppure dirò. Voglio
imparare ancora. Ci vuol tutto. Un po’ di tutto. Al momento giusto. Facciamo
leggere “L’economia buona” ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri cugini,
ai nostri amici. Facciamolo leggere a scuola. Cambiamo l’economia. Cambiamo il
mondo. Per questo non c’è più tempo. Ho detto. Augh!
La felicità del testimone di Elisabetta Liguori (Manni). Intervento di Vito Antonio Conte
C’è un tempo per ogni cosa. E ogni cosa ha il suo tempo.
Queste poche parole compongono due piccole frasi che (per me) contengono un
concetto salvifico… E, percorrendo la mia strada, sono quasi diventate un
mantra da librare sottovoce quando il tempo sembra essere (o davvero è) in
dirittura d’arrivo, prossimo a tagliare il traguardo, col petto sul nastro, nel
mentre arranco, con l’affanno, le gambe acide e pesanti, la mente capace
soltanto di mandare nebbia sporca agli occhi, nella penultima curva. Quasi una
filosofia di vita. Che, soprattutto in quei momenti, mi ricorda quanto poco
valga il tempo senza il proprio Tempo. Soltanto la cura e l’attenzione del
proprio Tempo possono far stare davvero al passo col tempo. Pausa. Che questo
non sia l’incipit di un saggio l’avrete capito dalla “pausa”, ma casomai vi
fosse sfuggito ora lo sapete. Le pause sono necessarie. Sempre. Comunque.
Quella di cui sopra si è materializzata sul filo e potrei dire che aveva il
sapore del… cuscus. Da lì sono andato nel Maghreb: kuskusu; poi, ho ascoltato
la voce di un berbero: seksu; e, quindi, il mio volo è planato in Francia: couscous.
Di ritorno, riannodando quel che dicevo, aggiungo che –finalmente- ho letto un
libro che mi aspettava dal dicembre dell’anno passato: “La felicità del
testimone” (Manni Editore, Collana Punto G, pagine 271, € 17,00, 2011), di
Elisabetta Liguori. Un libro sorprendente. Liquido. Spiazzante. Non tanto per
la storia narrata, quanto per come è narrata. Non tanto perché non te l’aspetti
dall’Autrice, quanto per l’importanza della svolta. Non tanto per l’anomalia
del noir, quanto per la distanza (abissale) dai precedenti noir (“Il credito
dell’imbianchino” e “Il correttore”) di Elisabetta Liguori. S’è vero, come
credo, che il genere che chi scrive adotta per dire quel che gli sta dentro e/o
quel che lo tocca da fuori, ebbene penso che Elisabetta Liguori abbia concluso
la sua esperienza col noir proprio con questo libro, che compie una trilogia
(con i citati precedenti) che non lascia spazio a similari esperienze. Ché ne
“La felicità del testimone” tutto il meglio del repertorio espressivo di
Elisabetta Liguori è stato toccato. Beninteso, ci potranno essere altri noir,
l’Autrice ci regalerà altri romanzi (cimentandosi con altri generi letterari),
di sicuro la verve narrativa l’accompagnerà e ci farà compagnia finché respiro
avrà e voglia di leggerla avremo, ma non sarà più la stessa cosa. Ecco, dire
quel che ho notato (io che rifuggo le classificazioni…), m’è servito per
appuntare questo: “non sarà più la stessa cosa”. Voglio dire che dopo questa
altissima prova letteraria, niente (come si suol dire) sarà più come prima.
Elisabetta Liguori, col prossimo libro che sarà (…), supererà la scrittrice
nata che è, ma niente sarà più come prima. Ché “La felicità del testimone” è un
punto d’arrivo. Ma è anche un luogo, ché questo libro è anche un luogo –come di
pietra miliare-, dal quale si può e si deve iniziare un altro viaggio. Come
alla fine di ogni fine. Questo libro chiude un percorso più dei precedenti e
che coi precedenti era cominciato e s’era fatto strada. Questa è la mia
lettura. Senza presunzione critica e con tutti gli altri senza che volete.
Dovrei motivare quel che ho scritto. Credo di cavarmela se, evitando il già
detto e ogni ovvietà, aggiungo che questa storia –tra quelle scritte da
Eisabetta Liquori (da me lette)- contiene la meraviglia della perfetta unione,
dell’intimo connubio, dell’inseparabile contaminazione, richieste dal romanzo
quando la narrazione segue i tempi del realismo: la realtà e la fantasia stanno
così bene insieme, ci stanno da dio, si godono come pazze, che non distingui
(da lettore) l’una dall’altra. E, se si condivide quel che pensa Richard Millet
a proposito del romanzo, ossia che “il romanzo può ancora sfuggire a se stesso,
essendo in fin dei conti un’esperienza dell’inferno”, ebbene “La felicità del
testimone” (eliminate definizioni di genere e mie elucubrazioni mentali) è un
romanzo autentico che sbaraglia l’impostura di tanti scrittori odierni che si
fregiano di essere tali perché ben inseriti nella mistificazione della
scrittura siccome imposta e elargita da un sistema che della letteratura ha
fatto simulacro a uso e consumo di invertebrati lettori. Ché Elisabetta Liguori
ha qualcosa d’importante da trasmettere e lo fa con una lingua che arriva
dritta ai sensi e si fa senso e, parola dopo parola, similitudine dopo
similitudine, aforisma dopo aforisma, abisso dopo abisso, riemerge piena di
levità: ch’è quella leggerezza che ogni uomo vorrebbe provare dopo averla detta
per intero. In questo libro, Elisabetta Liguori l’ha detta tutta. Per intero.
E, si sa, il vuoto è una brutta bestia. Ma fare il vuoto è felicità. Già, la
felicità! Se va bene puoi toccarla e esserne toccato, attraversarla e farti
attraversare, provarla e nutrirla. Ma poi? Si sa, anche questo si sa, è uno
stato temporaneo. Ma è davvero uno stato temporaneo? La risposta, la mia, non
so se possa interessare a qualcuno. Elisabetta Liguori ce l’ha indicata. È
nelle pagine di questo libro. Oltre il fatto di cronaca da cui muove la
narrazione e che diventa narrazione. Oltre i personaggi -che, se esistesse la
perfezione, non esiterei a dire- perfettamente delineati caratterialmente.
Oltre ogni realtà descritta. Oltre la fiction. Mirabilmente amalgamate (l’ho
già scritto). E, dunque, oltre tutto, questo è un libro sulla ricerca della
felicità. Non credo esista una ricetta universale per trovarla. Credo di sapere
cos’è. È lunghi capelli sciolti, tesa sulle punte dei piedi, braccia larghe
verso l’orizzonte ch’è una vallata spersa nel blu, naso sù. È una striscia di
fumetto e nuvolette senza parole. È quattro gambe a pelo d’acqua e il resto
(che non si vede) su un pontile di legno a dondolare un ritmo solo. È un campo
giallo dove tutti gli altri colori fanno a gara con le nuvole di sopra sapendo
di perdere. È mani nelle mani dopo che mano ha stretto mano. È linguaccia a
fragola di una bimba che sgrana occhi birichini tra le dita. È una coccinella
su un girasole ma potrebbe essere su qualsiasi altro fiore. È un film in
B&N dove cappelli si guardano e non importa altro. È sguardo di occhi
aperti su occhi chiusi intanto che il cielo scorre. È il sonno di un bambino
che vederlo è sogno. È una sigaretta dopo un bacio per mischiare sapori. È un
aquilone senza filo che sospeso comunque sta. È una canzone qualunque tranne
quella. È “Ciccio” pancia all’aria e “Nino” che porge la zampa. È il vento nei
capelli, tra i capelli, nelle radici dei capelli, e oltre quelli. È quella
detta e mai provata e quella provata ma indicibile. È quella che tutti cercano:
lunga come un arcobaleno e corta come un accento. È quella che le parole stanno
prima e dopo ma la narrazione non finirà mai. E ancora… Epicuro e molti altri
hanno segnato strade, ma nessuna via che porta diritta verso la felicità.
Ognuno può inventarsi la propria. Elisabetta Liguori ci dice che esiste la
felicità e che ci vuole “un gran coraggio per continuare a essere felice”. Ah,
dimenticavo: c’è un’intera pagina del libro che da pura poesia è diventata
prosa. Ma la sua origine non può essere nascosta. Rimane poesia. Che il
cambiamento stia in una diversa frequentazione della poesia?
“Il corpo estraneo (Una tragedia on the road)” di Marco Montanaro (Caratteri Mobili Edizioni, Collana Molecole). Intervento di Vito Antonio Conte
Non ho mai dovuto aspettare così a lungo, dopo averlo
prenotato, un libro! Oltre un mese! E il buon Marco voleva portarmelo lui, di
persona. Ché di quel libro avrei avuto il piacere di parlarne, poi. Ho
declinato l’offerta di Marco: i libri si comprano, gli ho detto! Ma, intanto,
la data della presentazione si avvicinava e del libro ancora niente. Ci siamo
sentiti. Con Marco. Ripetutamente. È sempre un piacere. Quando accade. Sempre
nulla di già detto... E quella voce, la sua, un po’ tremula, in divenire, a
tradurre in lemmi il pensiero che scorre… Mi ha mandato il PDF e così ho
iniziato a leggerlo il suo ultimo libro. Poi, finalmente, è arrivato in
libreria. L’ho ritirato. Ho ricominciato a leggere. Dall’inizio. Sino
all’ultima parola: “anch’io”. Ho metabolizzato. E ho cominciato a pensare, come
sempre mi succede in simili occasioni, a quel che avrei detto… Il ventuno a
sera, alla libreria Ergot, cosa dirò? Sì, perché, in fine, stasera farò parole
de “Il corpo estraneo (Una tragedia on the road)”, (Caratteri Mobili Edizioni,
Collana Molecole, pagine 111, € 12,00), insieme all’Autore, Marco Montanaro, e
Ennio Ciotta. Cosa dirò? Andrò a braccio. Improvviserò. Tanto per cambiare. Ché
non riesco mai a preparare nulla, in circostanze del “genere”. Ma la “specie”,
stavolta, è diversa. E quando dico “specie” intendo la scrittura e, ovviamente,
lo scrittore (che l’ha resa, ché dire generata aprirebbe un altro capitolo). La
scrittura è nuova, siccome può essere nuova una scrittura che contiene la “cifra”
del suo Autore. Voglio dire che in questo libro Marco Montanaro ha lasciato un
segno del suo intendere “scrivere”: niente di preconfezionato, nulla di
preordinato, nessuno spazio al rapimento del lettore e/o alle aspettative del
lettore stesso, e –paradossalmente- sangue e sudore che sgorgano a fiumi da
ogni pagina, da ogni frase, da ogni parola, ché Marco Montanaro ha dato corpo
(diventato tangibile) a un racconto lungo (ch’era sconosciuto dentro di lui)
sudando e sanguinando ogni singola parola de “Il corpo estraneo”. Si può
scrivere soltanto quel che si è attraversato nell’esistenza. E allora scrittura
e scrittore, in questo caso, coincidono, ché questo libro e il suo Autore sono
(a me sembra) così: rifiuto di ogni regola nota, rigetto di qualsiasi ruffianeria
letteraria, reiezione di qualunque canone acquisito, in nome di una legge
superiore: quella dell’onestà intellettuale e del rispetto del prossimo. Che
possono realizzarsi davvero esclusivamente rendendo di sé quel che si è! Marco
Montanaro mette in atto se stesso e quel che lo circonda traverso parole che
formano periodi che starebbero in piedi anche se isolati e letti di per sé
soli. Il monco e il rimando sono contenuti diffusamente in questo libro. Sembra
un mare aperto dove la narrazione sdonda s’un surf toccando acqua e cielo e
dove nessuna terra è in vista. Ho pensato a cosa dire di questo libro e come
cominciare a parlarne stasera. Mi sono passati per gli occhi almeno sei diversi
incipit. 1) Corpo estraneo è il ventinovesimo album de “I Nomadi” ed è uno dei
tre singoli estratto da quel lavoro musicale del 2004. Musica. Assente quasi
del tutto nel libro, quanto a riferimenti. Più che presente per ogni scena. Per
ogni movimento. Per ogni stare e andare. 2) Alla fine della lettura m’è venuta
voglia di masturbarmi… la pornografia non c’entra niente; certo erotismo sì. Un
certo eros disperato, che fa venire in mente l’atmosfera di quella canzone di
Lucio Dalla tanto nota ch’è inutile ricordarne il titolo. E non mi riferisco
all’erotomane Danilo, ovvio… penso a tutto quel che volete e a niente in
particolare. 3) La sensazione che ho avuto, giunto all’ultima pagina del libro,
è stata di bagnato, d’umidore diffuso sulla pelle e dentro, fradicio nei
capelli… No, qui l’erotismo non c’entra. Mi sentivo proprio come un panno
appena tirato fuori da una vaschetta colma d’acqua. Mi si sarebbe potuto
strizzare ogni braccio, ogni mano, le gambe e i piedi, il petto e no, l’uccello
no (Danilo docet), ma persino l’anima. Tutto avrebbe grondato acqua. Ché questo
libro mi ha fatto avvertire tutta l’umidità del mondo e m’è venuto desiderio di
sole, di deserto, di terra spaccata dalla siccità… 4) Il titolo del libro evoca
immediatamente una brutta sensazione di blocco, di asfissia, di alterazione… Il
corpo paralizzato da un elemento esterno, sconosciuto, ignoto, tinto di nero,
la gola serrata da mani invisibili, l’impossibilità di respirare, l’aria già
incamerata sta finendo, l’affanno sta vincendo, ogni parte del corpo è in
estrema tensione, gli occhi strabuzzano fino a esplodere, voglia disperata di
gridare ma la voce non esce, un urlo, ci vorrebbe un urlo, ma le mani
invisibili stringono sempre più, perché nessuno presta aiuto? Nessuno può!
L’unica è cercare l’ultimo sforzo sovrumano, riprendere senso e sputare via l’estraneo
ch’è di traverso in groppo. Ché tenerlo dentro uccide! 5) Il sottotitolo
suggerisce una certa pietà e un sentimento di paura… Che, poi, rinvengo nei
personaggi che animano questa storia “sulla strada” e nella storia stessa… 6)
“Corpo Estraneo” è il titolo di un romanzo di Robin Cook. L’avrà letto Marco
Montanaro? 7) “Il corpo estraneo” è anche un poemetto (di trentasei pagine) di
Vilma Costantini. Non ho letto neppure questo! E Marco? 8) E, poi, c’è anche
“Un corpo estraneo”, testo teatrale di Renzo Rosso… 9) Questo libro è il terzo
di Marco Montanaro e (avendo io letto il primo e non ancora il secondo) mi
verrebbe da dire ch’è il più Dannoso, ma potrò affermarlo soltanto quando avrò
colmato la lacuna della lettura del suo secondo libro. Ecco, avevo pensato ben più di sei modi per
cominciare a dire de “Il corpo estraneo” e me li sono giocati tutti qui. Mi
toccherà inventarmene un altro. Stasera. Sarà facile. Perché questo libro
fornisce spunti infiniti su qualcosa che non finisce mai d’accadere e quella
cosa la viviamo ogni maledetto-benedetto giorno. Vorreste sapere cosa, vero?
Beh, vi toccherà venire alla libreria Ergot, questa sera! E non fatemi pensare,
ché “è in questi momenti che avverto una certa solitudine. La solitudine è una
grande balla, come la religione, la musica, l’incontro; ma val bene crederci
per non sentirsi soli davvero”. E questo è soltanto un piccolo assaggio della
scrittura di Marco Montanaro, che ha il colore dell’avorio perché ridotta
all’osso; la consistenza di quella terra spaccata di cui sopra è parola; il
ritmo di una ballata per sola voce, tipo: “As Yet Untitled” di Terence Trent
D’Arby; la melodia della pioggia nel mentre ci cammini sotto senza proteggerti,
ché lavarti così è purificarti; l’incedere del ramingo, ché per ricominciare
tutto deve finire; il mistero di una valigia chiusa che tale deve restare prima
di disfarsene. Poi, chissà!?!
Sofia Schito con il suo lavoro La B Capovolta al Premio Kallistos
L'Amministrazione Comunale di
Alliste ha deciso di conferire il "Premio Kallistos - Sezione Giovani
Eccellenze 2012" a Sofia Schito, autrice de LA B CAPOVOLTA (Lupo
Editore). TALE RICONOSCIMENTO MIRA A VALORIZZARE LA SUA ATTIVITA', CON
L'AUSPICIO CHE POSSA CONSOLIDARSI NEGLI ANNI E DARE LUSTRO AD ALLISTE E
FELLINE. Consapevole di quanta strada ci sia ancora da percorrere, mi auguro
che così possa essere. Intanto ringrazio di vero cuore chi ha creduto in me sin
dall'inizio e ha voluto fortemente che mi fosse conferito questo premio: il
Sindaco del Comune di Alliste, Avv. Antonio E. Renna, il Presidente del
Consiglio Comunale, Dott. Angelo Catamo e il Dirigente Comunale, Avv. Luca
Leone. Lupo Editore, L’appuntamento è previsto per giovedì 26 luglio 2012 ore
21,00 presso Piazza San Quintino ad Alliste (Lecce)
Si può parlare della Shoah in
tanti modi. In "Se questo è un uomo" Primo Levi lo ha fatto con
poesia, coinvolgendo l'umanità intera in un capolavoro che tocca l'emozione di
tutti, nel suo unire la bellezza della parola all'orrore umano. E in questa
storia proprio "Se questo è un uomo" e Primo Levi guidano un bambino
che vivrà con la grazia propria della sua età un evento che ancora gli uomini
non si riescono a spiegare. L'infanzia entra nella Storia più cupa ed
aberrante, provando a sfiorare il mistero del buio della coscienza dell'uomo
europeo. Levi la accompagna nei luoghi del degrado della nostra civiltà, e lo
fa con la sua prosa immortale come intermezzo, che cerca di spiegare
l'inspiegabile all'innocenza di chi non ha ancora saputo tutto dell'Uomo.
Questo romanzo ci condurrà per mano in un incubo che non può essere lasciato
solo al passato. Una storia che ci porterà a sentire l'inesorabilità del male
ammantato dall'ingenuità dell'infanzia e dalla profondità della letteratura. Un
libro che fa della semplicità lo strumento di narrazione per rispettare quei
fatti senza rinunciare all'immaginazione e alla speranza. Riuscirà l'ingenuità
dell'infanzia a lenire la drammaticità della realtà? O nulla si può al cospetto
di quello che l'uomo è capace di fare quando conosce l'inverno della sua
coscienza? Un libro scritto senza artifizi intellettuali, che parla con la
lingua dei ragazzi di quello che i ragazzi non dovranno mai conoscere.
Sofia Schito vive a Felline, in provincia di Lecce. Da anni
impegnata in attività che vedono coinvolti ragazzi delle scuole elementari e
medie, trae da loro continua ispirazione. Ama scrivere da sempre, sin da quando
a scuola ha sentito parlare per la prima volta di soggetto, verbo e
complemento. Lo testimoniano le scatole sull'armadio della sua stanza piene di
diari che ha cominciato a scarabocchiare quando era poco più che bambina. La
storia invece è una passione che le è venuta negli anni. Lo testimoniano i
voti, poco lusinghieri, che ai suoi compiti dava il professore del liceo. Ogni
volta che le restituiva un compito corretto, la domanda era sempre la stessa:
"Sofia, a che serve copiare?". Per lei allora aveva un senso,
significava evitare di trascorrere interi pomeriggi a memorizzare date, luoghi
e avvenimenti. Col passare del tempo, per fortuna, si è resa conto che la
storia è ben altro. Dopo la maturità scientifica, si iscrive alla facoltà di
Lettere dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e al terzo anno, al
momento della scelta dell'indirizzo, forse per una sorta di legge del
contrappasso, sceglie proprio l'indirizzo storico. La B capovolta è il suo primo
romanzo per ragazzi. Nella scelta dell'argomento, ci sono buone probabilità che
si sia ispirata alle iniziali del suo nome.
Info . http://www.lupoeditore.it/lupo/ -
0832949510
martedì 24 luglio 2012
SENTIERI A SUD 2012 ... si parte con il primo sentiero!
Anche per questo 2012 si rinnova
l’appuntamento con la rassegna “SENTIERI A SUD”, dedicata alle produzioni e
agli attraversamenti culturali, tra musica e poesia, tra documentario e
racconto, tra cultura antica ed evoluzioni moderne: uno spazio di confronto su
vari temi in un luogo ricco di storia e di storie. “SENTIERI A SUD” nasce con
l’idea di condividere in uno spazio fisico e mentale, un luogo dell’anima che è
stato fulcro della vita di una comunità, impressioni utili a favorire una
maggiore conoscenza della cultura orale salentina e di coloro che sono oggi le
nuove voci narranti in questa “isola sonante”. Si parte con il primo sentiero
mercoledì 25 luglio 2012 alle ore 21,00 nelle campagne di Kurumuny a Martano
con "Ricci i tuoi capelli, arie e canti popolari di Cannole" edito da
Kurumuny con contributi critici di LUIGI CHIRIATTI, CIRO DE ROSA, SALVATORE
ESPOSITO, RAFFAELE CRISTIAN PALANO, ADRIANA BENEDETTA PETRACHI. E’ previsto
l’intervento musicale delle Cantrici di Cannole
"Ricci i tuoi capelli - Arie
e canti popolari di Cannole" aggiunge un ulteriore tassello nel percorso
di ricerca musicale al quale la casa editrice salentina Kurumuny, con
assiduità, dedica parte del suo ricco catalogo; basti pensare ad uscite recenti
come "Corimondo", "Canti e suoni della tradizione di
Carpino", "Uccio Aloisi il Canto della Terra", "Uccio
Bandello la Voce
della Tradizione", dove la formula del booklet+cd reinventa la
trasmissione della tradizione. "Ricci i tuoi capelli" dà voce a un
canto tutto al femminile. La maggior parte del repertorio presente in questo
lavoro è rappresentato dai canti diffusi in tutta la Penisola e questo
elemento conferma, ancora una volta, come la poesia popolare e la sua musica,
che toccano corde del sentire comune, sono conosciute ovunque, appartengono a
tutti e suscitano uguali sentimenti anche se il "modo" di esecuzione
assume caratteristiche diverse e le fanno appartenere al luogo e al tempo in
cui vengono eseguiti. Al centro dell'indagine che ha dato vita a questa
pubblicazione è la voce che è corporeità, spessore, timbro, calore
comunicativo, e che si fa mezzo per riannodare i fili della memoria, per
narrare, testimoniare. I canti a sole voci di questa raccolta possiedono una
marcata valenza emozionale: sono storie più o meno conosciute, che raccontano
dell'amore, della fatica del lavoro, delle relazioni sociali, della
quotidianità, dell'emigrazione, della lontananza. Il cantare di queste donne è
giocoso e nudo, senza orpelli e senza palchi e riflettori, un cantare distante
dai codici spettacolari che è il segno di quanto l'analisi della pluralità
sonora salentina non possa darsi del tutto completata e riveli ancora tesori,
al di là del mare, sole, mieru (vino) e pizzica, giustamente celebrati, ma più
spesso spacciati e consumati con superficialità. Il volume è corredato da due
Cd che contengono un'antologia di brani scelti, per un totale di 42 tracce. Il
Cd "Ricci i tuoi capelli, arie e canti popolari di Cannole" è
promosso con il sostegno di PUGLIA SOUNDS - PO FESR PUGLIA 2007/2013 ASSE
IV" ed è patrocinato dalla Provincia di Lecce, dall'Istituto Diego
Carpitella e dal Comune di Cannole.
Info - http://www.kurumuny.it
Cell.. 3299886391
HOLLOW MMIX – indipendent clothing
“Hollow was
founded in 2009 by three lifelong friends, Dan, George & Joel based out of
their love for surfing and the urban lifestyle. Since Hollow began we've
released over 25 designs and sold to 19 countries on a regular basis, including
United States, Cananda, Germany, Australia, Switzerland and of course the
mighty United Kingdom to name a few. We pride ourselves on delivering the best
quality product (every way we possibly can) to our consumers. All of our items
are limited edition, once they're sold out - they're gone! Thanks for
supporting Hollow :)”
Io viaggio da sola di Maria Perosino (Einaudi)
Questa è la storia di una donna la cui vita ha sterzato
all'improvviso. Ma è anche molto altro. Un kit di sopravvivenza per cavarsela
da sole, tra alberghi, treni, piazze deserte, amici, amori e agguati di malinconia.
Una guida gioiosa, eccentrica, ricca di consigli pratici ed esistenziali: da
come infilare l'intera vita in valigia a come gustarsi una città acchiappando i
piaceri, le emozioni, l'altrove e se stessi. Un libro che fa bene al cuore, al
cervello e a numerosi altri organi, perché mescola con naturalezza intelligenza
e ironia. Queste pagine sfuggono a una semplice definizione: sono un corso di
autostima, un racconto divertente, un diario involontario, un manuale
intemperante. Soprattutto sono vive, effervescenti, e fanno meglio - molto
meglio - di una seduta dall'analista. Fanno quello che farebbe una cara amica.
Se sei giú, ti fanno venire voglia di metterti in ghingheri e uscire. Se sei
incline a guardarti l'ombelico, ti fanno venire il sospetto che là fuori, in
mezzo alla gente e alle cose che ancora non conosci, si giochi una parte
importante della partita.
Viaggiare da sole significa buttarsi con curiosità nei
luoghi in cui capita di trovarsi per scelta, per lavoro, per fuga. Significa
cambiare valigia («è il trolley l'invenzione che piú di ogni altra, pillola
anticoncezionale inclusa, ha contribuito alla liberazione delle donne»);
scegliere l'albergo giusto, mangiare a un tavolo per uno senza sentirsi tristi.
Anche da sole si può prendere un aperitivo sulla terrazza di un bar di Istanbul
guardando il Bosforo. E dirsi che, certo, per mangiare le ostriche sarebbe
meglio essere in due, ma in fondo la scelta peggiore è non mangiarle affatto. E
a poco a poco, grazie alla forza dei pensieri e della scrittura, le pagine di
questo libro trasmettono un'energia davvero contagiosa, ti spingono a partire
anche da fermo, preoccupandoti di aprire delle porte e non di chiudere casa.
lunedì 23 luglio 2012
Paola Scialpi al Joli Park Hotel di Gallipoli
Paola Scialpi presenta dal 25
luglio al 10 agosto 2012 presso il Joli Park Hotel di Gallipoli (Lecce) in via
Lecce 2, le sue opere dedicate al Tango. «Il tango non è maschio; è coppia:
cinquanta per cento uomo e cinquanta donna, anche se il passo più importante,
l' "otto", che è come il cuore del tango, lo fa la donna. Nessuna
danza popolare raggiunge lo stesso livello di comunicazione tra i corpi:
emozione, energia, respirazione, abbraccio, palpitazione. Un circolo virtuoso
che consente poi l'improvvisazione. (Miguel Ángel Zotto)»
Il tango trova la sua origine in
Argentina e Uruguay come espressione di una cultura popolare, per poi divenire
vera e propria forma d’arte , che comprende nella sua fenomenologia musica,
danza, testo e canzone. Danza sensuale, di grande fisicità e seduzione che vive
nella simbiosi performativa ed esistenziale della coppia.
In questo momento di profonda
crisi sociale a livello mondiale, l’artista Paola Scialpi presenta un progetto
pittorico, bello, ludico, sensuale, gioioso e giocoso. “Tango” è dunque il titolo di questa mostra che Paola Scialpi
presenta al pubblico al Joli Park Hotel di Gallipoli. Nelle sue opere non c’è
posto per l’essere maschile spesso relegato in secondo piano, proprio mentre
risuonano le note della danza e mentre una donna archetipo della leggendaria
Eva si serve del tango per sfoderare le sue “armi” migliori in fatto di
seduzione. Una gamba tornita che fa capolino tra le balze di una gonna rossa o
una scollatura ardita e generosa, la fanno diventare vera e assoluta protagonista
di un percorso di seduzione che rifuggendo da baluardi di fumose rivendicazioni,
ammalia l’uomo che si lascia morbidamente trascinare nel vortice ritmato della
passione. L’artista torna alla leggerezza con i suoi colori che da anni la
caratterizzano, il bianco, rosso e nero che sembrano rappresentare
perfettamente le atmosfere del tango argentino
Palazzo Jannuzzi Relais
“Sorrento has an
incomparable geographical and political position, and that is why since ancient
times has been a popular destination for many people, who, with their passages
have influenced the culture and traditions of this charming place kissed by God
and the sun . The etymology of the name “Sorrento” is not entirely certain,
some scholars state it is attributable to the myth of the Sirens (Sirentum)
while others argue that the term derives from the greek word which means surreal
“contribute“, “flows” and in this case would relate to the hydrological and
morphological conformation of the Sorrento peninsula, marked by two rivers that
flow into the sea by defining both the old boundaries of the city. Some
archaeologists state that in the hilly areas an origin of the first settlements
actually date back to Neolithic times, and can be seen partly in the Museum
Correale of Sorrento, partly in Vallet Gorge Museum of Villa Fondi in Piano di
Sorrento (tombs of the civilization of Gavdos). Among the famous and
illustrious people visiting Sorrento
are: Lord Byron, John Keats, Walter Scott and Goethe. Sorrento is the birthplace of the famous poet
Torquato Tasso (1544-1595), and the city’s main square is dedicated to him. A
statue stands in his honor. Tasso, is the author of the famous Gerusalemme
Liberata and he is considered the most famous and influential Italian poet of
the sixteenth century. The famous tenor Enrico Caruso loved Sorrento, and visited many times, especially
during his convalescence after his surgery. The great singer-songwriter Lucio
Dalla, dedicated a song to Enrico Caruso . Dalla,enjoys Sorrento and has become an honorary citizen .”
Guida rapida agli addii di Anne Tyler (Guanda)
Aaron, giovane vedovo ancora sconvolto dalla perdita della
moglie Dorothy, comincia a riceverne le visite. Per strada, al mercato, al
lavoro, Dorothy lo affianca silenziosa nei mesi del lutto. Per Aaron,
balbuziente, leggermente zoppicante, soffocato per tutta la vita dalle
attenzioni di donne troppo premurose - dalla madre apprensiva alla sorella
invadente, alle fidanzate votate più ad assisterlo che ad amarlo - l'incontro
con Dorothy era stato una liberazione. Finalmente una donna diretta, pratica,
quasi asociale ma per nulla sentimentale e soprattutto refrattaria a ogni
pietismo, una donna che lo trattava come un uomo e non come un bambino da
accudire. Insieme si erano costruiti un rifugio, vivendo in una simbiosi
assoluta che portava ciascuno a coltivare le proprie idiosincrasie e ad
amplificare quelle dell'altro. Ma ora che lei non c'è più, tranne che nelle sue
brevi apparizioni, Aaron è costretto ad avventurarsi di nuovo in un mondo dove
i vicini di casa lo foraggiano ogni giorno con abbondanti provviste di cibo; la
sorella insiste per ospitarlo; i colleghi fanno di tutto per rendergli la vita
più facile e qualcuno già cerca di combinargli un incontro con una giovane
vedova altrettanto sola e bisognosa d'affetto. Con tono leggero e divertito, e
la consueta capacità di tratteggiare i personaggi, Anne Tyler descrive il
percorso tortuoso che dallo smarrimento della perdita conduce alla scoperta di
nuove, infinite possibilità, sfociando in un inno alla vita e alla sua
stupefacente varietà.
DERREN BROWN
“Dubbed a
‘psychological illusionist’ by the Press, Derren Brown is a performer who
combines magic, suggestion, psychology, misdirection and showmanship in order
to seemingly predict and control human behaviour, as well as performing
mind-bending feats of mentalism. For the past ten years Derren has created TV
and stage performances that have stunned audiences, debunked the paranormal and
encouraged many to improve and enhance their own mental abilities. His first
show appeared in 2000, Derren Brown: Mind Control, and followed with Trick of
the Mind, Trick or Treat and a series of Specials including the controversial
Russian Roulette and the hugely popular Events. (…)
Derren is a
keen writer and has penned four books to date. Whilst his first two books,
Absolute Magic and Pure Effect, are both out of print his third release Tricks
of the Mind spent over 30 weeks on the Amazon best-seller list. His fourth
release Confessions of a Conjurer was released in.(…)
Derren has
consistently stunned audiences across the nation with his live stage shows,
earning him a string of award nominations. He has won both the Laurence Olivier
Award for Best Entertainment Show, and a Silver Rose d’Or for Variety. A 2011
tour is planned as well as a possible broadway run. While his performances
create the illusion that he has some kind of paranormal powers, Derren is a
prominent sceptic and a pronounced atheist. The Blog is a repository of news
items that explore these facets of Derren’s persona. The articles are submitted
by visitors to the Blog and discussed in the comments sections. A diverse range
of topics are covered, encompassing Science, Technology, Art, Magic, Religion
and some good old-fashioned silliness. In addition to his award-winning
performances on stage and television, Derren is also an accomplished artist.
Specialising in a unique style of caricatured portraiture, Derren’s work has
been exhibited at the prestigious Rebecca Hossack Gallery in central London as
well as being published in a collected volume of works in which Derren also
writes about his passion for the medium and his development as an artist.”
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Jonty. Le avventure di un pinguino. Ediz. a colori di Julia Donaldson con la traduzione di Axel Scheffler e le illustrazioni di Laura Pelaschiar (Emme Edizioni)
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VIII Edizione de Le mani e l'ascolto a cura di Mauro Marino e Piero Rapanà Fondo Verri, via S. Maria del Paradiso 8, Lecce Show case di ...