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lunedì 14 giugno 2010

Pinkerton dal tratto salentino Presentato in questi giorni la nuova miniserie della Star Comics di Giuseppe De Luca. Intervento di Angela Leucci















Negli Stati Uniti con un po' di salentinità. È stato presentato nei giorni scorsi a Lecce presso la fumetteria Mondi Sommersi “Pinkerton SA”, nuova punta di diamante della Star Comics, che porta la firma, per questo numero, del disegnatore casaranese Giuseppe De Luca. Dirk Pinkerton è una persona pragmatica, che non crede nell'intangibile, sebbene abbia ereditato dal nonno la licenza di indagatore del paranormale. Precettato dal governo con una richiesta che non si può rifiutare si trova a lottare con mostri di tutti i generi. Pinkerton ha il volto espressivo che ricorda un po' Jim Belushi e un po' Steven Seagal ed è firmato per il primo numero da De Luca, già autore per “Nemrod”, sempre della Star Comics, ma viene da una lunga esperienza nel mondo del fumetto internazionale. Questo mese uscirà, sempre di De Luca, nelle fumetterie francesi “Les enragés du Normandie-Niemen” per Zephyr Editions. La copertina, realizzata dallo stesso De Luca, è colorata da Ketty Formaggio, colorista per “Lupo Alberto” e per uno sin off tratto da “Geronimo Stilton”.


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domenica 13 giugno 2010

Il libro del giorno: Le mappe dei miei sogni di Reig Larsen (Mondadori)

















T.S. Spivet è un genio dodicenne che disegna mappe. Vive in un ranch del Montana con il padre, un cowboy silenzioso, e con la madre, una studiosa di coleotteri che da vent'anni è alla ricerca di una mitica specie di scarafaggio. Il fratello è morto e la sorella è apparentemente normale. T.S. cerca di dare un ordine alle cose tracciando su un taccuino mappe bellissime e meticolose. Mappe di tutto: del comportamento della famiglia, di animali, di piante, di posti, di cose. La sua avventura comincia quando si mette in viaggio per andare a ricevere un importantissimo premio conferitogli dallo Smithsonian Institution. Scappa nel cuore della notte e su un treno merci attraversa l'America per oltre 2000 miglia incontro alla fama. Ma è proprio questo ciò che vuole? Le mappe e le liste sono davvero capaci di spiegare il mondo, il suo confuso affastellarsi di dolori, silenzi, misteri? E l'enigma che sono gli adulti? Le illustrazioni di Ben Gibson e Reif Larsen accompagnano e arricchiscono tutta la storia.

Noi contro la legge. Berlusconi e il corto circuito mediatico. Intervento di Luciano Pagano















C’è una cosa che, chi mi conosce bene lo sa, non ho mai fatto negli ultimi sei anni. E se l’ho fatto è stato con criterio, per un motivo particolare, mai sentito come in questo momento. Berlusconi ha un potere, anzi, è dire poco, Berlusconi ha tanti poteri. Uno dei suoi poteri più efficaci, quello più subdolo, è il potere che lo fa entrare strisciando per la porta di casa, attraverso uno schermo, un modo di dire, una battuta. Il potere di seduzione con cui cattura quotidianamente sempre più italiani disposti a dimenticare che cosa Berlusconi è stato. Perché è troppo difficile studiare, documentarsi, leggere i libri, guardare i film, i telegiornali, ascoltare le interviste, cercare gli approfondimenti. Così basta una battuta detta al momento giusto e il sorrisino scappa anche a chi ha votato Bertinotti fino alla legislazione precedente. Sempre migliore di chi non è andato a votare con la convinzione che comunque il nostro posticino lo avremmo avuto. Ed ecco che mi trovo a fare qualcosa che ho fatto poche volte, ovvero sia prendere un articolo per intero e postarlo su Musicaos.it. Oggi è stato un giorno particolare, per via del caldo sono rimasto chiuso in casa fino alle 19.30, ho twitterato e ho avuto modo di seguire la vicenda di Daniele Luttazzi e la replica di Wu Ming. Secondo me tutta questa vicenda deve essere letta sotto la lente orbicolare dell’ansia da prestazione di resistenza culturale cui ci impone, per il solo fatto di esserci e agire, Berlusconi. Ecco, dopo ciò che ho veduto e letto in questa settimana posso soltanto dare una definizione di Berlusconi, quella cioè di Re Mida, con la differenza che al posto dell’oro c’è la merda, con la differenza che la merda ha lo stesso inodore colore dell’oro. Ci sembra che sia oro finché non ne apprezziamo le conseguenze sulla democrazia. Daniele Luttazzi? Soltanto uno che copia le sue batture. Travaglio e Santoro? Due furbi che tirano su soldi grazie all’odio che riescono a diffondere per Berlusconi. Beppe Grillo? Andiamo a controllare il suo 740 prima di parlare! Saviano?!? Non parliamo di Saviano, lui che grazie a Berlusconi ha fatto i soldi con Gomorra! Berlusconi: ciò che tocca lo trasforma in merda, anche quando ad agire non è direttamente il premier bensì il modello robotico mentale che ognuno di noi, volente o nolente, ha implementato nel cervello. Apriamo gli occhi, con un po’ di anarchia, al di sopra delle parti. Con questo spirito e soprattutto con la voglia di lanciare un messaggio a chi ci sta più vicino, almeno a loro, che ricopio per intero l’articolo di Umberto Eco preso dal sito de L’Espresso. Buona lettura, finché è possibile.

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Umberto Eco
“A piccoli passi verso il regime”

Le norme sulle intercettazioni. Il controllo dei tg della tv pubblica. E prima il lodo Alfano, i tagli alla scuola… Berlusconi trasforma le istituzioni un passo dopo l’altro, con lentezza. Perché i cittadini assorbano i cambiamenti come naturali. Così al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato. È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia. Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire “La pupa e il secchione” a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l’enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l’Africa. In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l’assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell’aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l’appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale (“Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti”) ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche (“Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore”). In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. Recentemente leggevo un giornalista governativo (ma non era il solo ad usare quell’argomento) che, nell’ironizzare sul caso Santoro (bersaglio ormai felicemente bipartisan), diceva che costui aveva la curiosa persuasione che la maggioranza degli italiani si fosse piegata di buon grado a essere sodomizzata da Berlusconi. Ora non credo che Berlusconi abbia mai sodomizzato qualcuno, ma è certo che una consistente quantità di italiani consente con lui senza accorgersi che il loro beniamino sta lentamente erodendo le loro libertà. Erodere le libertà di un paese significa di solito mettere in atto un colpo di Stato e instaurare violentemente una dittatura. Se questo avviene, gli elettori se ne accorgono e, se pure non hanno la forza di zione di colpo di Stato che è con lui cambiata. Al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato. All’idea di una trasformazione delle strutture dello Stato attraverso l’azione violenta il genio di Berlusconi è stato ed è quello di attuarle con estrema lentezza, passettino per passettino, in modo estremamente lubrificato. Pensate alla inutile violenza con cui il fascismo, per fare tacere la voce scomoda di Matteotti, ha dovuto farlo ammazzare. Cose da medioevo. Non sarebbe bastato pagargli una buona uscita megagalattica (e tra l’altro non con i soldi del governo ma con quelli dei cittadini che pagano il canone)? Mussolini era davvero uomo rozzissimo. Quando una trasformazione delle istituzioni del Paese avviene passo per passo, e cioè per dosi omeopatiche, è difficile dire che ciascuna, presa di per sé, prefiguri una dittatura – e infatti quando qualche cassandra lo fa viene sbertucciata. Il fatto è che per un nuovo populismo mediatico la stessa dittatura è un sistema antiquato che non serve a nulla. Si possono modificare le strutture dello Stato a proprio piacere e secondo il proprio interesse senza instaurare alcuna dittatura. Si può dire che il lodo Alfano prefiguri una tirannia? Sciocchezze. E calmierare le intercettazioni attenta davvero alla libertà d’informazione? Ma suvvia, se qualcuno ha delitto lo sapranno tutti a giudizio avvenuto, e l’evitare di parlare in anticipo di delitti solo presunti rispetta se mai la privatezza di ciascuno di noi. Vi piacerebbe che andasse sui giornali la vostra conversazione con l’amante, così che lo venisse a sapere la vostra signora? No, certo. E se il prezzo da pagare è che non venga intercettata la conversazione di un potente corrotto o di un mafioso in servizio permanente effettivo, ebbene, la nostra privatezza avrà bene un prezzo. Vi pare nazifascismo ridurre i fondi per la scuola pubblica? Ma dobbiamo risparmiare tutti, e bisogna pur dare l’esempio a cominciare dalle spese collettive. E se questo consegna il paese alle scuole private? Non sarà la fine del mondo, ce ne sono delle buonissime. È stalinismo rendere inguardabili i telegiornali delle reti pubbliche? No, se mai le vecchie dittature facevano di tutto per rendere la radio affettuosissima. Ma se questo va a favore delle reti private? Beh, vi risulta che Stalin abbia mai favorito le televisioni private? Ecco, la funzione dei colpi di Stato striscianti è che le modificazioni costituzionali non vengono quasi percepite, o sono avvertite come irrilevanti. E quando la loro somma avrà prodotto non la seconda ma la terza Repubblica, sarà troppo tardi. Non perché non si potrebbe tornare indietro, ma perché la maggioranza avrà assorbito i cambiamenti come naturali e si sarà, per così dire, mitridatizzata. Un nuovo Malaparte potrebbe scrivere un trattato superbo su questa nuova tecnica dello struscio di Stato. Anche perché di fronte a essa ogni protesta e ogni denuncia perde valore provocatorio e sembra che chi si lamenta dia corpo alle ombre. Pessimismo globale, dunque? No, fiducia nell’azione benigna del tempo e della sua erosione continua. Una trasformazione delle istituzioni che procede a piccoli passi può non avere tempo per compiersi del tutto, a metà strada possono avvenire smandrappamenti, stanchezze, cadute di tensione, incidenti di percorso. È un poco come la barzelletta sulla differenza tra inferno tedesco e inferno italiano. In entrambi bagno nella benzina bollente al mattino, sedia elettrica a mezzogiorno, squartamento a sera. Salvo che nell’inferno italiano un giorno la benzina non arriva, un altro la centrale elettrica è in sciopero, un altro ancora il boia si è dato malato… Tagliare la testa al re o occupare il Palazzo d’Inverno è cosa che si fa in cinque minuti. Avvelenare qualcuno con piccole dosi d’arsenico nella minestra prende molto tempo, e nel frattempo chissà, vedrà chi vivrà. Per il momento, resistere, resistere, resistere.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/noi-contro-la-legge/2127975

P.S.

riprendo questo intervento di Luciano Pagano dal suo blog. Puntuale rispetto all'esigenza del dire, consono rispetto ai contesti

http://lucianopagano.wordpress.com/2010/06/13/noi-contro-la-legge-berlusconi-e-il-corto-circuito-mediatico/

fonte iconografica: http://filipspagnoli.files.wordpress.com/2008/08/hitler-chaplin.jpg

venerdì 11 giugno 2010

Cibus – Rassegna “Il gusto per la cultura è…mondiale!”

Cibus – Rassegna
“Il gusto per la cultura è…mondiale!”

Via Lamarmora 4 (angolo P.zza Mazzini) – Lecce

Dal 12 giugno 2010 all’11 luglio 2010

Non ci sono se o ma: il calcio in Italia non è altro che la storia del nostro popolo di santi, navigatori e poeti, forse un gigantesco romanzo popolare, che anche gli scrittori di oggi da Gianrico Carofiglio, a Gian Paolo Serino, sino a Dario Voltolini e Cosimo Argentina solo per citarne alcuni, hanno cominciato a nutrire della propria scrittura e delle proprie emozioni. Ultima pubblicazione ad esempio nel variegato mondo della letteratura, è l’atteso “Ho parato un rigore a Pelè” edito da Giulio Perrone editore, un’antologia di tredici racconti di diverse generazioni di uomini di lettere che parlano da tifosi, da giornalisti del mondo mondiale del pallone. Ed ecco che alla vigilia dei mondiali in Sud Africa, a Lecce, gli amanti del calcio e della letteratura, dell’arte e della poesia, si incontreranno per tifare calcio e cultura, in diversi appuntamenti ispirati a specifiche sfide calcistiche e aree geografico-culturali diverse. Il programma è ricco di sapori, colori, riflessi che vengono da diverse parti del mondo. Non resta un’ultima cosa da aggiungere: il gusto per la cultura è … mondiale!

Il programma della rassegna.

12 Giugno, Sabato, Ore 19.30

Massimiliano Manieri, presenta “IL PROFETA ED IL SUPEREROE” (LENNON vs ELVIS)

“Se trovassi un bianco che canta con l’anima di un nero diventerei miliardario”
(Sam Phillips, parlando di Elvis)

“Immagina che non esistano le nazioni non è difficile, niente per cui uccidere
o morire ..e nessuna religione”
(Imagine – Lennon)

“Due stili, due icone incrociate incarnano la sintesi e l’antitesi del rock”

Ore 20.30 – Rustenburg, Inghilterra – Usa

14 Giugno, Lunedì

Ore 19.30, IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: dall’America Latina e oltre
Incontro con Carlo Mileti

Ore 20.30 – Capetown, Italia – Paraguay

20 Giugno, Domenica
Giornata Italo-Brasiliana

Ore 16.00 – Nelspruit, Italia – Nuova Zelanda

Ore 18.30 – Adriana Maria Leaci, “Buone da sposare” (Il Filo Editore)

Ore 20.30 – Johannesburg JSC, Brasile – Costa d’Avorio

23 Giugno Mercoledì, BIERFEST, ore 19.30

festa/presentazione dei volumi

“Senza storie”, “Corpo Mistico”, “È tutto normale” (Besa Editrice); (LAB Giulio Perrone); (Lupo Editore) con Luisa Ruggio, Stefano Donno, Luciano Pagano, Dario Congedo

Ore 20.30, Johannesburg JSC, Ghana – Germania

30 Giugno Mer / 11 Luglio Domenica

Paola Scialpi presenta Antologica: opere 1970/2010

Inaugurazione – Mercoledì 30 Giugno – Ore 20.00

Schede

Massimiliano Manieri presenta

“IL PROFETA ED IL SUPEREROE”

(LENNON vs ELVIS)

Due stili, due icone incrociate e terribilmente differenti, incarnano ancora oggi la sintesi e l’antitesi del rock. Due modi di vivere opposti, due corazze costruite in officine ben distanti, due lingue agli antipodi. Eppure…. Lennon adorava Elvis, Elvis digrignava i denti sentendo nominare Lennon. Un gioco ad incastro potrebbe riunirli, se solo cominciassimo ad osservarli, sotto una luce più obliqua

Non li metteremo uno nell’ombra dell’altro, li faremo scontrare…metallurgicamente. Ma occorrerà spalancare liberamente le orecchie, richiesta inusuale, di questi tempi…

IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: dall’America Latina e oltre

Carlo Mileti, è Presidente della Coop. Soc. Commercio Equo e solidale Sud Sud Lecce, ed inoltre si occupa dell’area istituzionale e sociale dell’Associazione Nazionale delle Botteghe del mondo. Carlo Mileti è un esperto del folklore, della cultura e delle problematiche socio-economiche di tutti quei paesi dell’america Latina in via di sviluppo, e per l’occasione ci illustrerà quello che oggi sono quelle aree del mondo di cui si occupa sotto più punti di vista. Inoltre egli è esperto di Commercio equo e solidale (un approccio alternativo al commercio convenzionale il cui scopo è promuovere giustizia sociale ed economica e sviluppo sostenibile attraverso il commercio, la formazione, la cultura, l’azione politica) e darà l’opportunità a quanti presenzieranno all’appuntamento di degustare un prodotto tipico dell’America Latina

Adriana Maria Leaci – Buone da sposare (Il Filo Edizioni)
Giovanna, Haidé, Gloria, Marina, Vita, Luisetta, Mariolina, Margherita: otto donne e otto storie di vite vissute pienamente al femminile. Otto caratteri forti nelle difficoltà, otto modi diversi di affrontare la vita, anche quando non va tutto per il verso giusto. Questo libro è il sentito omaggio al genere femminile di Adriana Maria Leaci, lontana dal femminismo radicale e teorico, ma profondamente convinta della centralità della donna nella nostra società. Eppure descrive protagoniste di altri tempi, tutte educate a vivere all’ombra del capofamiglia, a servirlo, a volte a idolatrarlo, altre volte a covare un desiderio di ribellione nei suoi confronti. Sono donne Buone da sposare, pensate come testimonianza forte, che, anche da sole, hanno spalle larghe per portare il peso dei problemi quotidiani e braccia calde per consolare nelle sofferenze. E sullo sfondo un Brasile, terra natale dell’autrice, di cui non si possono non sentire gli odori e ammirare i colori che escono prepotentemente da queste pagine.

Adriana Maria Leaci è nata il 29 agosto del 1959 in Brasile, da genitori italiani. A venticinque anni ha lasciato il Paese ed è venuta a vivere in Italia, dove si è sposata e vive tuttora. Lavora come impiegata nella Pubblica Amministrazione. Nel 2006 ha pubblicato Con gli occhi di mio padre, Luca Pensa Editore.

Luisa Ruggio – Senza storie (Besa Editrice)
La vanità senile di un’attrice mancata, il dialogo di un bambino col suo amico immaginario, una viaggiatrice che ha perso la memoria, un bar che ogni notte si materializza come una nave che attracca in un porto per accogliere gli inconsolabili degli appuntamenti mancati, l’amore fatale di una maestrina di scuola e l’educazione sentimentale degli allievi di prima elementare. Sono solo alcuni dei personaggi che fanno capolino in Senza storie.
La parodia del ricordo, il prisma della narrazione. Una raccolta di racconti brevi sul tema del contrasto tra mondo immaginario e mondo reale, gli slittamenti della memoria e i ritratti rapidi di personaggi che hanno troppa vita da confessare e tornano sulla pagina scritta sotto forma di apparizioni.
Dopo il passo intenso dei romanzi (Afra, La nuca) che hanno marcato il carattere di una scrittura illuminata, Luisa Ruggio apre al lettore un corridoio di storie che confluiscono nella fatale sintonia tra il reale e il narrato.
L’algebra emotiva, ironica e disperata, di pagine in cui si intravede l’occulta armonia delle vite sbagliate.

Luisa Ruggio, giornalista e scrittrice, vive e lavora a Lecce. Ha scritto saggi sul cinema e la psicanalisi. Il suo romanzo d’esordio, Afra (Besa, 2006), ha vinto tre premi letterari. È autrice del blog dedicato alla scrittura “Dentro Luisa” (www.luisaruggio.blogs.it). Nel 2008 ha pubblicato il secondo romanzo, La nuca (Edizioni Controluce).

Stefano Donno – Corpo mistico (LAB Perrone)
“Corpo mistico. Un epistolario esoterico” racconta la storia sconvolgente di Padre Karl Von Liebenfels e di suo fratello Jorg, entrambi vissuti nella Germania di Hitler durante la seconda guerra mondiale. Il primo sacerdote in preda a dubbi circa la sua vocazione e il suo ruolo nel mondo, il secondo un membro delle SS. La vicenda si intreccia ai terribili retroscena del nazismo magico, grazie al quale la componente esoterica, inaspettata, entra rapidamente nella vita dei due fratelli, aprendo possibilità di sviluppo inaudito per tutto il genere umano. Le rivelazioni si susseguiranno una dopo l’altra nella lettura di questo romanzo che intreccia la realtà e la fiction storica, basandosi su documenti realmente esistenti e riportando fedelmente passi tratti dall’epistolario dell’uno e dal diario dell’altro fratello.

Stefano Donno, critico letterario e scrittore, classe 1975, lavora a Lecce. Ha pubblicato diversi titoli di poesia e narrativa. Gli ultimi in ordine di tempo, “L’altro Novecento – giovane letteratura salentina dal 1992 al 2004”, ricognizione sulla recente produzione letteraria in Salento; Ieratico Poietico (Nardò, 2008), Dermica per versi (Lietocolle, 2009) e Mendica Historia, tre raccolte di poesia. “Corpo Mistico” sancisce il suo ritorno, dopo diversi anni, alla narrativa.

Luciano Pagano – È tutto normale (Lupo editore)
“È tutto normale”, affronta il tema dell’omogenitorialità, i protagonisti Carlo e Ludovico, sono i padri che hanno cresciuto insieme il loro figlio Marco e che in una giornata molto importante, attendono il suo ritorno a casa da Roman. La vicenda si svolge in poche ore, la storia raccontata abbraccia un arco temporale che va dai primi anni ottanta a oggi, ripercorrendo quindi la nascita, la crescita e l’educazione del figlio da parte dei due padri in diverse fasi, fino alla maturità. È come se l’intero bagaglio di una vita si condensasse, rovesciandosi nell’interiorità dei personaggi e presentando loro il conto in un momento di bilancio. Si tratta infatti di realizzare l’avvenuto ingresso di Marco nell’età adulta, di verificare (da parte dei suoi padri) il “come” e il “chi” egli sia; da parte del giovane, si tratta di “manifestarsi”, ossia di uscire dall’atteggiamento mimetico in cui è vissuto troppo a lungo – proteggendosi dietro una fantasia da un lato (favorito dalla distanza) e dall’altro continuando ad attingere ad una dimensione familiare cui è profondamente legato – col rischio di dover pagare un prezzo troppo alto.

Luciano Pagano nato a Novara nel 1975, vive e lavora a Lecce. Scrittore e critico letterario ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, intitolato “Re Kappa” (Besa) nel 2007. Nel 2008 è stato uno dei vincitori del premio Subway Letteratura, nello stesso tempo è arrivato terzo, sempre con un racconto, al premio Creative Commons in Noir, indetto da Stampa Alternativa. Collabora con il quotidiano “il Paese Nuovo”.

Paola Scialpi, Antologica 1970/2010
Pittrice, artista, attiva dagli inizi degli anni ’70 ha collezionato più di cinquanta tra mostre e eventi unici. CIBUS Mazzini ha l’onore di ospitare la prima ‘antologica’ della sua carriera. Paola Scialpi ha esposto le sue tele in tutta Italia e nel Mondo, di recente inaugurando una produzione di borse d’autrice e altri capi e accessori firmati a tiratura limitata. Hanno scritto di lei “Per chi conosce l’artista non sfugge all’occhio osservatore che Paola Scialpi osa rinnovarsi, volta per volta, sorprendendo e avanzando verso un pubblico che rimane spesso senza parole, sbalordito. Detto dalla pittrice, l’arte è la sua vita, per cui ogni aspetto che la colpisca, sia nel quotidiano semplice, nel vissuto odierno, sia tra gli eventi che coinvolgono le coscienze umane, nei telegiornali o nel racconto di una persona conosciuta, lì nel profondo delle sue emozioni, dove lei basa la propria vita, è proprio in quell’angolo del suo intimo che nasce l’espressione massima della sua pittura. Come un vulcano che non può trattenere tutto il calore contenuto nel cuore della terra, è così che in Paola Scialpi esplode il potere di esprimersi attraverso i pennelli. E lo fa con la stessa naturalezza con cui beve un bicchiere d’acqua o calca i passi sulla strada. Dopo un periodo di ricerca e di evoluzione, dove ha scovato in fondo a se stessa l’ennesima strada artistica (percorso), ricominciando dal colore (il rosso) e dal non colore (il nero) con le loro varie tonalità, aggiungendo a poco a poco anche il colore della pelle” (A.M.Leaci)

Il libro del giorno: Si crede Picasso di Francesco Bonami (Mondadori)



















Da Francesco Vezzoli ad Arnaldo Pomodoro, da Joseh Beuys a Vanessa Beecroft, da Damien Hirst a Michelangelo Pistoletto: che si tratti di artisti notissimi oppure del tutto sconosciuti, di ognuno di questi ci resta sempre il dubbio che sia un nome del tutto sopravvalutato e non del grande genio che ci hanno detto. Davanti a una qualsiasi opera d'arte contemporanea ci resta spesso addosso quella spiacevole sensazione di essere di fronte a una truffa e che l'autore di quella "bizzarria" prima o poi verrà smascherato. Oppure siamo davvero di fronte al nuovo Picasso... ma niente lo lascerebbe supporre. Francesco Bonami, oggi forse il più noto critico e curatore italiano di arte contemporanea nel mondo, torna all'universo di cui è grandissimo esperto e ci insegna a districarci in questa complicata faccenda: come distinguere un vero artista da un ciarlatano. Dopo il successo di "Potevo farlo anch'io", con questo libro riprende a raccontarci, con il suo modo scanzonato e irreverente, le vite e le peripezie dei più grandi artisti degli ultimi decenni, ci spiega perché sono davvero grandi e come non confonderli con quanti veri artisti non sono affatto.

La città delle nuvole. Viaggio nel territorio più inquinato d'Europa, di Carlo Vulpio (Edizioni Ambiente). Intervento di Nunzio Festa



















Taranto che muore. L'inchiesta del giornalista Carlo Vulpio, pubblicata nella stessa collana, delle Edizioni Ambiente, dell'inchiesta di Stefania Divertito, “Amianto”, è un cammino, martoriante e che propone soggetti martoriati, nel territorio più inquinato di tutt'Europa. Dove Taranto, inoltre, e oltre a essere inghiottita dalla almeno mastodontica Ilva, è quanto a concentramento di diossina nell'aria e, quindi, nei polmoni, oltre che nelle proprietà della natura e nel cibo quotidiano, un esempio, negativo, che spicca nell'universo intero. E dal quale le vittime spiccano il volo della morte, o provano il salto nella malattia. Quando non sono costretti a cedere i loro sforzi vitali almeno per spostarsi di qualche decina di metri in più dal mostro dell'Ilva di Emilio Riva. Il mostro ecologico, che nacque statale per essere venduto (per diverse persone 'svenduto') ai Riva, dicono le cronache e le ricerche delle quali il persino pugliese Vulpo è alimentato, tiene in mano il destino della Taranto delle nuvole trasformare dalla diossina e dalle tante altre porcherie che le ciminiere costantemente spingono nell'area di tutti. A vantaggio dei Riva. Che, per dire d'un solo altro esempio, negli anni dai quali è partita la loro proprietà hanno persino un conto aperto con l'Ici non pagato al Comune. I dati di Vulpio, che fu “spostato” da Mieli del Corsera quando entrò nelle questioni di Basilicata che toccavano l'élite dirigente indagata da De Magistris, sono gli sforzi delle associazioni ambientaliste cittadine. Quelle che, dopo anni di silenzio generale e sottomissione del proletariato costretto a non vedere mentre altre volte davvero non vedeva, costringono i dirigenti politici e amministrativi, di centro-sinistra e di centro-destra, a guardare alla sola verità. L'inchiesta di Carlo Vulpio, che il libro ci dona con stile tutto da divulgazione adeguata, castiga il ricorso dei vari Fitto e Vendola a quegli inconcludenti, e sostanzialmente “dimostrativi” quanto bugiardi “atti d'intesa” siglati con Stato-Comune-Riva. Vendola, pare dire in più Vulpio, è anche questo. Leggere le pagine fa molto male. Per tanti motivi. Sicuramente, tra tutto spuntano la determinatezza e l'operato del magistrato d'assalto e di giustizia Franco Sebastio. Voce e azioni a difesa della salute. E solamente dopo dell'ambiente. Ma innanzitutto a favore del rispetto delle persone. Tamburi, il quartiere più martoriato di Taranto, dentro il quale vanno e vengono morti che camminano grazie ai regali in forma di polvere, il rione popolare agganciato all'Ilva e che non fa manco a meno delle nocive immissioni della Cementir o dei vicini scarichi a mare del mercurio bollato Eni, custodisce – tanto per dire – la presenza d'anziani che hanno il più alto livello al mondo di diossina in corpo. O un ragazzino che ha infilato nella carne il fumo delle sigarette che non ha fumato, eppure alla pari d'un fumatore incarnito. La prova scioccante d'un processo, infine (parola che non sarebbe il caso d'usare per il testo di Carlo Vulpio e per opere di questo genere), intessuto contro Emilio Riva e un paio di dirigenti dello stabilimento, industria fuori dalle concezioni della modernità in quanto a tecnologie e tipo di lavorazione, testimonia, quasi a dire che i soprusi non erano già bastanti, che l'Ilva ha avuto una “palazzina”, in realtà un capannone, la Laf, dentro la quale, o il quale, erano proprio segregati settanta dipendenti sgraditi ai capi. Imbalsamati nel non fare nulla che li ha fatti impazzire. In una nullafacenza messa a lottare contra la dignità dei lavoratori. Se avessimo davanti i dirigenti dell'azienda oltre al padrone Riva E. cosa faremmo? Intanto sappiamo di certo che Taranto continua a soffrire, a gemere per una morte da uccisione. Al di là dell'ultima legge regionale, che deve essere applicata fino al 31 dicembre di quest'anno. In mezzo, per giunta, all'ultimo protocollo d'intesa firmato dal governo Berlusoni, dal governo Vendola, dall'Ilva. A dire che quando si devono fare azioni a favore dei più forti, purtroppo, s'è tutti uguali. Vedere con la lente opaca del Vulpio versus Vendola, non serve. Alla stregua d'osservare per beccare, e punto, i colpevoli del passato. Certamente i colpevoli di ieri sono colpevoli alla stessa maniera oggi; eppure la soluzione deve servire al presente per fermare l'agonia della città delle nuvole morte. Il rosso delle strade e di tante case, il nero di certi spazi, gioiellini dell'Ilva fregatura storica – colori in qualità di rifiuti inquinanti lo affermano. Questi devono essere cancellati.


Il libro del giorno: La bambina di vetro di Jodi Picoult (Corbaccio)



















Tutti i genitori in attesa vi diranno che non vogliono un bambino perfetto, ma che vogliono un bambino sano. Anche Charlotte e Sean O'Keefe avrebbero chiesto un bambino sano, se avessero potuto scegliere. Invece, la loro vita è fatta di preoccupazioni, di notti insonni, di conti che si accumulano, degli sguardi pietosi dei genitori "più fortunati" e, peggio ancora, di "e se...". E se la loro bambina fosse nata sana? Ma vale la pena di affrontare tutto questo, perché Willow è perfetta, per quanto strano possa sembrare. È intelligente e carina, gentile e coraggiosa e, per avere solo cinque anni, è inaspettatamente e profondamente saggia. Willow è Willow, in salute e in malattia. Ma quel "e se..." scava a fondo nel cuore e nella mente di Charlotte, che proprio in nome di Willow e dell'amore che ha per lei, decide di affrontare un processo contro la ginecologa che non ha diagnosticato prima la malattia della bambina: osteogenesi imperfetta, un'espressione asettica che descrive una fragilità ossea incompatibile con uno sviluppo e una vita "normali". Questo significa per lei cercare risposta a una serie di domande che forse una madre non dovrebbe mai essere costretta a rivolgersi. E se Sean e Charlotte avessero saputo prima della malattia di Willow? E se la loro amata Willow non fosse mai nata? "La bambina di vetro" ci porta nel cuore di una famiglia unita da un incredibile fardello, da una volontà disperata di farcela e, infine, da una fortissima capacità di amare.

"I Romance, nel senso tradizionale del termine, sono romanzi in cui i protagonisti, personaggi perfetti e infallibili, sono inseriti in una cornice ideale. Sono storie in cui, ad esempio, la pioggia cade sulle finestre ma non inzacchera i vestiti, nessuno ha fame o ha bisogno di andare in bagno e l’happy ending è obbligatorio.
Mai come in questo caso il nome della collana in cui è stato inserito questo libro, Romance appunto, è fuorviante: non c’è personaggio più fragile e indifeso della bambina protagonista di questo romanzo. Willow ha cinque anni e sin dalla nascita le è stata diagnosticata una malattia rara e inguaribile, la OI, osteogenesi imperfetta. Si tratta di una mutazione genetica per cui il tessuto osseo del malato tarda a rigenerarsi e diventa fragile come il vetro. Basta un piccolo movimento inconsulto, anche uno starnuto, per provocare una frattura ossea. I bambini affetti da questa malattia hanno una struttura scheletrica deformata e sottosviluppata, al massimo in età adulta riescono a raggiungere il metro d’altezza, i loro movimenti sono lenti e condizionati dalla scarsa resistenza muscolare.
Willow, “salice” in inglese, come un albero che si piega ma non si spezza mai, a cinque anni ha già avuto cinquantadue fratture, di cui quattro nell’utero materno e altre tre, gravissime, alla nascita. Quando i medici si resero conto della gravità della situazione, la gestazione era arrivata alla ventisettesima settimana, troppo tardi perché i genitori potessero prendere qualunque tipo di decisione. E comunque Charlotte e Sean non avrebbero mai rinunciato a quella creatura. Quando si erano conosciuti Charlotte, una cuoca pasticciera, aveva già avuto una bambina, Amelia, da un precedente compagno, un giovane tossicomane sparito durante la gravidanza. Sean era un poliziotto robusto e affidabile, che aveva amato Charlotte dal primo momento e accolto sua figlia come un padre. Mettere al mondo una bambina tutta loro era stato un sogno, scoprire che la loro vita sarebbe improvvisamente cambiata era stato un brusco risveglio, che solo in parte aveva intaccato l’idillio della loro storia d’amore. Le notti passate a curare quella bambina, l’ovatta in cui materialmente era stata riposta per molti mesi, e poi le cure infinite dopo ogni frattura, quell’inconfondibile rumore, crack, che irrompeva nella mente di Charlotte spezzandole il fiato ogni volta che la bimba si sporgeva sul tavolo o scivolava su un tovagliolo di carta, avevano riempito la loro vita di angoscia. Ma Willow è una bambina speciale, e come tutti i bambini affetti dalla OI ha un’intelligenza, una curiosità e una vitalità fuori dal comune. No, Charlotte e Sean non avrebbero voluto una figlia diversa da Willow. Eppure a volte il dubbio irrompeva nelle loro menti… “Se avessero saputo prima cosa sarebbe successo?”, “Se la colpa non fosse stata loro ma dei medici che non avevano osservato con attenzione l’ecografia?”, “Perché dovevano pagare loro, con le sofferenze e gli sforzi quotidiani, ma anche con un enorme dispendio economico, per l’errore di qualcun altro? ”.
Il dubbio scava una voragine. Gli avvocati ai quali Charlotte decide di rivolgersi dopo una pessima disavventura a Disneyland sono chiari: il danno da nascita sbagliata già altre volte nel loro paese era stato risarcito con cifre esorbitanti. Purché venisse dimostrata l’imperizia del medico, le assicurazioni avrebbero offerto il giusto ristoro alle loro sofferenze. Ma per fare questo, Charlotte avrebbe dovuto denunciare la sua ginecologa, Piper, che è anche la sua migliore amica, e rischiare di essere giudicata da tutti come una mamma arrivista, pronta a speculare sulla malattia di sua figlia.
Provare a spiegare le ragioni profonde di questa madre e descrivere questo estremo atto come un gesto d’amore è l’intento di questo romanzo, ricco di emozioni ma anche di un’estrema indicibile sofferenza. Jodi Picault ci prova, mettendo in campo tutta la sua abilità narrativa e la sua sensibilità, regalandoci un “Legal & Medical” thriller che smuoverà molte coscienze.
(powered by ibs)

Il libro rosso di Carl Gustav Jung (Bollati Boringhieri, novembre 2010)




















Il libro Rosso di Jung (Boook Trailer)


fonte iconografica: http://www.jungmich.org/Copy_of_Jung_photo_8-11-04.jpg

giovedì 10 giugno 2010

Il libro del giorno: Protezione incivile di Piero Messina (Bur)




















La Protezione civile, nata per proteggere gli italiani in situazioni di emergenza, è stata svuotata di ogni reale funzione, diventando un calderone di interessi finanziari che costa agli italiani due miliardi di euro all'anno. È il cosiddetto "modello Bertolaso": la gestione dei grandi eventi assimilata a quella delle crisi, il disprezzo totale per leggi e norme comunitarie, il budget illimitato e incontrollabile, il rapporto esclusivo con Berlusconi e Letta e prima ancora Prodi e Rutelli, la tentata trasformazione in Spa. Il risultato di un simile scempio è sotto gli occhi di tutti: un "sistema gelatinoso", come è stato definito dai magistrati, fatto di imprenditori disonesti, appalti truccati e tangenti sessuali, che non solo non riesce a far fronte alle catastrofi, ma lucra su di esse arrivando perfino a festeggiare la notizia del terremoto abruzzese. Grazie all'acquisizione di documenti riservati e ai colloqui con funzionari e operatori, Piero Messina racconta dalle origini fino alle ultime inchieste la storia scandalosa di una macchina mai all'altezza degli eventi, ma sempre puntuale alla spartizione dei soldi.

Lettera a Lèontine di Raffaello Mastrolonardo (Tea)




















Non posso nasconderlo, ma in questi giorni ho finito di leggere un libro non solo splendido sotto ogni punto di vista, ma toccante, delicato, di grande talento e sensibilità. Il libro che incolpo nell’avermi tenuto incollato alla sedia è il lavoro di Raffaello Mastrolonardo "Lettera a Léontine" edito da Tea. Non che io sia un tipo romantico, di quelli che impazziscono per “Harry ti presento Sally” (When Harry Met Sally) quel film del 1989 diretto da Rob Reiner, né vado volentieri al cinema a vedermi le commedie leggere americane, magari con Sandra Bullock. In parole povere non ho un animo romantico. Ma questo libro riesce a toccare delle corde particolari, addirittura è in grado di scavalcare le barriere e i pregiudizi verso opere di questo tipo, di chi magari solitamente non si lascia andare, e si affida totalmente nelle mani della razionalità. L’Amore trova posto in queste pagine, e Mastrolonardo è in grado di parlarne con la stessa poesia con cui Al Pacino (nel film Frank Slade) parla del “profumo di donna” nel film Scent of woman, e lo fa con grande raffinatezza e bellezza. Se qualcuno mi chiedesse se Poesia alberga in “Lettera a Lèontine”, non posso che rispondere di sì; se qualcuno mi chiedesse se Raffaello Mastrolonardo sia l’antidoto a Moccia, io risponderei affermativamente. Ma soprattutto non potrei esimermi dal dire, che questo autore è in grado di far provare quelle sensazioni uniche di quando ciascuno di noi trova l'altra metà del cielo, e dunque tutto assume dei contorni nitidi e precisi, tutto assume una luce differente e particolare. La voce narrante del libro è il dott. Piergiorgio, medico affermato, avvoltolato in una relazione coniugale da diversi anni e dotato di figlia già adolescente. Léontine, il b-side di questa storia, è una donna felicemente libera, sensuale, bella ma con misura, l’incarnazione perfetta di tutto ciò di cui ha bisogno, oramai da chissà quanto tempo Piergiorgio: ovvero una donna ironica, intelligente, determinata, in grado di sostenere una conversazione sull’ultimo libro letto, sull’ultima mostra, magari davanti a un buon vino, insomma una donna fuori e oltre le righe. Tra i due scoppia una tempestosa relazione di forza e debolezze,con tanto di “se” e di “ma”. È Léontine la padrona indiscussa di tutto il romanzo. Una storia che dà una bella lezione agli uomini un po’ bambini e insicuri dl proprio fascino e delle proprie capacità, che ci mostra cosa significhi rimorsi rimpianti e ci spinge a riflettere sul potere dell'amore. Questo è uno di quei libri che anche se letto dopo molti anni, ne vuoi sempre di più!

mercoledì 9 giugno 2010

Artificial Life ( su concessione di Ignazio Licata)


















La ‘Vita artificiale’ annunciata dal gruppo di Craig Venter , ed il rumore mediatico che l’ha accompagnata, offre un’ottima occasione per ripensare ancora una volta la tensioni culturali e metodologiche che attraversano la scienza contemporanea e le loro proiezioni mediatiche. Leggendo l’articolo scientifico originale si scopre che i ricercatori hanno inserito in un batterio un DNA la cui sequenza era stata progettata a priori ‘copiandola’ da quella di un organismo con un patrimonio genetico estremamente semplice : il micoplasma, non scrivendo dunque ex novo le informazioni genetiche. Già questo aspetto ci dovrebbe indurre a considerare il modo con cui viene usata l’impegnativa parola ‘creazione’. Inoltre, anche se gli elementi iniziali (brevi tratti di DNA) erano stati sintetizzati per via chimica, il macchinario sintetico per produrre l’intero genoma in termini di assemblaggio e riproduzione era comunque naturale, trattandosi di cellule di lievito. In pratica, la “vita artificiale” di cui stiamo parlando è più propriamente una nano macchina biomorfa, già ipotizzata da Von Neumann e Feynman a partire dagli anni 50. Si tratta dunque di un notevole avanzamento tecnologico, ma non certo di ‘vita artificiale’, e neanche di un rivoluzionario metodo di sintesi chimica. Cerchiamo dunque di chiarire ulteriormente la cosa in modo da fare un distinguo tra l’invenzione, i proclami mediatici, e le eventuali ideologie nascoste.

Il DNA è una macromolecola, un polimero biologico costituito da una catena di monomeri (detti nucleotidi) uno in fila all'altro, legati fra loro da un legame covalente a formare un lunghissimo filamento; esistono quattro tipi di nucleotidi identificati da quattro lettere (A,C,G,T), il che fa sì che un filamento di DNA può essere immaginato come una lunghissima stringa di caratteri (circa 3 miliardi nel caso del genoma umano, ma di lunghezza diversa in altri organismi). I nucleotidi allineati lungo due filamenti di DNA si riconoscono fra loro con delle regole precise. La T si accoppia con la A attraverso legami idrogeno, che sono legami non covalenti, il che significa che non implicano la costruzione di una molecola differente ma solo la giustapposizione nello spazio di due molecole; inoltre la G si accoppia con la C. Ciò fa sì che nelle cellule il DNA si trovi sotto forma di due filamenti appaiati secondo la regola A-T / G-C che garantisce la duplicazione della molecola stessa. Questa molecola è una delle grandi invenzioni della natura, perché consente di memorizzare delle istruzioni di tipo chimico (ad alcune triplette di nucleotidi corrisponde uno specifico aminoacido che va a costituire il componente di una proteina, ad altre triplette delle informazioni regolatorie che influenzano quali e quanti geni ‘attivare’ ..) che possono essere trasferite da una generazione di organismi a quella successiva in modo relativamente rapido ed economico. Insomma, una “banca dati” in cui le regole di appaiamento garantiscono la duplicazione della molecola e la riproduzione di segmenti specifici per i processi di trascrizione e sintesi proteica.

Anche se questo meccanismo di ‘copiatura e riproduzione’ è cruciale per la vita, una molecola non è un essere vivente, in quanto da sola non fa e non produce un bel nulla: per esempio, non sfrutta l'energia dell'ambiente per costruire i suoi costituenti, non si sviluppa, non muore (piuttosto si degrada), e a ben vedere neanche si duplica visto che i processi descritti in precedenza necessitano del lavoro concertato di sofisticate macchine chimiche (enzimi, proteine strutturali, complessi sopramolecolari..) per essere portati a termine.

Un batterio invece è un essere vivente: ha una membrana con una struttura molto complessa che lo separa dall'ambiente esterno fornendogli individualità e quindi la possibilità di essere considerato un sistema biologico che si autoregola, si dà un gran da fare per sopravvivere, si riproduce ed alla fine muore. Per tutte queste ragioni, alcune molecole potranno entrare e uscire liberamente dal sistema, alcune saranno escluse, altre saranno accumulate, altre ancora saranno prodotte (sintetizzate) oppure demolite. Tutto ciò avviene grazie a una complessa architettura molecolare di strutture (generalmente proteiche) che garantiscono un metabolismo altrimenti fisicamente impossibile. In questo quadro ricco di attori comprimari, l'unico regista è la cellula, nella fattispecie il batterio preso nella sua interezza, mentre il DNA si limita a fare le funzioni di un "deposito" di informazione per produrre le proteine.

Affermare di aver creato la vita artificiale soltanto perché si è trasferito un genoma “stilizzato” in un batterio deprivato del suo proprio genoma sembra un’affermazione un po’ forte e per certi versi anche assurda. In altri termini, l’esperimento di Venter consiste nell’aver sostituito una componente (il DNA) della cellula: di importanza indiscutibile, ma che proviene comunque da un altro sistema vivente. Il punto è che la sua composizione in basi è nota pezzo per pezzo agli sperimentatori e quindi in via ipotetica ‘modificabile’ a piacere. L'ingegneria genetica segue queste vie da quaranta anni, solo che fino ad oggi si sintetizzavano tratti di genoma e non il genoma tutto insieme. In questo senso crediamo si possa parlare di un buon avanzamento tecnico che poco o nulla ha a che fare con la comprensione globale dei processi viventi. Affermazioni simili equivalgono a dire che si è costruito il "melodramma artificiale" unicamente dalla partitura musicale e senza bisogno di musicisti e cantanti: provate a immaginare che cosa succederebbe se alla prima della Scala sul palco venisse esposto lo spartito del Rigoletto e null'altro. Nel caso dell'esperimento di Craig Venter saremmo a uno stadio ancora inferiore, in quanto tutto sommato i cantanti e i musicisti eseguono abbastanza fedelmente lo spartito, mentre le cellule leggono in grande libertà il DNA, decidendo autonomamente che cosa, quanto e come leggere. E’ importante essere molto chiari su questo punto: una posizione ‘centralista’ in cui il DNA è considerato come il motore immobile ed unico principio causale della vita è completamente al di fuori delle evidenze scientifiche. Non si tratta però di discussioni fra esperti con diverse e variegate posizioni in merito, di differenti scuole di pensiero, è semplice biologia di base, su cui tutti i ricercatori (e anche chi ha una semplice infarinatura di biologia) sono completamente d’accordo. Non c’è neppure bisogno di chiamare in causa l’idea centrale della biologia sistemica, ben espressa da Dennis Noble: “Dove si trova, ammesso che esista, il programma della vita? La mia tesi è che non vi è alcun programma e che, nei sistemi biologici, non vi è alcun livello di causalità privilegiato”. Insomma, inutile cercare il direttore d’orchestra, in questo caso è l’orchestra stessa!

Allora come e perché si diffondono queste semplificazioni ingenue? La spiegazione immediata potrebbe essere quella economica: dopo le mirabolanti promesse degli anni 80, la biotecnologia versa da un pezzo in una crisi profonda. C’è bisogno di illudere gli investitori con l’illusione di potenza e controllo totale sul vivente, ma è una spiegazione molto parziale che, a nostro parere, non permette di mettere a fuoco i più sottili ‘segni dei tempi’ , legati ad un singolare intreccio tra epistemologia e tecno-burocrazia. E’ illuminante l’ articolo di Adam Wilkins ‘For the biotechnology industry the penny drops (at last): genes are not autonomous agents but function within networks” (BioEssays 29: 1179-1181, 2007). Wilkins scrive: ‘..Ma forse, la vera novità è che la notizia che i geni funzionino entro reti di regolazione complessa possa essere considerata come una novità. Come è stato possibile che così tante persone coinvolte nella biotecnologia abbiano trascurato un’idea (appunto quella dell’azione combinata dei geni NdR) che è un fatto assodato nella biologia dello sviluppo ed in molti altri campi ormai da decenni ?

Eppure l’idea centralista del genoma continua a sostenere progetti a dir poco discutibili.

Nel numero di Nature del 25 Maggio (Nature (2010) 465: p.410) si introduce un mega progetto da centinaia di milioni di dollari l’anno per trovare ‘..each gene’s role, (il ruolo di ciascun gene) eliminando un gene alla volta da gruppi di topi ed andando a vedere cosa succede. Qui non solo continuiamo a scordarci che i geni lavorano di concerto come ricordava Wilkins, ma il normale buon senso”: se tolgo una candela la mia autovettura non può funzionare, ma non mi verrà mai in testa di considerare la candela come lo strumento che manda avanti la macchina (e magari cercare di ricavare dalla struttura della candela le basi del moto dell’automobile). Il progetto milionario è stato lanciato dal National Institute of Health (NIH) americano, la più prestigiosa agenzia di ricerca biomedica mondiale, che sicuramente (almeno si spera) avrà delle persone se non altro di buon senso ai suoi vertici. Ma allora ?

A nostro parere questo insistere, con argomenti palesemente assurdi, sul lancio di progetti imponenti o sulla propaganda di imprese mirabolanti è il risultato avvelenato di mitologie convergenti su un imponente progetto di marketing che poco o nulla ha a che fare con la ricerca di base:

-Il mito della grande impresa che, mobilitando su un tema unico una grande quantità di risorse, indipendentemente dall’obiettivo proposto, genererà delle ricadute importanti per il semplice effetto di aggregazione di ‘migliaia di cervelli’. E’ il tema classico del progetto Manhattan, dell’impresa spaziale, dei grandi acceleratori e della teologia matematica delle teorie del tutto, e, naturalmente, della “decodificazione” del genoma. Sono le “magnifiche sorti e progressive” di una scienza-spettacolo che vuole attirare consenso e finanziamenti, basata sull’idea fuorviante di “innovazione” come ingenua capacità della tecnologia di espandersi illimitatamente utilizzando una sorta di “lego” concettuale del già acquisito e “colonizzato” secondo una logica unilaterale, riduzionista e prometeica.

-Il mito del dominio assoluto della vita con l’eliminazione del rischio, della malattia, dell’imprevisto. Non è un caso se i vagheggiamenti new age e la mitizzazione tecnologica sembrano aver stretto un patto per far balenare ai nuovi consumatori l’idea di cure miracolose e persino promesse di immortalità. Mentre nell’ultimo mezzo secolo la ricerca di base accumulava un numero crescente di indizi a favore della dimensione multifattoriale e quindi probabilistica di gran parte di ciò che possiamo osservare negli esseri viventi, la ricerca applicata si concentrava sulla manipolazione del DNA con la pretesa che ogni processo biologico fosse “per definizione” specificato dai geni in modo diretto, lineare e, per giunta, irreversibile. L’idea dell’ “organismo macchina”, fino ad allora puramente descrittivo, si sposa per la prima volta con quello assai più pragmatico di poter controllare e addirittura progettare ogni espressione della vita. Il tutto condito da un paradosso linguistico che ha segnato uno dei momenti meno felici dell'impresa scientifica del Novecento. Per molto tempo infatti nel gergo specialistico della biologia molecolare si è utilizzata l'espressione “dogma centrale” con riferimento a un fenomeno (la sintesi proteica) che, di fatto, presenta larghissimi margini di incertezza fondamentale. Oltretutto, l'idea che tutti gli organismi siano davvero "macchine" ha al tempo stesso offerto all’opinione pubblica l'immagine del corpo umano come di un oggetto manipolabile a discrezione, per esempio per predire malattie di qualsiasi natura, per "biologizzare" ogni tratto dell'esperienza umana e persino per evitare la morte. La deformazione culturale che ne è derivata sul carattere ed i valori dell’impresa scientifica ha influito in modo pernicioso sulle stesse aspettative che l'opinione pubblica nutre nei confronti della scienza. A tale proposito, non si può trascurare l'uso spietato che spesso viene fatto del "proclama" scientifico sui giornali e nelle televisioni. Le promesse di un'imminente cura definitiva delle malattie ancora oggi più difficili da trattare, come i tumori, sono l'espressione più atroce e oscurantista della strumentalizzazione della scienza del nostro tempo. Ogni ricercatore dovrebbe sentirsi ferito nel profondo ogniqualvolta il suo ruolo sociale, il suo mestiere e la sua deontologia professionale vengono mistificati in questa maniera.

I risultati recenti della biologia molecolare -- in primis il Progetto Genoma Umano (al quale Venter ha dato un contributo decisivo) -- hanno definitivamente mostrato che il DNA è soltanto “uno” dei fattori che determinano il fenotipo degli organismi. In fondo i geni sono infinitamente meno numerosi delle proteine, il che dovrebbe bastare a comprendere che la macchina molecolare può modificare o modulare l’espressione genica a seconda di ciò che la cellula “decide” di fare in relazione agli stimoli ambientali, senza nulla dire del fatto che esistono forme di eredità biologica (eredità epigenetiche) alternative a quella strettamente genetica.

Gli esempi tratti dalla letteratura scientifica illustrati sopra potrebbero sembrare casi eccezionali di come funziona la natura, ma essi rappresentano la regola più che l’eccezione. Le proprietà (normali e patologiche) degli esseri viventi, comprese quelle degli esseri umani, non sono specificate dal DNA, ma sono il prodotto di azioni e retroazioni segnaletiche continue tra l'ambiente interno all'organismo (di cui il DNA è una parte importantissima) e il suo ambiente esterno. Il che significa che anche conoscendo l’intera sequenza del patrimonio genetico di un individuo, qualsiasi esso sia, nessuna teoria o legge scientifica ci permette di prevedere quelle che saranno le sue proprietà vitali, ovvero il suo fenotipo. Dunque, ogni illusione meccanicistica di "controllare" gli esseri viventi, o, più opportunamente, i sistemi biologici, è semplicemente velleitaria.

Quello che manca, e che fatica a farsi strada, è il passaggio da una scienza basata sulle interazioni tra singoli “componenti” ad una in grado di comprendere la complessità dei processi collettivi. L’ostinazione riduzionista porta ad una concezione della scienza come tecnologia e manipolazione, a scapito di una visione critica che dovrebbe porsi invece sempre un problema centrale: comprendere che dietro ogni tecnologia (di calcolo o di laboratorio) c’è una scelta epistemologica che va valutata criticamente e con attenzione. Altrimenti si rischia di far passare il messaggio che gli ecosistemi possono essere perturbati, aggiustati e persino migliorati a piacere, idea cara ai tecnocrati, ma puntualmente smentita dall’evidenza quotidiana.

Paradossalmente, nell’epoca dell’individualismo più estremo, la complessità dell’umano non è contemplata.

Alessandro Giuliani ( Istituto Superiore di Sanità), Ignazio Licata (Inst. For Scient. Methodology, Palermo) Carlo Modonesi (Dip. Bio-Evo&Funz., Univ. Parma) - Gruppo Scienza Semplice


Ignazio Licata qui su ApertaMente di Nova del Sole 24 Ore


Il libro del giorno: Illusioni italiche. Capire il paese in cui viviamo senza dar retta ai luoghi comuni. Di Luca Ricolfi (Mondadori)





















Un'impresa rischiosa quanto affascinante quella in cui si è cimentato Luca Ricolfi, professore di Metodologia della ricerca psicosociale all'università di Torino e apprezzato editorialista di "La Stampa" e "Panorama": diradare il fitto strato di nebbia - ideologica e culturale - che spesso seppellisce la "verità" dei fatti sotto un cumulo di credenze. A seguito della crisi economica globale, possiamo dirci più ricchi o più poveri? Il gettito dell'Iva ha qualche relazione con il tasso di evasione fiscale? Ed è mai possibile che l'evidenza empirica e matematica dell'ultimo indice Istat possa piegarsi alle speculazioni propagandistiche sia di destra che di sinistra? Non sarebbe forse più corretto e politicamente onesto abbandonare le interpretazioni fasulle, separare i fatti dalle credenze? In questi "esercizi di disincanto", Ricolfi fornisce al lettore gli strumenti per cogliere la sostanza dei numerosi problemi che caratterizzano l'attuale dibattito politico e suggerisce, con esempi chiari e dimostrazioni comprensibili, in che modo si può riconsiderare il proprio ruolo di cittadini attivi e consapevoli.

La mala ora di Gabriel Garcìa Marquez (Mondadori). Intervento di Vito Antonio Conte















Primi anni Ottanta, alloggio universitario di Borgo Pietro Cocconi, in quel di Parma, interno 3, tendine della finestra -che dà sulla passerella che collega i due corpi dell'edificio- aperte sul meriggio d'altra luce, pausa studio: vado in cucina a preparare il caffè (il Quarta, portato da Lecce, ché il Segafredo di zona non è un granchè!), intanto Lucia e Danio continuano a parlare, entrambi studiano veterinaria. Ora, però, i libri di testo dell'ultimo esame (nonsocosadegliequini) sono in stand-by. C'è musica diffusa dal registratore. Danio ha un'anima hevy metal che porta anche addosso. Lucia è pazza (anche) di David Bowie: canta le sue canzoni (in perfetto inglese, mi sembra, cioè in inglese di sicuro, perfetto sembra a me, che non conosco quella lingua...) a memoria e le balla con una forza da lucida allucinata e con una grazia che sa d'antica danza. Io (a parte “giurisprudere”, essere fedele... e fare il caffè) leggo d'altro, scrivo improbabili poesie... e spedisco lettere e cartoline in lungo e in largo per lo Stivale. Quel pomeriggio sentii -per la prima volta- il nome di Gabriel Garcìa Màrquez (lo so, i segni paragrafematici non sono esatti, ma il mio PC non conosce altro... o forse dipende da me... senza forse...). Lucia stava leggendo “La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata”. Quel titolo colpì la mia fantasia e stuzzicò la mia curiosità. Poco tempo dopo avrei letto Màrquez e, tra gli altri romanzi, sarei rimasto folgorato da “Cent'anni di solitudine”, dai Buendìa (col colonnello in testa e le tristezze per la sorte dei lavoratori delle compagnie di banane) all'alchimia, dal dagherrotipo (prima forma di riproduzione delle immagini scoperta dal francese Daguerre -da cui il nome- nel 1839, che dà vieppiù fascino all'invenzione letteraria) ai ritmi sudamericani svogliati e stanchi eppur carichi d'altra vitalità (oltre ogni memoria), dai paesaggi madidi di pioggia e sudore di Macondo e dintorni... Oggi, a distanza di qualche lustro, ho letto “La mala ora” (Oscar Mondadori, pagine 199, € 8,00) e, una volta ancora, ho capito perché Màrquez è uno scrittore da Nobel. Ché Màrquez è riuscito, unico tra pochi, in quel deicidio ch'è l'atto della creazione letteraria, ossia (come ha notato -in proposito- Vargas Llosa) una ribellione contro Dio e il Creato, contro la realtà. Nella fittizietà letteraria delle sue opere Màrquez riesce splendidamente a fornire un mondo fantastico in antitesi a quello quotidiano, nevrotico e patologicamente folle. Vita reale e viaggio favoloso. Realtà rinvenibile in tutti i personaggi, così autentici e veri, perfetti (e, dunque, lontani dalla Terra) in ogni loro azione da apparire traslazione della fantasia. Favola che si coglie in ogni loro movimento all'interno di un luogo inventato, un villaggio tanto fantastico che sembra costruito pietra su pietra. Nell'immaginario dello scrittore questo ribaltamento delle due sfere vitali diventa confuso nelle trame, sudore e sangue si commistionano alle nuvole che sfiorano passioni e desideri, si sovrappongono in un flumen narrativo liberatorio che consente di vedere l'esatta espressione di quel che è e di quel che dovrebbe essere. Ché non si può cogliere il Bene senza la sua negazione... Una volta ancora, ho notato la costante nelle narrazioni di Màrquez ch'è metaforicamente possibile assimilare alla tessitura d'un tappetto: c'è la scelta delle fibre, e il disegno, e la trama, e l'ordito e si procede nodo dopo nodo, in una serie d'intrecci e di passaggi e di pause e di riprese, senza -però- definirlo mai... Così sono i testi di Marquez e smetto di mettere accenti a cappella... Ché le regole (tutte!) sono importanti, importante è osservarle, comprenderle è importante, importante è capire perché le regole tendono a scongiurare il caos... ma violarle (in questo caso!) non importa sanzioni e può consentire di vederlo il caos e penetrare un'altra possibilità e, da lì, muovere verso altre comprensioni... La mia visione disvela l'unica essenza sepolta sotto infiniti strati d'inutili costruzioni... Quelle che hanno avvelenato l'aria che respiriamo ogni momento. Quelle che hanno allontanato dalle nostre menti le pulsioni di tutto quel ch'è corpo. Quelle che hanno imbarbarito i nostri corpi rendendoli schiavi delle reiterazioni del così-è-e-per-essere-così-devi-impegnarti-il-culo-finché-vivi. Quelle di chi si erge a modello e predica l'emulazione impossibile per ammucchiare ricchezze e lasciarti mosche sugli occhi, sulla bocca, sulle orecchie, dentro gli occhi, dentro la bocca, dentro le orecchie, e in ogni cavità, senza reazione, senza forza, senza più lacrime, ché sei morto anche se respiri, e di questo hanno bisogno, di morti che si credono vivi, che respirano fino all'ultimo centesimo da spendere. Quelle che hanno fatto della spiritualità bussines per dimenticare il corpo e fottendoci se la godono qui e adesso, tanto noi siamo in pace con le nostre interiorità e non ci chiediamo più quale pace e quale interiorità, tanto abbiamo l'illusione che ce la godremo altrove, ché ci hanno talmente tante volte detto che c'è un'latra vita che abbiamo finito per crederci... giocandoci anche l'anima. Quelle che ogni vita che non è più aumenta la loro. Quelle... Costruzioni e costruzioni. Regole e regole. L'unica essenza è quella che risiede alla radice di ogni regola. L'unica regola, l'ho già scritto, è quella madre... Quella che potrebbe farci vivere, vivere, vivere davvero, vivere davvero meglio, vivere davvero meglio tutti... Ma per comprenderla ognuno deve avere consapevolezza che -senza il rischio di sanzioni- non cambierà mai questo mondo di merda... Ogni riferimento a pozzi di petrolio con falle e perdite incontrollabili, a terremoti che fanno ridere per gli affari che si possono fare sopra i lutti, a manovre economiche che stritolano i coglioni, a IOR otto per mille e cinque per mille, a prelati pedofili che dovrebbero essere inculati da chi so io, e ancora e ancora e ancora, ogni riferimento è assolutamente voluto! Non predico rivoluzioni fatte di sangue, non esorto a cambiamenti con le strade piene di morti, non sono in viaggio con borsoni colmi dell'armamentario della guerra decisiva, dico soltanto che perché tutti i morti che si credono vivi possano assaporare qui e adesso la VITA VERA devono lavare con acqua gelata e pura i propri occhi spenti per riuscire a vedere, e la faccia intera devono lavare con acqua gelata e pura, col naso che serve per sentire l'olezzo della merda d'intorno ma anche il profumo della vita, anzi delle vite, con le orecchie che servono per udire le stronzate ripetute a ogni spot ma anche i suoni della melodia della vita, anzi delle vite, con la bocca che serve per alimentarsi e non per ingollare frammenti dell'altro ma anche per parlare dicendo parole sensate all'altro e per sussurrare e per baciare e per sfiorare ogni centimetro di pelle d'amore... devono lavare con acqua gelata e pura le mani e le braccia e il torace e le gambe e i piedi e il sesso e la pancia e ogni centimetro di pelle... serve acqua gelata e pura per farsi baciare ogni centimetro di pelle... serve acqua gelata e pura per togliersi da questo torpore senza fine, per svegliare i propri sensi alla vita, per dire a quelli che si credono vivi che sono morti da tempo, che sono morti da sempre, che sono i veri morti e che non ci sono cimiteri né cieli per loro... E, forse, “La mala ora” diventerà una gran bella occasione per amare il tempo... E, forse, queste mie digressioni non sembreranno soltanto elucubrazioni incazzate... E, forse, si comprenderà meglio la ragione dei continui rinvii da un testo all'altro ch'é (come dicevo a proposito della metafora del tappeto...) nota precipua caratterizzante la scrittura di Marquez... E, forse, si capirà sino in fondo quel che lo stesso Marquez ebbe a dire in un'intervista a Plinio Mendoza (poi diventata un libro: “Odor di guayaba”, 1982) a proposito dei suoi romanzi e cioè della sua convinzione che “ogni buon romanzo dev'essere una trasposizione poetica della realtà” (e, in quanto tale, “le possibilità del romanzo sono illimitate”). E, forse, chi leggerà questo pezzo comprenderà cosa c'è dietro le parole o forse almeno proverà a chiederselo... Anche se non ho detto nulla dell'alcalde col mal di denti e il coprifuoco, del prete che censurava i film con i rintocchi della campana, del mercante siriano con bottega sul fango, del barbiere cospiratore, del dentista rivoluzionario, del giudice disoccupato tra birre ghiacciate, del segretario che spennava galline, del circo che dovette andar via, del fiume e della carogna putrida di mucca che portava con sè, della pioggia che non lavava nulla, degli assassini assoldati dalla polizia, delle zanzare, dei muli e di altri animali e di umani sciacalli, dei pettegolezzi e delle pasquinate e della veggente (pitonessa del circo itinerante) che -a proposito delle pasquinate- disse l'unica cosa sensata: “È tutto il paese e non è nessuno”, e di tutta la storia che ruota intorno a tutto questo e a altro ancora, di tutta questa storia ch'è tanto inventata da essere più vera di qualunque storia scritta, ché c'è sesso e sangue e nessuna speranza segnata perché la speranza non si può scrivere. La speranza si coltiva. La speranza è atto fattivo. E ognuno deve poterla nutrire ogni giorno, facendola diventare concretezza. Perché la nostra storia non rimanga senza significato. Perché ogni storia può e deve lasciare qualcosa. Ché non sia ancora oggi quel ch'è stata “La mala ora”, ossia, parafrasando quanto ebbe a dire l'Autore (sempre all'amico Plinio Mendoza), “La storia dell'America Latina è anche una somma di sforzi smisurati e inutili e di drammi condannati, a priori, alla dimenticanza. La peste dell'oblio esiste anche tra noi...”. La speranza è questo romanzo. La speranza è la fine di questo romanzo, che termina così: “Anche Mina si fermò, con la scatola vuota sotto il braccio, e abbozzò un sorriso nervoso prima di terminare la frase”. Senza una fine. Con tante pagine bianche ancora da scrivere... Colonna sonora: “Congo to Cuba” (Putumayo World Music, 2002) e, in particolare, “Yiri Yiri Boum” di Gnonnas Pedro (dal Benin).


Bollati Boringhieri a novembre 2010 pubblicherà il libro segreto di Jung












Finalmente anche in Italia il libro segreto di Jung, un'opera tanto temeraria e preziosa che solo oggi, grazie agli sforzi inesausti di Sonu Shamadasani, traduttore principale e autore del ponderoso saggio introduttivo, questo testo straordinario esce dal caveau della banca svizzera in cui era conservato, e vede la luce a ottant'anni dalla sua conclusione e a mezzo secolo dalla morte del suo autore. Nell'attesa che Il Libro rosso arrivi in libreria, Bollati Boringhieri propone, attraverso la realizzazione di un filmato, un assaggio delle pagine di questo libro che non solo svilupperà nuove possibilità per la comprensione del lavoro di Jung, ma diventerà, grazie alle prestigiose illustrazioni, un'autentica opera d'arte.

Info:

Evelina Gastaldo

Stilema
Via Cavour, 19 10123 Torino
Tel +39 011 530066 int 205
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