Invece che ad ottobre, si svolge a metà settembre, facendo così da ineludibile start alle maggiori manifestazioni della seconda parte dell’anno. Avviene in contemporanea con Abitare il Tempo, pregiata fiera internazionale, a cui si accosta proprio ora che è più vivo il dibattito sul rapporto fra il collezionismo di design e quello di arte contemporanea. È in padiglioni e con ingressi distinti da questa, ma insieme ad essa all’interno dei quartieri di Veronafiere. Rinnova ed esalta la qualità degli espositori e delle opere presentate. E dà loro un contesto di iniziative, in fiera e fuori fiera, che contribuiscono a fare di ArtVerona non solo una delle più importanti manifestazioni di mercato, ma anche un attrattivo evento artistico culturale.
Famosi e stimati sono i curatori che le hanno progettate e le presentano.
La piacevole atmosfera d’ambiente, la fluidità dei percorsi, l’efficienza organizzativa, il gran numero di visitatori qualificati, il fascino di Verona intorno: restano immutate le caratteristiche che hanno già dato ad ArtVerona il contributo per il suo successo.
ARTISTI rappresentati dalla GALLERIA CARINI DONATINI:
jebe (adriana jebeleanu), pier paolo bandini, zoltan bela, marco biagini, marco bolognesi, andrei campan, vanni cuoghi, paolo de biasi, sonja de graaf, diego dutto, eloisa gobbo, driton hajredin, fulvia mendini, sabrina milazzo, gian marco montesano, michela muserra, nora ness, adriano persiani, luisa raffaelli, elena rapa, michael rotondi, giuliano sale, artan shabani, giuseppe veneziano, fani zguro
ARTISTI rappresentati da Sansalvatore Art Project:
Daniela Cavallo, Vanni Cuoghi, Leonardo Greco, Koroo, Silvia Levenson, Michela Muserra, Alex Pinna, Giuliano Sale
ARTVERONA 2009 - Fair of Modern and Contemporary Art
17 settembre 2009/21 settembre 2009 (Verona, italy), quartiere fieristico di Verona
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lunedì 31 agosto 2009
domenica 30 agosto 2009
La luna dei Borboni di Vittorio Bodini
Quando tornai al mio paese nel Sud,
dove ogni casa, ogni attimo del passato
somiglia a quei terribili polsi di morti
che ogni volta rispuntano dalle zolle
e stancano le pale eternamente implacati,
compresi allora perché ti dovevo perdere:
qui s’era fatto il mio volto, lontano da te,
e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare.
Quando tornai al mio paese nel Sud,
io mi sentivo morire.
da Foglie di Tabacco (1945/47) in La Luna dei Borboni ed altre poesie (Milano, 1952)
"Come un grande amore. Così come accade per ogni grande amore; così come sempre ogni grande amore si confronta col dissidio, con l’incomprensione, tra Vittorio Bodini e il Sud c’è stata la tensione lacerante di ogni grande amore. C’è stata la passione ebbra, l’illusione dell’eternità di quell’amore, c’è stato il desiderio prorompente, l’ansia, la frenesia, la sensualità spossante, poi l’intenzione dell’addio, la separazione. Poi il ritorno malinconico. Poi l’allontanamento. Un altro. L’ultimo: nostalgico, pietoso, soffocato dal rimpianto. Mai, però, ci fu l’indifferenza. Mai ci fu l’estraneità, il sentirsi slegato da ogni vincolo, affrancato da una sentimentale soggezione, spiantato dalla terra, abbandonato dal sogno e dall’ idea di una nuova vita per una terra e per i destini che dentro quella (questa) terra si generano e si dipanano, si annodano e si aggrovigliano, si ritrovano o si disperdono, si differenziano o si rassomigliano. Così come accade per ogni grande amore, Vittorio Bodini ha vissuto il Sud con una contraddizione carica di energia inquieta, con un alternarsi di attrazione e di rifiuto, tra l’istinto di fuggire e il desiderio di tornare, fino a raggiungere l’esasperata e al tempo stesso lucida coscienza di un’assoluta, irreversibile, drammatica volontà di morte nella lontananza.“Qui non vorrei morire dove vivere/ mi tocca, mio paese/ così sgradito da doverti amare”.
di Antonio Errico tratto da Salento Poesia diretto da Mauro Marino
MARAVA’ PIEDI DI GOMMA di Gianni De Santis (Lupo Editore) domani a Torre dell'Orso
“… ma noi cosa potevamo sapere, se guardavamo in alto immaginando di raggiungere il cielo per liberare il volo sulle ali della nostra fantasia? Correvamo nei campi spiccando salti incredibili, felici sui nostri piedi di gomma e ad ogni salto lasciavamo indietro un pezzo del nostro tempo, catapultati verso la strada del nostro destino…”
Devono essere sicuramente di gomma i piedi dei primi astronauti sbarcati sulla Luna, per consentire loro la lievità degli angeli. È quello che credono due ragazzini legati fin dalla prima infanzia da un ferreo vincolo di amicizia e dal sogno condiviso di volare: verso il futuro, verso la vita. Ma la vita a volte separa e dal sud semplice e agreste in cui è nato Antonio si trova quasi sperduto nelle solitudini e nelle fatiche di una precoce emigrazione. Decine di lettere mantengono vivo il rapporto con Raffaele, l’amico lontano. Al paese c’è anche Maria ad attenderlo, col suo amore sfuggente e possessivo, con i suoi sogni incapaci di venire a patti con la realtà. Antonio, Raffaele, Maria segnano tutti di “volare”, ciascuno a modo suo, andando incontro ad un destino che tradisce la loro giovane esistenza. Il romanzo parla di questa preziosa scoperta, dimostrando come dalla prigionia del corpo possano spuntare ali per lo spirito e grata consapevolezza degli affetti da cui si sono ricevuti gioia e nutrimento. Una intensa storia umana, un inno alla vita e all’amicizia.
Interverranno il Sindaco di Melendugno Dott. Vittorio Potì, il consigliere regionale Ing. Aurelio Gianfreda, introduce Ass. alla cultura del Comune di Melendugno avv. Anna Elisa Prete. Dialogherà con l’autore Stefano Donno. Letture a cura di Annamaria Mangia
A termine della serata aperitivo sulle note musicali e i canti in griko di Gianni e Rocco De Santis
lunedì 31 agosto 2009, Pro Loco di Torre dell'Orso, v.le dei Pini, h.20.30
Devono essere sicuramente di gomma i piedi dei primi astronauti sbarcati sulla Luna, per consentire loro la lievità degli angeli. È quello che credono due ragazzini legati fin dalla prima infanzia da un ferreo vincolo di amicizia e dal sogno condiviso di volare: verso il futuro, verso la vita. Ma la vita a volte separa e dal sud semplice e agreste in cui è nato Antonio si trova quasi sperduto nelle solitudini e nelle fatiche di una precoce emigrazione. Decine di lettere mantengono vivo il rapporto con Raffaele, l’amico lontano. Al paese c’è anche Maria ad attenderlo, col suo amore sfuggente e possessivo, con i suoi sogni incapaci di venire a patti con la realtà. Antonio, Raffaele, Maria segnano tutti di “volare”, ciascuno a modo suo, andando incontro ad un destino che tradisce la loro giovane esistenza. Il romanzo parla di questa preziosa scoperta, dimostrando come dalla prigionia del corpo possano spuntare ali per lo spirito e grata consapevolezza degli affetti da cui si sono ricevuti gioia e nutrimento. Una intensa storia umana, un inno alla vita e all’amicizia.
Interverranno il Sindaco di Melendugno Dott. Vittorio Potì, il consigliere regionale Ing. Aurelio Gianfreda, introduce Ass. alla cultura del Comune di Melendugno avv. Anna Elisa Prete. Dialogherà con l’autore Stefano Donno. Letture a cura di Annamaria Mangia
A termine della serata aperitivo sulle note musicali e i canti in griko di Gianni e Rocco De Santis
lunedì 31 agosto 2009, Pro Loco di Torre dell'Orso, v.le dei Pini, h.20.30
sabato 29 agosto 2009
I racconti più brevi del mondo. Rec. di Vito Antonio Conte
La pioggia è buona (tra le altre cose) per lasciarsi bagnare, per bagnare la tristezza e, poi, farla evaporare davanti a un camino acceso nel mentre vuoti un bicchiere di buon rosso, leggendo un libro, buono del pari. Il sole vuole altro. E, se lettura dev'essere, breve sia... che non distolga, ma si armonizzi col resto. Nel qual caso, vi consiglio “I racconti più brevi del mondo”, un libriccino ch'è meno di un tascabile e, non a caso, è edito da Fahrenheit 451 nella Collana “I taschinabili” (pagg. 80, € 4,50), da tenere pronto per l'uso, non in tasca, ma -date le dimensioni- addirittura nel taschino della giacca o dei jeans. E mi viene in mente: “percepita brevità / che non conosce / alterità né metrica / mia brevità / tagliata affettata sezionata / impercettibile accennata brevità / tua brevità / nostra brevità / adagiata sul vecchio / pietroso sentiero / che la pioggia / caduta sulla terra / sfanghiglia / te ne stai lì / me ne sto qui / ma invero / io sto lì / mentre tu sei qui / e poi dirti / che il giorno è lungo / la sera infinita / e la notte / la notte che vorrei / questa notte che / vorrei non finisse mai”. Versi di chi scrive... Ché se non fosse una raccolta di prose, potrebbero star bene sul micro-libro di cui vi dico (quanto meno per il contenuto, non esattamente per la lunghezza, non essendo propriamente un haiku...). Sono lampi di scritture i cinquanta racconti degli autori (vecchi e nuovi) ospitati su “I racconti più brevi del mondo”, da Augusto Monterroso a Mark Twain, da Julio Cortazar a Raymond Queneau, da Franz Kafka a Wei Yoe Xian. Gianni Toti, presente con un testo nella raccolta, scrive nella innominata prefazione al libello: “Non soltanto Italo Calvino si è augurato antologie mondiali di racconti brevi, brevissimi, di una riga. Anche Quiroga, Cortazar, Monterroso, Arreola, Manuzio, Campra, Orkény, Poe... Più brevi di una riga... Un brivido narrativo, sentirete. Nella forma chiusa e sferica del "racconto da palpebra", nelle "istantanee" che scattano con la clausola finale, si compie una fulminea catarsi, si raggiunge , e si esce da un atto d'amore, l'orgasmo di un tempo, la fusione dell'impossibile, la sospensione dell'incredibilità, il clic dell'irreale che si scri/vìve”. Ogni altra definizione, qualunque ulteriore considerazione mi sembrerebbe blasfema, come tradire con altre parole quello cui le parole qui tentano, spesso riuscendovi, di raggiungere: l'estrema sintesi che fa del rigo contenitore e trampolino verso lidi aperti oltre ogni confine. Come il pezzo del già citato Monterroso, “Fecondità”, che ha l'ampiezza di un respiro: “Oggi mi sento bene, un Balzac; sto terminando questa seconda riga.”, ma che, come ogni respiro, contiene tutti i precedenti e prelude a un altro, due, tre, quattro, cinque... chissà?!? Metteteci del vostro. Ché scrittura e lettura abbiano senso, davvero.
venerdì 28 agosto 2009
Keep YourSelf Alive di Massimiliano Città (Lupo editore) domani ai Sotterranei Arci
È il racconto della ‘strada’ di Enzo, figlio di tranquilla famiglia siciliana tradizionale, che tronca la sua giovinezza e taglia i ponti con il paesino d’origine per inseguire un sogno di trasgressione. Infatuato di Daniela, conosciuta durante l’estate dei suoi diciannove anni, che lo ha iniziato alla cocaina, il protagonista sale sul primo treno per Milano per raggiungerla. Privo di punti di riferimento, nonostante l’incontro con un prete che lo riconosce subito come sbandato, e nonostante il generoso slancio del napoletano Damiano, non sa cogliere le opportunità che gli vengono offerte e prosegue il suo percorso verso un degrado senza ritorno. Conosce la miseria dei marciapiedi, le perversioni di un universo di tossici a cui si lega in modo indissolubile, l’illusorietà di un facile successo da Dj che lo immerge per un certo periodo in un delirio di onnipotenza, schiavo della droga e disperatamente perduto alla società “normale”. A sei anni di distanza dal primo incontro ritrova Daniela, per assistere alla sua tragica fine; e dalla totale solitudine lo salva solo l’affettuosa presenza di una volontaria che lo assiste quando il suo fisico, debilitato dalla tossicodipendenza e aggredito dalla malattia, lo porta ad attendere la fine in un letto d’ospedale. Qui cerca faticosamente di scrivere di sé al fratello minore, per ricongiungersi in extremis, almeno idealmente, ad una famiglia la cui ‘voce’ significativa resta per lui quella del vecchio Gino, figura chiave del suo ricordo e dei suoi affetti, dopo la cui morte è stato solo il silenzio. È una storia “forte”, provocatoria, scritta in una prosa densa e coinvolgente che si destreggia tra memoria vicina e lontana, tra ambienti, personaggi e situazioni diversi che si richiamano l’un l’altro per associazione di pensiero o per analogie. La tecnica di scrittura è priva di sbavature ed ottiene un effetto-verità; i personaggi sono tratteggiati efficacemente anche con poche battute e/o gesti.
Keep YourSelf Alive di Massimiliano Città (Lupo editore), verrà presentato a I SOTTERRANEI , Centro Storico, via delle Grazie a Copertino, domani 29 AGOSTO 2009 ORE 21,00. Presenta ANNA CORDELLA, dialoga con l’autore RAFFAELLA DE DONATO. Reading a cura di VIVIANA INGROSSO, soundtrack live MASSIMILIANO CITTA’. Aperitivo e degustazione vino offerto dalla casa editrice a cura di FABRIZIO CHETRI e CHIARA CORDELLA( associazione GUSTAPULIA)
Keep YourSelf Alive di Massimiliano Città (Lupo editore), verrà presentato a I SOTTERRANEI , Centro Storico, via delle Grazie a Copertino, domani 29 AGOSTO 2009 ORE 21,00. Presenta ANNA CORDELLA, dialoga con l’autore RAFFAELLA DE DONATO. Reading a cura di VIVIANA INGROSSO, soundtrack live MASSIMILIANO CITTA’. Aperitivo e degustazione vino offerto dalla casa editrice a cura di FABRIZIO CHETRI e CHIARA CORDELLA( associazione GUSTAPULIA)
Il libro del giorno: Nuovi sensi vietati di Massimo Onofri (Alberto Gaffi)
Squarci di luce come bengala su un’epoca che ha fatto del conformismo, dell’opportunismo e del pregiudizio il suo sgargiante vitello d’oro.
A tre anni dal successo di Sensi vietati Massimo Onofri firma una nuova raccolta di graffianti ricognizioni sulla nostra società che registrano, bersagliandola, la vacuità della cultura e del costume contemporanei. Le sue riflessioni, sempre lucide ma non fino al disincanto, rovinano sulle macerie di una coscienza collettiva già svuotata di qualsiasi senso, anche morale. Dal pericolante mondo politico e letterario a quello vizioso dei media, Onofri mette in fila e sferza personaggi noti e meno noti del gran teatrino italiano animati soltanto da una mera e vuota coazione ad apparire.
"Dall'Italia di Dolce & Gabbana alla rapportata scrittura e psicanalisi, le graffianti riflessioni sul presente del critico letterario Massimo Onofri"
di Massimiliano Panarari tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1119, p. 92
casa editrice Alberto Gaffi: http://www.gaffi.it/
A tre anni dal successo di Sensi vietati Massimo Onofri firma una nuova raccolta di graffianti ricognizioni sulla nostra società che registrano, bersagliandola, la vacuità della cultura e del costume contemporanei. Le sue riflessioni, sempre lucide ma non fino al disincanto, rovinano sulle macerie di una coscienza collettiva già svuotata di qualsiasi senso, anche morale. Dal pericolante mondo politico e letterario a quello vizioso dei media, Onofri mette in fila e sferza personaggi noti e meno noti del gran teatrino italiano animati soltanto da una mera e vuota coazione ad apparire.
"Dall'Italia di Dolce & Gabbana alla rapportata scrittura e psicanalisi, le graffianti riflessioni sul presente del critico letterario Massimo Onofri"
di Massimiliano Panarari tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1119, p. 92
casa editrice Alberto Gaffi: http://www.gaffi.it/
Lara Favaretto: l’archivio dei sogni. Rec. di Maria Beatrice Protino
Usa spesso il paradosso, i riferimenti letterari e cinematografici quasi come suggerimenti per la sua arte
Lara Favaretto raccoglie e cataloga immagini, testi, filmati e materiali di ogni genere ed epoca: dal fondo del suo archivio, poi, fa emergere idee e suggestioni per sviluppare le sue opere spesso imprevedibili. Le sue performances, istallazioni, video e sculture continuano a fare il giro delle biennali: unica italiana invitata all’ultima Biennale di Sharjah - uno degli Emirati Arabi; tra i pochi chiamati a partecipare alla 53° Biennale di Venezia dal direttore Daniel Birnbaum; presente all’ultima edizione del Festival d’arte Contemporanea di Faenza e già pronta per la sua prossima mostra al Tramway di Glasgow e alla partecipazione alla Biennale Performa di New York a novembre.
Lei è trevigiana e poco più che trentenne. Dopo gli studi a Milano, si è fatta notare ottenendo riconoscimenti in rapida successione: nel 2001 vince il premio Furla per l’arte e una borsa di studio annuale al PS1 di New York; nel 2004 vince ancora una borsa di studio istituita dagli Amici Sostenitori del Castello di Rivoli e infine riceve nel 2005 il premio alla Biennale di Venezia per la giovane arte italiana col video “La terra è troppo grande”, in cui esibiva una sorta di festa magica lungo le sponde di un corso d’acqua: maschere e personaggi da circo, infatti, ma anche citazioni carnevalesche e filmiche ricorrono spesso in installazioni e performances che sollecitano addirittura l’intervento del pubblico.
Alla base dei suoi lavori - per cui utilizza la fotografia, il video, la performance - c’è sempre l’urgenza di una continua trasformazione e la necessità di coinvolgere gli altri nel processo creativo.
La contaminazione e lo scambio continuo di esperienze, anche estranee alla pratica artistica, diventa allora il mezzo per approdare a opere per così dire ‘aperte’ e potenziali in cui il ruolo dell’artista è dichiaratamente fragile e marginale.
L’istallazione presentata a Faenza, ad esempio - “Monumento momentaneo” - è costituita da una palude colma di presenze, contrariamente all’immagine convenzionale, che è invece sterile e desolata, ostile, tipica appunto della palude. Si tratta di un luogo per clandestini, una sorta di nascondiglio che, come dirà l’artista stessa, compone e ricompone infinitamente perché consuma tutto quello che inghiotte, offrendosi al tempo stesso come luogo di speranza e rinascita, oltre che di catastrofe.
Per creare le sue opere ha sempre cura del mondo reale, e si sforza di dar vita a situazioni ibride, trasformando un detto popolare in un fatto reale, con la speranza di una risata corale, con il proposito che un giorno tutto possa essere sovvertito e i sogni dell'artista stessa o quelli comuni a tutti diventino realtà.
giovedì 27 agosto 2009
La Bella del Tempio degli Spiriti di Nie Chongrui. Rec. di Vito Antonio Conte
Stamane mi sveglio con una novella illustrata, “La Bella del Tempio degli Spiriti”, di Nie Chongrui (001 Edizioni, 2008, € 9,90). Un fumetto con le tavole in bianco e nero di questo bravo autore cinese, nato (un po' per caso, forse per necessità o contingenza) a Calcutta nel 1943, ma presto (nel 1946) tornato a Shanghai. Trasferitosi (a dieci anni, con la famiglia) a Pechino e, non potendo studiare per gli eventi politici che attraversavano la Cina allora (?), meccanico d'auto, pur disegnando senza soluzione di continuità. Passione questa che coltiverà sempre, nutrendola di esperienze molteplici e, nella prima metà degli anni ottanta, di studi specifici. “La Bella del Tempio degli Spiriti” è la sua prima pubblicazione che arriva in Italia e, in assoluto, la (sua) prima a varcare i confini della Cina. La storia è tratta da un racconto di Pu Songling (1640-1715) che, come nota Antonio Scuzzarella (in apertura del libro), fu letterato della dinastia Qing e scrisse numerose opere tra le quali “Storie fantastiche del padiglione dei divertimenti”, una raccolta di 431 novelle caratterizzate dalla costante di narrare storie di volpi dai poteri speciali. I disegni di Nie Chongrui, per niente orientali nei tratti, portano -invece- il lettore nella Cina dell'epoca feudale, aprendogli un mondo di regole tanto rigide quanto corruttibili, ma anche (e, soprattutto,) paesaggi e scorci ambientali e architettonici di rara bellezza. Molto curati i particolari, d'ottima fattura gli sfondi, splendidi i personaggi (animali, umani e soprannaturali) che, in alcuni casi, parlano senza necessità della classica nuvoletta. E, per vero, i dialoghi non sono all'altezza dei disegni, spesso apparendo superflui e, in alcuni casi, poco congeniali all'immagine marcata sul foglio e/o evocata dal tratto stesso. Non so se per l'adattamento dell'Autore oppure per difetto di traduzione. La bella è Xiaoquian (donna-volpe), ostaggio dei demoni e dei fantasmi (sanguinari) del Tempio degli Spiriti, che s'innamora di Ning Caichen, giovane pittore capitato nella foresta per ispirazione e “incappato” nel Tempio abbandonato per pura casualità. Molti i personaggi, umani e non, che attraversano questa storia, permeata di esoterismo. Storia di spiriti malvagi e d'amore. Il classico conflitto tra il male e il bene. Con una peculiarità: perché l'uno abbia la meglio sull'altro non dipende dalla natura del primo o del secondo... è necessario, invece, un quid in più che determini il destino che Xiaoquian e Ning vogliono fortemente, reciprocamente ammaliati da quel che di loro appare agli occhi l'uno dell'altra e, soprattutto, da quel che una forza unica è capace di disvelare... rendendone i toccati vulnerabili e potenti -all'un tempo- come nient'altro può. Sì da annullare ogni difetto e amplificare qualunque grazia. E non c'è sicumera che tenga. Neppure quella di un fumetto. O quella di una volpe che, si sa, quando sceglie il suo compagno è fedele. E, qualunque cosa accada, è per sempre. Per sempre.
Il libro del giorno: Sami Michael "Tempesta tra le palme" (Casa editrice Giuntina) dal 24 settembre in libreria
Dopo il successo di Victoria, Rifugio e Una tromba nello uadi esce "Tempesta tra le palme", il libro che ha affermato Michael come scrittore di fama internazionale. Baghdad, la seconda guerra mondiale è alle porte e gli ebrei vivono con ansia i grandi mutamenti che sconvolgono il mondo. La convivenza con i musulmani e i cristiani della città pare ormai compromessa a causa delle ondate nazionalistiche e le famiglie ebraiche si chiudono nei loro cortili terrorizzate. Ma Nuri, il giovane protagonista del romanzo non è assolutamente d’accordo a rimanere imprigionato in casa e non rinuncia alle sue scorribande con gli amici, mettendosi continuamente nei guai, ma senza mai smettere di cercare risposte ai grandi eventi e alle nuove
sfide che si presentano a lui e alla sua comunità.
Su Sami Michael è stato scritto:
“Sami Michael è stata una rivelazione” Giulio Busi, Il Sole24ore
“Sami Michael vale quanto Amos Oz o Yehoshua" Paola Caridi, L’Espresso
Sui suoi libri è stato scritto:
“Victoria è una saga familiare unica, narrata
con grande maestria, infinita sensibilità” Marilia Piccone, Stradanove
“Non c’è dubbio che Rifugio racconta una mondo che noi non conoscevamo prima di
conoscere Sami Michael” Susanna Nirenstein, La Repubblica
“Una tromba nello uadi mi ha commossa profondamente, un libro fantastico”
Anna Rolli, Agenzia Radicale
“Tempesta tra le palme è I ragazzi della Via Pal iracheno” Die Zeit
“Un romanzo appassionante dalle atmosfere esotiche, una storia sull’amicizia e suldesiderio di non soccombere alla storia”. Ha’aretz
“Sembrerebbe un romanzo per ragazzi, ma alla fine si rimane stupefatti come solo una
grande opera può lasciare”. Le Monde des Livres
Sami Michael, scrittore e Presidente dell’Associazione per i diritti umani in Israele, è nato a Baghdad nel 1926. All’età di 15 anni si è unito a un gruppo clandestino comunista che lottava contro l’oppressivo regime iracheno per l’affermazione dei diritti umani e i valori democratici. Nel 1947 ha iniziato i suoi studi in ingegneria all’Università americana di Baghdad. Nel 1948 un tribunale iracheno ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Michael che è stato costretto a fuggire in Iran. Da qui, nel 1949, non potendo tornare in patria, si è recato in Israele. Per quattro anni è stato opinionista per Al Itihad e Al Jadid, i giornali in lingua araba del Partito Comunista israeliano. Nel 1955 abbandonerà il Partito. Ha lavorato per anni come idrologo, amministrando le risorse idriche al confine con la Siria. Nel frattempo è riuscito a laurearsi in Idrologia, in Psicologia e in Letteratura araba all’Università di Haifa. Con perseveranza e volontà, senza averlo precedentemente studiato, Michael ha imparato l’ebraico perfettamente, e nel 1974, all’età di 48 anni, ha pubblicato il suo primo romanzo, Gli uomini sono uguali, ma alcuni lo sono di più. A oggi, Michael ha scritto 11 romanzi, 3 saggi incentrati su aspetti culturali e politici della storia di Israele e 3 opere teatrali. Le complesse relazioni tra le diversità intessono le trame dei suoi romanzi, ebrei e musulmani, musulmani e cristiani, nazionalisti e comunisti, iracheni e israeliani, uomini e donne: romanzi che vogliono sempre essere simbolo di speranza, di pace e convivenza. La Giuntina ha pubblicato i suoi libri Una tromba nello uadi e Victoria e presto uscirà il romanzo Rifugio. Per la sua attività di scrittore e per il suo impegno per la pace, i diritti umani e la giustizia, Michael ha ricevuto numerose onorificenze e premi tra i quali: il Premio del Ministero del consiglio israeliano, il Premio ONU per lo sviluppo internazionale, il Premio della società per lo sviluppo del Medio Oriente; il Premio internazionale del Rotary; il Premio del Ministero dell’educazione israeliano, il Premio WIZO francese e italiano, il Premio ACUM, Il Premio Brenner e il Premio della Presidenza della Repubblica israeliana.
Inoltre, Michael ha ricevuto tre lauree honoris causa dalle Università di Gerusalemme, Haifa e Negev. Sami Michael è stato tradotto in numerosi paesi, tra cui Egitto e Iraq, dove i suoi libri (pubblicati in Germania dall’editore arabo Al Jamelia) vengono venduti tramite il mercato clandestino e vanno a ruba.
Infine, Sami Michael è candidato al Premio Nobel per la Letteratura.
sfide che si presentano a lui e alla sua comunità.
Su Sami Michael è stato scritto:
“Sami Michael è stata una rivelazione” Giulio Busi, Il Sole24ore
“Sami Michael vale quanto Amos Oz o Yehoshua" Paola Caridi, L’Espresso
Sui suoi libri è stato scritto:
“Victoria è una saga familiare unica, narrata
con grande maestria, infinita sensibilità” Marilia Piccone, Stradanove
“Non c’è dubbio che Rifugio racconta una mondo che noi non conoscevamo prima di
conoscere Sami Michael” Susanna Nirenstein, La Repubblica
“Una tromba nello uadi mi ha commossa profondamente, un libro fantastico”
Anna Rolli, Agenzia Radicale
“Tempesta tra le palme è I ragazzi della Via Pal iracheno” Die Zeit
“Un romanzo appassionante dalle atmosfere esotiche, una storia sull’amicizia e suldesiderio di non soccombere alla storia”. Ha’aretz
“Sembrerebbe un romanzo per ragazzi, ma alla fine si rimane stupefatti come solo una
grande opera può lasciare”. Le Monde des Livres
Sami Michael, scrittore e Presidente dell’Associazione per i diritti umani in Israele, è nato a Baghdad nel 1926. All’età di 15 anni si è unito a un gruppo clandestino comunista che lottava contro l’oppressivo regime iracheno per l’affermazione dei diritti umani e i valori democratici. Nel 1947 ha iniziato i suoi studi in ingegneria all’Università americana di Baghdad. Nel 1948 un tribunale iracheno ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Michael che è stato costretto a fuggire in Iran. Da qui, nel 1949, non potendo tornare in patria, si è recato in Israele. Per quattro anni è stato opinionista per Al Itihad e Al Jadid, i giornali in lingua araba del Partito Comunista israeliano. Nel 1955 abbandonerà il Partito. Ha lavorato per anni come idrologo, amministrando le risorse idriche al confine con la Siria. Nel frattempo è riuscito a laurearsi in Idrologia, in Psicologia e in Letteratura araba all’Università di Haifa. Con perseveranza e volontà, senza averlo precedentemente studiato, Michael ha imparato l’ebraico perfettamente, e nel 1974, all’età di 48 anni, ha pubblicato il suo primo romanzo, Gli uomini sono uguali, ma alcuni lo sono di più. A oggi, Michael ha scritto 11 romanzi, 3 saggi incentrati su aspetti culturali e politici della storia di Israele e 3 opere teatrali. Le complesse relazioni tra le diversità intessono le trame dei suoi romanzi, ebrei e musulmani, musulmani e cristiani, nazionalisti e comunisti, iracheni e israeliani, uomini e donne: romanzi che vogliono sempre essere simbolo di speranza, di pace e convivenza. La Giuntina ha pubblicato i suoi libri Una tromba nello uadi e Victoria e presto uscirà il romanzo Rifugio. Per la sua attività di scrittore e per il suo impegno per la pace, i diritti umani e la giustizia, Michael ha ricevuto numerose onorificenze e premi tra i quali: il Premio del Ministero del consiglio israeliano, il Premio ONU per lo sviluppo internazionale, il Premio della società per lo sviluppo del Medio Oriente; il Premio internazionale del Rotary; il Premio del Ministero dell’educazione israeliano, il Premio WIZO francese e italiano, il Premio ACUM, Il Premio Brenner e il Premio della Presidenza della Repubblica israeliana.
Inoltre, Michael ha ricevuto tre lauree honoris causa dalle Università di Gerusalemme, Haifa e Negev. Sami Michael è stato tradotto in numerosi paesi, tra cui Egitto e Iraq, dove i suoi libri (pubblicati in Germania dall’editore arabo Al Jamelia) vengono venduti tramite il mercato clandestino e vanno a ruba.
Infine, Sami Michael è candidato al Premio Nobel per la Letteratura.
mercoledì 26 agosto 2009
Il libro del giorno: Polvere del bene di Giacomo Leronni (Manni)
Il lettore troverà nel testo poetico, scandito in capitoli, una ricchezza insolita, perché l’autore non si limita a registrare eventi – stazioni talora dolenti di un’intera vita – e a lasciarsi traghettare da questi come un corpo inerte. Accetta invece la sfida dell’esistere, si logora nel confronto, sapendo che si può anche soccombere. Purché si salvi almeno un’idea o un’emozione, all’insegna di una ricerca conoscitiva compiuta passo dopo passo, senza affanni. Il che si traduce in una costante carica empatica che tiene coinvolti fino all’ultima pagina, sul filo della narrazione. - Francesco Giannoccaro
"Pubblicata lo scorso anno nella collana Pretesti di Manni Editori, Polvere del bene (pp. 96, euro 12) è la prima raccolta poetica di Giacomo Leronni, quarantacinquenne poeta di Gioia del Colle, nel Barese, data alle stampe dopo aver pubblicato, in particolar modo tra gli anni 1999 e 2002, alcune liriche di questa raccolta su riviste, perlopiù specializzate, e dopo aver partecipato con buon successo a diversi premi letterari (si ricordano qui soltanto il Premio Nazionale di Poesia “LericiPea”, conseguito nel 1998 per la categoria poesia inedita - in giuria era presente, tra gli altri, Stefano Verdino, tra i più acuti studiosi dell’opera di Mario Luzi, nonché curatore delle sue opere - e per il quale è semifinalista anche quest’anno, e il Premio “A. Contini Bonacossi” che sarà assegnato all’autore per questa stessa raccolta il prossimo 6 settembre)."
di Stefano Savella tratto da Puglialibre (www.puglialibre.it)
casa editrice Manni: http://www.mannieditori.it/index_x.asp
"Pubblicata lo scorso anno nella collana Pretesti di Manni Editori, Polvere del bene (pp. 96, euro 12) è la prima raccolta poetica di Giacomo Leronni, quarantacinquenne poeta di Gioia del Colle, nel Barese, data alle stampe dopo aver pubblicato, in particolar modo tra gli anni 1999 e 2002, alcune liriche di questa raccolta su riviste, perlopiù specializzate, e dopo aver partecipato con buon successo a diversi premi letterari (si ricordano qui soltanto il Premio Nazionale di Poesia “LericiPea”, conseguito nel 1998 per la categoria poesia inedita - in giuria era presente, tra gli altri, Stefano Verdino, tra i più acuti studiosi dell’opera di Mario Luzi, nonché curatore delle sue opere - e per il quale è semifinalista anche quest’anno, e il Premio “A. Contini Bonacossi” che sarà assegnato all’autore per questa stessa raccolta il prossimo 6 settembre)."
di Stefano Savella tratto da Puglialibre (www.puglialibre.it)
casa editrice Manni: http://www.mannieditori.it/index_x.asp
Notizie sulla famiglia di Pietro Berra (Stampa)
Ho avuto il piacere di leggere e apprezzare l’ultimo lavoro poetico di Pietro Berra edito per i tipi di Stampa nella collana “Collana” diretta da Maurizio Cucchi, dal titolo “Notizie sulla famiglia”. Questa per l’autore comasco è la quarta raccolta dopo “Un giorno come l’ultimo”. “In viaggio per
le strade di Como e della mente” (Dialogo, 1997), “Poesie di lago e di mare” (Lietocolle, 2003) e “Poesie politiche” (Luca Pensa editore, 2005). L’opera, dove si registra l’influenza poetica di autori come Giampiero Neri e Fabio Pusterla, (divisa in tre sezioni titolate “Archivio Storico”, “Reportage da Brunate”, e “Ultima Ora”) parla di questa famiglia sullo sfondo dei primi del Novecento, e di tutta una schiera di eventi, memorie, colori, vicende che vanno a costituire una specie di album fotografico che ne costruisce la memoria. In 84 pagine viene narrato per versi un secolo dove si passa con un prosa poetica raffinata e puntuale nella visione espressa dal poeta, dal fascismo alla globalizzazione passando attraverso naunces tenui che come echi soffusi riportano alla mente le immagini della “Swinging London” quasi divenendo muti spettrali fantasmi seduti da tempo immemore sulle sedie sfatte di un cinema di provincia ora dismesso. Ma quello che più sembra rappresentare autenticamente il contenuto profondo della raccolta è il desiderio di lasciare alla poesia il compito di scorgere quel sottile filo rosso che collega ogni cosa e rende tutto più chiaro e manifesto anche agli occhi di chi non fa parte integrante dei tracciati mnemonico-biografici messi in questa sede nero su bianco. Le poesie raccolte nel volume qui presentato sono state scritte da Berra dopo la pubblicazione del libro “Poesie Politiche” risalente al 2005, e paiono seguire non solo formalmente ma anche semanticamente un sentire la poesia come impegno civile. E parliamo di un impegno civile particolare percepito dall’autore, come volontà di riscoprire l’identità dei luoghi che abbiamo abitato e vissuto e che ci hanno a loro volta abitati e vissuti, come stimolo a ripercorrere giorno per giorno le nostre storie al fine di evitare la diserzione crudele della dimenticanza, dell’immemorialità. Dunque un unico discorso poetico/politico (?) da rintracciare anche nelle precedenti produzioni liriche dove forte si avverte la continuità di una poiesi narrante storie minime di volti e luoghi che hanno comunque qualcosa di significativo per tutti, e che ancora molto possono insegnare. Scrive Maurizio Cucchi nell’introduzione: “ Come spesso accade ai veri poeti, Berra non enuncia i grandi temi – amore e strazio, morte e storia, tempo che muta il mondo –ma li introduce nei risvolti animati dei dettagli, nell’opacità sensibile delle nostre provvisorie esistenze e delle loro fasi, liete, dolorose o semplicemente indifferentichesiano”. Un libro quello di Berra che vale la pensa leggere e meditare, e che soprattutto ci ricorda , un po’ bodianamente, che la poesia può ancora dire la sua.
CIOCCOLATO
Prendeva tavolette di cioccolato
Da soldati dello stesso colore
La bambina sulla riva di Cernobbio.
Non immaginava che non fossero
Un dono del cielo, che la magnifica villa
Dove abitavano quegli angeli neri
Era stata l’ultimo rifugio
Di diavoli biondi in ritirata
in foto Franco Loi con Pietro Berra
martedì 25 agosto 2009
Il libro del giorno: Accabadora di Michela Murgia (Einaudi)
«Acabar», in spagnolo, significa finire. E in sardo «accabadora» è colei che finisce. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un'assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. È lei l'ultima madre.
Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
"Una storia forte, quella della Murgia; impreziosita da una scrittura di alta qualità (lirica, densa, ma molto efficace; da grande narratrice) e dal fascino di un’ambientazione riuscita (quella della Sardegna degli anni Cinquanta). Una storia che affronta tematiche complesse e attualissime quali: l’adozione (o l’affidamento), l’accompagnamento alla morte (eutanasia?), ma anche le contraddizioni e i taciti patti che possono interessare comunità organizzate come un unico organismo".
di Massimo Maugieri tratto da Letteratitudine
casa editrice Einaudi: www.einuadi.it
Accabadora di Michela Murgia, 2009, 164 p., rilegato
Einaudi (collana Supercoralli)
Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
"Una storia forte, quella della Murgia; impreziosita da una scrittura di alta qualità (lirica, densa, ma molto efficace; da grande narratrice) e dal fascino di un’ambientazione riuscita (quella della Sardegna degli anni Cinquanta). Una storia che affronta tematiche complesse e attualissime quali: l’adozione (o l’affidamento), l’accompagnamento alla morte (eutanasia?), ma anche le contraddizioni e i taciti patti che possono interessare comunità organizzate come un unico organismo".
di Massimo Maugieri tratto da Letteratitudine
casa editrice Einaudi: www.einuadi.it
Accabadora di Michela Murgia, 2009, 164 p., rilegato
Einaudi (collana Supercoralli)
La legge dell’Attrazione di Wallace D. Wattles e La Risposta di Murray Smith e John Assaraf (Bis edizioni)
Ho preso in esame due testi usciti per Bis edizioni i cui contenuti rientrano nella sfera del New Thought e che apportano sull’argomento ulteriori contributi e chiarificazioni. Il primo “La legge dell’Attrazione (con la Legge dell’Abbondanza e Vivere secondo i propri scopi) di Wallace D. Wattles, e il secondo “La Risposta” di Murray Smith e John Assaraf. Partiamo da quello più recente, dal momento che è stato scritto ai nostri giorni. “The Answer” (il titolo originario) presenta come principio basale del suo discorrere e argomentare una serie di tesi che attingono alla fondamentale “Legge dell’Attrazione”, ma la sviluppano in più punti grazie ai quali si scopre che il nostro potere di attrarre ciò che vogliamo nella vita tramite la visualizzazione e la focalizzazione, non solo non basta ma necessita di un’azione a monte fondamentale ovvero quello della riprogrammazione neurale che parte da un bombardamento multi strumentale e multi sensoriale sul subconscio. Esistono diversi modi, metodologie e strumenti che nel volume in oggetto vengono sviluppati coerentemente e correttamente. Questo permette una volta stabilite le nostre priorità di scavalcare processi meccanici di pensiero e azioni e aprirsi alla seconda parte del lavoro che consiste nel trasformare l’aspetto prettamente eidetico-immaginifico in azione attraverso la scansione del proprio agire secondo le leggi della volontà, del movimento, dell’attesa. Ora si arriva all’applicazione pratica di questi insegnamenti, ovvero a cosa si può arrivare attraverso tutta una serie di dimostrazioni scientifiche (anche di fisica quantistica), ricchissime indicazioni bibliografiche, rigorosi passaggi logici contenuti in quest’opera: riprendere il controllo della propria vita e chiedersi come rispondere alla crisi con creatività, rispondendo in realtà a tutte le crisi, sia in ambito finanziario che relazionale. Anche se in verità la seconda parte del libro (meno teorica e più “rampante”) contiene delle vere e proprie perle di saggezza in fatto di marketing e strategia aziendale (sempre da applicarsi dopo aver imparato come funziona la “Legge dell’Attrazione”) che se seguite adeguatamente potrebbero fare la fortuna di chiunque volesse aprirsi in proprio un’attività. Il secondo lavoro che ho preso in considerazione è un testo piuttosto singolare, mi riferisco alla “La legge dell’Attrazione (con la Legge dell’Abbondanza e Vivere secondo i propri scopi) di Wallace D. Wattles. La legge di Attrazione di Wallace Wattles contiene le soluzioni a tutti gli interrogativi fondamentali di chi vuole ottenere successo. Spiega in cosa consiste e come funziona questa legge (si tenga conto che si parla di un testo scritto tra il XIX e il XX secolo e dunque spesso il linguaggio risulta a tratti o eccessivamente lirico o pedantemente dogmatico), perché c’è in abbondanza nell’universo tutto per tutti, perché chi vuole ottenere successo deve abbandonare la competitività ad ogni costo, in cosa consiste la forza della preghiera e quali benefici inaspettati può produrre nel praticarla. Ma c’è molto di più in questo lavoro di Wattles. Ebbene per chi ha dimestichezza con la meditazione trascendentale e numerose pratiche mistico-ascetiche di stampo esoterico, sa che per molti illuminati noi siamo parte integrante di quella energia vitale che permea l’intero universo e le sue manifestazioni multiple e che appartiene ad una Mente Universale Cosmica. Ora questo nostro appartenere a questa cosmica mente universale, fa sì che ogni suo pensiero perfettamente in linea con il Benessere Universale diriga i nostri pensieri e li trasformi in fatti, opportunità, soluzioni. Solo se sentiamo la Bontà e l’Abbondanza che permeano il cosmo allora consapevolmente la nostra volontà e i nostri pensieri opereranno in sincrono con l’universo realizzando cose sorprendenti. Wattles assicura con questo suo lavoro che la causa di ogni successo è dentro di noi: per arrivare alla realizzazione di ciò che vogliamo dobbiamo solo imparare ad usare le nostre facoltà. Ciascuno ha a propria disposizione una cassetta che contiene gli attrezzi per costruire e raggiungere il successo. Mi ricorda molto la tavola delle visioni consigliata da John Assaraf e in qualche occasione da Roy Martina. Gli strumenti vanno tenuti con cura e usati nella maniera giusta e in questo manuale troviamo tutte le indicazioni per conservare e utilizzare la nostra personale cassetta sempre al meglio. Come si possiono riconoscere quali sono gli strumenti più giusti da utilizzare di volta in volta? Ne La legge dell’attrazione, si trovano tutte le risposte per arrivare alla piena realizzazione dei nostri successi, che variano a seconda dell’obiettivo che ci prefiggiamo di raggiungere. Il libro contiene tre saggi straordinari: la legge dell’Attrazione, la Legge dell’Abbondanza, Vivere secondo i propri scopi, ovvero secondo Coscienza di Salute, Potere, Saggezza e Benessere. I consigli che troviamo nei tre saggi sono ciò che ci serve se davvero vogliamo ottenere il successo che sogniamo da tanto tempo. Sono gli stessi che hanno permesso a Wattles di raggiungere la stabilità economica, la ricchezza e la realizzazione.
Wallace D.Wattles è uno dei principali ispiratori del Nuovo Pensiero. Nato durante la guerra di secessione americana, ha sempre vissuto come se la sua vita fosse una pagina bianca su cui scrivere una delle più belle storie di tutti i tempi.
Raggiungi la tua libertà economica e vivi una vita meravigliosa ISBN: 9788862280709 Prezzo € 12,67 Compralo su Macrolibrarsi |
lunedì 24 agosto 2009
Soleto e Sorella Luna
Si intitola “Soleto e Sorella Luna” la prima iniziativa che l’Amministrazione comunale del borgo griko-salentino, notissimo per la sua cultura e tradizione legata ai temi spirituali, tradizionali, filosofici-esoterici e storici-artistici degli astri, promuove in occasione della celebrazione relativa alla sbarco sulla Luna, avvenuto 40 anni fa, e dell’ “Anno Internazionale dell’Astronomia”.
Domenica 30 agosto, per la Luna orante ed orale, da sempre faro ammaliante d’orientamento e punto di riferimento per l’Umanità, dalle ore 20.30 alle 24.00, palcoscenico dell’evento sarà la suggestiva area urbana interna ed esterna al prezioso Convento francescano di S. Maria delle Grazie, con apertura straordinaria della Chiesa in notturna e dell’antico e paradisiaco giardino delle delizie, impreziosito da pergolati e piante fruttifere verdeggianti, appartenente al monastero.
Soleto, luogo arcaico, legatissimo al dialogo con il cielo, fin dalle sue origini primitive, in cui i contadini lo scrutavano con amore e timore ritenendolo calendario rituale della vita, del lavoro e dei destini umani; i filosofi lo osservavano con occhi alchemici; le macare lo interrogavano per le loro esoteriche arti magiche ed i religiosi ed i fedeli lo ammiravano in segno di fede e gratitudine, mira con quest’evento a valorizzare il filo che ci porta sulla luna, seguendo il tema trittico “scienza-letteratura-spiritualità”.
La manifestazione “Soleto e Sorella Luna”, sarà caratterizzata da:
- serata astronomica pubblica a cura dell’Associazione Salentina Astrofili “E. Hubble”, allestita in piazz.tta Calvario e Via San Francesco d’Assisi, articolata da: proiezione su schermo gigante di spettacolari documentari della NASA, lezione di orientamento e riconoscimento delle costellazioni tenuta da un astronomo, osservazione diretta attraverso potenti telescopi della superficie della Luna, del pianeta Giove e di altri oggetti del cielo stellato; mostra di foto astronomiche (luna, pianeti, nebulose, galassie, …) realizzate dai soci dell'A.S.A. ed esposte negli spazi suggestivi del giardino conventuale;
- tavola rotonda tematica, dal titolo “Parole alla Luna”, nei luoghi aperti e chiusi del Convento, in cui vi saranno una serie di interventi affascinanti come: “La Luna e San Francesco” a cura dei Monaci del Convento, “La Luna e l’Astronomia” argomentata dall’A.S.A, “La Luna ed i proverbi locali” illustrata da Daniela Bacca, la poetica dell’artista salentino Vittorio Bodini e della sua opera “La Luna dei Borboni” curata da Stefano Donno con la lettura recital di Simone Giorgino di “Fondo Verri”.
Gianni Ottaviani presenta ARCHEOPATIE II
La mostra coincide con il 50° anno di attività dell'artista Gianni Ottaviani , Milanese di adozione ma di origine Picena. In tale periodo Ottaviani ha operato sia come pittore-scultore sia come curatore ed organizzatore di eventi artistici nazionali ed internazionali, come tra l'altro:
Dal 5 ottobre 1995 al 2 ottobre 1996 mostra personale " Archeopatie " a cura del Comune di Milano-Settore Culura e Spettacolo e Civiche Raccolte Archeologiche nella sede del Museo Archeologico. Nel 2005 su incarico della Direzione del Ministero della Cultura della Turchia ha sovrinteso all'organizzazione della " Ia Biennale Internazionale d'Arte " di Ankara della quale è stato anche Presidente della Giuria.
Questa esposizione al Vittoriano con 66 opere tra singole e polittici corona la seconda fase della sua ricerca iniziata negli anni '80 che consiste, come dichiarato nella prefazione al catalogo edito dalla Editoriale Giorgio Mondadori, nello "…scavare nella memoria,documentare,ricostruire e riappropriarsi ". La sua è un'operazione quindi sulla memoria, sui frammenti, sui reperti del vissuto che ognuno di noi si porta dietro, spesso nell'inconscio.
" Archeologia dell' Io" forse l'avrebbe chiamata Freud. In quest' occasone l'artista esporrà anche una grande opera di mt.7x1,50 eseguita negli anni 2005-2006 formata da 17 pannelli ,dedicata al Cavallo suo soggetto preferito in precedenti periodi creativi, che gli è stata ispirata dal detto Islandese " Un uomo da solo è un mezzo uomo, un uomo con un cavallo è un uomo e mezzo".
Per realizzare l'opera Ottaviani ha effettuato una ricerca,quasi archeologica, su come è stato rappresentato nei pù disparati campi dalla preistoria ad oggi (arte,artigianato,pubblicità,giocattoli ecc.) quello che è stato un indispensabile mezzo per lo sviluppo dell'umanità. Il Circolo Ippico " Il 13 Rosso " di Rignano Flaminio in simbiosi con l'opera dell'artista proporrà il giorno dell'inaugurazione un suo particolare omaggio al Cavallo con una manifestazione ippica e in costume all'esterno del Vittoriano.
GIANNI OTTAVIANI _ ARCHEOPATIE II
Mostra personale, Complesso del Vittoriano - Roma
10 - 23 settembre 2009
inaugurazione 10 settembre ore 18
Il solco della pesca di Dark0
Quando la musica vola,
il cielo si ferma,
ed anche i passeri posson cantare.
Nella bianca spiaggia baciata dalla sera
due cuori s'incontrano,
ed il mare dell'amarezza perde il sale,
Mani timide si sfiorano,
labbra che ardono,
passione che si accende,
frenetica, feroce,
bramata per troppo tempo,
si dibatte fra la carne.
Due piccoli seni nascondono un cuore vivo,
dita che danzano nel solco della pesca,
vita che vuol vivere,
vita che vuol gridare,
vita che esplode in bianco lampo.
lentamente il corpo cade.
l'anima ebbra si addormenta.
ma ella sa...
...sa che talvolta anche i sogni,
diventano realtà.
Qui trovare l'autore: http://i-am-dark0.blogspot.com/
Il libro del giorno: Rote Armee Fraktion. Il caso Baader-Meinhof di Stefan Aust (Il Saggiatore)
Germania, fine anni sessanta. Frustrazione e rabbia aggrediscono la sinistra extraparlamentare e il movimento studentesco dopo la formazione della Grosse Koalition, l'uccisione di uno studente per mano della polizia e l'inasprirsi della guerra in Vietnam. Lo sdegno si trasforma in protesta, la protesta in resistenza, la resistenza si perde nel terrorismo. Ulrike Meinhof, giornalista militante della sinistra radicale, Gudrun Ensslin e Andreas Baader, appena evaso di prigione, danno vita alla Raf. Gli attentati del gruppo, al quale si unisce presto Jan-Carl Raspe, colpiscono la Repubblica federale in una successione diabolica; rapine e omicidi irrompono in maniera devastante. La guerra terroristica turba e disorienta l'intero paese, scuote l'indifferenza della borghesia, mette in crisi il meccanismo di rimozione del dopoguerra. Stefan Aust, testimone diretto di quella drammatica svolta, ripercorre le storie personali dei protagonisti, dagli esordi del 1970 alle azioni dell'"autunno tedesco" del 1977, dal rapimento di Schleyer, potente industriale, al dirottamento di un aereo della Lufthansa, fino al raggelante culmine della parabola della Raf, la "notte di Stammheim", in cui i fondatori del gruppo terroristico furono trovati morti nelle loro celle. In parallelo alla banda Baader-Meinhof agisce lo Stato: la linea dura della repressione e lo spietato regime carcerario imposto ai detenuti tracciano il volto di una Repubblica tormentata nelle sue contraddizioni.
"Rote Armee Fraktion (Il Saggiatore, pagg 531, euro 26) di Stefan Aust, caporedattore del settimanale Der Spiegel e cronista della rivista konkret, nonchè collega di Ulrike Meinhof, è la lucida analisi di un decennio di vita della banda, nel contesto difficile di una Germania che non aveva finito di fare i conti con le pesanti colpe collettive del proprio passato"
di Rock Reynolds tratto da L'Unità del 24/08/09, p. 32
casa editrice Il Saggiatore: http://www.saggiatore.it/home_saggiatore.php?
Rote Armee Fraktion. Il caso Baader-Meinhof di Stefan Aust
2009, 531 p., ill., brossura, Il Saggiatore (collana Storia)
"Rote Armee Fraktion (Il Saggiatore, pagg 531, euro 26) di Stefan Aust, caporedattore del settimanale Der Spiegel e cronista della rivista konkret, nonchè collega di Ulrike Meinhof, è la lucida analisi di un decennio di vita della banda, nel contesto difficile di una Germania che non aveva finito di fare i conti con le pesanti colpe collettive del proprio passato"
di Rock Reynolds tratto da L'Unità del 24/08/09, p. 32
casa editrice Il Saggiatore: http://www.saggiatore.it/home_saggiatore.php?
Rote Armee Fraktion. Il caso Baader-Meinhof di Stefan Aust
2009, 531 p., ill., brossura, Il Saggiatore (collana Storia)
domenica 23 agosto 2009
La tigre di Dark0
Il respiro della tigre,
lambisce l'anima,
e ti scalda dentro.
I suoi artigli,
delle catene si fan beffe,
tagliano il ferro,
solleticano le stelle.
Le sue strisce,
sono nero ebano nel bianco manto,
sono lunghe e sinuose,
come oscura passione.
La coda si agita inquieta,
sferza nel vento,
da forma a nuove geometrie.
Invisibile ombra,
si aggira inquieta,
della morte compagna,
e di vita maestra.
la tigre:
incubo dell'innocente agnello.
Qui trovate l'autore: http://i-am-dark0.blogspot.com/
Il libro del giorno: La parrucca di Mozart di Jovanotti (Lorenzo Cherubini) per Einaudi
Affascinato dal prodigio di Salisburgo, che a 5 anni già compone, a 6 si esibisce al cospetto dell'imperatrice d'Austria, a 11 ha prodotto oltre cento composizioni e a 35, quando muore, lascia 626 opere, Lorenzo Cherubini si è gettato a capofitto nell'ascolto della sua straordinaria musica, nelle biografie e nei saggi critici e soprattutto nelle centinaia di lettere scritte dallo stesso Mozart, per afferrare il segreto di quella musica. Eppure, più si entra in contatto con la sua essenza e meno "si riesce a fare chiarezza", anzi si rimane "ancora più confusi e invischiati nel suo mistero". Da tutto questo cercare è nato questo volume, un libretto d'opera in tutto e per tutto. Ma non solo. Un racconto appassionato, ironico, gioioso, a tratti melanconico, della sua breve ma intensa esistenza: il rapporto con il padre, con la sorella-amica Nannerl e la moglie Costanza, le fitte relazioni con il potere e con l'aspetto ludico della vita, e ancora la ferrea disciplina e l'impetuosa spensieratezza. Con parole che fanno pensare, con canzoni in rima che fanno ballare, con disegni che fanno immaginare, Jovanotti regala a lettori grandi e piccini un incontro insolito e fascinoso con la musica del maestro austriaco, "convinto che nella musica ci sia una chiave per innamorarsi del mondo". "La parrucca di Mozart" è andata in scena per la prima volta nel 2006 al Teatro Signorelli di Cortona con le musiche e la regia di Bruno de Franceschi. (Prefazione di Daniel Harding)
"Il libretto in questione è scaltro abbastanza per intrigare un pubblico giovane(...)"
di Margherita Oggero tratto da Tuttolibri de La Stampa del 22/08/09, p. V
La parrucca di Mozart di Lorenzo Cherubini (Jovanotti)
2009, VI-89 p., ill., brossura, Einaudi (collana Super ET)
casa editrice Einaudi: www.einaudi.it
Alexander Calder: la scultura diventa gesto. Di Maria Beatrice Protino
Il suo lavoro è concettuale e allo stesso tempo intriso di poesia e giocosità.
Era un omone dall’aria burbera, ma dall’animo di un bambino. Si scopre subito il suo spirito ludico assistendo ai due filmati sul Circo Calder che dal 18 marzo al 20 luglio scorsi ha aperto la mostra “Les années parisiennes, 1926-1933” al Centro George Pompidou, a Parigi, dove si è voluto compiere un’esposizione dedicata allo scultore statunitense più influente del ventesimo secolo.
Famoso per l'invenzione di grandi sculture di arte cinetica - chiamata appunto i mobiles – si dedicò anche alla pittura, alle litografie e alla progettazione di giocattoli.
Quando arriva nella capitale francese è il 1926 e C. ha 27 anni: è già un giovane pittore e illustratore satirico formatosi nelle scuole di Philadelphia e New York carico dell’iconografia del nuovo mondo, fatta di pellerossa, cavalli e treni a vapore. A Parigi, attraverso una ricerca estetica che lo vedrà in contatto con i protagonisti delle avanguardie del ‘900 – da Picasso a Mirò, da Man Ray a Mondrian - inventerà il drawing in space, un’audace declinazione della scultura moderna, disegnata nello spazio da linee di forza in grado di rappresentare oggetti verosimili e figure astratte, che lo renderà uno dei più grandi scultori del 1900.
I mobiles degli anni '30 sono il risultato logico di una ricerca imperniata su segno e movimento, forse riferibili a una ricerca dell’artista di tipo costruttivista.
Calder compie nei confronti del materiale industriale un’impresa di détournement di matrice situazionista – per cui si opera uno straniamento che modifica il modo di vedere oggetti comunemente conosciuti, strappandoli dal loro contesto abituale e inserendoli in una nuova e inconsueta relazione per avviare un processo di riflessione critica: si pensi ad esempio al collage e al montaggio.
Creerà, così – dopo il passaggio attraverso l’astrazione geometrica, le sfere e le ellissi, e poi le forme biomorfe e organiche - i grandi stabiles, le monumentali opere fisse in metallo verniciato destinate al paesaggio urbano che oggi possono essere ammirati in molti parchi francesi e non solo – si pensi al Teodelapio in acciaio verniciato realizzato per Spoleto nel 1962.
Animali di piccola taglia di metallo piegato, una rivista di sue illustrazioni, giocattoli colorati, i mobiles circensi, i cavalli e i leoni, gli acrobati: i primi lavori di Calder offrono una chiave di lettura per la sua arte, l'arte di un ispirato DIYer, l’arte del fai-da-te, di un mago che con materiali di base, spesso riciclati, e meccanismi primitivi – in pratica oggetti tenuti insieme da fili - crea scultura.
Si passa poi ai personaggi quotidiani ispirati dalla stampa, dallo sport, dal mondo dello spettacolo, ma riprodotti sempre con umorismo caricaturale.
Ed è proprio nel Circo che si riassume tutto l’universo di C.: luogo dove il movimento diventa performance, la scultura gesto, l’infanzia coscienza collettiva.
sabato 22 agosto 2009
Come fanno le serpi a primavera di Patrizia Ricciardi (Lupo editore)
Noi camminiamo al vento, gli occhi storti, soli di fatto e aspri nel respiro.
Nell’essenzialità espressiva di questa raccolta, la poesia appare come suprema dignità del dolore e della solitudine, come cifra di verità difficili e trasfigurazione del quotidiano.
C’è qualcosa di eversivo nelle poesie di Patrizia Ricciardi, un fermento sotterraneo che percorre il linguaggio di ogni giorno che si fa allegoria e percorso.
Cosa ci legherà di più di un mezzo
amore?
Un mezzo amore basta
per viversi oltre
per guardare il nulla
per trovarsi nel diniego
per lasciarsi,
questo è il meno
Nell’essenzialità espressiva di questa raccolta, la poesia appare come suprema dignità del dolore e della solitudine, come cifra di verità difficili e trasfigurazione del quotidiano.
C’è qualcosa di eversivo nelle poesie di Patrizia Ricciardi, un fermento sotterraneo che percorre il linguaggio di ogni giorno che si fa allegoria e percorso.
Cosa ci legherà di più di un mezzo
amore?
Un mezzo amore basta
per viversi oltre
per guardare il nulla
per trovarsi nel diniego
per lasciarsi,
questo è il meno
OUT Deluxe (Cagliostro E-Press) di Marco Laggetta*
Cagliostro E-Press recupera, in antologia, il meglio della fanzine underground OUT.
Era il 1998 quando uscì il primo numero di Out. Animi incandescenti, voglia di sperimentare, un pieno di ossigeno per i polmoni, nuove idee e nuove storie per la testa e per lo stomaco. Fanzine come sinonimo di controcultura. Out per puntare il dito sulle cose sbagliate, le persone, le parole sbagliate, gli esclusi dal discorso che poi sono il solo discorso da prendere a cuore. Oggi OUT torna con un formato tutto nuovo e la stessa identica voglia di provocare, per i tipi della Cagliostro E-Press.
L’obiettivo di Out è sempre stato quello di centrare il nucleo di un fermento sotterraneo sconosciuto ai più: ci sono in ogni arte molte piccole realtà underground, dislocate e sincretiche, che si muovono in punta di piedi parallelamente alla cultura massmediatica, per colonizzare nuovi territori e covare le loro uova. Fumetti, illustrazioni, articoli, poesie, racconti... tutto questo è Out. Nuovi e vecchi autori con in comune la medesima urgenza di raccontare. Alla miglior produzione dello storico gruppo OUT si aggiungono, in quest'edizione di prestigio, i contributi speciali di nuovi e giovani autori del fumetto underground italiano, fra i quali basti citare i pugliesi Mauro Gulma e Claudia Piccolo, entrambi alle prese, nelle loro storie, con la ricerca ed il senso della libertà. Il primo, nella sua “Prison/life”, illusione ultima di un condannato a morte, sorprende da un lato per il cinismo e la lucidità della sua narrazione, dall'altro per la scelta di uno stile fortemente caricaturale: un connubio degno della migliore tradizione eisneriana.
La seconda, in “Animalaux”, racconta, con un umorismo poetico, la scelta della prigionia come rinuncia volontaria alla libertà. OUT Deluxe racchiude 140 pagine di originalità e sperimentazione, di assoluta, prorompente, irriverente libertà espressiva. Nella collana PTP della Cagliostro E-Press torna, in un volume antologico, curato da Baldo Di Stefano, una delle fanzine storiche del fumetto italiano underground, una vera chicca per intenditori.
*redazione Talkink
Era il 1998 quando uscì il primo numero di Out. Animi incandescenti, voglia di sperimentare, un pieno di ossigeno per i polmoni, nuove idee e nuove storie per la testa e per lo stomaco. Fanzine come sinonimo di controcultura. Out per puntare il dito sulle cose sbagliate, le persone, le parole sbagliate, gli esclusi dal discorso che poi sono il solo discorso da prendere a cuore. Oggi OUT torna con un formato tutto nuovo e la stessa identica voglia di provocare, per i tipi della Cagliostro E-Press.
L’obiettivo di Out è sempre stato quello di centrare il nucleo di un fermento sotterraneo sconosciuto ai più: ci sono in ogni arte molte piccole realtà underground, dislocate e sincretiche, che si muovono in punta di piedi parallelamente alla cultura massmediatica, per colonizzare nuovi territori e covare le loro uova. Fumetti, illustrazioni, articoli, poesie, racconti... tutto questo è Out. Nuovi e vecchi autori con in comune la medesima urgenza di raccontare. Alla miglior produzione dello storico gruppo OUT si aggiungono, in quest'edizione di prestigio, i contributi speciali di nuovi e giovani autori del fumetto underground italiano, fra i quali basti citare i pugliesi Mauro Gulma e Claudia Piccolo, entrambi alle prese, nelle loro storie, con la ricerca ed il senso della libertà. Il primo, nella sua “Prison/life”, illusione ultima di un condannato a morte, sorprende da un lato per il cinismo e la lucidità della sua narrazione, dall'altro per la scelta di uno stile fortemente caricaturale: un connubio degno della migliore tradizione eisneriana.
La seconda, in “Animalaux”, racconta, con un umorismo poetico, la scelta della prigionia come rinuncia volontaria alla libertà. OUT Deluxe racchiude 140 pagine di originalità e sperimentazione, di assoluta, prorompente, irriverente libertà espressiva. Nella collana PTP della Cagliostro E-Press torna, in un volume antologico, curato da Baldo Di Stefano, una delle fanzine storiche del fumetto italiano underground, una vera chicca per intenditori.
*redazione Talkink
venerdì 21 agosto 2009
Il libro del giorno: Oggetti smarriti e altre apparizioni di Beppe Sebaste (Laterza)
Sono tanti gli oggetti smarriti e i fantasmi nelle nostre vite. Il catalogo è questo. Mazzi di chiavi, telefoni, biglietti da visita, occhiali da sole, documenti e palloncini colorati scappati via da mani bambine. Ma anche gli ‘ego’ individuali, i ‘soggetti’ intesi come idee e storie che perdono e si perdono fino a un gesto che affiora in un ricordo. «Mi ha guidato nella scelta un’idea dei margini, forse anche un’idea del fantasma. I fantasmi sono dolorosi, i fantasmi sono necessari. I fantasmi sono quello che ci manca – e se la felicità è quello che ci manca, disse una volta Carmelo Bene, essa ci deve mancare. Oggetti smarriti sono frasi, racconti, avventure, occasioni, protocolli di esperienza, alcuni recentissimi, altri remoti. Hanno in comune, oltre a una scrittura ibrida, tra il documentario e la finzione, il sentimento di essere perduti».
"Gli oggetti smarriti escono dalla nostra vita. Per una dimenticanza. Per una scelta. Per un caso. Sono cose. Non solo. Persone. Pensieri. Stati d’animo. Sentimenti. Fantasmi. Che si fa fatica - e dolore - a ritrovare. Ad acchiappare. Non certo a ripensare. Ma restano lì, annidati nella memoria. Non più sotto i nostri occhi. Forse più veri e vivi degli oggetti trovati. Oggetti smarriti e altre apparizioni è il Leitmotiv che attraversa gli scritti di varia natura ed di varie epoche raccolti per Laterza, sotto l’omonimo titolo, da Beppe Sebaste"
di Gino Dato tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno.it
casa editrice Laterza: www.laterza.it
"Gli oggetti smarriti escono dalla nostra vita. Per una dimenticanza. Per una scelta. Per un caso. Sono cose. Non solo. Persone. Pensieri. Stati d’animo. Sentimenti. Fantasmi. Che si fa fatica - e dolore - a ritrovare. Ad acchiappare. Non certo a ripensare. Ma restano lì, annidati nella memoria. Non più sotto i nostri occhi. Forse più veri e vivi degli oggetti trovati. Oggetti smarriti e altre apparizioni è il Leitmotiv che attraversa gli scritti di varia natura ed di varie epoche raccolti per Laterza, sotto l’omonimo titolo, da Beppe Sebaste"
di Gino Dato tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno.it
casa editrice Laterza: www.laterza.it
Robin Hood punto Net di Simona Ruffini (ed. Lupo). Una favola ai tempi della rete secondo Silla Hicks
Non ho mai creduto alle favole. Né io né mia sorella ci abbiamo mai creduto: non ne abbiamo avuto il tempo con tutto il casino che ci ha afferrato da piccoli e ci ha raccontato la vita prima che potessimo capirlo e scegliere se amarla o no.
E anche adesso preferisco il neorealismo e la crudezza del neon alle commedie romantiche e alle luci soffuse, e se penso a una storia d’amore penso a una tragedia, immensa e spietata, una lettera scritta col sangue … amare è un gioco di morte, non una passeggiata tra i fiori.
O almeno, è così che è se è amore, perché le coincidenze capitano di rado e quasi mai ci si incontra e ci si riconosce nello stesso istante, quando basterebbe stendere la mano e prima che altri corpi e altre storie ci vincolino, o dopo che sono svaniti via: quasi sempre, i tempi non coincidono, come per un uomo ed una donna a letto, siamo geneticamente condannati a rincorrerci e a smarrirci, e Marquez Gabriel Garcìa, vecchio saggio visionario ha ragione, ci vuole una vita per ritrovarsi, e ne vale la pena anche … ma frattanto è l’inferno, e un inferno che ci intrappola quasi sempre soli.
È la premessa che devo fare, prima di parlare di questo libro (Robin Hood punto Net di Simona Ruffini, Lupo editore), che è una favola, appunto, e che come tale non m’appartiene, e non poteva entusiasmarmi né commuovermi, perché non l’ho mai visto un film con Meg Ryan, io.
E avrei pensato persino fosse per bambini, visti i caratteri grossi e tondi con cui è stampato, se non ci avessi scovato dentro - a tradimento - citazioni densamente adulte, prima tra tutte quella November Rain dei Guns’n Roses che Giuseppe canta nel suo inglese storpio ogni volta che il pensiero di lei gli folgora il cervello, come ho imparato a intuire avendolo da una vita amico, e che anche per questo mi conquista e commuove, come nessun lieto fine sa fare.
Perché, superato l’impatto iniziale, questa storia che pare costruita di mattoncini Lego tanto è semplice e semplificata invece si rivela non esserlo per niente, come un quadro naif, in cui le pennellate ingenue sono frutto di elaborato studio, e per capirlo guardate da vicino la tigre di Ligabue.
Più che raccontino, è destrutturazione consapevole, e più che una favola appare essere un tool, uno strumento, nel senso di modello costruito eliminando le variabili inutili rispetto alla teoria che si vuol dimostrare per consentirne uno studio che punti dritto al senso.
Pur con tutti i limiti che questo processo di alleggerimento comporta, e che finiscono per condizionarne la voce, non si può non riconoscere a questo libro un registro autonomo, e non intravederne dietro tutto un percorso che è ricerca, e come tale entusiasmante, in una classe che in genere copia, e anche male.
Perché personalmente è questo che mi resta, quando leggo una riga o mille pagine, l’impronta: il resto, il contenuto, può starmi vicino oppure no, e spesso è no, quasi sempre, anzi, ma ammetto che non si può raccontare il mondo solo attraverso Roth, Palahniuk e Kureishi, guardarlo solo come io lo guardo, perché ognuno ha i suoi occhi di colore diverso, che vedono diverse cose uguali.
E di sicuro questa ragazza che dal risvolto di copertina sorride con la faccia da liceale anche se ha la mia età non ha il mio stesso sguardo, ma ha le palle di cercarsene uno suo, e pazienza se indulge nel buonismo – Omar lo zingaro/principe azzurro, giusto per citarne una – e tenta l’impresa disperata di una polaroid del nostro tempo finendo per tagliare troppe teste fuori dall’inquadratura.
Perché trattare – tutto insieme - d’immigrazione, precariato, licenziamenti, nuovi poveri, traffico d’organi e così via può riuscire nello spazio di un film solo se si è Ken Loach, e nemmeno sempre: pretendere di farlo in forma di tavoletta lieve, poi, è impossibile, ci vorrebbe lo sguardo disperato del Fellini migliore – quello di Zampanò – per almeno provarci.
Ma se non si vuole guardare ad occhi spalancati la tragedia nascosta dietro la maschera, bhè, allora non credo sia possibile. Non credo. Ma sto qui, e aspetto di leggere quello che la ragazza di cui sopra deciderà di scrivere, ancora. Non è detto che ci riprovi, tantomeno che ci riesca, è chiaro, ma questa volta ha tentato, ed è un miracolo, in questi giorni densi di parole ripetute, originali quanto temi di maturità estratti dalla cartucciera, che affollano scaffali e librerie e discorsi. Non concordo su quello che scrive, né su come lo fa, lo dico e lo ripeto, ma non credo le importi, e le sono grato. Perché sono quelli come lei, che fanno esperimenti, che prima o poi vanno da qualche parte. E intendo: da qualche parte nuova.
E anche adesso preferisco il neorealismo e la crudezza del neon alle commedie romantiche e alle luci soffuse, e se penso a una storia d’amore penso a una tragedia, immensa e spietata, una lettera scritta col sangue … amare è un gioco di morte, non una passeggiata tra i fiori.
O almeno, è così che è se è amore, perché le coincidenze capitano di rado e quasi mai ci si incontra e ci si riconosce nello stesso istante, quando basterebbe stendere la mano e prima che altri corpi e altre storie ci vincolino, o dopo che sono svaniti via: quasi sempre, i tempi non coincidono, come per un uomo ed una donna a letto, siamo geneticamente condannati a rincorrerci e a smarrirci, e Marquez Gabriel Garcìa, vecchio saggio visionario ha ragione, ci vuole una vita per ritrovarsi, e ne vale la pena anche … ma frattanto è l’inferno, e un inferno che ci intrappola quasi sempre soli.
È la premessa che devo fare, prima di parlare di questo libro (Robin Hood punto Net di Simona Ruffini, Lupo editore), che è una favola, appunto, e che come tale non m’appartiene, e non poteva entusiasmarmi né commuovermi, perché non l’ho mai visto un film con Meg Ryan, io.
E avrei pensato persino fosse per bambini, visti i caratteri grossi e tondi con cui è stampato, se non ci avessi scovato dentro - a tradimento - citazioni densamente adulte, prima tra tutte quella November Rain dei Guns’n Roses che Giuseppe canta nel suo inglese storpio ogni volta che il pensiero di lei gli folgora il cervello, come ho imparato a intuire avendolo da una vita amico, e che anche per questo mi conquista e commuove, come nessun lieto fine sa fare.
Perché, superato l’impatto iniziale, questa storia che pare costruita di mattoncini Lego tanto è semplice e semplificata invece si rivela non esserlo per niente, come un quadro naif, in cui le pennellate ingenue sono frutto di elaborato studio, e per capirlo guardate da vicino la tigre di Ligabue.
Più che raccontino, è destrutturazione consapevole, e più che una favola appare essere un tool, uno strumento, nel senso di modello costruito eliminando le variabili inutili rispetto alla teoria che si vuol dimostrare per consentirne uno studio che punti dritto al senso.
Pur con tutti i limiti che questo processo di alleggerimento comporta, e che finiscono per condizionarne la voce, non si può non riconoscere a questo libro un registro autonomo, e non intravederne dietro tutto un percorso che è ricerca, e come tale entusiasmante, in una classe che in genere copia, e anche male.
Perché personalmente è questo che mi resta, quando leggo una riga o mille pagine, l’impronta: il resto, il contenuto, può starmi vicino oppure no, e spesso è no, quasi sempre, anzi, ma ammetto che non si può raccontare il mondo solo attraverso Roth, Palahniuk e Kureishi, guardarlo solo come io lo guardo, perché ognuno ha i suoi occhi di colore diverso, che vedono diverse cose uguali.
E di sicuro questa ragazza che dal risvolto di copertina sorride con la faccia da liceale anche se ha la mia età non ha il mio stesso sguardo, ma ha le palle di cercarsene uno suo, e pazienza se indulge nel buonismo – Omar lo zingaro/principe azzurro, giusto per citarne una – e tenta l’impresa disperata di una polaroid del nostro tempo finendo per tagliare troppe teste fuori dall’inquadratura.
Perché trattare – tutto insieme - d’immigrazione, precariato, licenziamenti, nuovi poveri, traffico d’organi e così via può riuscire nello spazio di un film solo se si è Ken Loach, e nemmeno sempre: pretendere di farlo in forma di tavoletta lieve, poi, è impossibile, ci vorrebbe lo sguardo disperato del Fellini migliore – quello di Zampanò – per almeno provarci.
Ma se non si vuole guardare ad occhi spalancati la tragedia nascosta dietro la maschera, bhè, allora non credo sia possibile. Non credo. Ma sto qui, e aspetto di leggere quello che la ragazza di cui sopra deciderà di scrivere, ancora. Non è detto che ci riprovi, tantomeno che ci riesca, è chiaro, ma questa volta ha tentato, ed è un miracolo, in questi giorni densi di parole ripetute, originali quanto temi di maturità estratti dalla cartucciera, che affollano scaffali e librerie e discorsi. Non concordo su quello che scrive, né su come lo fa, lo dico e lo ripeto, ma non credo le importi, e le sono grato. Perché sono quelli come lei, che fanno esperimenti, che prima o poi vanno da qualche parte. E intendo: da qualche parte nuova.
giovedì 20 agosto 2009
Sandokan di Hugo Pratt (Rizzoli-Lizard). Rec. di Vito Antonio Conte
La notizia girava nell'aria (di chi, come me, respira letteratura disegnata) già da un po': per dirla con Alfredo Castelli (curatore del progetto editoriale, nonché autore della nota introduttiva “Se vuoi, questa non la racconto” del libro di cui vi dico), “La vicenda del
Il libro nero del mondo di Gabriele Dadati (Alberto Gaffi editore) dal 2 settembre in libreria
"Il libro nero del mondo è un romanzo che vi confonderà. Ci troverete dentro un uomo e una donna che si amano di un amore perfetto e tutto materiale, senza sentimenti. Ci troverete due cattivi – due grandi cattivi – che sono cattivi senza una ragione, senza una spiegazione. Ci troverete due vittime che sono vittime per scelta: una per scelta attiva, perché ha desiderato essere una vittima; e l’altra per scelta passiva, perché non ha desiderato mai nulla di diverso dalla sua condizione di sempre, che è la condizione della vittima. E ci troverete una bambina magica che compie sempre lo stesso percorso in un angolo di giardino, e compare sempre quando qualcosa di inspiegabile accade, o sta per accadere. Giulio Mozzi
Gabriele Dadati sa come si racconta una storia, sa fingere un distacco che appartiene alle scritture mature, ma a ben guardare in questa cinematografica vicenda di arcangelo metropolitano che affianca, quasi sorveglia, una Maria profana si legge una sommessa ricerca di sé. Questa scrittura ha corpo e spirito e non promette nulla che non possa mantenere in pieno. In bilico tra il romanzo di genere, alto, e il Bildungsroman Gabriele guida attraverso lo specchio Gabriele. Marcello Fois.
Una città italiana di una provincia qualsiasi, nei nostri anni Zero. Un giovane regista è solo, insieme a tutto: insieme alla moglie, che più di ogni altra cosa ama spiare mentre dorme e che lascia correre a grotteschi raduni new age, solo insieme al suo lavoro, alle prese con la produzione che potrebbe finalmente portarlo fuori dall’asfissiante mondo televisivo verso il cinema. Sembra l’ultima occasione, il film sul cannibale ispirato a una storia vera. Così vera che durante le riprese il suo attore principale - nonché migliore amico - viene rapito. Sarà proprio il regista a tentare di salvarlo, perché l’attore non è che l’esca che il rapitore cattura per arrivare a lui. Inizia così un confronto claustrofobico e serrato tra un serial killer alla ricerca della Giustizia e l’uomo che lui ha scelto come testimone delle sue deliranti imprese. Il tutto in un clima da ordinaria Apocalisse che entra con disarmante semplicità nella mente del lettore.
Gabriele Dadati (Piacenza, 1982) ha pubblicato Sorvegliato dai fantasmi (peQuod, 2006), accolto con calore da critica e pubblico, vincitore del premio Dante Graziosi e finalista come “Libro dell’anno” nella trasmissione Fahrenheit di Radio 3 Rai. Cofondatore della rivista letteraria «Ore piccole», collabora al quotidiano «Libertà» di Piacenza e dirige una collana di narrativa per Barbera Editore. È autore di Booksweb.tv, la televisione dei libri ideata da Alessandra Casella (http://www.booksweb.tv/content/show/ContentId/1156).
Gabriele Dadati sa come si racconta una storia, sa fingere un distacco che appartiene alle scritture mature, ma a ben guardare in questa cinematografica vicenda di arcangelo metropolitano che affianca, quasi sorveglia, una Maria profana si legge una sommessa ricerca di sé. Questa scrittura ha corpo e spirito e non promette nulla che non possa mantenere in pieno. In bilico tra il romanzo di genere, alto, e il Bildungsroman Gabriele guida attraverso lo specchio Gabriele. Marcello Fois.
Una città italiana di una provincia qualsiasi, nei nostri anni Zero. Un giovane regista è solo, insieme a tutto: insieme alla moglie, che più di ogni altra cosa ama spiare mentre dorme e che lascia correre a grotteschi raduni new age, solo insieme al suo lavoro, alle prese con la produzione che potrebbe finalmente portarlo fuori dall’asfissiante mondo televisivo verso il cinema. Sembra l’ultima occasione, il film sul cannibale ispirato a una storia vera. Così vera che durante le riprese il suo attore principale - nonché migliore amico - viene rapito. Sarà proprio il regista a tentare di salvarlo, perché l’attore non è che l’esca che il rapitore cattura per arrivare a lui. Inizia così un confronto claustrofobico e serrato tra un serial killer alla ricerca della Giustizia e l’uomo che lui ha scelto come testimone delle sue deliranti imprese. Il tutto in un clima da ordinaria Apocalisse che entra con disarmante semplicità nella mente del lettore.
Gabriele Dadati (Piacenza, 1982) ha pubblicato Sorvegliato dai fantasmi (peQuod, 2006), accolto con calore da critica e pubblico, vincitore del premio Dante Graziosi e finalista come “Libro dell’anno” nella trasmissione Fahrenheit di Radio 3 Rai. Cofondatore della rivista letteraria «Ore piccole», collabora al quotidiano «Libertà» di Piacenza e dirige una collana di narrativa per Barbera Editore. È autore di Booksweb.tv, la televisione dei libri ideata da Alessandra Casella (http://www.booksweb.tv/content/show/ContentId/1156).
mercoledì 19 agosto 2009
Un bambino prodigio di Irène Némirovsky (casa editrice Giuntina) dal 27 agosto in libreria
Irène Némirovsky
Pubblicata in Italia dalla Giuntina nel 1995, la Némirovsky passa inosservata finché la casa editrice Adelphi pubblicò “Suite francese” nel 2005, e subito dopo “Il ballo”,“David Golder”, “Jezabel”. “Un bambino prodigio” è una fiaba che ha l’ambientazione sfumata e il tono apologetico delle favole. Una Némirovsky segreta.
Un bambino prodigio
Nelle taverne di un porto del mar Nero, Ismaele Baruch, il bambino prodigio, canta i dolori e le gioie dei miserabili, degli emarginati, degli esclusi. Il suo talento affascina il poeta in crisi Romain Nord e la sua amante, la «Principessa», una ricca vedova in cerca di nuove emozioni. Strappato al suo mondo di miseria, Ismaele diventerà il giocattolo di una società aristocratica, pronta all'entusiasmo quanto al disprezzo, che finirà per umiliarlo inesorabilmente.
L’autrice
Irène Némirovsky nacque a Kiev nel 1903. A sedici anni emigrò in Francia con i genitori. Ebbe due figlie e scrisse una dozzina di libri. In quanto ebrea, nel luglio del 1942 fu arrestata dalla polizia francese e poi deportata ad Auschwitz dove fu uccisa un mese dopo.
Pagg. 67, Euro 8, Traduzione: Vanna Lucattini Vogelmann
In libreria dal 27 agosto
Le crew graffitare di Beirut lanciano messaggi di pace di Maria Beatrice Protino
In Libano c’è un singolare accordo: non si racconta la storia degli ultimi trent’anni.
Saro A., in arte Oras, ha 29 anni, fa il graphic designer e vive a Beirut, in Libano.
Nel 2006 inizia a dipingere sui muri della sua città, subito dopo lo scoppio dell’ennesima guerra tra Libano e Israele.
Come rilascia in un’intervista pubblicata su Ventiquattro del maggio scorso: «Beirut era sotto i bombardamenti e non era consigliabile uscire di casa. Non c’era da fare granché e abbiamo iniziato a scrivere sui muri a Karantina», il luogo di una delle peggiori stragi avvenute durante la lunga guerra civile degli anni settanta a opera della Falange cristiana. Eppure, loro, i graffitari, non scrivono niente di politico, niente che possa ricondurre la memoria a quella strage: del resto Saro non ha alcun ricordo di Karantina perché a scuola non si studia neanche la storia recente, per non rimettere in discussione i già precari equilibri libanesi.
I muri di Beirut, di Tripoli, di Sidone non possono essere usati per attaccare i concorrenti politici, ma solo per scrivere messaggi sociali, pacifici, costruttivi.
Le scritte sono coloratissime e spesso in inglese, altrimenti in arabo o in armeno e recitano: “Orsù, libanesi, svegliatevi!” o “Un solo Libano”, mentre le donne writer preferiscono i disegni e i graffitari più duri – quelli che fanno rap e graffiti insieme - usano le bombolette oro e argento, e poi, gli ultimi arrivati, i ragazzini di 13-14 anni, imbrattano i graffiti dei più grandi già presenti, in barba al principio dell’intoccabilità dell’opera di altri.
Il fenomeno della graffiti art è un fenomeno recente, anche se in linea con quello che già accadeva da anni sulla scena musicale rap. Naturalmente, dietro ai graffiti e alla scena hip hop c’è sempre la spinta verso la cultura underground e alternativa occidentale. D’altro canto, i graffiti hanno storia antica, se si pensa alle scuole calligrafiche arabe la cui eredità continua ad avere un ruolo importante nella cultura contemporanea: nelle terre del Levante sconquassate dalle guerre ha prodotto una precisa tendenza murale. Infatti, il graffito politico veniva usato già negli anni Ottanta, al tempo della prima intifada, quando i palestinesi usavano i muri di Gaza City e di Ramallah per scambiarsi parole d’ordine, appuntamenti, scioperi: erano i writers contro il potere, niente a che vedere con quelli libanesi.
Eppure, anche adesso e nonostante tutto, c’è qualcuno – come il saudita Saab B., anche lui graffitaro, ma sul web – che ritiene i murales di Karantina atti vandalici e contrari alla religione: a quanto pare tirare in ballo e agire in nome della cd. Religione è lo sport preferito ancora da molti – e purtroppo – nelle terre del sole Levante, anche quando sarebbe meglio non andare troppo per il sottile.
Saro A., in arte Oras, ha 29 anni, fa il graphic designer e vive a Beirut, in Libano.
Nel 2006 inizia a dipingere sui muri della sua città, subito dopo lo scoppio dell’ennesima guerra tra Libano e Israele.
Come rilascia in un’intervista pubblicata su Ventiquattro del maggio scorso: «Beirut era sotto i bombardamenti e non era consigliabile uscire di casa. Non c’era da fare granché e abbiamo iniziato a scrivere sui muri a Karantina», il luogo di una delle peggiori stragi avvenute durante la lunga guerra civile degli anni settanta a opera della Falange cristiana. Eppure, loro, i graffitari, non scrivono niente di politico, niente che possa ricondurre la memoria a quella strage: del resto Saro non ha alcun ricordo di Karantina perché a scuola non si studia neanche la storia recente, per non rimettere in discussione i già precari equilibri libanesi.
I muri di Beirut, di Tripoli, di Sidone non possono essere usati per attaccare i concorrenti politici, ma solo per scrivere messaggi sociali, pacifici, costruttivi.
Le scritte sono coloratissime e spesso in inglese, altrimenti in arabo o in armeno e recitano: “Orsù, libanesi, svegliatevi!” o “Un solo Libano”, mentre le donne writer preferiscono i disegni e i graffitari più duri – quelli che fanno rap e graffiti insieme - usano le bombolette oro e argento, e poi, gli ultimi arrivati, i ragazzini di 13-14 anni, imbrattano i graffiti dei più grandi già presenti, in barba al principio dell’intoccabilità dell’opera di altri.
Il fenomeno della graffiti art è un fenomeno recente, anche se in linea con quello che già accadeva da anni sulla scena musicale rap. Naturalmente, dietro ai graffiti e alla scena hip hop c’è sempre la spinta verso la cultura underground e alternativa occidentale. D’altro canto, i graffiti hanno storia antica, se si pensa alle scuole calligrafiche arabe la cui eredità continua ad avere un ruolo importante nella cultura contemporanea: nelle terre del Levante sconquassate dalle guerre ha prodotto una precisa tendenza murale. Infatti, il graffito politico veniva usato già negli anni Ottanta, al tempo della prima intifada, quando i palestinesi usavano i muri di Gaza City e di Ramallah per scambiarsi parole d’ordine, appuntamenti, scioperi: erano i writers contro il potere, niente a che vedere con quelli libanesi.
Eppure, anche adesso e nonostante tutto, c’è qualcuno – come il saudita Saab B., anche lui graffitaro, ma sul web – che ritiene i murales di Karantina atti vandalici e contrari alla religione: a quanto pare tirare in ballo e agire in nome della cd. Religione è lo sport preferito ancora da molti – e purtroppo – nelle terre del sole Levante, anche quando sarebbe meglio non andare troppo per il sottile.
Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore di Charles Bukowski (Minimum Fax): omaggio a Fernanda Pivano
Da sei anni a questa parte minimum fax ha iniziato la sua opera di riscoperta della poesia di Charles Bukowski, pubblicando opere inedite e postume che restituiscono l’immagine di un artista decisamente più complesso e profondo dello stereotipo del “vecchio sporcaccione” o della “mosca da bar” in cui lo si è spesso ingabbiato. Questo libro comprende la prima parte di Open All Night, una voluminosa antologia di poesie scritte fra gli anni Settanta e Novanta, che Bukowski lasciò al suo editore storico, la Black Sparrow Press, affinché fossero pubblicate dopo la sua morte.
È in gran parte una galleria di ritratti e di ricordi. Vecchi amici di gioventù, compagni di sbronze e compagne di letto, capiufficio e habitué dell’ippodromo, poeti vanesi e puttane orgogliose – tratteggiati con uno sguardo acutissimo in cui si mescolano l’affetto, il rancore e l’ironia – vanno a comporre un universo poetico e umano fatto di romanticismo sporco, di lucido disincanto ma anche, in fondo, di incrollabile speranza.
Caresse Crosby ha pubblicato il mio primo racconto
quando avevo 24 anni e poi altre cose tipo una
follia e depressione innata si sono impadronite
di me, e una sera da non so dove in Georgia ho scritto
una serie di lettere chiedendo aiuto - non aiuto morale
ma chiedendo soldi per magiare e roba del genere finchè non
fossi
riuscito a trovare un sistema per continuare a vivere nel modo
più indolore possibile.
dato che avevo dei genitori indifferenti e nessun amico ho spedito
le mie
lettere a dei letterati che non conoscevo.
be', non è arrivato un soldo, anzi non ci sono state proprio risposte, tranne
una
che in qualche modo mi ha seguito lungo una serie di città
e paesi
e mi ha raggiunto a New Orleans
ed era di Caresse e dentro non c'era un soldo
ma
la lettera era bella: lei raccontava che abitava in un
castello in Italia e aiutava i poveri.
Sono sempre stato innamorato delle fotografie di due persone:
Kay Boyle e Caresse Crosby.
nei panni di Harry non mi sarei mai ucciso
così stoltamente come ha fatto lui
me ne sarei stato a letto con Caresse, a bere vino
e a tirare freccette ai manifesti delle corride appesi alle pareti.
non ho mai scritto a Kay Boyle perchè avevo finito i francobolli
ma sono sicuro che mi avrebbe risposto anche lei
se ne avesse avuto la possibilità (p.164,165)
Charles Bukoswski
Dedico questo post alla "bad girl" della Beat Generation, Fernanda Pivano, e lo faccio con i versi di Bukowski che grazie a lei ho imparato ad amare.
È in gran parte una galleria di ritratti e di ricordi. Vecchi amici di gioventù, compagni di sbronze e compagne di letto, capiufficio e habitué dell’ippodromo, poeti vanesi e puttane orgogliose – tratteggiati con uno sguardo acutissimo in cui si mescolano l’affetto, il rancore e l’ironia – vanno a comporre un universo poetico e umano fatto di romanticismo sporco, di lucido disincanto ma anche, in fondo, di incrollabile speranza.
Caresse Crosby ha pubblicato il mio primo racconto
quando avevo 24 anni e poi altre cose tipo una
follia e depressione innata si sono impadronite
di me, e una sera da non so dove in Georgia ho scritto
una serie di lettere chiedendo aiuto - non aiuto morale
ma chiedendo soldi per magiare e roba del genere finchè non
fossi
riuscito a trovare un sistema per continuare a vivere nel modo
più indolore possibile.
dato che avevo dei genitori indifferenti e nessun amico ho spedito
le mie
lettere a dei letterati che non conoscevo.
be', non è arrivato un soldo, anzi non ci sono state proprio risposte, tranne
una
che in qualche modo mi ha seguito lungo una serie di città
e paesi
e mi ha raggiunto a New Orleans
ed era di Caresse e dentro non c'era un soldo
ma
la lettera era bella: lei raccontava che abitava in un
castello in Italia e aiutava i poveri.
Sono sempre stato innamorato delle fotografie di due persone:
Kay Boyle e Caresse Crosby.
nei panni di Harry non mi sarei mai ucciso
così stoltamente come ha fatto lui
me ne sarei stato a letto con Caresse, a bere vino
e a tirare freccette ai manifesti delle corride appesi alle pareti.
non ho mai scritto a Kay Boyle perchè avevo finito i francobolli
ma sono sicuro che mi avrebbe risposto anche lei
se ne avesse avuto la possibilità (p.164,165)
Charles Bukoswski
Dedico questo post alla "bad girl" della Beat Generation, Fernanda Pivano, e lo faccio con i versi di Bukowski che grazie a lei ho imparato ad amare.
martedì 18 agosto 2009
Il libro del giorno: La maledizione degli Usher di Robert C. McCammon (Gargoyle Book)
Per intere generazioni la Casa degli Usher ha prosperato e si è arricchita grazie alla realizzazione a alla vendita di micidiali armi da guerra. Ma un' entità malefica ha vissuto e si è sviluppata all'interno della Casa degli Usher, una remota eredità di depravazione e di sangue che imbratta i corridoi della tenuta di famiglia... Liberamente ispiratosi a "La caduta della Casa degli Usher" di Edgar Allan Poe, McCammon usa la sua sulfurea immaginazione per ricavarne un romanzo coinvolgente e terrificante: ne "La Maledizione degli Usher" l'autore s'insinua sapientemente nella trama originaria ponendo un dubbio... E se la storia non fosse finita con la morte di Roderick e Madeline, più di cento anni fa? E se ci fosse stato un fratello a portare avanti il nome di famiglia, oltre che a ereditare il deplorevole patrimonio lordato di sangue? Ambientata ai giorni nostri nel Nord Carolina, la storia ha inizio con Rix, giovane erede degli Usher, prossimo a fare ritorno a casa dopo il servizio militare. Ad attenderlo, il padre sul letto di morte. Rix è un fervente pacifista, e non ha alcuna intenzione di subentrare nel giro d'affari di 10 miliardi di dollari al quale è predestinato. Ma la Casa lo ha scelto, sarà lui a ereditarne le redini: non solo per quanto riguarda l'opulento patrimonio che si dice maledetto, ma anche per gli orripilanti e terribili segreti che abitano e governano la Casa degli Usher. Rix, in preda a un vortice d'incubi ancestrali, sarà costretto a scatenare tutti gli atroci e oscuri poteri degli Usher e ad affrontare una volta per tutte la più tetra delle realtà: non solo chi egli è... ma cosa è.
"Nell'accumularsi continuo di rivelazioni e orrori di questo notevole omaggio a Poe e alla sua mitologia e poetica (ma anche romanzo pacifista contro l'industria delle armi), orchestrato da McCammon con la perizia di un musicista di cacofonie del terrore esaltanti e nauseabonde, si giunge al climax finale, davvero sorprendente, con la sensazione di precipitare in una dimensione di spavento che rimanda in molti suoi spunti a Roger Corman"
di Federico Ercole tratto da Il Manifesto del 18/08/09, p. 12
casa editrice Gargoyle Books: http://www.gargoylebooks.it/site/
"Nell'accumularsi continuo di rivelazioni e orrori di questo notevole omaggio a Poe e alla sua mitologia e poetica (ma anche romanzo pacifista contro l'industria delle armi), orchestrato da McCammon con la perizia di un musicista di cacofonie del terrore esaltanti e nauseabonde, si giunge al climax finale, davvero sorprendente, con la sensazione di precipitare in una dimensione di spavento che rimanda in molti suoi spunti a Roger Corman"
di Federico Ercole tratto da Il Manifesto del 18/08/09, p. 12
casa editrice Gargoyle Books: http://www.gargoylebooks.it/site/
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