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martedì 18 agosto 2009

Nani, Ballerine e altre Suggestioni di Angela Leucci (Edizioni Akkuaria

Il Salento. Terra di transito, di attraversamenti, di ragni tarantolati, di ulivi secolari. Salento, terra di meraviglie barocche, di cultura, non solo terra dove impera lu sule, lu mare, lu ientu! Già perché c’è un aspetto della storia della letteratura di questo territorio ancora tutta da scoprire, tutta ancora da valorizzare e da apprezzare, e per certi versi forse poco rassicurante. Obiettivamente la produzione letteraria di queste lande, da Salvatore Toma a Antonio Leonardo Verri sino a Claudia Ruggeri, ha raccontato sia in prosa che versi, una geografia della scrittura che parlava di queste latitudini in maniera non certo entusiastica, dove il lirismo mitologico di un luogo quasi utopico e incontaminato sotto qualsiasi punto di vista, veniva sostituito dalla narrazione di un luogo, il nostro, tutt’altro che idilliaco,anzi … un inferno “minore”, citando l’opera della Ruggeri, dove il barocchismo delle identità diveniva sublimazione dell’ipocrisia, della volgarità, del pressapochismo, di una claustrofobia esistenziale che lacerava ogni slancio. A cavallo poi tra gli anni ’80 e ’90 il Salento ha visto nascere il pulp, la beat generation con Maurizio Leo di Copertino, Giovanni Santese di Sternatia (ricordo per Luca Pensa editore il suo “Amore lavati, che ti porto a ballare), il leccese Vito Antonio Conte, il noir con Luciano Pagano, sino al Giallo di Raffaele Polo, Graziano Tramacere, Gianni Capodicasa, Piero Grima, Lino De Matteis, Lucia Accoto e altri che hanno pubblicato i loro gialli ambientati nel Salento con altre case editrice tra cui Manni. Devo dire che le sorprese non sono ancora finite, sintomo che la possibilità di trasformare una terra del “rimorso” in una gigantesca fonte d’ispirazione per quel genere letterario come il “Giallo” (Il termine "giallo" si deve al colore della collana Il Giallo Mondadori, ideata da Lorenzo Montano e pubblicata da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929) che a tutt’oggi ha i suoi appassionati seguaci, sono ancora moltissime. Con meraviglia poi leggo il lavoro di Angela Leucci per i tipi di Edizioni Akkuaria, dal titolo “Nani, ballerine e altre suggestioni” e dal titolo mi aspetto una prosa immaginifica, tra il grottesco e l’onirico o metafisico se si preferisce, sulla scia della migliore visione di un Federico Fellini. Ma pagina dopo pagina mi accorgo che Leucci mi ha coinvolto nella sua ragnatela di storie, personaggi, contingenze davvero inquietanti. Ora che l’autrice sappia come condire di brividi i suoi racconti, è fuori discussione, vi è il crimine, il mistero, le relative indagini per scoprire il colpevole di turno, che vi assicuro in questo caso non è il maggiordomo. Le vicende prendono corpo a Lecce, Maglie, nel Salento tutto insomma, (l’ambientazione è facilmente individuabile) e ci si può immedesimare da subito perché parlano di fatti che sono alla portata della nostra quotidianità, ma che di usuale hanno veramente ben poco in quanto ci fanno capire come le persone che ci circondano, quelle che possiamo incontrare lungo le scale del nostro condominio, mentre facciamo la fila alle poste, o che siedono al tavolo accanto mentre prendiamo un aperitivo con degli amici al bar, rappresentano l’altro come atroce (con un gioco semplice di elisione possiamo trasformare il latino “alter” , altro per l’appunto, in “ater” atroce) ovvero come entità mostruosa che può tutto. D’altra parte i killer seriali ce lo insegnano da Rostov ( nella realtà Andrej Romanovič Čikatilo) in poi! E dunque chiunque potrebbe essere un cannibale, un omicida efferato, un necrofilo e chi più ne ha più ne metta. L’abilità di Angela Leucci sta poi nell’aver voluto trasformare questi incubi in scene descritte con estrema velocità, e sintesi, da 8 mm direi, proprio come l’assurdo e la morte si manifestano in tutta la loro forza e assurdità, senza darti nemmeno il tempo di riflettere. In questo libro si parla di amore, di amicizia, di sesso, di morte con un unico filo conduttore: una lunga scia di sangue. Da leggere magari con sottofondo Nick Cave, Bob Dylan, Tom Waits. Scrive Antonio Errico nella prefazione al libro: “Angela Leucci racconta. Con precisione, esattezza, rapidità. Con ironia, icasticità, a volte con sarcasmo. Interpreta situazioni e condizioni del vivere. Prende parte. Racconta. Dei suoi personaggi conosce ogni storia, condivide tutte le passioni, è compagna di strada discreta, premurosa. Racconta facendosi personaggio tra i personaggi, senza nascondere mai sentimenti ed emozioni, senza pretendere di governare le storie, ma lasciandosi portare dal loro corso, affidandosi, se occorre, all’imprevedibilità della sorte. La sua narrazione prevede – strutturalmente – il soggetto che narra. Le vicende che si dispiegano non sanno farne a meno, lo pretendono, lo richiamano.” Certo, ha ragione Antonio Errico, ma alla fine quello che quest’autrice ci dimostra, è che la sorte alla fine è solo una delle tante storie che esistono simultaneamente in questo mondo, che è il peggiore dei mondi possibili

lunedì 17 agosto 2009

Il libro del giorno: Incontri alla fine del mondo Conversazioni tra cinema e vita di Werner Herzog (Minimum Fax)

Cineasta, esploratore, antropologo, poeta, visionario. Tutti questi tratti si fondono organicamente in una delle figure più originali, creative e irriducibili del panorama cinematografico contemporaneo: Werner Herzog. Famoso per i suoi film «estremi», Herzog ne ripercorre in questo generoso libro-intervista la genesi, la lavorazione e l’impatto su critica e pubblico. Ma quel che più conta, per Herzog, è l’individuazione dello strettissimo legame tra i suoi film e la sua vita, tanto stretto da far sì che i primi appaiano un naturale prolungamento e sviluppo della seconda. Perché ciò sia possibile, Herzog si tiene alla larga dai teatri di posa e dalle produzioni in provetta; si getta nel mondo e trasforma il set in un luogo avventuroso e pulsante.

"La freschezza, vivacità e apertura dello sguardo di Herzog rendono il libro un’affascinante occasione di incontro con terre e popoli remoti, un emozionante attraversamento della storia europea della seconda metà del Novecento, nonché una lucida riflessione teorica sul rapporto tra cinema di finzione e documentario, tra mondo dell’immaginario e reale",

Conversazioni tra cinema e vita di Flavio Fabbri
Key4biz - 20 luglio 2009

casa editrice Minimum Fax: http://www.minimumfax.com/home.asp


Incontri alla fine del mondo, Conversazioni tra cinema e vita di Werner Herzog
(Minimum Fax) a cura di: Paul Cronin e Francesco Cattaneo

Nuovo successo del musicista di Galatone Giovanni Maria Pala che ha scoperto le note ne “L'ultima Cena” di Leonardo da Vinci


Il libro di Pala tradotto in spagnolo, giappponese, e portoghese in tutto il Centro e Sud America.
Ritorna a varcare l’oceano il successo della ricerca di Giovanni Maria Pala, autore del volume "La musica celata”. Il libro, che illustra la scoperta di un codice segreto scritto in maniera speculare tra le figure del dipinto di Leonardo da Vinci - "L'Ultima Cena" - è stato recentemente tradotto in lingua spagnola e portoghese e distribuito in tutto il Centro e Sud America. Dopo l'attenzione riservatagli dalla comunità scientifica giapponese, concrettizzatasi con l’edizione della prestigiosa casa editrice East Press e in un documentario sulla principale televisione nazio¬nale nipponica - Tokio Television con la collaborazione della Kirin Art Gallery - l'opera ha appena fatto il suo debutto in tutta America Latina. Le due edizioni - “La musica escondida”, edito dalla Spagnola Ediciones B di Madrid - e “A musica oculta”, prodotta dalla prestigiosa casa editrice LaRousse, sono già nelle librerie di Brasile, Messico, Argentina, Venezuela, Colombia, Cile, Perù, Honduras, Costa Rica, Bolivia, Uruguay, Ecuador, Paraguay, Guatemala, Panama, Nicaragua e Guyana. Proprio in questi ultimi giorni la televisione di Stato Argentina – TV4 - ha trasmesso all'interno della serie “I misteri del terzo millennio”, un'intera puntata dedicata alla straordinaria scoperta del musicista Salentino. In questo “Special” la melodia, un requiem che è stato già trasportato in una toccata e fuga per organo e in una versione per orchestra, ha fatto da sottofondo a un'accurata analisi della ricerca. Il libro appena pubblicato è una edizione rivista che ha comportato alcuni ampliamenti e spiegazioni, più adatte per i poco accorti lettori sud-americani. La scelta è stata soprattutto dettata dall’esperienza acquisita nel fortunato tour nord-americano dello scorso ottobre 2008, quando Giovanni Maria Pala si è trovato a dover rispondere a diverse domande sui legami con il “Codice da Vinci” di Dan Brown. Accostamento più che mai inopportuno, visto il valore scientifico della ricerca del musicista e studioso Salentino. Un saggio che si legge come un romanzo e che contiene un accurata analisi su un pezzo di storia dell’arte, sulla musica del quattrocento, e sui misteriosi codici che Leonardo ha criptato nella sua celebre opera. Una scoperta affascinante, unica al mondo, che ha ag¬giunto un inedito tassello ai tanti misteri che ancora circondano la figura di Leonardo da Vinci.

domenica 16 agosto 2009

Il libro del giorno: Rossini. L'uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola (Bompiani)

"II ritorno imponente di Rossini che nella ricerca musicologica non meno che nel mondo dello spettacolo ha caratterizzato la seconda metà del '900, ha portato a tali mutamenti di giudizio sui compositore, da giustificare il termine di renaissance col quale tale fenomeno si suole indicare nel mondo della musica. Alle testimonianze degli studiosi, promosse dalla ammirevole fondazione Rossini di Pesaro, agli atti dei convegni, ai saggi e articoli sparsi nelle pubblicazioni musicologiche, non corrispondeva ancora un'opera organica che di tale rinascita fosse lo specchio fedele, offrendone un quadro completo, agile e aggiornato, tale da qualificarsi come punto di una situazione culturale che ha necessariamente consegnato alla storia e reso improponibili i precedenti e anche illustri documenti bibliografici." (Giovanni Carli Ballola)

"La musica ha una morale, interna alle proprie regole, alle tecniche, agli stili, alla consapevole memoria di sè. Di tale moralità formale Gioacchino Rossini è un consapevole campione. L'ampia monografia di Giovanni Carli Ballola (Rossini, l'uomo la musica) dedicata a un benefattore dell'umanità, capace di lenire col miraggio pietoso di un bello ideale le nostre spirituali miserie, svela pieghe creative ancora poco indagate dalla pur immensa bibliografia rossiniana"

di Sandro Cappelletto tratto da Tuttolibri de La Stampa, del 15/08/09, p. V

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

Rossini. L'uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola, 2009, 403 p., brossura
Bompiani (collana Tascabili)

Fortune e miserie del counseling filosofico. Di Mimmo Pesare (seconda parte)

















Scomposizione, ricomposizione, disamina e indagine. Attraverso questi quattro step, dunque, sarebbe possibile cristallizzare l’interpretazione di tutti i possibili casi umani e portare una soluzione ai relativi dilemmi. In questo modo, continua Lahav, sentimenti quali la mancanza di fiducia, il senso di melanconia, il pudore eccessivo e la sensazione di non farcela, lungi da una visione come quella di Hillman, secondo il quale tali passioni deboli sono altrettanto ricche e costituiscono chiavi di lettura privilegiate della propria anima, possono essere modificate in direzione cognitivista, armeggiando, cioè, all’interno della propria visione del mondo!
Al contrario della più condivisibile lezione di Achenbach, secondo il quale il counselling consisterebbe in una continua reinterpretazione di se stessi e del mondo, dunque in un’ottica ermeneutica, Lahav ritiene invece che la meta di tale pratica sia la formazione di un’immagine stabile di sé (cfr. p. 32), della propria vita, da adottare come visione del mondo nuova di zecca e che sostituisca la propria originale visione del mondo malandata. La consulenza filosofica, pertanto, costituirebbe una soluzione umanistica a chi “chiede un senso alla propria esistenza”. Questo, nell’opinione di chi scrive, rappresenta l’elemento di maggiore problematicità: un senso. Secondo Lahav la phronesis, la saggezza pratica che il counselling dovrebbe dispensare, sarebbe equivalente del senso, di “un” senso, ossia dell’unica chiave d’accesso a una normale razionalizzazione del proprio vissuto. Il’y a du sense, amavano ripetere negli anni Cinquanta gli esistenzialisti di matrice fenomenologica: c’è del senso, c’è un senso per ogni cosa e trovandolo si accede alla verità.
Probabilmente, però, la fluidità contemporanea di cui si diceva all’inizio, mal si presta a un tipo di rassicurante contenitore come quello suggerito da Lahav; pare difficilmente proponibile, oggi, una visione della saggezza come struttura soterica. Una salvezza preconfezionata e, in qualche modo, “impartita” appare né più né meno che una pallida versione laica dei catechismi elargiti negli oratori del boom economico italiano...poco cambia il fatto che tale approccio alla propria vita sia nobilitato dai contenuti alti del pensiero filosofico, poiché il messaggio di fondo è che esiste un senso come risposta alle cose, e questo senso viene dall’esterno. Tale concezione soterica del counselling mina alla base i processi dinamici di costruzione del Sé, che, invece che arroccarsi dietro i baluardi di una legittimazione di senso unitaria e salvifica, crescono e si strutturano attorno a una visione della propria vita quale racconto e costruzione graduale e continua, come nella lezione di Kohut (1978).
Risulta molto pericoloso, infatti, barattare un periodo di crisi personale con una soluzione cognitiva alle vicissitudini interne che il processo di crescita individuale impone come stepping-stone psico-emotiva. Questo perché se nella visione del mondo del consultante, la saggezza del consulente viene avvertita come antidoto ai propri malesseri, si va a colludere con la mancanza di senso del primo. Un esercizio come quello del counselling, pertanto, non dovrebbe rappresentare la nostalgia unificatoria in una presunta normotipia da “maestro di vita”; al contrario – e prendendo umilmente il contributo dell’epistemologia psicoanalitica – il counselling dovrebbe educare, servendosi dei concetti (e non di altri strumenti che non possiede) a un abbandono al pluralismo evenemenziale insito naturalmente nella casualità della vita umana. Quest’ultima, in senso profondo, è fondamentalmente una costruzione interminabile (Freud 1937).
Per questa ragione il pericolo più concreto che viene da una razionalizzazione del vissuto, come auspica il contributo di Lahav, è quello di creare un gap per il quale nei momenti di assenza di razionalità (e la vita quotidiana ne è piena!) la reazione emotiva del consultante sarebbe di burn-out, ossia caratterizzata da una impossibilità di contenere la situazione traumatica. Allo stato del discorso, dunque, si sarebbe di fronte a una dicotomia tra la tentazione di una saggezza soterica e sistematrice, da una parte, e una educazione all’abbandono nei confronti della multiformità della vita, dall’altra. Quest’ultima, nell’opinione di chi scrive, e seguendo la lezione di Kohut, costituisce una possibilità più concreta di contenere ed elaborare il proprio vissuto problematico; un atteggiamento, insomma, più che una “soluzione” (apparentemente) decisiva come quella di assumere una visione del mondo diversa dalla propria. Del resto, come riteneva lo stesso Jaspers (1919), ogni visione del mondo, non importa se espressa in forma mitologica o concettuale, inerisce all’intima esistenza di chi la professa e nell’esistenza di ognuno di noi coesistono le cosiddette situazioni-limite, cioè ossia quei “luoghi” in cui l’esistenza sperimenta lo scacco della ragione cartesiana, il naufragio verso il nulla ma insieme anche la possibilità di una esperienza di vita “autentica”:
Situazioni come quella di dover essere sempre in una situazione, di non poter vivere senza lotta e dolore, di dover assumere irrimediabilmente la propria scelta, di dover morire (...) Esse non mutano in sé ma solo nel loro apparire; nei confronti del nostro essere hanno un carattere di definitività. Sfuggono alla nostra comprensione, così come sfugge al nostro esserci ciò che sta al di là di esse. Sono un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo. Non possiamo operare in esse alcun mutamento, ma dobbiamo limitarci a guardarle in faccia con coraggiosa chiarezza, senza poterle spiegare o giustificare in base a qualcosa. Esse sussistono con l’esserci stesso. (Jaspers 1932, p. 678)

Se, allora, la consulenza filosofica si deve rivolgere all’esistenza del consultante, questa deve essere interpretata in senso ermeneutico e secondo la sua chiave etimologica più profonda: e-sistenza come “posto eccentrico”, dove cioè, convivono situazioni “normali” e situazioni-limite. E siccome la filosofia “lavora” coi concetti e non con strumenti terapeutici che appartengono ad altre scienze, l’unico vantaggio che può venire da un approccio filosofico ai dilemmi umani è esclusivamente il riconoscimento di tali situazioni limite e la possibilità di “nominarle” attraverso i concetti. Come scrivono, infatti, Deleuze e Guattari (1991), “il filosofo non è chi dispensa saggezza, ma chi forma concetti” (p. 25).
I concetti, al massimo, possono essere elementi mediatori di come ci rappresentiamo il mondo e di come percepiamo il nostro vissuto, non certo produttori di Weltanschaungeen a domicilio. Per questa ragione, probabilmente, il ruolo del consulente filosofico come dispensatore di visioni del mondo, non solo mal si presta a una cura animi che deve necessariamente fare i conti con altri saperi e altre competenze (per non creare più danni di quanti ne voglia lenire), ma oltretutto cozza con lo stesso spirito originario della filosofia socratica, che tendeva a trarre fuori dal soggetto la propria personalissima saggezza e non, al contrario, a instillarne una, per così dire, “esogena”.
Del resto già Freud, nella lezione 35 dell’Introduzione alla psicoanalisi (1917), non mancava di esplicitare tutto il suo sospetto e il suo sarcasmo per un’accezione di Weltanschaung come sinonimo di “determinismo”; questo perché, secondo lo psicoanalista viennese, il lato più pernicioso di una visione del mondo intesa come antidoto alle insicurezze e alla sofferenza, è quello di presentarsi alla mente come una “macchina erogatrice di verità e norme” (p. 218). E la verità, secondo Freud, ha come suo contrario non la menzogna o la non-verità, ma la ricerca, cioè il nucleo stesso dello spirito filosofico. Se allora l’errore metodologico della filosofia è quello di sopravvalutare la portata conoscitiva delle operazioni logiche, un’esperienza quale quella jaspersiana delle situazioni-limite dovrebbe essere non solo “non risolta”, ma esperita quale sorgente di auto-chiarificazione e auto-interpretazione senza soluzione di continuità a vantaggio della propria peculiarissima costruzione interiore.
In questo senso, la consulenza filosofica non può sostituirsi alla psicoanalisi come sua versione light, né potrebbe probabilmente ritagliarsi un suo campo d’azione autonomo basato sulla “produzione e vendita” di visioni del mondo take-away o di “immagini stabili di sé”: la costruzione di sé è un processo fondamentalmente emotivo e non esclusivamente cognitivo – come si tende a pensare – , pertanto se la filosofia lavora coi concetti, un consulente filosofico che voglia rispondere coerentemente allo statuto epistemologico della disciplina che ha deciso di abbracciare, potrebbe essere più utile ai dilemmi di chi decide di affidarsi alle sue foucaultiane cure trattando i concetti come alleati (Deleuze, Guattari 1991) delle emozioni, cioè come catalizzatori e chiarificatori di esse, e non, al contrario, come strumenti di stabilizzazione e di correzione del vissuto personale della gente.


Bibliografia:

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sabato 15 agosto 2009

Il libro del giorno: Ernesto Assante e Gino Castaldo, Il Tempo di Woodstock (Laterza)

Cosa è stato davvero Woodstock? Di sicuro molto di più che un semplice festival di musica. Diciamo una singolarità della storia, un monumento costruito in tempo reale a una rivoluzione che si stava sbriciolando nello spazio di un sogno. Ernesto Assante e Gino Castaldo raccontano, minuto per minuto, la madre di tutti i raduni rock del mondo.

Dobbiamo pensare a Woodstock come l’effetto generato da anni di controcultura, come la materializzazione di visioni coltivate da una generazione che, come mai prima nella storia, aveva varcato il confine tra la realtà e l’immaginazione. Non ultimo come l’aggregazione di alcune tra le migliori menti musicali che circolavano in quel momento nel mondo, e in quel momento la musica parlava il linguaggio alato della rivoluzione delle coscienze. Dobbiamo pensare a Woodstock come una foto di gruppo dell’energia esplosiva e liberatoria sperimentata da un’intera generazione. Una immagine mossa, sovraesposta, successivamente manipolata, truccata, imbellettata, ma pur sempre una foto. Rimane da svelare il negativo originale.

" - Il futuro non è quello di una volta - . Lo scrivono Ernesto Assante e Gino Castaldo in un bel libro edito da Laterza, Il Tempo di Woodstock, pp.170, euro 15,00. Come a dire che, quarant'anni dopo il festival più simbolico nella storia della musica, tutto sembra irrimediabilmente perduto. Anzitutto il sogno."

di Andrea Scanzi tratto da Tuttolibri de La Stampa del 15/08/09, p. IV

casa editrice Laterza: www.laterza.it

venerdì 14 agosto 2009

53ma Biennale di Venezia: Virtual Mercury House da un progetto e idea di Caterina Davinio















Nel Centenario del Futurismo, nel quarantennale dello sbarco sulla luna, Caterina Davinio ha realizzato la prima installazione italiana di poesia su Second Life, mondo virtuale in 3D dove si può incontrare, costruire, abitare, vivere una seconda vita e, perché no, anche leggere, installare, “performare” poesie con un avatar 3D. La prima installazione italiana di poesia su SL ha la forma di un'astronave sospesa a pochi metri dal suolo su una spiaggia, dove i poeti assumono l'aspetto di prismi colorati: cliccando su ognuno di essi si riceve in dono una poesia. E' inoltre possibile farsi teleportare - tra effetti speciali - all'interno dell'astronave, dove altri poeti hanno forma di sfere che, a contatto del mouse, rilasciano un testo. Sono presenti link alla costellazione di siti del progetto, che nel libro degli ospiti ha raccolto oltre duecento poesie da tutto il mondo in numerose lingue diverse, lingue “aliene” incluse… Hanno aderito all’evento, dedicato a Eugenio Miccini, esponente storico della poesia visiva italiana, scomparso nel 2007, molti protagonisti dell’avanguardia poetica internazionale e artisti di varie generazioni che operano con il linguaggio. Il progetto, ideato e realizzato da Caterina Davinio, pioniera della computer poetry italiana dal 1990, è parte di MHO_Save the Poetry, evento collaterale della 53ma Biennale di Venezia promosso dalla Fondazione Mare Nostrum, curato da Marco Nereo Rotelli e coordinato dall'Arch. Elena Lombardi. Collaboratore tecnico SL: Riccardo Preziosi. Il progetto on line è aperto alle adesioni, infatti gli utenti possono proporre loro testi creativi e poesie in questo link:

http://htmlgear.tripod.com/guest/control.guest?u=virtualmercuryhouse&i=1&a=sign
o inviarli per e-mail all’indirizzo: davinio.art.electronics@gmail.com

Nella “call for entries” scrive Caterina che i poeti sono un po’ come alieni in terra, e forse la poesia è guardare da un punto di vista estremo, da una prospettiva altra, qualcosa da difendere in un mondo globalizzato e omologato, divenuto forse un pianeta da cui fuggire. Ma i poeti, benvenuti a bordo dell’astronave di poesia, ritorneranno per affermare il loro punto di vista contro la violenza e l’annullamento di identità e differenze. Sul tema delle identità culturali minacciate la Fondazione Mare Nostrum, presieduta da Orlando Pandolfi, ha sviluppato negli anni altri progetti, tra cui Isola della Poesia, evento collaterale della Biennale di Venezia del 2005, a cura di Marco Nereo Rotelli, con un grande evento on line a cura della stessa Caterina Davinio, che ha coinvolto 500 poeti da tutto il mondo. La collaborazione tra Rotelli e la Davinio risale, però, al 2001, anno in cui collaborarono allo storico evento di poesia della 49ma Biennale di Venezia: Bunker Poetico, progetto speciale voluto da Harald Szeemann, cui parteciparono oltre mille poeti e artisti da tutto il mondo. Nell'ambito della Biennale di Venezia del 2009 in corso, tra gli Eventi collaterali, è possibile vedere sull'Isola di San Servolo l’installazione “Save the Poetry” di Marco Nereo Rotelli, ispirata alla ricerca dell’artista sulla scrittura rongo-rongo dell’Isola di Pasqua. E' inoltre previsto un evento speciale il 9 ottobre 2009, a Venezia (Isola di San Servolo, Piazza Baden Powell), cui sono invitate personalità della cultura internazionale e della poesia, tra cui: Adonis, Yang Lian, Massimo Donà, Giulio Giorello, Claudio Angelini, Loretto Rafanelli, Edgar Hereveri, Annette Zamora Rapu, Matteo Ferretti, Marco Nereo Rotelli, Orlando Pandolfi, Mattia Listowsky, Edoardo Sanguineti, Cinzia Fratucello e altri. Parte on line: Caterina Davinio, con eventi live in contemporanea su SL e sugli altri siti del progetto, che coinvolge Facebook, YouTube e altre community. Coordina Elena Lombardi. Assistenza tecnica SL: Riccardo Preziosi.

Tra i poeti e artisti invitati all’evento on line:

Francesco Dalessandro (Italia), Luigi Di Ruscio (Norvegia), Chiarlone Bruno (Italia), Antonio Spagnuolo (Italia), Chiara De Luca (Italia), Fortuna Della Porta (Italia), @Netwurker (Australia), John Gian (Italia), Pietro Barbera (Italia), Faraòn Meteosès (Italia), Marco Palladini (Italia), Antonia Colasante (Italia), Rod Summers/Vec Maastricht, (The Netherlands), Ida Campagnola (Italia), Doron Furman Tel Aviv, (Israel), Wilton Azevedo Sao Paulo (Brazil), Ted Warnell (Medicine Hat,Canada), Eugenio Lucrezi (Italia), Enrico Tavernini (Italia), Ilaria Drago (Italia), Franco Piri Focardi (Italia), Anat Elberg (New York, Ny), Mario Vassalle (New York ,Usa), G.H. Hovagimyan (New York, Usa), Geraldo De Joachima (Neuva York, Etats Unidas), Irving Weiss Dix Hills, (Ny Eua), Gabriella Di Trani (Italia), Ben Brack Maastricht, (Holland), Matteo Fantuzzi (Italia), Alckmar Santos Silveiras – (Sp/Brasil), Sitalo Nove (Italia), Luisella Carretta (Italia), Laura Mautone (Italia), Sergio Sarritzu (Italia), Stefano Donno (Italia), Miekal And Dreamtime Village, (Usa), Rosetta Berardi (Italia), Linda Mavian (Italia), Paolo Arceri (Italia), Luc Fierens (Belgium), Massimo Mori (Italia), Alfonso Lentini (Italia), Elda Torres (Italia), Holly Crawford (Nyc/Usa), Gustavo Sànchez-Velandia (Paris/France), John M. Bennett Columbus, (Ohio, Usa), Massimo Zanasi - Arka (H.C.E.) (Italia), Eric Dubois (Joinville Le Pont/France), Reid Wood Oberlin, (Ohio, Usa), Javier Robledo (Argentina), Pete Spence (Australia), Karissa Lang (Chicago/Usa), Randy Adams Nanaimo, (Canada), Lucas Farrell Middlebury, (Vermont, Usa), Adrian Arias (Peru) (San Francisco Us), Gigi Zoppello (Italia), Caterina Davinio (Italia), Italo Testa (Italia), Giovanni Fontana (Italia), Lorenzo Mazza (Italia), Tomaso Binga (Italia), Keith A. Buchholz (St. Louis, Missouri, U.S.A.), Sara Maino (Italia), Mud Scab (Usa), Vermeulen Guido (Belgium), Radoslav B. Chugaly (Odzaci / Serbia), Djazairia Lamia (Rue Emir Khaled Ain-Defa 44000 Algérie), María Jimena Pintos (Montevideo/Uruguay), Klaus Peter Dencker (Germany), Pedro Juan Lopez (Caracas, Venezuela), Maria Grazia Calandrone (Italia), Lamberto Caravita (Italia), Reynolds (Brooklyn, Ny Usa), Paul Murphy (Ireland), Piotr Osuszkiewicz (Brussels/Belgium), Juan Jose Díaz (Infante Mexico), Margherita Levo Rosenberg (Italia), Anna Boschi (Italia), Giovanni And Renata Strada (Da Italia), Robitah Nawawi (Malaysia), Richard Piegza Paris (France), Vincent Gregory (Switzerland), Carmela Corsitto (Italia), Maria Grazia Galatà (Italia), Robert Van Saane (Netherlands), Alberto Mori (Italia), Armando Tinnirello (Italia), Pascale Gustin Paris, (France), Ricci Rossella (Italia), Ignacio Pérez Pérez (Venezuela), Alessio Liberati (Italia), Aidana Rico (Caracas), Allan Revich Toronto, (Canada), Angela Ibañez Zaragoza (España), Mario Lunetta (Italia), Vincenzo Bagnoli (Italia), Lamberto Pignotti (Italia), Lello Masucci (Italia), Francesco Muzzioli (Italia), Cecil Touchon (Fort Worth, Texas Usa), Bruno Santos Coimbra (Portugal), Emanuela Santoro (Italia), Daniel Daligand Levallois (France), Aristotelis Triantis Karditsa (Greece), Joe Murray Kansas (Usa), Gilberto Prado (São Paulo Brazil), Tony Green (North Shore City, New Zeland), Nathalie Ranc (France), Flavia Fernandes (Florianopolis,Brasil), Thomas Nicolai (Germany), Claudio Grandinetti (Italia), Carla Della Beffa (Milano/Italia), Maria Grazia Martina (Italia), Don Boyd Mt. (Vernon/Ohio/Usa), Mariapia Quintavalla (Italia), Sanda Nedic (Italia), Marija Nikola Vauda Pilipovic Manik (Serbia), Jean-Pierre Balpe Paris (France), Demosthenes Agrafiotis (Greece), Eugenia Serafini (Italia), Sérgio Monteiro De Almeida (Curitiba/Brazil)

Il libro del giorno: In difesa del cibo di Michael Pollan (Adelphi)

Nel Dilemma dell'onnivoro Michael Pollan aveva smontato, una portata dopo l'altra, il pranzo che ci apparecchiamo ogni giorno, dimostrando che cosa in realtà contenga a dispetto delle etichette. In questo libro, che amplia e conclude il precedente, Pollan va oltre, demolendo alla sua maniera - brillante e sempre imprevedibile - una credenza perniciosa e ormai diffusissima, e cioè che a renderci più sani e più belli non siano le cose che mangiamo, ma le sostanze che le compongono. Nel mondo immaginato dai nutrizionisti, ricorda Pollan, anziché perdere tempo a sbucciare e fare a spicchi le arance basterebbe assumere una quantità equivalente di vitamina C. Nel nostro accade invece che gli stessi nutrizionisti mettano improvvisamente al bando le componenti della dieta che fino a poche settimane prima avevano considerato irrinunciabili, e che per paradosso gli Stati Uniti, cioè il paese più di qualsiasi altro ossessionato dal terrore di mangiare ciò che fa male, o di non mangiare ciò che fa bene, si siano dati il modello alimentare più malsano e patogeno fin qui conosciuto. Il rimedio? Sarebbe semplice, sostiene Pollan: non mangiare nulla che la nostra nonna non avrebbe mangiato. In altre parole, cibo vero, meglio se poco, e meglio ancora se verde. Sarebbe semplice, cioè, se non sconvolgesse il credo dell'industria più potente e insostituibile al mondo, quella agroalimentare. Che, come dimostrano le violente polemiche subito suscitate da questo libro, non intende arrendersi senza combattere neppure all'evidenza.

"Una nuova puntata delle grandi inchieste di Michael Pollan sul pianeta cibo"

di Massimiliano Panarari tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1117, p. 88

casa editrice Adelphi: www.adelphi.it

Umberto Galimberti, La casa di psiche, Milano, (Feltrinelli). Intervento di Mimmo Pesare

Non è facile descrivere in poche righe questo lavoro di Umberto Galimberti, anzitutto perché se dovessi definirne la tipologia scientifica non saprei se indicarlo come saggio critico o come manuale.
In realtà quest’ultima definizione è difficilmente utilizzabile in quanto l’oggetto del libro, ossia la pratica (o consulenza) filosofica, non possiede ancora i caratteri di disciplina scientifica, per quanto da una decina d’anni in Europa, e da un po’ meno in Italia, si stia cercando di delinearne lo statuto teorico e di organizzarne la struttura. Probabilmente, il fatto che la consulenza filosofica stia diventando una issue, un argomento di discussione – a volte anche feroce – tra sostenitori e detrattori di una pratica che ancora stenta a percorrere un sentiero organico e unitario, è indice, quantomeno, di un interesse nei confronti di un modo alternativo di immaginare la speculazione filosofica. Nel senso che, al di là delle palinodie tra scuole, vulgate e lobby, sarebbe opportuno partire dal dato di fatto che un numero sempre più consistente di individui che hanno studiato filosofia, avverte l’urgenza di un indebolimento della sua aura di disciplina esoterica e intra-accademica, per provare a “far qualcosa” con essa. A questo proposito, il fatto che negli ultimi anni si stia consolidando una letteratura in merito (quasi tutti i titoli appartengono all’editore Apogeo di Milano), attraverso i libri di Achenbach, di Lahav, di Lindseth, e in Italia di Pollastri e di Poma, e la constatazione che in un universo ancora non disciplinato da albi professionali, esista più di una associazione che difende il titolo di detentore della formazione per quanto riguarda la nuova figura del consulente filosofico, rappresentano il sintomo di una costruzione concettuale progressiva e non senza dissidi interni. Il primo tassello per capire cosa dovrebbe – o vorrebbe – essere il counselling filosofico potrebbe essere fornito da una spiegazione per differenza.

Se infatti l’auspicato profilo del consulente filosofico costituirebbe una figura con provate competenze filosofiche e psico-pedagogiche teoriche (non cliniche!) che siano d’aiuto a singoli e a enti nell’affrontare problemi quotidiani (etici e non patologici), il rapporto deontologico con la psicoanalisi e con le psicoterapie in generale ne dovrebbe costituire il primo strumento di identificazione. Il counsellor filosofico non cura alcunché, non provenendo da una formazione medico-clinica, ma può diventare una figura di riferimento per tutta una serie di situazioni sociali o individuali in cui sia utile la capacità di interpretare nodi quali difficoltà di scelta, elaborazione di delusioni o dolori legati al mondo del lavoro o delle relazioni sociali, e, in generale, una abilità ermeneutica nei confronti delle situazioni quotidiane e dei nostri modi di affrontarne le difficoltà. Pur essendo chiaro come una figura del genere non possa curare individui nevrotici o psicotici, è importante definire in maniera netta entro quali campi e attraverso quali procedure epistemologiche questa nuova praxis possa trovare posto nell’empireo delle discipline, ancor prima che nel mondo del lavoro. Ebbene, Galimberti parte dalla premessa che il nostro tempo, l’età della tecnica, risulta caratterizzato fondamentalmente da una “insensatezza”, da una caduta della domanda sul senso dell’esistenza, che si esplicita in una percezione del dolore, della miseria, della malattia e dell’infelicità, radicalmente diversa da quella che era possibile avvertire nell’età pre-tecnologica. La domanda sul senso della vita che da millenni l’uomo si pone, oggi è diversa perché non è più provocata dal prevalere del dolore sulle gioie della vita ma dal fatto che “la tecnica rimuove ogni senso che non si risolva nella pura funzionalità ed efficienza dei suoi apparati”, al cui interno l’individuo si sente un mezzo in un universo di mezzi.



Insomma la tecnica, che filosofi come Heidegger, Jaspers, Anders identificavano come il destino della metafisica occidentale, sembra non avere altro scopo che il proprio impersonale autopotenziamento, tanto che “se nell’età pretecnologica la vita e il mondo apparivano privi di senso perché miserevoli, nell’età della tecnica appaiono miserevoli perché privi di senso”. Per questa insensatezza, sostiene Galimberti, la psicoanalisi risulta impotente in quanto gli strumenti di cui dispone scandagliano il non-senso quotidiano di una vita malata di sofferenza; qui invece è la sofferenza a essere determinata da un non senso che non appartiene all’individuo, ma a uno scenario antropologico globale che ha determinato un disagio della civiltà contemporanea e che, dunque, necessita di comprensione, più che di cura. Gli strumenti filosofici, allora, possono restituire una riappropriazione del senso dell’esistenza nella sua accezione più allargata, quella cioè di un destino comune che l’umanità si gioca contro una sofferenza non più solo individuale, ma fondamentalmente collettiva, dalla cui morsa non si esce con una cura ma con una riconciliazione nei confronti dell’esperienza del dolore. Questo è non solo costitutivo della vita, ma rappresenta la condizione che ci mette di fronte al nostro limite mortale, ovvero l’impossibilità di scelta, l’ineludibilità della sofferenza e della morte, di cui l’angoscia è l’avvisaglia.



Ma se le pratiche psicoterapeutiche colgono l’angoscia nevrotica nell’eziologia del passato del paziente, la pratica filosofica coglie l’angoscia esistenziale non attraverso l’analisi di una sintomatologia, bensì in ordine allo sfondo a cui tali sintomi rinviano, che è poi lo sfondo dell’esistenza percepita come assoluta precarietà. “Qui la pratica analitica è impotente, mentre la pratica filosofica ha ancora una parola da dire” scrive Galimberti. E la dice attraverso il discorso della grecità classica e della sua antropologia filosofica basata su un rapporto con gli dei dell’Olimpo che non rappresentava una vera e propria fede religiosa, ma un monito continuo a vivere “secondo misura” (katà métron) e all’insegna di quella virtù (areté) che è in primo luogo eccellenza, ovvero realizzazione della propria natura e atteggiamento indomito verso di essa. Galimberti contrappone a una tradizione etica giudaico-cristiana, un’etica propria della cultura greca.



La prima – la cui laicizzazione è rappresentata dalla stessa psicoanalisi – interpreta il senso dell’esistenza come un’espiazione di una colpa e quindi vede nella sofferenza un passaggio temporaneo e identifica la stessa vita terrena come malata, patologica, mentre la seconda iscrive la sofferenza umana in un orizzonte liberato da quella pedagogia del dolore di Francesco di Sales, in cui elementi quali l’abnegazione di sé, il portare la croce, l’attesa della salvezza, siano il viatico di una presunta liberazione futura, ma, al contrario, all’interno di una condizione di consapevolezza per la quale il dolore è sentito come l’ineluttabilità di una legge di natura. Per corroborare questa tesi, Galimberti delinea, nella parte centrale del libro, una intelligente storia analitica della psicoanalisi e dell’ermeneutica filosofica attraverso un ricchissimo excursus che parte da Nietzsche e Freud, passa per Lacan e Jung e attraverso la trattazione dell’analisi esistenziale di Binswanger e di Jaspers, arriva alla costruzione di un discorso sulla cura del sé e sull’etica del viandante. In questo senso il libro può essere considerato quasi un manuale ante litteram per una disciplina che necessita di sistemazioni teoretiche, e la ricchezza storiografica con la quale si dà atto del cammino che la psicoanalisi ha compiuto fino a oggi, rende un valore aggiunto a un testo che vale quanto pesano le sue 460 pagine.

Strano, che proprio uno studioso che, oltre che filosofo, è anche psicoanalista junghiano, abbia realizzato questa amorevole invettiva nei confronti di una pratica come quella psicoanalitica che, probabilmente, dopo più di un secolo dalla sua nascita, pare richiedere una sdrammatizzazione e un addolcimento umanistico.

giovedì 13 agosto 2009

Il libro del giorno: Nausicaä di Hayao Miyazaki (Panini Comics)

Dopo che la civiltà industriale, un tempo prospera e gloriosa, finì inghiottita dalle tenebre del tempo, la superficie terrestre fu invasa da una gigantesca foresta fungifera che emetteva miasmi velenosi: il Mare della Putrefazione. Gli uomini si trasferirono nelle poche terre risparmiate dalla foresta e li vissero nei regni da loro stessi fondati. La Valle del Vento è un piccolo regno abitato da appena 500 persone, protetto dall'inquinamento del Mare della Putrefazione grazie ai venti che soffiano dal mare. Principessa di questo regno incontaminato è la giovane Nausicaä...

" - Ma se fossimo noi umani il vero inquinamento di questo pianeta? -. Una domanda che è una visione del mondo. Una filosofia di vita. Si può partire da questa frase di Nausicaä, la protagonista della saga a fumetti omonima, per parlare del suo creatore, Hayao Miyazaki, il mito vivente per i cultori dei cartoni animati e dei manga giapponesi".

di Roberto Arduini tratto da L'Unità del 13/08/09, p. 40

Panini Comics: http://www.paninicomics.it/web/guest/paninicomics/news

La Panini Comics ristampa, a 10 anni dalla prima edizione,Nausicaä di Hayao Miyazaki, uno dei capolavori del fumetto che in Giappone viene considerato un'opera letteraria

Il segreto del cuore di Ruediger Schache (Macro edizioni)

Macro edizioni presenta in Italia, un nuovo bestseller “Il Segreto del Cuore” ci parla della forza nascosta in noi, fondamentale per riuscire a essere i protagonisti principali della nostra vita. Si tratta di un’opera che in pochissimo tempo ha travolto le classifiche di vendita tedesche, arrivando a vendere oltre 500.000 copie. Ma non è tutto. Verrà tradotto in Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Grecia, Repubblica Ceca e Slovacca, Polonia, Russia, Korea e Lituania, e poi ancora in Francia, USA e Ungheria. Lo strabiliante successo di quest’opera è dovuta al fatto che si incanala perfettamente nel progetto editoriale che è stato avviato a livello internazionale dal famigerato “The Secret” e dal New Thought in genere. Ora avendo presente il prodotto “The Secret” che è stato immesso nel mercato italiano, si potrà notare osservando quest’opera come dal formato, alla veste grafica, all’impaginazione si sia voluto già coinvolgere direttamente il lettore affezionato al genere, in una “zona comfort” di riconoscibilità, tale da comunicare la continuità perlomeno di contenuti . L’obiettivo questa volta non sono energie vibrazionali cosmiche, ma interiori: Ruediger Schache spiega come attrarre nella vita le persone che si desiderano. Se dovessimo analizzare gli aspetti che riguardano più strettamente il linguaggio, potremmo senza dubbio sostenere che esso è semplice, immediato, di facile comprensione da chiunque abbia un livello base di istruzione. I concetti sono estremamente chiari anche se non costituiscono certo una novità, per quanti già siano addentro agli argomenti, vuoi per studi personali, vuoi per individuali percorsi di crescita ed evoluzione spirituali. Ma il valore dell’opera rimane immutato, anche perché i dieci “segreti” e i consigli limpidamente esposti dall’autore, per mettere in atto gli “insegnamenti” appena appresi, sono graduali e arricchiti da una folta serie di testimonianze indispensabili per dare un’idea concreta dell’applicazione. Nel libro si parla di affari di cuore, e di tutti i nessi e connessi, dalle relazioni sentimentali, al senso dell’esistenza. I rapporti amorosi, secondo Ruediger Schache, sono lo specchio di ciò che noi (consciamente o inconsciamente) siamo in un dato momento. Attiriamo persone, situazioni, oggetti che rappresentano quello che realmente ci serve. E se le cose non vanno è perché non ci siamo dati ancora il permesso di essere amati, e dunque nutriamo costantemente le nostre paure, facendole crescere, e dando loro un potere enorme. In fondo l’obiettivo delle nostre vite è che siano degne di essere vissute, e dunque impieghiamo tutta la nostra attenzione e cura ad apprendere e migliorarci, ma soprattutto ciò che ci fa stare bene è il desiderio di amare ed essere amati. E tutti noi siamo dotati di un magnete (sembra che rappresenti per l’autore una sorta di strumento in grado di produrre un’energia emotiva le cui peculiarità sono simili ad una vera e propria calamita) che utilizziamo per dirigere le nostre azioni nel miglior modo possibile. Secondo l’autore dunque non è possibile rimanere ancorati ai nostri ricordi, che non hanno più ragione d’esistere nel presente, per cui si può ricominciare qui e ora. Se ci si lega in qualche modo ai ricordi, occorre farlo pensando a quelli positivi, che aumentano il nostro benessere psico-fisico. Fondamentale inoltre per Ruediger Schache fidarsi certo dell’intelletto, ma necessario affidarsi alle nostre sensazioni, che ci condurranno verso una vita ricca di soddisfazioni in tutti i campi.

“Le persone e gli avvenimenti che compaiono nella vostra vita nascondono importanti motivi, significati e spiegazioni. Per questo sbagliamo quando pensiamo che incontri e rapporti siano casuali: tutto dipende da una forza potente che ci collega e favorisce determinate conoscenze e relazioni. Leggendo Il segreto del cuore avrai l’opportunità di conoscere e utilizzare questa forza e attirare nella tua vita le persone e gli eventi che più desideri”

ISBN: 9788862290517

Prezzo € 15,81
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mercoledì 12 agosto 2009

L' amore crudele di Silvana Mazzocchi e Patrizia Pistagnesi (Baldini Castoldi Dalai) a Capalbio

Modena, una donna muore e suo marito mette in scena una rapina con delitto. Le indagini segnano il passo, ma la sorella Luisa, volitiva e indipendente, pur non credendo ai sospetti che si addensano intorno al cognato, decide di andare fino in fondo. Spinta dall'inesorabile necessità di capire le verità nascoste, quel le intime e inconfessabili che alimentano le relazioni umane, ricostruirà a poco a poco i meccanismi psicologici, le ragioni profonde e le oscure contraddizioni che condizionano la realtà. Luisa indaga, interroga, ricorda. E il passato diventa presente: Marta e Carlo si incontrano e si abbandonano a una passione irrefrenabile, vanno a vivere insieme e hanno un figlio. Lui dirige l'azienda familiare, un'impresa tessile, messa in crisi dai nuovi mercati globali. Presto tutto cambia. Carlo, complice la sua famiglia patriarcale, in nome dell'amore crudele, costringe Marta alla sottomissione. Con allusioni, parole e comportamenti la allontana dal lavoro, dai suoi cari, dagli amici. L'arrivo della seconda figlia peggiora le cose, e dalle Iiti continue si arriva alla violenza fisica.

martedì 18 agosto 2009, h. 18.00, Capalbio, Piazza magenta

Il libro del giorno: Amore chimico di Davide Venticinque (Gruppo Albatros Il Filo)

L'amore al tempo della droga non è che un modo per toccarsi senza essere davvero vicini. Un tacito accordo solo apparentemente crudele, che lascia liberi ventenni come Matteo di oscillare nel lucido sbando. In cerca, senza troppa convinzione, del proprio centro di gravità permanente. "Amore chimico" è la storia di giovani in cerca di risposte e identità, in precario equilibrio sul filo della vita.

"L'amore ai tempi della droga è Amore chimico, primo romanzo di Davide Venticinque, studente salentino a Bologna, ma non agli esordi con la scrittura. I sensi viaggiano in balia delle alterazioni stupefacenti, Matteo e Lana travolti da passione irrefrenabile, lui convinto di non innamorarsene, lei che non lascerebbe mai Marco. Nel libro scorre sul filo del rasoio la vita da studenti fuori sede affiancata a quella dei lavori precari, tra capatine al bar con i vecchi bolognesi e feste di tre giorni, puzzolenti d'acido e trance finchè il romanzo non prende una piega che il lettore prima o poi si aspetta. Al giro di boa solo una stella cadente"

di Marina Greco tratto da QuiSalento del 15-31/08/09, p. 68

Gruppo Albatros Il Filo : http://www.ilfiloonline.it/

Amore chimico di Davide Venticinque
2009, 158 p., brossura, Gruppo Albatros Il Filo (collana Nuove voci)

Visita di Stato di Alfredo Annicchiarico (Lupo editore). Rec. di Silla Hicks

Se mi ricordo di quant’era bella Alida Valli: certo che sì. E ho anche visto qualche film con Amedeo Nazzari, e Clara Calamai primo seno nudo del cinema italiano. Quello che non ho imparato a scuola – ben poco, tecniche di disegno a parte – l’ho imparato da seconde e terze e centesime visioni, con la tessera Dante Alighieri che con qualche spicciolo ti faceva entrare alle retrospettive, erano gli anni ’80 e non avevo il Moncler ma avevo visto De Sica e Rossellini, e un pomeriggio di sabato che davano Rashomon seduto accanto a me ho trovato Luca, che studiava al classico e voleva fare il regista, ma poi ha preso 60 e vinto un concorso in banca.
Adesso, almeno una volta al mese ceno a casa sua e di Gloria, e mentre i suoi figli fanno casino cerchiamo di parlare, davanti a un DVD di Kim Ki Duk, in genere, ma era Sciuscià il nostro film: il resto, Blade Runner compreso, m’ha intriso dopo.
Siamo una strana coppia, io e Luca, che non mi arriva alla spalla e ha 39 di scarpe eppure è solido come io – trenta centimetri almeno e 40 kg circa più di lui – non saprò mai essere.Gli devo molto, di quello che scriverò di questo libro. Perché è stato lui, a ricordarmeli, i telefoni bianchi, e a raccontarmi di Claretta e della sorella aspirante attrice, e dell’alcova del duce, e di tutta la propaganda sul suo vigore che ha curiosi parallelismi con quanto è sui giornali in questi giorni.
Ed è di questo che parla, questo giallo ambientato nel pieno dell’era littoria, alla vigilia di una visita del Führer che dovrebbe essere perfetta propaganda di regime e rischia invece di arrivare importuna, nel bel mezzo di un intricato groviglio di gerarchi, attricette, picchiatori, e ovviamente poliziotti ovviamente tenebrosi e tormentati (e chi non lo sarebbe, se avesse sposato la Sidney Bristow di Alias?). Una storia che ha di Camilleri, senza il sole che abbaglia di Montalbano e i suoi arancini, ma anche della Dalia Nera, e intendo il film con Hillary Oscar Swank elegantissima in velluto De LaRenta, purtroppo, è da credere, visto che lei è condannata a vincere la serata dell’Academy solo quando indossa quindici chili di muscoli e se si fa massacrare nel finale.
E su tutto questo, echi di Pericle il Nero, e persino di D’Annunzio, se non altro nella scelta dei nomi, chè Aspasia certo gli sarebbe piaciuto, per non dire di Vinzio.
Il fatto – un corpo ritrovato sulla spiaggia del litorale romano, una vedova allegra, il suo amante perfetto capro espiatorio e un commissario ribelle e in preda ai ricordi – obbedisce alle regole del giallo dalla zarina Agata in poi, come le spiega Carlo Lucarelli: ma l’Italia che ne esce assomiglia spaventosamente a quella di oggi, tanto che mutatis mutandis potrebbe essere un istant book.
Perché questo Impero di colonie è un’Italietta, che dietro gli altoparlanti della retorica nasconde tangentopoli, vallettopoli, i terreni pruriti del clero e i più recenti festini: solo il commissario almodovariamente sull’orlo di una crisi di nervi è inverosimile, tutto il resto è reale. Se non avessi letto sul risvolto di copertina che è questo libro è del 2007 penserei a una pasquinata in codice, e nemmeno cifrato, se persino io – che di politica italiana davvero non so niente – sono riuscito ad identificare quasi tutti.
Una fantastica satira, pungente e disillusa, che – pene d’amore perdute di Vinzio Ferrari a parte, che poi è un nome che è una contraddizione in termini, la Rossa di Schumi e la vittoria/sconfitta, Vinzio da Vittorio? O da Vinto? – nemmeno i fratelli Guzzanti al top della forma, con un piglio di denuncia da fare un baffo a “La casta”.
Sorvolo sui dialoghi che qua e là smaccatamente contemporanei (cazzo, come al limite e allucinante, sono linguisticamente figli degli anni ’70), sui troppi aggettivi/troppi avverbi (ma questa è davvero questione di gusti) e su alcuni gineprai del plot, tipo la spia di sua maestà. Questi sono dettagli.
Perché non è un giallo, in realtà, e non è nemmeno ambientato ai tempi del regime. È una sorta di quartina di Nostradamus che in anticipo ha tracciato – romanzandoli, ma solo un po’ - gli eventi di questa estate 2009.
Mi piacerebbe sapere se nella caccia al “chi-è-chi” c’ho preso. Certo, nessun produttore è stato trovato morto seminudo in spiaggia. Ancora, per lo meno. Ma dev’essere per forza un produttore? E per forza morto? Perché di grassoni seminudi (o tutti nudi) se ne sono visti parecchi. E anche di festini. Proprio alla vigilia di una visita importante. Anche se fortunatamente non esiste più nessun Führer. Però, ho sentito parlare di G8…

TELEFONI BIANCHI, CIOÈ GIALLI(VISITA DI STATO SECONDO SILLA HICKS)

martedì 11 agosto 2009

Il libro del giorno: Il potere del cane di Don Winslow (Einaudi)

Art Keller è un poliziotto ambizioso, con una mentalità da crociato, deciso a combattere in prima fila la guerra che gli Stati Uniti hanno lanciato contro il traffico internazionale di droga. Miguel Angel Barrera è il boss della Federación, il cartello che riunisce tutti i narcos messicani, e i suoi nipoti, Adàn e Raùl, smaniano all'idea di ereditarne l'impero. Nora Hayden, dopo un'adolescenza complicata, è diventata una prostituta d'alto bordo, sempre in bilico tra il cinismo più spinto e un insolito senso morale. Padre Parada è un sacerdote nato e cresciuto in mezzo al popolo, potente quanto incorruttibile. Sean Callan è un ragazzo irlandese di Hell's Kitchen che si è trasformato quasi per caso in un killer spietato, al soldo della mafia. Sono tutti, in modo diverso, coinvolti nel mondo feroce del narcotraffico messicano: una guerra senza esclusione di colpi, che coinvolge sicari senza scrupoli e politicanti corrotti, i servizi segreti americani e la mafia, tra inganni, tradimenti, vendette spietate. Una guerra dove non esiste innocenza possibile, e dove è sempre in agguato, pronto a esplodere, il male assoluto: quella demoniaca crudeltà di uomini e cose cui una millenaria tradizione ha saputo dare un solo nome, evocativo quanto misterioso. Il potere del cane.

"Dopo anni di mera buona scrittura e grande capacità di costruire trame su nulla di interessante o i soliti seriale killer che stavano incrinando il rapporto con il pubblico europeo ormai stanco del puro intrattenimento arriva un romanzo geniale che rimmarrà comunque nella storia e nella memoria dei lettori"

di Massimo Carlotto tratto da Il Manifesto del 11/08/09, p. 3

casa editrice Einaudi: http://www.einaudi.it/


Il potere del cane di Don Winslow
2009, 714 p., Einaudi (collana Einaudi. Stile libero big)

Torpedo, vol. 1 (Edizioni BD). Di Vito Antonio Conte

Sto pensando di raccogliere i brevi racconti che ho scritto nel tempo, sparsi un po' dovunque, per una serie di coincidenze che non credo possano interessarvi e che, comunque, ora non dirò. C'è che -adesso- mi piace (anche) leggere testi brevi (poesia, storie... magari a fumetti), come quelle di “Torpedo” (Volume 1, Edizioni BD, 2007, pag. 141, € 15,00). Torpedo è il nome di battaglia di Luca Torelli, personaggio creato da Jordi Bernet, disegnatore professionista sin dall'età di quindici anni, autore spagnolo che (unanimemente) è quello che meglio ha evocato le atmosfere del cinema noir, non disdegnando incursioni nel fumetto umoristico (“Chiara di Notte”) e noto anche per aver disegnato (per Bonelli) il “Texone”, “L'uomo di Atlanta”. Le vicende di Torpedo sono state disegnate anche da Alex Toth, uno dei giganti del fumetto, specializzato in adattamenti di film e serie televisive (una delle sue opere più famose è “Zorro”). Le storie di questo fumetto sono sceneggiate da Enrique Sànchez Abulì. Luca Torpedo è uno di quegli uomini che tra il bene e il male ha scelto il male perché la scelta, nel tempo e nel luogo in cui vive, è pressoché obbligata. Le tavole di questo fumetto, infatti, raccontano storie frequentate da una masnada di delinquenti e criminali di ogni taglia, infami, affaristi (grandi e piccoli), puttane e poliziotti corrotti, che girano (armati) per i bassifondi di New York nella seconda metà degli anni trenta. Questa giungla fumosa e sporca di rar'altra umanità è dominata dal nostro killer di professione, tale diventato per reazione ai soprusi subiti da ragazzino da parte di un poliziotto che presto diventerà la sua prima vittima (senza mandante). Mi viene in mente quando, quasi nudo sul lettino ortopedico di un'altra parte di mondo, per risolvere un problema di sciatica post agonistica, lei mi chiese che lavoro facessi e io le risposi: il killer! Non vi racconto il resto, vi dico soltanto che smise di parlare: usò la bocca per far altro. Ma nemmeno di questo vi dirò. Una carognata direte. Niente in confronto alle avventure di Torpedo. Sentite questo incipit: “Se l'avessi fatta secca, ora non bacerei le sue labbra carnose... né mi spupazzerei il suo corpo. Le ho detto che sono uno sbirro, e lei l'ha bevuta. Caso vuole che io sia l'esatto contrario... Quelli che mi conoscono e che non l'hanno ancora pagato con la vita mi chiamano Luca... Luca "Torpedo". Il lavoro mi era stato commissionato da tale Bergson. Mille bigliettoni. Per una cifra simile ammazzerei anche mio padre, pace all'anima sua. Ma non mia madre, poveretta, che era una santa. Mi disse dove e quando l'avrei incontrata. Era una bomba, tipo quelle dei film. Fu molto puntuale. Il che non è poco, trattandosi di una femmina. Era uno schianto. Mirai al volto e pensai ai mille verdoni. Solitamente funziona. Ma feci cilecca, non mi era mai successo. Invece di ammazzarla, la seguii. La abbordai e...”. Il bello del fumetto è che puoi mettere la tua immaginazione di lettore di fronte a quella del disegnatore. Le parole lasciano più spazio alle proprie immagini. Ma quando le immagini già ci sono, allora puoi dilettarti a giocare mettendo a confronto quelle che pensi e che sono evocate dal testo con quelle del disegnatore: possono sovrapporsi; più spesso divergono. In ogni caso, quelle del fumetto (di qualunque fumetto) raramente aderiscono (diversamente dal cinema, in cui alle immagini si aggiunge l'animazione) alla realtà, per quanto reale possa essere la storia narrata. È la magia del fumetto. Dopo, quando chiudi il libro, rimane sempre un nonsoché di sospensione tra l'onirico e la realtà. E mi piace. Mi piace moltissimo. Ch'è l'unica vita possibile. Tornando a Torpedo c'è da aggiungere che, al di là delle facili intuizioni sul tipo con cui si ha a che fare, come tutti i duri per necessità, fa fuori altrettanti tipacci di cui nessuno sentirà la mancanza e, comunque, lungi dall'essere un qualsivoglia eroe, Luca Torelli (italiano emigrato in America) colpisce per l'ironia con cui si muove nella vita e nella morte e, ancor più, per la capacità di sorridere di se stesso. Storie pesanti narrate con leggerezza. Lettura consigliata dai quattordici ai quarantotto anni. Io sto al limite e, infatti, passo a leggere altro. Vi farò sapere.

lunedì 10 agosto 2009

Il libro del giorno: Impronte aliene sul pianeta Terra di Reinhard Habeck (Armenia)

«Oggetti impossibili» è l’espressione coniata per definire gli antichi artefatti rinvenuti in luoghi nei quali non dovrebbero esistere. Spesso rivestono un grande interesse per i creazionisti o per gli studiosi che cercano di riformulare la teoria dell’evoluzione. In diverse circostanze, sono stati usati anche a sostegno della teoria dei cosiddetti «antichi astronauti», legata all’arrivo di creature extraterrestri sulla terra, che, essendo dotate di una tecnologia inimmaginabile, avrebbero trasmesso agli uomini la civiltà.
La casistica dei ritrovamenti è vastissima quanto sorprendente. Basti citare un caso per tutti: l’enigmatico meccanismo di Antikythera. Nel 1900 un pescatore di spugne greco recuperò dal fondale marino un complicato congegno ad alta tecnologia, un vero avo del computer, la cui datazione lo colloca a ben 2100 anni prima! La scoperta appartiene ad una serie di misteriosi ritrovamenti che ci pongono domande scomode sulla storia dell’umanità.

• Come si spiegano gli aeroplani rappresentati in antiche miniature?
• Perché esistono tracce di impronte e opere umane all’epoca dei dinosauri?
• Gli antichi babilonesi avevano scoperto le batterie elettriche?
• Come è possibile che una mappa preistorica assomigli a una foto satellitare?
• Come può una sfera d’acciaio cromato trovarsi all’interno di un’antica statuina di pietra?

"Si tratta di un volume documentatissimo e bene articolato, che offre una serie di potenziali risposte al ben noto discorso sul "Seta" (Search for Extra-Terrestrial Artifacts). La storia ci parla di innumerevoli OOPARTs (Out of place Artifacts), certo, ma la risposta, suggerisce Habeck è là fuori"

di Roberto Pinotti tratto da Notiziario Ufo anno XLII, n. 170, p. 81

casa editrice Armenia: http://www.armenia.it/index.php?osCsid=2fd641a9b757adbdc146efe25d79013b

Kamen' n. 35 rivista di poesia e filosofia

Ricevo con piacere il trentaseiesimo numero (n. 35, Giugno 2009), della prestigiosissima rivista di poesia e filosofia Kamen' con le sezioni di Filosofia, Poesia, Poetiche. La sezione di Filosofia offre una selezione di Scritti sull'Umorismo dal 1860 al 1930. La rivista «Kamen'» intende aderire al progetto internazionale di ricerca intitolato «Estudos sobre o Humor/ Studies on Humour/Studi sull'Umorismo». Il progetto - che coinvolge attivamente personalità dirilievo internazionale ed università o istituzioni culturali europee prestigiosissime tra cui alcune anche africane, è coordinato da Luisa Marinho Antunes, vice-rettore dell'Università di Madeira e redattore di «Kamen'». Ad una nota introduttiva di Daniela Marcheschi seguono testi di Léon Dumont, Le risible da "Théorie Scientifique de la Sensibilité" (1875); Gaetano Trezza, L'Umorismo (1885) La sezione di Poesia riguarda direttamente Romeo Giovannini. Di Romeo Giovannini si presentano una selezione dalle Anacreontiche ed altre imitazioni dalla lirica greca. Nella Nota in minore Amedeo Anelli spiega le ragioni e l'importanza della scelta. La sezione di Poetiche invece costituisce l'Annuario dedicato ad Edgardo Abbozzo a cinque anni dalla morte. La sezione è a cura di Amedeo Anelli; ad una scelta di aforismi inediti dell'autore, si ripubblica il saggio di Marcello Venturoli dal titolo L'Arte è Alchimia.

Kamen' n. 35 - Giugno 2009
pp. 120 - € 10,00
Editrice Vicolo del Pavone

http://www.vicolodelpavone.it/

domenica 9 agosto 2009

Ricordanze alla Galleria Il Grifone di Lecce

Mercoledì 12 agosto alle ore 21.00 presso la galleria Il Grifone di Lecce si aprirà la mostra “Ricordanze” che sarà visitabile fino al 30 agosto. Un percorso nella memoria antica dei luoghi fisici e dell’anima con le tele e i colori di Monica Taveri, la terracotta di Ilenia Durante, le carte di Ambra Biscuso e le parole di: Daniela Cecere, Anna Colaci, Andrea Laudisa , Maurizio Muscettola, Luca Nicolì, Nino Palumbo, Maria Pia Romano, Ivan Serra
L’allestimento sarà curato da Andrea Scolavino introdurrà Rosanna Gesualdo.

Scrive la Gesualdo: “Ricordare, nell’etimologia della parola il senso di queste opere. Dal latino, recordari, comp. Di re-, che indica movimento contrario, e un derivato di cor, cordis “cuore” che per gli antichi era sede della memoria. Mostrarsi da monstrum, segno.
Ricordare rappresenta un movimento contrario al cuore, in effetti spesso vediamo solo ciò che siamo pronti a vedere. Solo allora possiamo andare a cercare ciò che avevamo occultato all’anima e solo allora siamo pronti a renderlo manifesto a noi stessi.
La memoria è un obbligo, ricordare, una pratica feroce. ….
La memoria, il suo sedimentarsi è cosa per viaggiatori differenti. Bisogna avere il coraggio di arrivare al centro del cordis, del cuore. Gli artisti sono viaggiatori differenti, appuntano i luoghi, annotano le emozioni su supporti labili, così fragili e al contempo uniche nel rivelare la forza di uno sguardo. E così, gli occhi trafitti dell’artista, miracolosamente sopravvissuti alla visione di troppe vicende non si piegano alla cecità. L’artista, prosegue il suo viaggio anche quando tutto appare nascosto sino a quando un’altra luce si accende, quella del ricordo.
Allora, proseguendo lentamente nel viaggio intrapreso, oltrepassando un velo dopo l’altro, riflesso dopo riflesso fa eco la Ricordanza … il solo pronunciare questa parola pare evocare il respiro di una sinfonia dolcissima. In verità, non v’è nulla di più feroce del rievocare. Poiché aprire lo scrigno dei ricordi è simile ad aprire il vaso di Pandora. La memoria è la meta di un viaggio la cui destinazione finale non è nota alla partenza.
Allora i colori e i grigi, il sedimentarsi delle carte, della terra, delle tele, strati e sedimenti di parole, l’apice delle passioni e l’abisso dei tradimenti.
I luoghi mutevoli, cedevoli allo sguardo talvolta carezzevole altre reso feroce dalla crudezza del ricordo. Ed è lo sguardo dell’artista a registrare il passo del narrato, la metratura ampia del vissuto, con la mano sapiente di chi non cerca la preziosità dei materiali, anzi tutt’altro. ….
L’artista infrange gli specchi del vivere perché sa, i vissuti gliel’hanno marchiato a fuoco sul derma dell’anima, che per comprendersi deve distruggere l’unità per poi ricomporla in un’altra forma … troverà da sé quale…

Open Space Il Grifone, Via Palmieri, 20, Lecce
Mercoledì 12 agosto 2009 - Ore 21,00
presenta “RICORDANZE”
nascondersi per mostrarsi di Monica Taveri, Ilenia Durante e Ambra Biscuso
Introduce Rosanna Gesualdo
Allestimento Andrea Scolavino


info:
Ambra Biscuso | 3395607242 | ambrabiscuso@hotmail.it

Il libro del giorno: Incredibile ma vero! di Hartwig Hausdorf (Armenia)

Il mondo che conosciamo non esiste. Nulla sarà più vero e tutto possibile. Fatti e avvenimenti da togliere il fiato. Esiste veramente accanto al nostro mondo una realtà parallela sconosciuta e inspiegabile? La risposta ci è data dall'autore Hartwig Hausdorf.

"Il tedesco Hartwig Hausdorf è un autore noto ed esperto nel campo del mistero. Il suo INCREDIBILE MA VERO! dal significato sottotitolo "fatti misteriosi e realtà inspiegabili del nostro mondo" (Armenia editore, Milano, euro 14,50) costituisce un saggio intrigante ed aggiornato che spazia a 360° nella vasta fenomenologia dell'insolito. Si va così dai vecchi enimgmi a recenti rompicapo rimasti senza spiegazione: dai fenomeni fortiani alla cronaca impossibile ed attuale quali i fuochi di Canneto di Caronia"

di Roberto Pinotti tratto da Ufo Notiziario (Acacia edizioni)anno XLII, n.170, p. 81

casa editrice Armenia: http://www.armenia.iy/index.php?osCsid=311e957e3ba97f523cfd9e9cabca27b8

LA SALA DELLE INDULGENZE. Di Maria Zimotti

Il Gargano è un posto mistico. Grosse chiazze di pietra e cemento sono spalmate sui suoi pendii. Nel mezzo boschi che invitano all'ascesi. Paesaggio sempre da scoprire specialmente per chi lo guarda nella duplice veste di indigena e turista. Ciò fa diventare inevitabilmente ciceroni compiaciuti. Nell'anno Mille ci passò San Francesco da queste parti. Se ci si addormenta nel silenzio della Foresta Umbra si sentono ancora i calpestii dei pellegrini che stanno nelle stanze del tempo trasportate dall'inconscio. San Giovanni Rotondo: non si perde occasione per rimarcare il fatto che la sconosce da prima, da prima del Mac Donald's piantato tra i parcheggi per i pullman che ormai arrivano quasi fino a Manfredonia. "Casa Sollievo della Sofferenza": il nome già da sè allevia le ferite. Il Grand Hotel delle prestazioni sanitarie fa bella mostra di sè con i suoi marmi bianchi attaccato alla collina su cui si sono espansi poliambulatori nel corso dei suoi ormai quattro decenni di vita. Davanti, viavai continuo di macchine e pedoni e sembra di essere sulla Costa Azzurra.
Sacro e profano nel merchandasing dell'omino con le stimmate che marchia la vita quotidiana di questi posti e non solo. "Cartoleria Padre Pio ", "Centro estetico Padre Pio" e via andando col franchising della ditta Padre Pio, marchio di garanzia su tutto ciò che si può fabbricare ad uso e consumo degli sciami di persone che ininterrottamente attraversano queste strade da qui all'eternità.
"L'unica cosa che mi manca da vedere è: " Casa di tolleranza Padre Pio". La sarcastica affermazione si leva blasfema tra la massa indistinta che si infila nell'imbuto del percorso obbligato verso la cella di Padre Pio con i suoi feticci pervicacemente sigillati per sfidare la polvere del tempo. Occhiate di blanda disapprovazione dai moderni pellegrini catapultati qui dal battage mediatico del santo dei Vip. Una comparsata a San Giovanni Rotondo è come una comparsata al Festival di Cannes.
Perciò, casa di tolleranza magari no, ma qualche velina redenta la si può pure trovare. Ci sono infatti due tocchi di ragazze che sono ferme all'entrata della chiesa per ritirare i coprinudità indispensabili perchè la casa di Dio non sia offesa dalla vista della deprecabile pelle femminile.
Bambine, sembrano bambine con la snaità insita nelle gambe che si muovono giocose senza apparente malizia e nei capelli lunghi che chissà quante volte hanno fatto ondeggiare davani allo specchio sognando di continuare a giocare davanti a una telecamera. E' la luce indolente di fine estate che illumina la prospettiva della nuova chiesa ad opera di Renzo Piano. Il vento sale dal golfo e il nuovo che si vede, dalla chiesa al nuovo centro oncologico cancellano dalla memoria mediatica l'immagine della chiesetta da cui si affacciava Padre Pio in una delle poche immagini in bianco e nero subito dopo la guerra. I mercanti sono sempre fuori dal tempio e i turisti procedono nei soliti rituali. E' questo il nostro tempo e qui, in questo ex paesino di montanari come l'abbiamo sempre chiamato con disprezzo noi residenti in riva al lago, il turismo della religione e la religione del turismo trasmettono ininterrottamente lo show. Il fiume dei visitatori, passato attraverso il condotto di corridoi che si si strozza davanti alla cella di padre Pio, è ora arrivato a prendere fiato nella cripta della chiesa dove la tomba del santo è ripresa H24 da una telecamera che trasmette sul satellite: Tele Padre Pio, naturalmente. Milioni di vite passate da qui non hanno niente a che vedere con la spiritualità ma comunque danno un senso di eternità. Chiunque, da qualsiasi parte del mondo, può essere arrivato qui e se i respiri lasciassero segni si potrebbe trovare l'orma di quel ragazzo incrociato in un treno o di quella vecchia amica di scuola. L'apoteosi del connubio tra il cattolicesimo e il suo antico vizio a monetizzare la grazia divina avviene alla fine del viaggio attraverso le reliquie del santo. E' una stanza che assomiglia tanto alla sala d'aspetto di un aereoporto. Arrivi e partenze di anime da tutto il mondo. Pit stops ai banconi che vendono frasi, ex voto, talismani, lasciapassare per il perdono nell'aldilà, non si sa mai. Tutto come in una catena di montaggio, con il mumerino e le code incanalate come a Gardaland. E poi fuori, a respirare di nuovo l'aria dolce di queste colline che profumano di mare, consci di avere fatto quello che andava fatto, di essere venuti almeno una volta a San Giovanni Rotondo, come i musulmani almeno una volta vanno alla Mecca.

sabato 8 agosto 2009

Il libro del giorno: Il ladro di anime di Sebastian Fitzek Elliot (collana Scatti)

Tutto accade in una notte, la Vigilia di Natale. In una lussuosa clinica psichiatrica fuori Berlino, mentre la neve scende copiosa rendendo il luogo ancora più isolato, medici e pazienti si rendono conto con orrore che il maniaco che da tempo terrorizza la città, il cosiddetto "Ladro di anime", si trova all'interno della struttura. Di lui si conoscono soltanto i tremendi effetti provocati da un misterioso trattamento in grado di spezzare la volontà delle sue vittime, riducendole a meri involucri umani, e gli ambigui indovinelli che lascia dietro di sé come macabra firma. L'unica via di salvezza sarà affrontarlo tutti insieme: ma il piccolo gruppo, guidato da Caspar, ricoverato in seguito a un'inspiegabile amnesia che ha cancellato completamente il suo passato, si troverà a far fronte a qualcosa di assolutamente inaspettato e terribile. Mentre il tempo scorre inesorabile nel tentativo di neutralizzare il Ladro di anime, Caspar viene folgorato con sempre maggior frequenza da scene della sua vita precedente, che progressivamente fanno luce sulla sua identità e sulla sua drammatica storia personale, costringendolo a uno sconvolgente viaggio negli abissi più oscuri della propria psiche...

"Se si soffre di cuore o si è spesso preda di incubi lo psychothriller del berlinese Sebastian Fitzek Il ladro di anime - elliot edizioni, pp. 300, euro 17,50, ottima traduzione di Monica Pesetti - potrebbe essere letale. Ci vuole una salute di ferro per resistere ai colpi di scena, alle violenze, alla tensione elettrizzante che il trentottenne autore di bestseller dell'orrore - dal 2006 ne ha già sfornati altri tre fra cui La terapia uscita da Rizzoli - mette in scena"

di Luigi Forte tratto da Tuttolibri de La Stampa del 8/08/09, p. III

casa editrice Elliot: http://www.elliotedizioni.com/catalog/pags/

Il ladro di anime di Sebastian Fitzek
Elliot (collana Scatti)

Terence Koh: se fosse un fiore sarebbe un crisantemo bianco. Di Maria Beatrice Protino















È performer, scultore, artista visivo e party boy, ma soprattutto è il paladino dell’ondata new gothic e la controversa supernova dell’arte contemporanea: nativo di Beijing – Cina – ma cresciuto a Vancouver – Canada – sta diventando tanto popolare quanto criticato. In una sua mostra a Londra nel 2008 è stato la causa della querela esposta dalla signora Emily Mapfua contro un centro espositivo di arte contemporanea per aver offeso il pubblico pudore e la morale comune esponendo appunto 74 opere dell’artista cinese, opere in cui – a detta dell’artista - si intendeva focalizzare dal punto di vista del punk e del sesso tutti i personaggi esposti, per cui tutti erano dotati di eccellenti erezioni: dal Cristo a Mickey Mouse a E.T.
Conosciuto anche come “asianpunkboy” dagli addetti ai lavori, crea libri e riviste fatti a mano, dipinti, fotografie, sculture e installazioni. La maggior parte del suo lavoro è frutto di singolari influenze pornografiche e punk, tra fisicità e desiderio: un linguaggio particolarissimo fatto di opere bianche, eteree e spettrali e opere nere, che richiamano lo stile punk black.
L'intera arte di Koh include spesso allusioni a sessualità, etnicità e all'adolescenza, e sfocia in un dilemma esistenziale che oscilla tra due poli contrastanti quali la ricerca del piacere e la mortalità.
L'uso di materiali come cenere, capelli, farfalle e gioielli suggerisce una sensazione di fugacità, mentre l'uso di elementi quali batterie, lampadari, insegne al neon e busti greci è riconducibile al desiderio di trasmettere divertimento e potere. Comune a tutte le sue opere è l'impiego di colori monocromatici come il nero peccaminoso, il bianco purificante e la luce della polvere di diamanti.
Ospite del padiglione danese alla 53° Biennale di Venezia, presenta i suoi due non colori, il bianco e il nero, di cui ha fatto la sigla del proprio lavoro, sospeso tra scultura – materiali preferiti: sperma, polvere, cioccolato, feci, cenere, gesso – e performance: un misto di ritualità e pornografia, di purezza zen e insistenza scatologica sulle più basse funzioni corporali.
Ha una età indefinita che si aggira intorno alla trentina ed è circondato da un alone di mistero, perché, come ogni artista fingitore che si rispetti, indulge nella menzogna più d'ogni altra cosa. D’altro canto, è una fiammeggiante icona di stile: asessuato e teatrale, sempre in bianco o nero totali. Ama la moda e ama parlarne – ma non si ritiene semplicisticamente una faschion victim - come ama vestirsi da donna e sogna – come ha dichiarato in un’intervista per IL SOLE 24 ORE – di sperare che «prima di morire tutti i miei vestiti e i costumi che ho creato vengano esposti nella rotonda del Guggenheim di New York»: davvero modesto.

venerdì 7 agosto 2009

Per la Rassegna Lupi di mare domani a Torre S. Giovanni Raffaele Polo e Francesco Del Prete

L’ultimo menhir si legge in un paio di comode ore e non devi consultare il Novissimo Dizionario della Lingua Italiana. Voglio dire che si tratta di un racconto che, pur affrontando temi complessi, quali l’esoterismo, l’amore, l’età ultima, la follia e il contrario di tutto ciò, è reso in una lingua colloquiale e senza concessioni a certi inutili barocchismi e/o altre trovate letterarie o pseudo tali. C’è, in questo racconto velato di mistero, tutta l’energia che non ti aspetti, giocata nel paradosso tra i piccoli gesti quotidiani e i grandi temi esistenziali, accentuato dall’età senile del protagonista (e dalla completa assenza di ricordare qualunque passato) e da quel che gli capita. Il tutto tra un vecchio rebus e il nuovo numero della Settimana Enigmistica. Tra amori improbabili e persone reali. Tra vie visibili e campagne elettorali occulte. Tra la consapevolezza di essere tutti, in un modo qualunque, un po’ pazzi e non volerlo ammettere. Tra chi lo è davvero e ne soffre e diventarlo per finta e finalmente ch’è l’unica salvezza. Tra correnti sotterranee invisibili ma vere e un omicidio inesistente e sognato. Proprio come in un film. (Vito Antonio Conte)
“Eccolo, il menhir. Nella sua semplicità, una pietra alta e liscia, che sorprendeva perché, in effetti, non si sapeva nulla di quel simulacro di migliaia di anni fa. Né era sicuro che quella pietra fosse rimasta proprio là, in quel punto preciso, per tutto quel tempo. Stava qui attorno, certamente. Ma che sia rimasto proprio qui, equidistante dai muretti a secco e dalle case che sono vicine, non è plausibile. Tra l’altro, c’è una colata di cemento alla base, a segnalare l’intervento dell’uomo che non rispetta certo l’identità e il significato di una pietra che… Mi sono avvicinato e ho proteso la mano per appoggiarla contro la pietra liscia, nell’intento di sentire qualcosa. Un’impressione, magari, di vibrazioni lontane”.

Raffaele Polo (Piacenza, 1952) è uno scrittore e giornalista italiano. Vive e lavora a Lecce. Nei romanzi ha scelto sempre l'inconfondibile stile di ambientazione delle vicende nella sua terra, il Salento, con personaggi realmente esistenti, inseriti in un contesto fantastico ma contemporaneo.

L’Ultimo Menhir di Raffaele Polo (Lupo editore) Performance musicale di Francesco Del Prete (primo violino della Notte della Taranta)

Sabato 8 agosto 2009 h. 22,00, Gazebo Libreria Antica Roma, corso Annibale
Marina di Torre S. Giovanni (Ugento)


Info: Lupo editore, via Prov.le Copertino Monteroni, tel. 0832/931743
www.lupoeditore.com

Il libro del giorno: Filologia dell'anfibio di Michele Mari (Laterza)

Già il destino di essere nati non è privo di stranezza, ma all’interno della condizione umana vi è qualcosa di più strano: il servizio militare.
«Cammina e cammina, giungo finalmente alla caserma Gaetano De Cordevolis sede del 23° Battaglione di Fanteria: immensa e scrostata, senza segni di vita. Fra poco sarò dentro, pensavo macchinalmente avvicinandomi al portone, fra poco sarò dentro fra poco...». Un diario-trattato triste e comico, che a passo d’anfibio ripercorre l’esperienza della vita da recluta, fra brandine e armadietti, celle di rigore e marce sotto il sole e la pioggia. Una testimonianza di quella «enorme, flagrante demenza, non priva di una astuzia tignosa, che fa del non-senso il proprio unico senso» e che si chiama servizio militare.

"Lo scrittore Michele Mari racconta in modo autobiografico, l'esperienza straniante - dai tre giorni al congedo - che ha caratterizzato la vita di tanti italiani. E che trovava nel non senso il suo unico fondamento"

di Massimiliano Panarari tratto da Il Venerdì di Repubblica n.1116, p. 90

casa editrice Laterza: http://www.laterza.it/index5.asp

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