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mercoledì 14 maggio 2008

Absinthium di Irene Leo

















Se l'acqua lava ciò che penso,

forse un iris nasce tra quel fango, dopo.

Chiara la notte senza sangue e corpo, a volte

è la mia mano,

pesante lama che ti (of)fende mio amato Sempre.

Ma non c'è occhio cieco tra le ciglia del grano morto,

l'onda ferrosa della vita attanaglia la lingua

ed io lo so che tutto è.

Da quassù le orme dell'invisibile

sono mie,

stelle laconiche di tempo,

abbottonate tutte sulle maniche.

Spilli che reggono il gioco

della prossima estate.



fonte http://digilander.libero.it/mikima33/assenza.jpg

lunedì 5 maggio 2008

La Besa editrice alla Fiera Internazionale del Libro di Torino










Besa editrice alla Fiera Internazionale del Libro di Torino maggio 2008
Pad. 2 Stand M37 e M33

PRIMO APPUNTAMENTO
Per sabato 10 maggio ore 12,00
stand Regione Puglia
Padiglione nr. 2
Stand G 14 e G 18 e H13 e H17

L’opera presentata:
"Gli autori invisibili. Incontri sulla traduzione letteraria" di Ilide Carmignani

Solo la traduzione può liberare la bellezza intrappolata in un testo letterario straniero, ma chi sono, da dove vengono, come lavorano gli sconosciuti grazie ai quali leggiamo tutta la letteratura del mondo? Gli autori invisibili ce lo racconta dando la parola a editori e scrittori ma soprattutto a grandi traduttori, e attraverso questa arte/mestiere ci racconta anche la storia di tanti libri che amiamo, di come sono nati e cambiati nel lungo viaggio dallo scrittore al loro autore “in seconda”, da altre culture alla nostra. Fra gli intervistati: Renata Colorni, Claudio Magris, Susanna Basso, Elena Loewenthal, Paolo Nori, Cesare Cases, Yasmina Melaouah, Serena Vitale, Angelo Morino, Pino Cacucci... «Il volume in cui Ilide Carmignani ha opportunamente assemblato interviste, conversazioni, interventi sul tema del tradurre, in cui a parlare sono alcuni grandi traduttori letterari, è qualcosa che non riguarda soltanto una specifica corporazione (…) riguarda quanti hanno consuetudine con lo scrivere e il leggere. Perché siamo tutti, ogni giorno, ogni momento, dei de-codificatori e dei ri-codificatori, e dunque siamo chiamati a misurarci con sistemi di segni diversi tra loro, ma destinati ad entrare in contatto, a stabilire relazioni, concordanze e opposizioni: a misurarsi.» (dalla prefazione di Ernesto Ferrero)

Relatori: Susanna Basso, Renata Colorni, Marino Sinibaldi





SECONDO APPUNTAMENTO

Chi salverà la bellezza?
Un percorso tra Storia, storie e viaggi.

La bellezza non è mai stata considerata , nel corso dei secoli, una categoria assoluta e fuori dal tempo: sia la Bellezza come proprietà fisica che la Bellezza nel senso più astratto del termine, ha preso nel corso della Storia dell’uomo, forme e connotazioni diverse:la Bellezza può essere considerata sia espressione di altissima armonia, sia di mostruosità, un po’ ricalcando quello che è accaduto nel medioevo, oppure scherzo, citazione come in tutto il '900. Ma al di là di tutte le possibili connotazioni la Bellezza è l’unica possibilità per l’uomo di riscattarsi dal caos e dall’orrore di questa contemporaneità. Ma la Bellezza è frutto di una sintesi suprema tra le vicissitudini dell’uomo, attraverso i suoi errori, orrori, attraverso i lati più nascosti delle esperienze di ciascuno, attraverso le sue vittorie. E quale migliore forma di supporto e di ausilio se non la Scrittura, e gli scrittori, possono divenire una vera e propria armatura contro tutti i nemici di quest’epoca di continui transitamenti, spesso oscuri, e strumento di costruzione di un futuro tagliato su misura per l’uomo?



Per il sabato 10 maggio 2008 h. 18,00 – 19,00
stand regione Puglia
Padiglione nr. 2
Stand G 14 e G 18 e H13 e H17
Relatori: Stefano Donno, Andrea Di Consoli
Le opere presentate:
“Racconti del ripostiglio”,di Claudio Martini
“Chiedi alle nuvole chi sono”, di Giorgio Bona


TERZO APPUNTAMENTO
lunedì 12 maggio - ore 15-16, Arena Piemonte
L’opera presentata:
Mihai Mircea Butcovan
“Allunaggio di un immigrato innamorato”
Interviene Andrea Bajani

mercoledì 30 aprile 2008

Irene Leo su Un cielo senza repliche di Vittorino Curci (Lietocolle)















"Un male del principio. Un guasto. All'altezza del brivido che ripete se stesso.

Oggi confuso e distante. Domani sangue vivo.

E' tutto quello che so.

Con i piedi nella melma e i calzini bagnati, le domeniche non passano."



Un cielo senza repliche, è quello che scorre dagli occhi al lento e veloce snodarsi dei giorni. Un cielo sempre uguale nella memoria, sempre dissimile dal vero oltre la lente delle emozioni. L'orizzonte non ammette ripetizioni sui suoi straordinari tramonti, e sulle sue indicibili albe, così come la vita non ammette possibilità infinite e ripetitive. Alla finestra della psychè esiste e sussiste l'unicità dell'attimo, che si perde mentre la lingua battendo sul dente pronuncia "vita". A volte spalancando le braccia al mondo, poi questo ci attraversa e noi non siamo più noi, ma un mezzo con il quale raccontare la nostra verità, che è la verità dell'universale, quella cui lo spirito anela.

C'è una brezza leggera tra queste parole, parole di cera, parole di sabbia, parole di marmo, parole di albero, parole di uomo, parole nude e parole vestite. Le parole di Vittorino Curci. Nel loro modus elegantemente sobrio hanno dalla loro una forza particolare, che con estrema dolcezza ti scorre addosso e si spinge oltre, ed il lettore pian piano è come accolto in un contesto reale e concreto che ha il sapore pieno della dimensiona narrativa. E' la goccia che cava la pietra per giungere alla radice, e al senso delle cose sotterranee. C'è l'ombra e l'essenza di un Sud tra le righe, odi voci e volti farsi strada, i "compagni" della domenica e le lotte intestine e non col quotidiano, la contraddizione delle certezze, l'eco dei sentimenti, e i colori chiari e i colori scuri. Lo stile è un nonstile, ovvero libertà espositiva che scardina la fredda gabbia del rigor metrico, in virtù di un accalorato flusso di pensieri, spontanei, spigolosi, spina e rosa di una perenne evoluzione. La sensazione di un viaggio rimane addosso, un retrogusto di cose che passano veloci, nelle quali noi eterni esseri erranti in lotta col tempo ci contiamo le dita coscienti che tutto sfinirà nella linea dell'orizzonte, e dunque ci nutriamo la bocca, lo sguardo, le carni e l'animo di tutta l'intensità che possiamo. Non c'è luce accecante che abbaglia in questo "versificare", piuttosto un controluce, ed una lampada notturna che disegna e sottrae situazioni come ombre cinesi su un muro candido.

C'è una personalità poetica evidente e ricca di sfumature in "Un cielo senza repliche" di Vittorino Curci: è un regalare al lettore il carisma e l'oscillazione dell'osservatore attento, che con le sue variazioni in versi crea sonate che danzano nell'etere come le delicate note di Einaudi. E d'obbligo restare in silenzio dunque per non alterarne l'alchimia preziosa oltre lo spazio, dove alla fine il luogo raccontato è tutti i luoghi, e l'aria che inonda i polmoni dell'autore, diventa la stessa che noi tutti respiriamo. Noi siamo là, ed il resto è un'inutile cornice, la perfezione è nel nocciolo delle cose.


"(...) Ma per come li ricordo

quelli erano ciliegi

e lì il mondo non finiva."




Un cielo senza repliche
LietoColle - Collana Aretusa
ISBN 978-88-7848-376-7 € 10,00

sabato 26 aprile 2008

Edita diventa anche agenzia letteraria

















Il mondo dell’editoria e della cultura italiana e non solo, si presenta oggi più che mai come un universo ricco di energie,e di possibilità di scambi di informazioni e risorse, alla portata di quanti credono nel proprio lavoro, nella ricerca condotta sia attraverso la scrittura, la produzione libraria, la comunicazione. Ma... esiste un MA!

Sembrerebbe che tutto questo sia immediatamente raggiungibile, e possa davvero far realizzare il sogno di chi vuole essere presente e connesso al mondo delle lettere e affini, dove ogni porta è aperta!
Chi ad esempio con un suo manoscritto nel cassetto, ha la fortuna di vedersi pubblicato il suo lavoro da una casa editrice, non sempre poi viene seguito in ogni suo passo, dall’editing alla promozione in senso lato. E talvolta la cura a lui riservata per metterlo ad esempio in contatto, con il mainstream della critica letteraria giornalistica risulta veramente poca cosa. E i premi letterari? Quali sono quelle giurie che ad esempio possono garantire un minimo di serietà nella valutazione dei prodotti inviati? Quali sono quei premi che hanno un loro background di tradizione consolidato nel tempo?
Se invece qualcuno si trova alle soglie dell’esordio e vuole investire su se stesso, optando per un’autoproduzione, il problema non cambia.
E ancora, spesso ci sono singoli che hanno magari delle splendide idee, ma il terrore della pagina bianca li blocca sul nascere. Dunque, la soluzione parrebbe porsi nell’abbandonare l’idea e proseguire oltre!
In questo variegato affresco c’è anche posto per tutti quei professionisti della politica, dell’arte, accademici, e chi più ne ha più ne metta, che per mancanza di tempo – un elemento che la contemporaneità sottrae a tutti noi senza mezzi termini – sono costretti a rinunciare ad appuntamenti istituzionali di carattere culturale, perchè nessuno pensa a ciò che loro pensano.

La nuova sezione di Edita, agenzia di servizi editoriali dall’ottobre 2004, ha pensato di riunire una serie di energie intellettuali, che sanno cosa significano parole come libro, cultura, comunicazione e tutte le “patologie” ad esse connesse. Più che essere una società di mutuo soccorso per autori e operatori culturali, Edita come agenzia letteraria, si prenderà cura, non solo, di autori inseriti nel circuito editoriale nazionale, di esordienti allo sbaraglio, comunicatori muti, di scovarli, ma sarà una vera e propria bussola per i naviganti in questo mare in tempesta!

Edita parte dal Salento, come terra di confine, di transito e attraversamenti, oramai grande bacino di produzione culturale da tempo riconosciuto, e soprattutto un territorio che può divenire un interessante teatro di manifestazioni culturali, a dimensione di uomo, che troverà in Edita un solido punto di riferimento. Diciamo, che il suo staff crede nel valore della cultura, e della creazione di economia attraverso di essa, e soprattutto è disposto per la cultura a perdere anche il sonno!



EDITA OFFRE

COUNSELING EDITORIALE PER AUTORI...ed editori

individuazione di premi mirati, locali, nazionali e internazionali
editing
editing semplice (applicazione delle norme redazionali)
percorso di promozione individualizzato per lavori inediti (poesie, saggistica e narrativa) presso case editrici
comitato di lettura esterno a case editrici
individuazione di risorse critiche e letterarie per autori mirata
consulenza di promozione per opere edite
ghostwriting (voi avete un’idea e noi la realizziamo)
image direction (preparazione di contributi per conferenze dibattiti e incontri)






info: agenzia letteraria dal 2004
via G. Argento, 5 Lecce
redazione@editando.it
ufficiostampa@editando.it
www.editando.it

giovedì 24 aprile 2008

Russia e Bielorussia a confronto


Pittori dell' EST, BIELORUSSIA e RUSSIA

presso LeSegretediBocca in via Molino delle armi, 5 - MILANO
dal 25 aprile al 25 maggio 2008,


orari:
da lunedi a venerdi 9,30 - 13,30

mercoledì 23 aprile 2008

Vito Antonio Conte su Ieratico Poietico




















cosa dire del tuo momento creativo sacerdotalmente reso?
per mio Piacere dirò.
del tuo Fiume in piena.
della tua Fuga dal nero carotto verso il sole.
della tua Salvezza o del tuo Desiderio di Salvezza.

del Passato, di Oggi e di Quel che sarà, qualunque cosa sia e/o qualsiasi cosa si voglia.
perdersi nel passato. per vederlo. ri-vederlo.
scorrere in tutto quel che è stato.
ogni cosa che hai toccato.
ogni cosa che ti ha toccato.
ogni cosa che ti è toccata.
tutti gli sguardi, di ogni uomo, di ogni donna, di tutte le ombre…
e le parvenze e le rimanenze.
sentirne il sapore, ogni sapore, tutto il sapore.
vederlo, ri-vederlo e sentirlo e ri-sentirlo quel passato.
tutto quel passato, oltre tutto quel che è stato.
e provarne ancora il dolore: in qualunque stagione: quella dell’amore,
come quella dell’addio. e l’odio per gli inetti d’ogni grado e appartenenza
a consumare senza pazienza.
quella che devi inventarti tu
sempre
per lavorare, per non sopravvivere,
ma per essere come sai, come vuoi, com’è giusto.
per continuare
(tra latitudini che s’incrociano negli eventi)
a pensare (oltre tutto, nonostante tutto).
a dire (per una speranza di vita).
a denunciare (anche quel passato).
foss’anche con una fragile preghiera,
quando non bastano più le borchie, certi stivaletti, certo look, certa musica, certe visioni.
quando non basta certa nostalgia.
quando null’altro basta.
né la filosofia, la cioccolata e i marchi di questo cazzo di mondo.
srotolando la pellicola emerge lo smerdamento
e lo smembramento e fa male.
fa male il ricordo. fa male l’impotenza.
fa male fare i conti e sapere già prima che non torneranno mai.
ma devi traslare e disvelare dall’antico Egitto un dire-fare grave e solenne:
quello, proprio quello, l’unico che la tua coscienza tollera: chè è Onesto!

oggi è inutile dire, eppure lo dici.
chè di segreti si vive, chè di segreti si può morire.
e avevi ragione quando hai scritto che i miei versi erano vicini alla tua logica dell’esistenza.
è reciproco amico mio.
abbiamo fermato graffiti per giuoco. li abbiamo fermati in tempi diversi.
li abbiamo amati allo stesso modo. li abbiamo resi per Onestà.
chè oggi non si può, ma si deve dire. per sputare tutti i rospi.
chè negli occhi non rimanga una parola soltanto.

domani sarà. sarà perché hai citato tutto e tutti. tutto quel che è perdutamente andato.
tutti quelli che ci hanno amato solo per una sigaretta. o perdutamente e basta.
Tutto quel che di oggi rimane mentre diventa ieri.
tutti quelli che hanno sorriso senza che la notte porti via niente.
e resterà qualcosa. qualcosa resterà. rimane sempre qualcosa.
chè devi dirla tutta e tu l’hai detta tutta, proprio tutta. e bene.
ma non dire più cos’è poesia.

lunedì 21 aprile 2008

n.8 di Agata Spinelli


Ho costruito la tua casa
e poi l’ho immersa in acqua.
È il posto più bello
che tu abbia mai visto
e alla porta d’ingresso
c’è scritto il tuo nome.
Pure i pesci l’hanno imparato
e fanno le bolle
quando lo dicono.

domenica 20 aprile 2008

Spot book n.7



Autore: Patrick Graham
Editore
Casa editrice: Nord



Quando Marie Park, un'agente dell'FBI, inizia a indagare su un serial killer, non può immaginare che l'uomo cui sta dando la caccia è alla ricerca di un libro segreto, un libro che la Chiesa per secoli ha cercato di occultare e di cui si erano apparentemente perse le tracce dopo la peste del 1348. Ma il Vangelo secondo Satana esiste ancora, e il Vaticano è disposto a tutto pur di non far conoscere al mondo la vera storia di Cristo.

fonte www.qlibri.it

martedì 15 aprile 2008

Maurizio Nocera a Volo D'Arsapo


Sarà presentato giovedi 17 aprile, presso la Biblioteca Comunale di Tuglie, A volo d’Arsapo (Note bio-bibliografiche su Maurizio Nocera) di Paolo Vincenti. Interverranno, alla presenza dell’autore, il prof. Gigi Scorrano, critico letterario e dantista di fama nazionale, e il prof. Mario Geymonat, docente di Letteratura latina all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Letture di Antonio Calò, della Calandra Teatro. Coordina Antonietta Fulvio, direttore editoriale Il Raggio Verde edizioni.
A volo d'Arsapo inaugura la collana “Vite e Scritture”, proponendo con il suo primo titolo una interessante raccolta bio-bibliografica su Maurizio Nocera, scrittore, giornalista, poeta, bibliofilo, infaticabile animatore di iniziative culturali nel Salento e nel mondo..
Il libro si articola in tre sezioni. Il primo è uno scritto di carattere monografico dove Paolo Vincenti ripercorre la vita di Maurizio Nocera, una vita votata alla poesia e alla scrittura, alla ricerca del vero senza mai perdere di vista l’autenticità e il sentimento come fondamento della comunicazione. Completano il volume, una raccolta di articoli e saggi brevi pubblicati su varie periodici e riviste locali negli ultimi anni in merito alla carriera e alla produzione letteraria di Nocera e una accurata bibliografia delle sue opere.
Scrive Sergio Torsello su Quotidiano : “ Lo scritto d’apertura significativamente titolato “Io e Maurizio Nocera”, testimonia non solo la personale fascinazione dell’autore ma anche un dialogo intenso tra due mondi lontani, per certi versi opposti, che tuttavia si incontrano sul terreno comune dell’impegno culturale. Vincenti ricostruisce con dovizia di particolari la multiforme biografia intellettuale del personaggio: il custode amorevole e appassionato dell’eredità di Antonio Verri, il gran tessitore di rapporti internazionali /(come non ricordare, tra i tanti, quelli con Joyce Lussu e Sergio Vuskovic Rojo), la capacità rabdomantica di scovare talenti negli angoli più sperduti della provincia. Sono quasi 250 i titoli censiti da Vincenti nella parte conclusiva del volume dedicata alla bibliografia di Nocera.” Per poter meglio conoscere ed apprezzare questo libro, che si pone come un validissimo ed utile documento sulla “instancabile vi(s)ta di Maurizio Nocera”, come scrive Mauro Marino su Paese Nuovo, appuntamento, quindi, nella serata del 17 aprile a Tuglie.

fonte iconografica Musicaos.it

lunedì 14 aprile 2008

Nunzio Festa about Ieratico Poietico!







Donno dice un poema in più movimenti. Il poeta salentino Stefano Donno, che oltre a fare versi intensi e appassionati è spina dorsale delle edizioni Besa, regala alle orecchie nostre il suo Ieratico Poetico; versi segnati da una città in particolare ma senza dubbio, più che altro, dalle sue facce e dalle sue vie: dalle storie; dai passaggi e dalle fermate. Al ritmo incantato delle note dei bar e delle bevute cosparse di citazioni sotto traccia e non. Ieratico Poetico scorre nelle fitte della quotidianità. Parte in quarta, il poema. All’inizio si sente la trepidazione di chi vuole e deve parlare, con effetti sulla costruzione che accolgono però l’arrivo di una prosecuzione anche servita dalle iterazioni. Dove le tinte sono più scure ma meno ‘pensate’ il risultato è gratificante.
Continua qui ...

http://scritture.blog.kataweb.it/

sabato 12 aprile 2008

Daniele Giancane su Ieratico Poietico



















Ieratico poetico di Stefano Donno - scrive in prefazione Luciano Pagano - «è un poema scritto per una città che il più delle volte toglie senza chiedere nulla» in cui emergono quasi casualmente indizi, che non hanno nulla di metafisico o esistenziale, ma che si risolvono in slogan, reclami, parole vuote. In una parola il vuoto. In effetti, la prima sensazione che si affaccia dopo aver letto questo poema è che, dietro il torrenziale sciabordare di parole, situazioni, accenni, rimandi a «eroi» di celluloide o della cronaca, vi sia una tormentosa lotta contro il nulla del nostro tempo, contro l’inessenziale, lo sciupìo di risorse umane, la superficialità delle relazioni, tutto un mondo perso fra dogmatismi e «conserve culturali» (a dirla con Jacob Moreno).
I tre movimenti che scandiscono il poema del giovane autore salentino edito da Besa («Flumen», «Escape from black hole sun» e «The graal, post-human desire») mettono in scena una condizione umana ritratta a tutto tondo, con un linguaggio che rammenta quello di certa poesia americana: non si fa fatica a «sentire» Whitman di Foglie d’erba e il Paterson di Williams, ma soprattutto la grande lezione della Beat generation, e comunque tutta quella poesia che racconta il mondo senza infingimenti o retorica, che cerca un impatto vitale con la società, che evita come peste il lirismo fine a se stesso (anche se certi passaggi sono «naturalmente» lirici).
Una poesia - quella di Donno - che ha come sottofondo il jazz delle periferie (non a caso il poeta cita più volte figure di emarginati: barboni, puttane), il be-bop, il blues. Stefano Donno affronta con successo la sfida di «narrare» il mondo con un linguaggio che diviene facilmente un «territorio» fra poesia e prosa, fra dicibilità e «altrove»; la messa fra parentesi - in più punti di questo testo - non è semplicemente un espediente letterario, ma la necessità di «dire» quasi a bassa voce, di riflettere o far riflettere: «Ballare amava dire che la narrativa è una branca della neurologia» o «La poesia ha latitudini troppo elevate / per chi scrive versi da qualche anno», così come l’iterazione - che è la tecnica più usata dall’Autore - riporta all’esigenza di battere il tempo, di martellare il lettore e quasi di coinvolgerlo in un clima ipnotico. In questo senso possiamo affermare che questa poesia richiama anche una sorta di «sciamanesimo» del poeta o comunque la sua volontà di essere «tramite», di far scorrere dentro di sé i rumori, i sogni, le contraddizioni del tempo.
Certo, è poesia di città - anche di sarcasmi, malinconie, sconfitte e autocritica - che rivela il meglio di se stessa in molti fascinosi passaggi: «i pensieri ora / si fanno più sottili/ nell’insonnia acida /di notti austere/ troppo gonfie/di ricordi» e attacchi di grande presa: «Ci sono storie/ che non devono essere raccontate/ penso a Mary, Ben e May/ delle loro estati di passione/ delle loro emicranie moleste».
Ieratico Poietico è così una sorta di affresco che ha una forte dimensione teatrale, sia nel tono complessivo sia nella continua entrata in scena di personaggi, dipinti con pochi tratti e che subito rientrano nell’ombra per lasciare il passo ad altri personaggi, che sembrano urgere e chiedere spazio. Stefano Donno realizza così un interessante (in più punti emozionante) poema, che prende il lettore e lo coinvolge sino in fondo.

3/4/2008

fonte Gazzetta del Mezzogiorno

giovedì 10 aprile 2008

Quando l'America scoprì i sassi




















Matera, 8 aprile 2008 – Altrimedia Edizioni presenta, presso la Chiesa del Purgatorio di via Ridola a Matera, alle ore 18.00 del 12 aprile prossimo, il saggio di Carmine Di Lena Quando l'America scoprì i Sassi, nato in collaborazione con la Fondazione Zètema.

Al momento di riflessione prenderanno parte, oltre all'autore del saggio, Vito Epifania (responsabile editoriale AAltrimedia Edizioni) e Raffaello De Ruggieri (presidente Fondazione Zètema).

La pubblicazione si presenta come studio accurato e documentato su una delle questioni più importanti legati alla storia e allo sviluppo della città di Matera: lo svuotamento dei Sassi visto con la lente dell'interessamento degli Usa alla vicenda; dove, documenti alla mano, l'autore sostiene una tesi che corre lungo la cronologia dei tempi. Passando dal periodo fascista agli anni successivi al 1950. Il libro è puntato sul ruolo che giocarono gli Stati Uniti d'America nell'intera vicenda, prima della nota e riletta legge speciale del 17 maggio 1952, prima del tanto discusso svuotamento degli antichi rioni. Di Lena, entusiasmato dalle considerazioni oggettive che vengono fuori direttamente dal fegato degli archivi, legge per parlare con quanti hanno a cuore tutti i passaggi che hanno segnato il percorso di trasformazione di Matera. Passando attraverso la visita materana dell'ambasciatore nordamericano in Italia James David Zallerbach.


Biografia dell'autore:
L'ingegner Carmine Di Lena è nato a Matera nel '39 e nella Città dei Sassi tutt'ora vive. E' stato docente di materia tecniche in diverse scuole medie superiori.
Dal 1969 al 1978, segretario provinciale di Matera dell'Ordine degli ingegneri e nel corso degli anni, ha studiato la sismicità storica e gli effetti di dettaglio storici su diversi comuni della Basilicata.
La passione per la ricerca e l'amore per il suo territorio hanno portato Di Lena a studiare in maniera specifica aspetti dell'identità di Matera legali allo sviluppo di questa importante città e alle trasformazioni che si sono succedute nel corso dei secoli; dando anche forma ha opere e progetti di saggistica utili per far nascere o implementare riflessioni importanti sulla natura e il cammino di tanti luoghi.

Pubblicazioni di C. Di Lena:
Tabella per il calcolo diretto della sezione rettangolare inflessa in cemento armato, Liguori Editore (Napoli, 1980);
Le mappe del catasto fabbricati a Matera, 1875-1898, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera anno IX n. 14 (Matera, 1988);
Il palazzo del Governatore a Matera, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera anno XIII, n. 20-21, (Matera, 1991 / 1992);
Il castello Tramontano e le fortificazioni materane, in Il Castello di Matera, edizioni Paternoster (Matera, 1992);
Le fortificazioni materane, in Bollettino della Biblioteca di Matera anno XVI (Matera, 1995);
Dentro le mura, in Matera dentro le mura, Altrimedia Edizioni (Matera, 1996);

sabato 5 aprile 2008

Medi_terra_neo 2008

















Presidio del Libro di Copertino, Fondazione Moschettini, Associazione Casello13


Presentano

Medi_terra_neo 2008

Aprile
Medi_terra_neo - Mercoledì 2 aprile - ore 20,30
Il funambolo sull´erba blu - di Maria Pia Romano - Besa ed.
presenta Antonio Errico
al violino il maestro Francesco Del Prete
B&B Chiesa Greca al "Il Giardino del Prete"
Piazzetta Chiesa Greca, 11 - Lecce

Medi_terra_neo -Venerdì 25 aprile - ore 20,30
Il denso delle cose - di Vera Lùcia De Oliveira - Besa ed.
presenta Stefano Donno
video installazione di Marta Ampolo
Ex Palazzo Colonna - Via Ruggeri- Copertino (Le)

Medi_terra_neo - Mercoledì 30 aprile - ore 20,30
I racconti del ripostiglio - di Claudio Martini - Besa ed.
presentano:Stefano Donno e Francesco Tarantino
in mostra "Scatole" di Andrea Laudisa
B&B Chiesa Greca al "Il Giardino del Prete"
Piazzetta Chiesa Greca, 11 - Lecce



Maggio

Medi_terra_neo - Giovedì 15 maggio - ore 20,30

Mai più scema di Elisa Albano - Lupo ed.

Antonia Pozzi letta da Ambra Biscuso

presenta Francesco Tarantino

video proiezione 'Intimate Portrait' di Eva Caridi

Ex Palazzo Colonna - Via Ruggeri- Copertino (Le)



Medi_terra_neo - Sabato 17 maggio - ore 20,30

Ieratico poietico di Stefano Donno - Besa ed

presenta Antonio Errico partecipa Luciano Pagano

video installazione di Andrea Laudisa

Ex Palazzo Colonna - Via Ruggeri- Copertino (Le)



Medi_terra_neo - Sabato 24 maggio - ore 20,30

1996- 2007 : Antonio Errico

performance: L´ultima favoleria degli Angeli ribelli

in mostra Gix

B&B Chiesa Greca al "Il Giardino del Prete"

Piazzetta Chiesa Greca, 11 - Lecce







Il Presidio del Libro di Copertino, la Fondazione Moschettini e L´Associazione Casello13 organizzano per il 2008 una rassegna dedicata al tema del viaggio in più tappe.

Il programma, seguendo la mission fondamentale dei Presidi del Libro d´Italia, intende promuovere la lettura con una serie di iniziative mirate, si articola in tre tematiche: "Itineraria Messapica" viaggio a ritroso tra le radici messapiche della Puglia meridionale; "Medi_terra_neo" escursione nella produzione letteraria contemporanea; "Itinerari di Fede" incontri dedicati a figure esemplari all´interno dell´universo spirituale e religioso cattolico, con un particolare riferimento a San Giuseppe da Copertino.





info:

Ambra Biscuso

casello13@hotmail.it;
http://blog.libero.it/casello13/

Ingresso Gratuito

fonte iconografica www.massic.wordpress.com

venerdì 4 aprile 2008

Rot ist meine liebe di Silla Hicks


















rot ist meine Liebe
rot ist mein Blut
das auf dem Fußboden tropft
Ich Aspekt
in Schweigen
die Dämmerung






fonte iconografica www.blogico.blogspot.com

martedì 1 aprile 2008

Sorte di Irene Leo






















Moriranno le viole

quando soffocherò il sole?

Nel tuo fiato nero,

eclissi riluce,

l'assenza.

Carnefice ti acceco,

non tu,

ma io forse.

A fresche radici per negare la vita,

il profilo d'ossi di vero,

chiesi,

al chiuso di turgore di vetro.

Il filo rosso che annoda,

sulla faccia di dado che ride,

neanche sorte si chiama




http://ireneleo.wordpress.com/

fonte iconografica www.centocelle.splinder.com

domenica 30 marzo 2008

Non voglio un mondo così!


























DEMOCRAZIA?
LIBERTA'?
UGUAGLIANZA?
TOLLERANZA?





fonti iconografiche
www.montagna.tv
www.metaforum.it
www.romagnaoggi.it
www.socialnews.it

sabato 29 marzo 2008

Spot book n.6













«Il più sudamericano degli scrittori italiani» - Gianni Mura, Il Venerdì di Repubblica

«Nei libri di Stassi c’è lo sport, la storia, il grande racconto, le piccole vigliaccherie, l’ironia, la tristezza, la musica, il silenzio» - Carlo Annese, La Gazzetta dello sport

«La nostra letteratura, con Fabio Stassi, è diventata più ricca» - Darwin Pastorin, Liberazione

Il nuovo romanzo di Fabio Stassi è la storia di José Raúl Capablanca, il più grande scacchista cubano di tutti i tempi, che fu bambino prodigio e conquistò il titolo di campione del mondo nel 1921. Amato dalle donne e rispettato dagli avversari, almeno fino a quando non fu scaraventato giù dal trono troppo presto per mano di un suo ex amico, Aleksandr Aljechin, il miglior giocatore di Russia: uno disposto a tutto per gli scacchi, fuggito dalla rivoluzione d’ottobre e approdato in seguito alla corte dei gerarchi nazisti. La storia di Capablanca è la storia del loro duello. L’offesa di una seconda occasione sempre rinviata, come spesso è la vita. Perché Aljechin non concederà mai una rivincita al suo nemico.




Fabio Stassi (1962), di origine siciliana, vive a Viterbo e lavora a Roma in una biblioteca universitaria. Scrive sui treni. Nel 2006 ha pubblicato il romanzo Fumisteria (GBM, premio Vittorini Opera Prima 2007). Un suo racconto è stato inserito nella raccolta Bonus Tracks, scrittori italiani per Rolling Stone (Oscar Mondadori, 2007). Per minimum fax ha pubblicato È finito il nostro carnevale (2007) e La rivincita di Capablanca (2008). La rivincita di Capablanca, minimum fax, 2008
È finito il nostro carnevale, minimum fax, 2007
Fumisteria, GBM, 2006

fonte Minimum fax

venerdì 28 marzo 2008

Pierluigi Mele. La fiaba del 29 settembre


















Nazim era un mercante di tessuti turco. Non aveva grandi passioni per niente in particolare, eccetto un amore smisurato per gli affari. Talvolta, nei meriggi di calura, leggiucchiava il Corano all’ombra dei palmizi, sorbiva un tè e sogguardava il mare di Istanbul. A quel tempo Nazim viveva esclusivamente per gli affari e i soldi si riproducevano per lui. Trafficava in tappeti: Julakhirs di Samarcanda, Kilim dell’Anatolia, del Sind e Pakistan. Trafficava anche in teli Qashqa’i dell’Iran. Nomi che farebbero pensare a storie magiche, stregate. Niente da fare. Perché Nazim batteva i bazar commerciando carichi di stoffe, arazzi, damascati e le gole del Caucaso dove acquistare lotti di tappeti. Fu di ritorno da uno di quei viaggi che Nazim disse con voce chiara: «A volte sento il bisogno di cambiare vita». Il suo valletto lo guardò stupito e chiese: «Per fare cosa, padrone?». «Non lo so» disse Nazim «ma forse è tempo di cambiare vita». Forse gli affari non sono il vero affare del padrone. Forse non lo sono per nessuno, pensò allora il servitore.

Teresa viveva alla macchia, libera come il sole. A volte aiutava la madre alle acquare incavate sulle serre dove si metteva il lino a macerare. Poi se ne tornava ai pozzi scavati nella roccia e lanciava pigne per sentirne il colpo contro il fondo. O se ne andava per le masserie a fare il verso a pecore, galline e a carezzare i cavalli. Crasì era il favorito. Lo liberava all’insaputa del fattore, cavalcava sino al mare e lo riportava nella stalla. Altre volte si divertiva ad ascoltare le storielle del villaggio. Racconti mai reali e mai falsi per intero, ma a nessuno importa che le storie siano vere per intero. Teresa viveva libera alla macchia perché era nata con la luna storta, dicevano. Ma la luna non è mai dritta e neanche storta. La luna fa la luna, pensava Teresa.

Un mattino, al mercato di Ankara, Nazim fu sedotto da alcuni manufatti esposti in un emporio. Di un’eleganza tutta nuova per le piazze del levante. E colpiva il bianco purissimo che le sete variopinte tutt’intorno non riuscivano a oscurare. «Mani di donna» mormorò Nazim. «Fiori di donna» aggiunse ad alta voce. «Fiori di donna?» domandò sorpreso il servitore. «I nostri tappeti» disse Nazim «nascono dai disegni dei maestri. Ogni maestro dispone le forme da filare secondo un’arte millenaria. Ogni tappeto è una storia che soltanto lui conosce. Le donne assegnano i colori a quella storia. Ma questi filati sono puri e tersi come il cielo. Non c’è maestro a deciderne la trama. Sbocciano dalle mani di una donna. Questi sono i fiori di un telaio».
Nazim, che aveva fiuto per gli affari, decise di mettersi in viaggio per assicurarsi grandi riserve di quei manufatti. C’era un’altra ragione che lo spingeva al viaggio, ma non sapeva che nome dare a questa ragione. Prese un filato, tastò la consistenza del tessuto, ammirò la grazia dell’intreccio e poi, cosa strana per un mercante, lo portò all’orecchio. Restò con gli occhi socchiusi come ascoltando il suono del mare da una conchiglia. Forse la sua vita sta cambiando, pensò a quel punto il servitore.

Erano stati i monaci d’Oriente a introdurre i gelsi nella terra di Teresa, favorendo la coltura dei bachi e la produzione della seta. Col tempo maturò la coltivazione del lino, la produzione di funi e la tessitura. Le donne eccellevano al telaio, argalìo nella lingua di Teresa. Per il tipo di coltura praticata in quei posti assetati, la presenza dell’acqua era vitale; e la collina dove Teresa trascorreva il suo tempo era abitata da pozzi profondi dove contenere l’acqua di pioggia, usata per macerare il lino ed abbeverare gli animali. Sulla collina sorgeva una chiesa, S. Maria delle Puzze, con un piccolo ospizio per accogliere i viandanti di passaggio. Fu qui che Teresa amò per la prima volta un uomo. Accanto alla chiesa un piccolo cimitero, ma grande abbastanza per non sfuggire alle visioni di Teresa: a volte le apparivano dei corpi dentro i sogni, delle salme con in bocca una moneta. Pagavano così a Caronte il viaggio all’altro mondo. A Teresa certi sogni non mettevano paura. A sua madre i morti venuti in sogno invece mettevano spavento. Ma solo quelli che se ne stavano zitti, perché le salme buone parlano nei sogni e portano consiglio e fortuna a chi li sogna. Quelli muti portano disgrazia. Se non parlano vuol dire che non sono morti bene, diceva affrettandosi alle acquare.

Nel lungo viaggio in mare Nazim ebbe modo di pensare a molte cose. Per esempio cercò di immaginare quali mani avessero tessuto il panno bianco scoperto ad Ankara. Lo teneva con sé sul ponte della nave e ogni tanto lo annusava come a rubarne l’anima con calma. Presto Nazim avrebbe saputo dell’arte del ricamo in cui eccellevano le donne nella terra di Teresa. Il punto ad ago specialmente. A scarafaggio, quadrifoglio, traforino a margherita, cerchietto, mostacciolo, muliné. Anche il servitore ebbe modo di pensare a molte cose. Di dimenticarne altre. Per esempio cercò di dimenticare gli anni di fedeltà al suo padrone. Troppi. Stava invecchiando, Yusuf. Si chiamava così il servitore. Stava invecchiando, certo. Ma la cosa singolare era che Yusuf non ci aveva mai pensato. Che strano, pensiamo a tutto, tranne le cose che accadono naturalmente.

Teresa non aveva tempo per l’ipocondria. Riempiva ogni minuto del suo tempo, spesso a non fare niente. Inoltre detestava ricamare. A parte assistere la madre alle acquare, Teresa mangiava, oziava, sognava a suo modo. Era bella a suo modo. Era figlia a suo modo. Anche la madre era madre a suo modo, soprattutto quando malediceva l’anno, il mese, l’istante in cui concepì Teresa.

Nazim sbarcò sul finire dell’estate. Yusuf era di nuovo allegro ma senza conoscerne il motivo. Forse per le donne verso il porto o per l’odore pungente dell’origano. Dalla faccia di Nazim non trapelavano emozioni. Era un mercante di tessuti e gli affari non s’inteneriscono per l’origano.
Teresa fece un sogno una notte di fine estate. Sognò che l’uomo amato nell’ospizio anni prima fosse ritornato. Che si aggirasse nel paese alla ricerca di un segreto nascosto chissà dove. Mentre camminava, l’uomo non mostrava il volto; se ne intravedevano i capelli scuri oleati da un unguento. Avanzava sicuro come se conoscesse a memoria le contrade, i sentieri ed ogni pozzo. Teresa era quasi certa che fosse l’uomo amato una notte anni prima. Se ne convinse quando lo sentì parlare una lingua forestiera che lei s’illudeva di capire. Inutile obiettare: i sogni fanno i sogni, avrebbe detto Teresa a questo punto.

Nazim e il servitore si sistemarono in una locanda tra i gelsi. Fu una notte gelida quella prima notte in Italia. Consumarono pane, legumi, formaggio e vino che addormenta. Al risveglio il cielo era lindo, l’aria leggera. Che strano, pensò Yusuf, stanotte il gelo ed ora il sollievo. Questo cielo è stralunato come, come...
Teresa, nell’esatto momento in cui Yusuf e Nazim incontravano i mercanti del villaggio, montava a cavallo di Crasì per le dune lungo il mare.

Nazim vide Teresa per la prima volta lungo i pozzi. Tornavano, il mercante e il servitore, dai paesi dove s’iniziava la vendemmia e il cielo montava in cumuli di nubi e poi sfoltiva nel chiarore. Nazim la intravide, a dire il vero, perché Teresa scomparve così com’era venuta, in un bagliore. Ma a Nazim bastò per non articolare una parola, né fare un gesto minimo né un passo. Fulminato.
Non la rivide più. La cercò dovunque, chiese di lei a chiunque, l’aspettò ai pozzi ogni mattino, ogni tramonto invano. Come se Teresa si fosse perduta dentro un pozzo, come se fosse apparsa solo dentro un desiderio. Nient’altro che una figura appena scorta, dei larghi fianchi alla penombra, un profumo evanescente, nient’altro per cambiare la vita di Nazim.

Fu una sera di primo autunno. Nazim guardò la luna, le sorrise, sembrò rivolgerle un saluto, fissò Yusuf al suo fianco, uno sguardo morbido, d’intesa, si sentiva semplice, Nazim, puro e terso come il panno bianco ad Ankara, guardò il pozzo davanti a sé, li guardò tutti, erano ottanta, la luna li rischiarava uno per uno, tornò a guardare il pozzo davanti a sé, sorrise ancora, disse nerò, acqua, nerò, e fu un salto nel pozzo fondo. Un salto, e tutto cambia.
Certi luoghi non sono importanti per ciò che appare. Certi luoghi hanno senso per tutto ciò che si cela dentro. Come le storie d’amore. Non vale il loro passato né il quotidiano, ma il desiderio di futuro. L’illusione di esserci domani, insieme.
Nazim e Teresa si amarono nell’acqua di un pozzo. Doveva essere la mezzanotte di un ventinove settembre.

Fiaba d’amore per voce e danza portata in scena il 29 settembre 2007 lungo “I Pozzi” di Castrignano dei Greci (LE) nell’ambito della rassegna “La Fiera dei Sud Est”

fonte iconografica www.neripozza.it

giovedì 27 marzo 2008

Stefania Ricchiuto su Ieratico Poietico























C’è una poesia che fugge dal suo stato costretto, da una condizione – esistenziale e di pubblicazione – che la vuole erotica ad ogni costo. Le ultime tendenze editoriali hanno offerto scritture dall’intento lussurioso, mercificando in modo inenarrabile la sensualità della parola, e compromettendo radicalmente la percezione reale di un verso ardito. Scrivere del corpo e delle sue sensibilità nel richiamo di sé e di un corpo altro, ha assunto ultimamente la maniera della moda più detestabile, smarrendo tutto il significato politico del desiderio dichiarato, dell’eccitazione narrata, del peccato comunicato. Spacciare per musa un sussurro registrato male, fare di un brivido ripetuto un’ode fine a se stessa, costruire fiamme elegiache per mera - ma non autentica - intenzione, ha edificato senza dubbio un mercato piccante e più che pasciuto, fornito di un’identità d’autore stranamente fatta donna. Con dei però, mortificanti. Ha infatti ridotto a semplice possesso il potere attivo che attraversa il corpo; ha richiamato, almeno in parte, discettazioni superate su un’autodeterminazione fisica da anni ormai compiuta; ha elaborato, nell’incoscienza, materiale d’offesa per quella che Giuseppe Genna definisce “la questione femminile che siamo costretti a nominare tale ad altezza 2008”. Contro tutto quanto, e oltre, c’è una poesia che fugge, e rifiuta l’imballaggio di sé, la veste da abuso e consumo, l’involucro da vendita garantita e indifferente. A fatica, chiama visibilità genuina e raccoglie un’attenzione più che distratta, e anche quando la si vuole restituire a forza in forma di autobiografia emozionale ed emozionata, essa urla e proclama i temi della denuncia dalle righe del suo contenimento, e non c’è prefazione astuta che ne possa falsare la volontà esclusivamente e pericolosamente sociale. Resiste, comunque e dovunque, e si fa canto dell’opposizione ancora possibile. Come questo “Ieratico Poietico”, poema di severa generazione di un intellettuale giovane e giustamente stanco.

La scrittura di Stefano è esoterismo puro. Prima di tutto perché strutturata secondo una linearità magica e significativa: i movimenti narrati sono tre, e fanno da stadi evolutivi della materia da dichiarare, e non per caso il primo atto è un fiume, il secondo una fuga, il terzo un desiderio. Nell’inizio, lo scorrimento della parola sfoga quel che Stefano vede, sente, incontra, ma soprattutto ciò di cui è parte integrante e nolente: le “silenziose folle spente” che si fanno largo in una quotidianità troppo anonima, sono masse scrutate ma anche subìte durante i modi del loro divertimento, e l’unica arma che ad esse si possa opporre è l’”essere fuori tempo”, e custodirsi tali con audacia infinita. L’uniformità esasperata è la denuncia che l’autore affida al primo suo procedere in flusso, registrando i colori stinti, i fetori nauseabondi, i fragori molesti; tutti gli aspetti spiacevoli e non leciti, insomma, di una condizione contemporanea tanto comune quanto malamente celata. Un mantra indovinato espone l’oggi del lavoro, che spoglia il sé di creatività e inficia anche l’arte di metodo produttivo: “lavorare bene/ lavorare sodo/ lavorare come si deve/ lavorare su versi/ lavorare sul prossimo racconto”. Le ripetizioni, gli elenchi, gli inventari sono preghiere ricorrenti anche in seguito, come note fini di un rimprovero costante, a ben rendere la situazione automatizzante del momento. In più, i richiami letterari, musicali, storici, sono incalcolabili e rendono lo scritto un labirinto di link impossibili da cliccare. Ci starebbero bene freccetta da puntare e universo da spalancare, ma il dissolvimento del presente si realizza anche tra questi impedimenti, e nell’auspicio maledetto dell’ “ecco cosa ci vorrebbe: un cappio”. Nella seconda parte, il presente cede la gogna al passato, e la confessione sfrenata di prima si fa narrazione cauta dell’inenarrabile. “ Ci sono storie / che non devono essere raccontate / quando in tasca / non rimane altro”. L’esplorazione qui si fa aguzzina, la penna – l’oggetto non si usa più, ma l’atto sempre penna rimane - si cala nei tombini fondi delle fogne più sudice, per sganciarsi prudente eppure voluttuosa dalla corda della risalita, e affondare nell’inchiostro più inquinato. Giù, più giù, in profondità, fin nel sottosuolo delle cronache (im)possibili: “perché a dire si rischia / di perdere tempo / di espiare a stento / malcelate sicurezze”. Alla ricerca di memorie sotterranee, Stefano raccoglie la risorsa-tempo, “un tempo senza tempo”, e la sua finitudine fatta di fretta e ansia. Attraverso gli occhi indagatori, bloccati da un’ipnosi destabilizzante ( “in my eyes / in my eyes / in my eyes” ) l’autore chiede e non ottiene il diritto alla lentezza, e la denuncia adesso è contro un mondo che ci pretende disponibili-funzionali-ininterrotti, 24 ore su 24. Insostenibilmente. Non resta che scappare. La terza parte è l’attesa, l’aspettativa, quel che verrà. E la materia - putrefatta in prima fase e purificata poi - ora può cedere al sogno, alla chimera, all’utopia di uno stato differente delle cose. Anche della poesia, che “ è tutta / incentrata / su di una scelta entropica / del Paradiso”, ma che è cosa fatta da gente inchiodata a sé, pronta a muovere parole per un prestigio tutto pubblico, e che tanto diffonde ma nulla comunica. L’alchimia è terminata, la materia è sublimata, l’opera è al rosso: Stefano ha concluso un libello solenne e creativo, più che buono e più che etico, che risveglia - nell’occulto di una frase netta - l’urgenza del passaggio poietico/poetico/politico. Perché Poesia ritorni a sorvegliare, Militanza recuperi sentimento, Cultura restituisca approdo. Per questo, occorre “essere presenti / e invece si è pigri. Insopportabilmente pigri.

fonte Cool Club

martedì 25 marzo 2008

Stefano Savella su Ieratico Poietico




















Da pochi giorni è in libreria Ieratico poietico (pp. 40, euro 5), un vero e proprio poema contemporaneo di Stefano Donno, pubblicato nella collana I poeti del poet/bar di Besa Editrice diretta da Mauro Marino. L’autore ha un blog personale, http://stefanodonno.blogspot.com/, sul quale si possono già consultare alcune recensioni sulla sua nuova opera, che segue le precedenti Sturm and Pulp (raccolta di poesie, Lecce, 1998); Edoardo De Candia, considerazioni inattuali (Lecce, 1999); il romanzo Se Hank avesse incontrato Anais (Lecce, 1999); Monologo - + (Copertino, 2001); la raccolta di racconti Sliding Zone (Lecce, 2002); il saggio L’Altro Novecento – giovane letteratura salentina dal 2002 al 2004 (Lecce, 2004).

Ieratico poetico è sviluppato in tre movimenti dove si alternano l’accumulazione e la riflessione, il lirismo e la prosa, italiano e inglese, autobiografismo e citazionismo. Il primo e più corposo movimento, Flumen, dirige il corso del poema in gran parte degli esiti successivi. Ne è messa in luce un’umanità (in)dolente («fottere gli stranieri / fottere i dispersi / fottere i disadattati»), come dolenti sono le mura del paesaggio cittadino che fa da sfondo («dove i piccioni smerdano / gli archi grandiosi») e dolente è il canto po(i)etico dell’autore («quanta fatica / ogni giorno / evitare gli abissi / barattare parole / mentre il giorno / vacilla / sui miei occhi / imploranti / misericordia»). Fiumi di citazioni letterarie, filosofiche, musicali e cinematografiche (si parte con Charlie Chaplin per finire a Vin Diesel) costituiscono la nervatura del poema che anche per questa caratteristica è necessario definire iper-moderno. Allo stesso modo interessante è la ripresa ciclica all’interno del poema di quello che il poeta stesso, nell’ultima pagina del libretto, definisce «un discorso di denuncia del mercato dello spettacolo, del trionfo della macchina, sentendo l’invenzione poetica come documento etico». Una denuncia che appare evidente nella ‘trama’ del poema e che tende ad assumere i tratti di un discorso ancor più vasto, che fa ricorso alla storia del Novecento, alla crisi della società post-industriale, riprodotta baustellianamente con le immagini della crisi dell’individuo, nei bar, in casa, per strada, in gruppo, in treno, ovunque gli sia possibile «protestare... che il viaggio è troppo lungo».

Ha scritto Luciano Pagano nell’introduzione, dal titolo Una canzone di città, al poema di Stefano Donno: «Rispetto ai maledetti del secolo scorso Stefano Donno ha un vantaggio, quello di poter mascherare e nascondere il suo ego dietro un affastellarsi di immagini che non ha più il suo referente nei papiri inceneriti di una biblioteca alessandrina, bensì in una wikipedia infinita nella quale tutti i linguaggi e tutte le nozioni si trasformano nei colori di una palette personale. Questi versi regalano ordine alla visione di un mondo caotico, malgrado la dichiarazione di non intento al poetare di altro, “sguardi / in un cesso di locale / che arrivano a testa bassa / tra codici sorgenti”».

Pubblicato da stefano savella su PugliaLibre

lunedì 24 marzo 2008

Eva contro Adamo. Una storia d’identità di genere, di Giovanna Vizzari, a cura di Anna Antolisei, LietoColle


















Se in un corpo d’uomo vive una donna. Ma anche il contrario. Giovanna Vizzari, nota poetessa e scrittrice nata a Piombino, discepola di Betocchi e Luzi, autrice di opere ampiamente riconosciute come Le lunghe ombre dei campi e Un Letto per Penelope, col romanzo Eva contro Adamo affronta un tema che oggi fa ancora tanto discutere e riflettere. “Sin dalle umane origini il rapporto tra portatori di sesso opposto si è rivelato tanto complementare quanto contrassegnato da un antagonismo che, nelle sue mille sfaccettature più o meno evidenti, più o meno sostanziali ha scritto, nella storia dell’umanità, pagine di straordinaria ricchezza e varietà: memorabili commedie o drammi in un perenne susseguirsi che, ancora ai nostri giorni, non vede la sua fine. Di gran lunga si aggrava questa compatibilità, spesso paradossalmente incompatibile, quando i medesimi conflitti vengono a trovarsi nel medesimo individuo; quando in un corpo d’uomo abitano una mente ed una psicologia femminili, e viceversa. Questo il tema che ha voluto affrontare Giovanna Vizzari nella sua più recente opera in prosa: racconta infatti con coraggio, senza falsi pudori e con impeccabile competenza, ‘una storia d’identità di genere’ che ha come protagonista l’opposizione tra il maschile e il femminile nella sua manifestazione più estrema, quella della transessualità”.
Infatti spiega la curatrice del volume Antolisei.
Protagonista della storia è Simone. Simona. Creatura che vuole esser donna ma in fattezze d’uomo. E la sua famiglia non sa capire. La società da invece solamente falsa comprensione. Eppure, oltre quanto in tutto questo, ci sono alcune amicizie. Il percorso di Simone – Simona è dunque caratterizzato da momenti durissimi, in una Capitale fatta vedere con mille occhi. Dove allora il dramma del personaggio centrale delle vicende non è che un soggetto rappresentativo di tante altre vite. Fino all’ospedale, che darà la risposta tanto attesa.
La transessualità, va specificato, grazie a questo romanzo, è presentata quale normalità considerata generalmente anormale. Giovanna Vizzari con la sua scrittura permette a tante e tanti, magari a tutte e tutti – persino - , di affrontare una tematica presa normalmente di mira. Con la grazi stilistica che le è propria, poi, la scrittrice d’origini toscane da uno strumento in più per sghignazzare di fronte ai volti tristi degli ignoranti.

NUNZIO FESTA

domenica 23 marzo 2008

Elisabetta Liguori su Ieratico Poietico




















Lo Ieratico poetare dei tempi.
Lettura di “Ieratico Poetico” di Stefano Donno – Besa - 2008


Davanti ad un vero poema epico contemporaneo in tanti potrebbero strabuzzare gli occhi, scuotere la testa scettici, ne sono consapevole, e questo perché in tanti hanno paura della poesia, soprattutto oggi, della sua rapidità, della vastità della sua verità soggettiva, della sua fatica intellettuale, quanto della sua inevitabile crudeltà.

In tanti hanno paura persino degli eroi, specie di quelli moderni, specie di quelli del sud, ancor più imprevisti di molti altri.

Ma la poesia è musica del tempo che viene e delle sue gesta. Deve destare sorpresa. Quella di Donno, nel dettaglio, è contemporaneo, omaggio al mito e riesce ad essere fortemente eroica, anche quanto appare semplice, anche quando inneggia al nulla. Un nulla sapido, ma pur sempre un nulla. Dalla forza di un singolo eroe da niente e da quella di un popolo intero, infatti, Stefano Donno ha tirato fuori un vero poema per Besa editore. Una rarità quindi, spaventosa ma autentica. E terribilmente moderna, poiché i piani d’ascolto, tutti diversi, risultano connessi, contigui, per quanto disomogenei.

Non è una poesia della pancia, la sua, ma globale. Un poema sulla fatica dell’ascolto e le sue contraddizioni.

In Ieratico Poetico, con suoni forti, tinte a tratti fosche e grande rispetto per la comica grandiosa miseria dei luoghi di provenienza, ecco prendere suono la città, il sud, l’Homo Civicus e i suoi desideri.

Il tutto in tre movimenti:

1) il respiro autonomo, ritmico e iconografico della città e del sé in intreccio;

2) le cose del tempo da tacere poetando;

3) l’esplodere rapido del desiderio di essere e dire nel mondo.

Cercherò di spiegarmi meglio per punti anch’io:

1) Questo poetare è ieratico, perché sacerdotale. È diretta conseguenza della volontà di tracciare un segno sacro nell’aria, di indicare un cammino possibile, lasciando che la scia sorprenda per suoni e vigore quanti la osservano. Quello stesso segno, poi una volta mosso, si perde nelle forme geografiche naturali o antropiche, ne diventa parte. Non è assertivo, ma attento. Per questa ragione, mi pare vero che la poesia di Donno si faccia da sé. Il poeta si limita ad ascoltare, a riprodurre suoni quasi fosse un strumento a fiato e quello che riproduce dunque è respiro. Artificio respirato. Respiro che si fa tempo e immagine, cadenza tecnologica, memoria iconografica, suono ancestrale, mescolando il sé con gli stimoli esterni. Ecco il senso del primo movimento poetico costruito da Donno dunque: automatismo personale, indotto e condotto con sacralità e ritmo, che richiede una fatica immane, ostinazione cruda, ossessivo orecchio, lavoro duro, lavoro sodo, lavoro vita, sempre, di morfinico imbestialimento/ in autunno/ in primavera/ in estate.

2) La poesia deve tacere l’ego, secondo Donno. È il suo vanto questo suicidio. Deve dire del mondo attraverso l’io, ma tacerne la gola. Essere vivi è già un incubo e dunque la poesia deve essere culla che addormenta l’orrore personale e tiene sveglio quello comune. Filtro che evacua un sospiro. Che lo condivide. Sospiro faticoso di un uomo che viaggia su un’autostrada di cemento verso un’ignota destinazione, ed è e resta un uomo come tutti, che di tutti è la somma fedele quanto epica. Solo così il singolo può riappropriarsi del proprio sfinimento e dare senso compiuto al racconto di sé. Perché chi scrive non può fare a meno di soffiare nelle orecchie dei suoi simili, ma un valore deve pur darlo al suo fiato e far sì che non sia solo aria. Ne consegue che il secondo movimento altro non è che quello della cancellazione, della rinuncia e del nuovo incipit. Chi vuole ascoltare davvero deve saper intrecciare il rumore, agganciare un suono all’altro e poi dimenticarli per ricominciare.

3) È umano questo poetare? E se lo è, in che termini?Questo sembra chiedersi Donno tra i suoi ironici giochi lessicali e grafici. Forse lo è quanto lo è il desiderio. Lo è quanto il contrasto tra quello che dovrebbe essere e quello che è. È dal conflitto tra il dover essere e l’essere che nasce l’arte degli uomini. Sempre. Anche la poesia. È questione di sopravvivenza. Quindi il desiderio che muove anche il poeta è comunque quella sopravvivenza. La resistenza. Non una sopravvivenza minima, però io credo, ma ieratica. Autentica e forte come quella voluta da un Dio civico. La poesia è tutta qui/strategie politiche/ di rispetto della mitologia. A quel Dio civico e rumoroso, che costruisce calendari e atlanti, Donno risponde con il suo Homo Civicus. La sua è la costruzione in versi di un prototipo umano con la quale l’ uomo/poeta si confronta. L’individuo che rammenta, che Sente la collettività, la civiltà che lo attraversa, i luoghi che calpesta e dai quali è calpestato, ben responsabile delle sue orecchie, quanto della sua lingua, quanto del suo sesso, opposto al c.d. Homo Emptor, il corruttore, l’individualista radicale, il distratto. L’uno fa da contro canto all’altro, ugualmente incidenti sulla grande e la piccola Storia.

L’immagine che Donno crea con i suoi versi è dunque sempre duplicata: un uomo e l’altro, il singolo e il gruppo, la qualità e la quantità, l’eremita solitario e il cosmopolita utilitarista, l’ego e l’io, il corpo e il poeta. Ed ogni duello, ne deriva, ha il suo suonare sapiente, immediato, riconoscibile. A volte terrorizzante.


fonte www.salentopoesia.blogspot.com
Paese Nuovo del 23/03/2008

sabato 22 marzo 2008

Spot book n.5












Il volo del calabrone. Un progetto di poesia perfomativa

postfazione di Gabriele Frasca, a cura de “Gli Ammutinati”, Trieste, Battello stampatore, 2008, euro 10.

Testi di:

Dome Bulfaro, Silvia Cassioli, Matteo Danieli, Luigi Nacci, Adriano Padua, Luciano Pagano, Furio Pillan, Silvia Salvagnini, Christian Sinicco.

***

Dalla nota dei curatori:

[…]

Pubblicare l’ennesima antologia non è di certo un esercizio di sopravvivenza, né per chi l’ha scritta, né per chi la leggerà. Il motivo che ci ha spinto a pensarla e a realizzarla è un altro: ci è parso di individuare nella poesia degli ultimi anni due tendenze, se non dominanti perlomeno più aggreganti rispetto alle altre: da una parte un sostanziale arretramento della lingua poetica a bisbiglio prosastico, privo di ritmo, di musicalità; dall’altra parte invece un rinsaldarsi delle posizioni post-avanguardiste attorno a una lingua experimentum, la quale a volte si ri-metricizza rigorosamente, a volte si fa canto, a volte si struttura quasi a simulare il rap. Non stiamo affermando che questi siano i filoni maggioritari o più importanti, sosteniamo soltanto, basandoci sul dato empirico delle nostre esperienze, che a noi queste due linee sembrano oggi nell’atto di venir marcate con più forza, anche grazie a riviste, case editrici, siti internet, blog e festival che prediligono più dichiaratamente l’una rispetto all’altra. Postulata tale visione come base del nostro ragionamento, a noi sembra che manchi l’attenzione verso la linea o l’incrocio di linee che ricercano una zona mediana tra le due sopracitate: un limbo in cui la parola riesca a stare, come un equilibrista, in bilico tra ricerca di senso, costruzione di una visione del mondo e ricerca metrico-prosodica (anche in direzione di nuovi spazi metrici) senza che nessuna di tali tensioni si sacrifichi per far spazio all’altra. Consci della pericolosità del nostro dire, non ci azzardiamo avanti in disquisizioni teoriche che potrebbero ricordare la prosopopea di certi manifesti del passato. Qui non vi sono proclami. Ci siamo sforzati di immaginare quella zona mediana, dopodiché siamo andati alla ricerca di coetanei (nati dopo il 1970) che a nostro personale modo di vedere possano rientrare in quella zona, quindi abbiamo chiesto loro di spedirci dei testi che a loro modo di vedere potessero rientrare in quella zona, infine abbiamo selezionato i loro testi cercando di farli stare nel cuore di quella zona il più possibile. Et voilà: ecco - sarà un caso? - un gruppo di autori che sa anche performare i propri testi!

Il calabrone vola tenendo come rotta la linea che taglia in due parti uguali (ma non per forza superfici fatte solo di angoli retti) quella zona mediana. Il calabrone simboleggia la parola carica di senso e di vitalità che crepitando/risuonando tiene la rotta senza abbandonarla mai: un calo del battito vorrebbe dire caduta/morte, la mancanza di una meta verso la quale volare genererebbe titubanza, cioè temporeggiamento, cioè caduta/morte.

[…]

***

(sopra, particolare della copertina: disegno di Ugo Pierri)

Per info o acquisti, scrivere a:
ilvolodelcalabrone@gmail.com

fonte Musicaos.it

Irene Leo su Ieratico Poietico (Besa, 2008)






















...”Parole sicure

facili muse

sopra la neve

idee a mille sillabe

spartito musicale

grande annunciazione

canestri di fede

tacciono come dimore

traslate

su zolle vogliose

di un destino infame

chiuso dalle rimembranze..”

La Poesia è un vestito. Affermazione banale forse. Ma rende l’idea. Mi spiego. Una veste prende la forma di chi la indossa, creando curve più o meno evidenti in base alla flessuosità della Psychè di chi la incontra. Appare così un’anima al cospetto di se stessa se rimaniamo sospesi all’apparenza soltanto di questo Poema, ma siamo sicuri sia solo questo? Siamo sicuri Che Donno abbia “solo” voluto raccontare se stesso? Per una mente poco “allenata” alla poesia, la risposta potrebbe risultare come un sì. Attenzione. L’autore adotta una visione diretta di un mondo descritto con occhi “rap”, che mirano a denunciare, e non esaltano nulla di quello che incontrano, ma in verità è Poesia che posatasi sulla complessa struttura mentale dell’Autore diventa liquida ed indaga un mondo, e poi un altro ed un altro ancora. Bisogna svuotarsi per riempirsi di vita, bisogna mettere da parte se stessi, per fare della Parola stendardo beat. Il nuovo fiorisce sulla coltre del quotidiano, perché non importa cosa ma come. Il linguaggio poetico è slegato e pare intrecciarsi alle virtù visionarie delle parole. In Ieratico Poietico il flusso di immagini è costante, e come un filo d’Arianna che il lettore man mano lega a sé, in un gioco di specchi in cui la voce narrante è la sua voce, gli occhi guardanti i suoi occhi, le mani toccanti le sue mani, la pelle fremente la sua pelle, e la città non luogo, casa sua. Di casa nostra noi conosciamo ogni millimetro quadrato così come del reale presente qui esposto, non siamo esterni, ma interni, abitanti delle nostalgie delle stanze della mente. Ma nulla è fermo qui. Tutto respira e si fa nervatura umana, pensiero, movimento, riflessione. A proposito di quest’ultimo concetto. Proviamo a riflettere sul “nome e cognome” di questo lavoro che l’Autore ci presenta. (C’è chi disse una volta che il titolo di un libro è la filosofia del libro).Dunque Ieratico ovvero Ieratikòs , dal greco sacerdotale, una forma di scrittura impiegata per conservare sui papiri in primis, una sapienza antica attraverso una forma particolare di linguaggio anch’esso antico , e poi Poietico da poièsi dal greco Póiēsis, creare, che indica l’attività creatrice dello spirito. Ma Ieratico è anche lo sguardo di quelle belle e splendide icone bizantine che non si lasciano guardare ma guardano, con occhi fissi. Fissità in antitesi con creazione. Siamo di fronte ad uno scrivere poetico che trae le sue radici dalle profondità siderali dell’anima, come tutta la Poesia solitamente, ma tale “estrazione” non è “astrazione”, è mediazione perché il poeta si fa strumento. Si fa voce. Voce delle voci. E Si è travolti da quest’onda,ed il lettore beve tutta d’un sorso la Verità di Donno, ovvero questa oscillante meditazione sui moti del vivere che assume carattere universale ma autentico.

Ci sono storie che non devono essere raccontate , e La poesia è tutta una bugia… ma Talvolta/ci si sente ardere/su dei ceppi accesi/e non bastano/ore intere/per scrivere.

E’ vero non basta il tempo. E’ un cerchio questo scrivere che ammette un incipit ma non finali attesi, perché la coscienza della rivelazione è nel viaggio che dall’esterno porta dentro noi stessi.

Irene Leo

fonte www.ireneleo.wordpress.com

venerdì 21 marzo 2008

Poemamore di Irene Leo













La valigia,
rossa di rosa
a gambo verde
-inchiostro di
noi-,
sulla porta
guarda.
Sfugge una piena oliva
dalle ciglia di pietra
del tetto a "pignòn".
E' la luna,
stringe
sospesa,
l'anima alla calce
della muraglia, viva.
Toom toom,
pare bussare
è l'amato occhio
che beve
il succo del frutto.
Proibito-shhhhh-
sale,
il silenzio alle cinque.
Canuto zucchero
caldo di bar,
nei polpastrelli sonanti
le stelle-
sfiorite in tasche
chiuse dischiuse-
Scalzo,ripiega
il tempo
i battenti
tra i denti.
Ho lasciato
un piede fermo
sul lembo di vento
e capelli con te.
Non orma
che l'aria viziata
di nero la ingoia,
ma materica -mia-parte
nel viaggio,
ti regalai.
E tu lasciasti
sul cuscino dei palmi
aperti,
un piede tuo
ossuto di sogni.
Attendo.
Attendi.
Assieme soltanto
cammineremo,
noi.


Nota Biografica.
Sono figlia di un'ottima annata-1980-, Dottore magistrale in Beni Culturali,nonchè Maestro d'Arti Applicate, e soprattutto dilettante del vivere. Oscillando tra passi terreni e voli celesti mi sono innamorata di Madama Poesia e di ogni materia che implica creatività.Scrivo scrivo...scrivo. (Psiche e Queen Ishtar due miei pseudomini nella rete.) E tra una scrittura e l'altra scatto per altrettanta passione e gioco in dig-art, tanto per prender fiato. Sono una figlia del Sud che mescola alla terra arsa il candore della spuma marina, e non ammette mezze misure:o il tutto allo stato violento o il niente allo zero assoluto.

fonte iconografica www.storiadopostoria.blog.kataweb.it

giovedì 20 marzo 2008

Spot Book n.4



















Il contenuto

L’ideologia del terrore ha caratterizzato l’affermazione tragica dei sistemi totalitari nel corso del Novecento. La follia rigeneratrice per la costruzione dell’uomo nuovo, per il trionfo delle leggi della storia o della natura ha animato una dimensione ferocemente spietata del potere. Questo libro tiene conto di quella vicenda, ma si concentra sulla possibile esistenza di una nuova versione del totalitarismo o, meglio, della tendenza totalitaria che attraversa le società cosiddette democratico-liberali. Quali forme assume l’attuale totalitarismo postideologico? Si tratta di un totalitarismo senza un centro identificato ma socialmente diffuso, intrecciato alla potenza del mercato globalizzato e allo scientismo tecnologico, con le sue pretese di misurazione e di controllo dell’esistenza. Un totalitarismo che, pur in un contesto storico-politico profondamente diverso, conserva il nocciolo della versione originaria, ovvero l’incidenza del potere, nella sua variante biotecnologica, sulle condizioni di possibilità della vita stessa.

L'autore

Massimo Recalcati, uno tra i più noti psicoanalisti lacaniani in Italia, è fondatore di «Jonas. Centro di ricerca psicoanalitica per i nuovi sintomi». Insegna all’Università di Bergamo. Per le nostre edizioni ha pubblicato Anoressia, bulimia e obesità (con Umberto Zuccardi Merli, 2006).


Contributi di:
Massimo Recalcati, Totalitarismo postideologico
Simona Forti, Il Grande Corpo della totalità.
Immagini e concetti per pensare il totalitarismo
Rocco Ronchi, Parlare in neolingua. Come si fabbrica una lingua totalitaria
Massimo Recalcati, L’eclissi del desiderio
Davide Tarizzo, Applauso. L’impero dell’assenso
Franco Romanò, Il potere come enigma e il riso degli amanti
Giovanni Bottiroli, Non sorvegliati e impuniti.Sulla funzione sociale dell'indisciplina
Lorenzo Bernini, Il dispositivo totalitario
Francesca Salvarezza, Totalitarismo, immagine e immaginazione
Matteo Vegetti, Il politico dopo lo Stato
Adriano Voltolin, Forme attuali della “pulsione gregaria”
Mercedes de Francisco, Totalitarismo ed esistenza
Marco Focchi, La totalizzazione della salute e l’imperialismo del positivo
Giovanni Mierolo, Il totalitarismo delle istituzioni moderne
Ambrogio Cozzi, Ripensare il totalitarismo oggi
Fabio Galimberti, La macchina della rimozione
Franco Lolli, Degradazione autoritaria nel maneggiamento del transfert


FORME CONTEMPORANEE DEL TOTALITARISMO, RICALCATI MASSIMO (a cura di), Bollati Boringhieri editore, 2008

mercoledì 19 marzo 2008

VUOTO A PERDERE – le Brigate Rosse, il rapimento, il processo e l’uccisione di Aldo Moro















L’operazione di Manlio Castronuovo risulta essere non solo interessante ma di pubblica utilità per quanti volessero una “guida ragionata” su un accadimento come “il caso Moro” proprio della Storia Contemporanea italiana, che ha lasciato e lascia innumerevoli questioni aperte, molte delle quali forse non troveranno soluzione alcuna. L’obiettivo dell’opera in oggetto non mira esclusivamente ad una organica ricostruzione dei fatti, dal rapimento dell’onorevole Aldo Moro il 16 marzo 1978 in via Fani al ritrovamento del cadavere il 9 maggio, e neanche ad una puntuale analisi dei contenuti dei 55 comunicati ufficiali delle Br in tutto quell’arco di tempo o di altri aspetti della vicenda . Manlio Castronuovo redige per moduli contenutistici, attenti inserimenti di topografie urbane di Roma in cui si sono svolti i fatti, foto e quant’altro, nonché schede sintetiche di ogni passaggio analizzato (perché la scelta del rapimento di Aldo Moro, l’ipotetica collusione delle Br con nuclei deviati dell’Intelligence Italiana, interventi esterni di altri servizi di intelligence, Gladio e Br, Gladio e Sismi) uno spazio cronachistico, storico e storiografico che porta il lettore ad avere non solo un quadro chiaro di tutti gli aspetti esposti, ma a porsi degli interrogativi che potrebbero addirittura delineare i contorni di risposte chiare che nessun altro libro sull’argomento potrebbe suggerire, generando coscienza, e desiderio di conoscere la verità, senza se e senza ma. Una verità che dimostra in fondo, secondo un mio personale punto di vista, e Manlio Castronuovo lo fa in punta di penna, come il Governo italiano con la sua strategia della fermezza, ha voluto decretare la morte stessa di Moro, il quale fuori da ogni ragionevole dubbio, era a conoscenza di molte zone d’ombra della politica italiana di quel periodo. Un libro che potrebbe entrare di diritto nella bibliografia consigliata nelle scuole, nelle università, ma peraltro a piena disposizione di un pubblico variegato, anche non semplicemente appassionato di questo genere editoriale, che verrebbe coinvolto da quest’opera in maniera totale. Lo stile utilizzato dall’autore è sobrio, incalzante, tagliente come un racconto di Lucarelli, sovrabbondante nella resa ad alta definizione della mitopoiesi narrante circa l’aspetto linguistico, quasi si stesse assistendo ad una trasmissione televisiva come un Mixer o Porta a Porta creata appositamente sul tema “Il caso Moro”. Scrive infatti Giovanni Pellegrino nella prefazione al volume: “L'obiettivo vero e originale del lavoro è quello di lasciare al lettore la possibilità di valutare quali elementi siano credibili e quali no, sulla base delle prove e delle risultanze che, per ciascuna tessera del puzzle, emergono dall'analisi portata avanti dall’autore. Pregio ulteriore del testo, è la sua articolazione in una struttura modulare composta da sette atti, sviluppati secondo la tecnica delle “Domande&Risposte”, e che si concludono con un riepilogo che evidenzia gli aspetti più significativi dell’analisi. Il lettore è spinto con forza lungo un crinale ermeneutico, che lo trascina lungo gli eventi con la curiosità tipica di chi vuole scoprire da solo “il finale”.



VUOTO A PERDERE – le Brigate Rosse, il rapimento, il processo e l’uccisione di Aldo Moro
di Manlio Castronuovo (Besa editrice)

domenica 16 marzo 2008

Alfonso Berardinelli e Star Wars



















Un piccolo libro, ma denso, densissimo di rimandi, ricco di innumerevoli spunti di riflessione, puntuale, rigoroso, mai eccessivo o ridondante nell’analizzare i problemi, o nell’affrontare da più punti di vista, un orizzonte quanto mai oscuro, etereo, labile come la Poesia. Suddiviso in quattro capitoli (“La poesia ieri, la poesia oggi”; “Poesia e genere lirico. Vicende Postmoderne”; “Sulla traducibilità della poesia italiana contemporanea”; “Montale e la sopravvivenza della poesia”), il libro di Berardinelli diventa un ottimo strumento per il lettore che ha da sempre ritenuto la Poesia, come qualcosa di ostico, difficile da digerire, complesso nel suo essere simultaneamente bit semantico e moltiplicatore di senso, o meglio condensatore di multiversi, dove la Parola abbraccia segmenti di vita o intere epoche, vicende, storie e fallimenti, gioie, ansie, paranoie, e interi disturbi del sistema binario dell’odierno uomo cyber-tronico (come link ad un bellissimo lavoro di Valerio Magrelli - ndc) . “Poesia non poesia”, non passa in rassegna con meticolosità né le diverse scuole poetiche della Storia della Poesia contemporanea, né singoli percorsi poetici in essa inscritti, quanto espone come la Poesia si trovi in un momento in cui le diverse grammatiche provenienti soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa, tendenti sempre di più verso una spettacolarizzazione dell’esistenza, l’hanno trasformata in un reality più consono alla performatività (concordo con quanto dice l’autore sul fatto che se non ci fossero i readings estivi, chi si azzarderebbe a comprare e leggere un libro di poesia …) che alla ragionata ed eterea nobiltà del verso letto, sussurrato e studiato. E’ inutile ripetere il luogo comune di quanti poeti ci siano in giro, o di quanta Poesia taroccata si spacci nelle periferie del Suo regno, di come generi musicali sul piano del ritmo e del respiro della parola, come l’hip hop o il rap, meticciano e compromettono l’identità stessa della Poesia. Colpa del post-moderno, questa tremenda malattia diffusa da orribili untori come Jean-Francois Lyotard, Jean Baudrillard, Jacques Deridda, Michel Foucault, Gianni Vattimo? A chi attribuire la colpa del fatto che a tutt’oggi ci si interroga cosa sia la Poesia e cosa no? A William Burroughs, a Ginsberg, a Kerouac? Berardinelli fa parlare nel suo libro grandi maestri Jedi (e Berardinelli li considera veramente tali proprio come quelli che in molti hanno potuto osservare nella saga cinematografica di Star Wars) della Poesia, da Wystan Hugh Auden ad Hans Magnus Enzensberger, sino a Pasolini e Montale, riuscendo in questo modo a far capire al lettore attraverso le esperienze di questi giganti del verso, che molto è stato già fatto, ma che ancora c’è molto da fare in Poesia … forse c’è ancora talmente tanto lavoro, che sarebbe il caso di ri-pensarla !


Alfonso Berardinelli (Roma, 1943) è un critico letterario e saggista italiano, collabora a Il Sole 24 Ore e Il Foglio. Nel 1985 insieme a Piergiorgio Bellocchio ha fondato e diretto la rivista di critica Diario. Ha insegnato, come professore ordinario Letteratura contemporanea presso l'Università di Venezia dal 1983. Dimessosi nel 1995, nel solco di Cesare Garboli, in aperta critica con il sistema corporativo della cultura in Italia.



Alfonso Berardinelli, Poesia non poesia, Einaudi, pp.104, 2008

I Simpson utilizzati in questa sede come fonte iconografica sono opera di Matt Groening

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