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martedì 15 ottobre 2013

Le attenuanti sentimentali di Antonio Pascale (Einaudi). Intervento di Nunzio Festa


Quando le disgressioni fanno la trama. Non siamo in grado di dire se, come al contrario è voglioso di fare La Porta (diciamo riferendoci a un passaggio d'una sua recensione di qualche giorno fa), con lo 'stile' di "Le attenuanti sentimentali", ultima opera del provocatorio quanto o perché intransigente Antonio Pascale, l'autore d'origini casertane indicherà una prospettiva, spiegherà davvero una direzione alla nostra lettratura; ma di certo siam capaci di sostenere che Le attenuanti è un libro importantissimo, e lo è almeno come soprattutto per quante e quanti da anni sono soggiogati dalla superficialità. Tanto da aver dimenticato che il cosiddetto tarlo del dubbio, la gioia non felice dell'esser irrequieti perché sempre assillati dal fatto di non aver completamente ragione: è il vero motore che porta a conoscere sempre di più e, soprattutto, meglio. Allora, per non far torto allo scrittore (facendo magari finta di copiare la sua estrosità), partiamo dal personaggio. Dove la marionetta dataci da Pascale è tutt'altro che un pezzo da teatro. Ché il libro, diciamo intanto, è parecchio calato nelle acque salate dell'autobiografia; insomma il progatonista Antonio Pascale, soggetto attivo - nella maggior parte dei casi - e passivo, poche volte, delle vicende e nonostante quel che sembri è uno scrittore senza trama. Che quindi decide di metter in crisi la sua insonnia viaggiando nella capitale, di notte e di giorno, in bici. E praticamente da qui nasce l'idea. "Farò -, dice all'amica produttrice Paola, Antonio - un documentario su documentario sui sentimenti, che tu ovviamente produrrai". Tra le rovine delle certezze dei radical-chic e le rovinate incertezze, mascherate da sicurezza assoluta, dei Biologici a tutti-i-costi. Tra dialoghi esistenziali con un ex-fidanzata adesso pittrice e con la reale esistenza d'una regista di film pornografici che Pascale vorrebbe sperimentare. Con immersioni, ed ecco che siamo alle vere divagazioni che faranno non da contraltare all'avventura delle pagine ma da trama del testo, nelle terre difficili di psicologia, biologia evolutiva... Quando sono innanzitutto le domande a chiedere spazio. Perché il disordine delle risposte, comunque perfette, argomentate e puntuali, sempre, manifesta la fallacità dell'uomo. Dicendo che donne e uomini, quando si presentano in veste d'intellettuali, cioé quando danno parole e pensieri al senso comune e/o cercano di modellarlo, cambiarlo, re-inventarlo, inventarlo, dovrebbero come prima cosa porsi domande e cercare risposte. Altrimenti cosa rimarrà ai figli? Che ne avranno domani Marianna e Brando? L'irrequieto Antonio, anche quando non provoca non si lascia abbattere dalle varie maggioranze. A rischio di diventare noioso e perfino, in certi momenti, antipatico. Tipo nel riflettere sugli inceneritori oppure giustificare la logica, in un certo senso, dell'adulterio. Ma lo scrittore continua a insistere. Nel dirci che sempre ovunque e comunque si deve vivere per la verità. Nel caso contrario definirsi progressisti, tanto per cominciare, rimane la menzogna più grande. Questo alla fine è il romanzo irrequieto sulla sicura falsità di noi conformisti.

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