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venerdì 18 settembre 2009

Rughe di Paco Roca (Tunué) di Ilaria Ferramosca *

Chi non ha mai visto il film Pranzo di Ferragosto, del regista Gianni Di Gregorio, ha perso una bellissima storia sulla semplicità del quotidiano, in una Roma di periferia in cui un uomo adulto, ma pur sempre “figlio”, si ritrova suo malgrado a fare da badante all’anziana madre e ad altre tre arzille vecchiette. Ma mentre questa incantevole pellicola ci mostra un volto allegro e scanzonato della vecchiaia, Rughe, del valenciano Paco Roca, ci svela quello più realistico e consueto. La storia è infatti ambientata in un pensionato, dove un gruppo di anziani è stato alloggiato, o meglio, abbandonato dai propri familiari. Qui le giornate trascorrono monotone tra pranzi, cene e medicine, mentre nel mezzo c’è solo sonno, o ricordi più o meno inconsapevoli. Si possono incontrare personaggi incantevoli e nostalgici, dalla vecchietta convinta di essere ancora una giovane e bella donna, seduta in uno scompartimento dell’Orient Express, al soldato sempre pronto a scattare sull’attenti, dalla smemorata che è alla continua ricerca della cabina telefonica, alla coppietta innamorata, fino al vecchino scaltro e intento a lucrare da ogni situazione tragicomica che si presenti.
In tutto ciò ci sono ovviamente alcuni momenti di ilarità, perché è giusto sdrammatizzare su quello che ci fa paura e che rappresenta, in qualche modo, il “futuro dell’umanità”. È innegabile, per quanto ognuno cerchi di allontanarne il pensiero e osservarla con distacco, la vecchiaia è qualcosa che ci riguarda tutti, anche coloro che si sentono immortali. Così, tra quattro chiacchiere nella sala tv e qualche vano tentativo di sottrarsi al tempo che passa, con bravate adolescenziali, le giornate si susseguono, ma la minaccia è dietro l’angolo... o meglio al fatidico “piano superiore”, dove sono alloggiati coloro che non godono ormai di autonomia e sono sempre di più vittime dell’oblio, intrappolati nel passato: la mente immersa in ricordi di una lontana gioventù e il corpo divenuto decadente.
Paco Roca ci regala pagine a colori, con tonalità leggermente seppia come è normale sia un ricordo sbiadito; il tratto, sintetico e cartoonistico, aiuta a vedere con l’occhio del grottesco anche le situazioni meno felici. Ci prepara a qualcosa di normale e scontato con l’abilità di chi affabula e riesce a trascinare il lettore inconsapevole, verso una realtà, ammantata di nuvole di fumo delle quali all’improvviso squarcia il velo, lasciandocene osservare il volto impietoso.
Rughe non è una graphic novel allegra, è poetica, nostalgica, cruda, piena di malinconia; adatta a chi è capace di fare i conti con la vita. Chi non lo è, rinvii la lettura a tempi migliori!

Rughe, Paco Roca (Tunué), 2008, Pp. 112, Euro 12,50
*redazione Talkink

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