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sabato 29 agosto 2009
I racconti più brevi del mondo. Rec. di Vito Antonio Conte
La pioggia è buona (tra le altre cose) per lasciarsi bagnare, per bagnare la tristezza e, poi, farla evaporare davanti a un camino acceso nel mentre vuoti un bicchiere di buon rosso, leggendo un libro, buono del pari. Il sole vuole altro. E, se lettura dev'essere, breve sia... che non distolga, ma si armonizzi col resto. Nel qual caso, vi consiglio “I racconti più brevi del mondo”, un libriccino ch'è meno di un tascabile e, non a caso, è edito da Fahrenheit 451 nella Collana “I taschinabili” (pagg. 80, € 4,50), da tenere pronto per l'uso, non in tasca, ma -date le dimensioni- addirittura nel taschino della giacca o dei jeans. E mi viene in mente: “percepita brevità / che non conosce / alterità né metrica / mia brevità / tagliata affettata sezionata / impercettibile accennata brevità / tua brevità / nostra brevità / adagiata sul vecchio / pietroso sentiero / che la pioggia / caduta sulla terra / sfanghiglia / te ne stai lì / me ne sto qui / ma invero / io sto lì / mentre tu sei qui / e poi dirti / che il giorno è lungo / la sera infinita / e la notte / la notte che vorrei / questa notte che / vorrei non finisse mai”. Versi di chi scrive... Ché se non fosse una raccolta di prose, potrebbero star bene sul micro-libro di cui vi dico (quanto meno per il contenuto, non esattamente per la lunghezza, non essendo propriamente un haiku...). Sono lampi di scritture i cinquanta racconti degli autori (vecchi e nuovi) ospitati su “I racconti più brevi del mondo”, da Augusto Monterroso a Mark Twain, da Julio Cortazar a Raymond Queneau, da Franz Kafka a Wei Yoe Xian. Gianni Toti, presente con un testo nella raccolta, scrive nella innominata prefazione al libello: “Non soltanto Italo Calvino si è augurato antologie mondiali di racconti brevi, brevissimi, di una riga. Anche Quiroga, Cortazar, Monterroso, Arreola, Manuzio, Campra, Orkény, Poe... Più brevi di una riga... Un brivido narrativo, sentirete. Nella forma chiusa e sferica del "racconto da palpebra", nelle "istantanee" che scattano con la clausola finale, si compie una fulminea catarsi, si raggiunge , e si esce da un atto d'amore, l'orgasmo di un tempo, la fusione dell'impossibile, la sospensione dell'incredibilità, il clic dell'irreale che si scri/vìve”. Ogni altra definizione, qualunque ulteriore considerazione mi sembrerebbe blasfema, come tradire con altre parole quello cui le parole qui tentano, spesso riuscendovi, di raggiungere: l'estrema sintesi che fa del rigo contenitore e trampolino verso lidi aperti oltre ogni confine. Come il pezzo del già citato Monterroso, “Fecondità”, che ha l'ampiezza di un respiro: “Oggi mi sento bene, un Balzac; sto terminando questa seconda riga.”, ma che, come ogni respiro, contiene tutti i precedenti e prelude a un altro, due, tre, quattro, cinque... chissà?!? Metteteci del vostro. Ché scrittura e lettura abbiano senso, davvero.
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