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venerdì 3 aprile 2009
Arte ecologica di Maria Beatrice Protino
L’arte ecologica o land art è nata negli Stati Uniti tra gli anni ’60 e ’70 come esperienza creativa collegata soprattutto all’arte concettuale (perché i progetti più ambiziosi rimanevano spesso solo sulla carta), ma anche a molti altri movimenti che prosperarono nella stessa epoca: la minimal art - così chiamata perché le forme create sono spesso molto semplici; l' arte povera - per l'uso di materiali di poco valore; happening e performance art - poiché l'opera creata era spesso temporanea.
Tale termine venne coniato nel 1969 da Gerry Schum (gallerista tedesco: primo a fondare addirittura una Video Gallery, una galleria, cioè, dedicata alle trasmissioni delle opere immateriali della videoarte), realizzatore di un videotape che raccoglie dal vivo gli interventi degli artisti come Richard Long, Barry Flanagan, Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Walter De Maria, Christo, che agivano direttamente sul paesaggio, modificandone l’aspetto mediante interventi temporanei o facendo uso di materiali naturali.
Con l’arte concettuale ha in comune il rifiuto dei tradizionali media artistici e l’attenzione verso nuove possibilità espressive, eppure la land art trova origini molto più remote e spesso ignorate o trascurate. C’erano già, infatti, i giardini di sabbia Zen o i giardini di muschio giapponesi, e ancora i cimiteri svedesi coi loro recinti di ghiaia rastrellata a disegni geometrici, come le infinite varietà di parchi all’italiana o all’inglese: tutte forme di intervento atte a trasformare in opera d'arte frammenti di natura e paesaggi remoti e solitari, nella considerazione che i fenomeni naturali stessi possono costituire degli importanti eventi artistici quando vengono isolati, fissati, decontestualizzati.
La particolarità della land art, però, sta nell’intervento sulla e nella natura, non a scopo edonistico o semplicemente ornamentale, ma per quello che viene definito come una forte presa di coscienza dell’intervento dell’uomo su elementi che fanno parte di un ordine naturale e che, a causa dell’intervento umano appunto, ne rimangono sconvolti.
Sensibili alla ‘snaturalizzazione’ che la civiltà tecnologica in cui viviamo ci abitua, ma anche in linea con la filosofia hippy del ritorno alla natura, questi artisti esprimono il desiderio di allontanarsi dall'élite tradizionale e dal mondo delle gallerie interessate solo al risultato economico, avvertendo il disagio e il pericolo e ritornando ad utilizzare l’oggetto naturale o un oggetto quanto meno ricavato dall’ambito naturale per farsi testimoni del fatto che l’uomo può ancora trarre dalla natura degli ammonimenti, tanto più se il suo scopo è quello di integrarsi ad essa.
Le loro opere (un solco su un fiume ghiacciato o ad una fossa scavata nel terreno e poi riempita con terra presa altrove) spesso sono rimaste affidate esclusivamente alla ripresa fotografica o cinematografica delle stesse o alla loro descrizione e catalogazione attraverso tracciati o parole scritte, perdendo, così, buona parte della loro efficacia.
Lo scopo principale dell'artista land art è creare un impatto, un'esperienza con uno spazio depurato e libero da qualsiasi condizionamento.
Come operano questi artisti? Essi escono dagli spazi tradizionale quali gallerie o musei per intervenire direttamente sullo spazio macroscopico della natura e in scala col paesaggio. Per questo, le tracce e i segni lasciati dall’artista sono macroscopici ed evidenti e sono realizzati mediante strumenti tecnologici che reggono l’urto con la quantità di spazio da affrontare.
Il video è di Andy Goldsworthy e l’opera Rivers and Tides
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