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giovedì 10 settembre 2009
La canzone di Marinella di Fabrizio De Andrè: tra fiaba e poesia. Intervento di Maria Beatrice Protino
«La Canzone di Marinella non è nata per caso, semplicemente perché volevo raccontare una favola d’amore. È la storia di una ragazza che ha perduto i genitori, una ragazza di campagna dalle parti di Asti. È stata cacciata dagli zii e si è messa a battere lungo le sponde del Tanaro, e un giorno ha trovato uno che le ha portato via la borsetta dal braccio e l’ha buttata nel fiume. E non potendo fare niente per restituirle la vita, ho cercato di cambiarle la morte» racconterà De Andrè in un’intervista.
Si trattò, quindi, di un fatto di cronaca letto su un giornale locale, probabilmente relativo all’omicidio di una prostituta colpita con sei colpi di pistola e il cui corpo fu gettato in un fiume.
Pur così atipica nei toni rispetto le altre composizioni del cantautore, nondimeno il brano segna innegabilmente la svolta per De André in fatto di popolarità: l'interpretazione della ballata da parte di Mina nel 1967, ben tre anni dopo la prima incisione della canzone, lo porta, infatti, alla notorietà a livello nazionale.
Lui che non ti volle creder morta/bussò cent'anni ancora alla tua porta
La protagonista della ballata è una ragazza che, dopo aver trovato l'amore, muore in circostanze misteriose. I toni del brano sono lievi, fiabeschi, pieni di immagini e colori, a volte apparentemente lontani dal tipico realismo di Fabrizio e la semplicità dei giri d'accordi e delle rime baciate contribuisce a creare un'atmosfera magica e rarefatta: una ragazzina che parlava d'amore e che, “come un ragazzo segue l'aquilone”, si lascia andare ai “baci” del suo “re” dal rosso mantello con il “sole negli occhi belli”.
Subito, però, la tragedia: lei scivola nel fiume e lui, che non volle credere alla sua morte, “bussò cent’anni ancora” alla sua porta, continuando ad amarla per l’intera vita. Ecco, dunque, l’intervento del poeta e dell’artista: la sublimazione della storia e la creazione della fiaba, che fa perdere ogni connotazione temporale, e dei suoi personaggi, con la loro dirompente carica di umanità, inquietudine e disperazione.
«Ho tentato un affresco sulla miseria dell'uomo che è un invito alla pietà, alla fraternità» (De Andrè)
Alla fine degli anni Sessanta il cantautore genovese compone il sontuoso concept-album "Tutti Morimmo A Stento" (1968) in cui il senso del tragico che aveva sempre ispirato le sue opere raggiunge la sua apoteosi: un viaggio in un girone dantesco della desolazione umana, tra drogati, condannati a morte, fanciulle traviate e bambini sconvolti in cui trova spazio anche “La canzone di Marinella”: l’argomento comune è quello dell’emarginazione e della morte psicologica, morale, mentale; il linguaggio scelto è tipico di un poeta non allineato, che ricorre all'ironia e del sarcasmo per denunciare l'ipocrisia e la vigliaccheria; è un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere; è uno sforzo per nobilitare la miseria umana attraverso la poesia e la fiaba.
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