“Perché è la perdita la misura dell'amore?”: questa domanda, ma potrebbe pur'essere una constatazione (e tante altre cose), è anche l'incipit di una storia densissima, una storia che non è una storia, una storia ch'è tante storie, una storia che leggo non per scelta e nemmeno casualmente, ma per dono di chi l'ha letta (quasi) per caso (frutto d'un altro dono) e ha visto l'immagine di sé riflessa dentro... Una storia che non mi prende, non so perché (o, forse, sì). Ma mi fa pensare. Non so perché si scrive una storia così (o, forse, sì). So perché la leggo: voglio vedere anch'io quell'immagine. Da una prospettiva differente. È una storia dell'amore, non d'amore, ma dell'amore, una storia dell'amore universale, non “la” storia dell'amore universale, ma “una” storia dell'amore universale, dell'amore che non si può dire, di quello difficile da raccontare, che cerchi di renderlo in una storia ma quella (volente o nolente) svicola via, non ne vuole sapere di aderire a quel che è, per quanto attingi dappertutto e i richiami si moltiplicano all'infinito, ma quel tutto non s'incastra, non dice niente, anzi diverge, s'allontana da quel che è e che vorresti fotografare, ma sulla carta -piuttosto che una finitezza- rimangono soltanto tratti sfumati, ché non ci sono parole e qualunque espediente è inadeguato per disegnarla e darle il pur minimo contorno. Non si può definire l'infinito. Lo si può intuire. Forse. Lo si può ascoltare. Lo si può sentire. E condividere. A volte. Ché non puoi dire di tutte le altre storie per far capire la diversità di questa storia, ché non puoi narrare del mondo, dei cieli, delle terre, dei mari, dell'oltre, degli uomini, delle donne, di tutti gli uomini che hai conosciuto, di tutte le donne che hai conosciuto, per spiegare quanto è raro quest'amore! E non basta invocare la bellezza delle stagioni per dipingere la bellezza di quest'amore e non c'è da guardarsi intorno e dentro e altrove per far comprendere quel che sai e quanto ti sfugge per colorare l'improvviso ch'è fragore assordante e quiete indicibile di quest'amore che arriva senza annuncio che ti coglie come scossa d'alta tensione quando compare lei. Lei che già sapeva lei che ti amava già senza saperlo lei che non osava confessarlo neanche a se stessa e che ha avuto l'ardire di dirlo a te lei che non voleva ma che non poteva far tacere quell'amore lei che adesso lo vuole con ogni parte di sé lei che intanto ti era scoppiata dentro spezzato il cuore impazzito ogni atomo frantumata l'essenza e non servono più virgole inutili i punti non c'è bisogno di parentesi nessun segno grafico accapo per niente nessuna interpunzione alcunché che possa in un modo qualunque staccare parole dalle parole respiro dal respiro voce dalla voce pelle dalla pelle anima dall'anima fiato dal fiato labbra dalle labbra natura dalla natura occhi dagli occhi capelli dai capelli carne dalla carne sorriso dal sorriso non si può frenare la piena di un fiume non puoi ripararti dal monsone lui spira tagliente da terra verso l'oceano e dall'oceano verso terra neppure il millenario albero cavo può accoglierti ché questo amore tracima e ti porta con sé non puoi liberarti dalla costanza smisurata dell'aliseo non c'è tregua nel vento dell'amore non c'è ortodossia nella forza degli elementi che possa mutarne il corso non c'è temporale senza devastazione non esistono argini quando la pioggia diventa torrenziale ma anche quell'acqua può essere calda nel gelo dell'inverno più inverno se lasci straripare quell'amore sì che rompa ogni terrena costruzione e non puoi fuggirlo non puoi limitarlo non puoi costringerlo un amore così quando arriva se arriva non conosce leggi un amore così quando arriva se arriva non ha ragione un amore così quando arriva se arriva ignora qualsiasi forma è contenuto assoluto è galoppo di cavalli selvaggi lunghe criniere in faccia ai confini noti scalpitìo assordante e polvere che s'alza fin quando chi governa quell'impeto maestoso unico tra simili riceve un segno proprio quel segno esattamente quel segno e lo trasmette agli altri inarrestabili per il resto che s'acquietano a guardare oltre quella fatalità un amore così è fulmine che genera luce è fuoco che avvampa e divampa è dolore incandescente è fiamma che cauterizza la ferita è gioia lancinante è andare incontro al sole senza motivo stringersi le mani sfiorarsi di baci mordersi il morso graffiare il gatto godendo l'irto pelo e fusa e fusa e fusa è andare così incontro al sole e penetrare tra le ciglia scovando colori mai visti è perdersi nelle infinitesime goccioline di nebbia di una città sconosciuta nel mentre su quel ponte sopra un altro corso umido hai perduto il senso e sai che potrebbe crollare ad ogni istante anche se il tuo peso è leggero come di nuvola araba ma insostenibile come di piombo notturno a Gaza un amore così è tutte le latitudini che hai toccato ed è soprattutto i poli che mai ti è stato dato di avvicinare e chissà forse un giorno chissà forse una notte di luna e di stelle chissà avresti potuto ma ti è mancato qualcosa e l'hai perduto hai perduto quell'amore hai perduto lui hai perduto lei non importa chi non importa uomo o donna ché era proprio quell'amore l'unico amore precisamente quell'amore ed è quell'assenza non il dolore ma quell'assenza che non sopporti non la sopporti proprio non la sopporti più ché l'hai detto l'hai detto bene l'hai detto senza scampo nonostante i troppi manuali che c'è un abisso tra il dolore e l'assenza ché l'assenza è vuoto e “il dolore finisce... ma il vuoto non viene mai colmato”. E puoi scrivere che “L'amore è la sola cosa più forte del desiderio e l'unica vera ragione per resistere alle tentazioni”, puoi far dire a Louise “Non ti lascerò più andar via” e inventarti che “Quello che si rischia è misura di quel che si vale” e (dopo di me, prima di me o insieme a me, cosa importa?) “Vorrei sentire ancora la tua voce”, ma poi – te lo devo dire Jeanette- tu non sai cos'è la felicità, perché l'altro sei tu! Questo ho pensato fortemente a un certo punto. Senza cercare nulla su di te... Poi però so che hai giocato, un gioco brutale e bellissimo, come quell'amore: maledizione e miracolo. Come l'ultima immagine che regali, Jeanette Winterson, in questo libro, “Scritto sul corpo” (Oscar Mondadori, €? Non lo so, ve l'ho detto, è un regalo!), “La storia comincia qui, in questa stanza spoglia. Le pareti stanno esplodendo... Oltre la porta c'è il fiume, ci sono le strade; lì saremo noi. Quando usciamo, possiamo portare il mondo con noi, e prendere il sole sottobraccio. Ora sbrigati, si sta facendo tardi. Non so se questo è un lieto fine, ma eccoci nella piena libertà dei campi”. E chiunque tu sia, donna o uomo, non importa, non importa perché -come aveva giurato- lei (Louise) è ancora con te. E se, come te, “non credo alla letteratura che diventa vita”, sono convinto che la realtà spesso supera la fantasia e, a volte, l'anticipa... Poi inizio a leggere anche “Il sesso delle ciliegie”, sempre di Jeanette Winterson, e nelle prime pagine, tra l'altro, incontro questo pensiero: “Ogni viaggio ne cela un altro nella sua rotta: il sentiero che non è stato seguito e l'angolo dimenticato”. E mi piace. Mi prende. Subito. Continuo ad andare... con te e con quest'altra immagine di te, con te che sei parte di questa scrittura, con te che sei parte di quest'amore.
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Scritto sul corpo di Winterson Jeanette
2000, 210 p., 8 ed.
Editore Mondadori (collana Piccola biblioteca oscar)
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sabato 30 maggio 2009
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