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venerdì 29 ottobre 2010

Il libro del giorno: Umberto Eco. L’uomo che sapeva troppo per le edizioni ETS. A cura di Sandro Montalto















In occasione della pubblicazione del nuovo romanzo di Umberto Eco "Il cimitero di Praga", le Edizioni ETS sono liete di segnalare il volume:
"Umberto Eco. L’uomo che sapeva troppo" a cura di Sandro Montalto.

Con scritti di:
Paolo Bertetti, Sandra Debenedetti Stow, Paolo Fabbri, Gio Ferri, Margherita Ganeri, Sandro Montalto, Gianni Vattimo, Franco Cardini, Paolo Isotta, Giulio Andreotti, Eugenio Carmi, Maurizio Costanzo, Paolo Domenico Malvinni, Renzo Paris, Aldo Rosselli, Paolo De Benedetti, Pier Paolo Ottonello, Ennio Peres, Giuseppe Varaldo, Achille Varzi, Philip Weller, Gianluca Salvatori, Enrico Solito.

L’estrema libertà è la principale virtù (altri diranno: difetto) di questo libro, nato per omaggiare Umberto Eco al di là di ogni occasione accademica o genetliaco. Libro errante – come errante è il pensiero di Eco – non pretende di rendere conto della vastità degli interessi del professore, nonché dei suoi contatti, delle sue collaborazioni, dei debiti che il mondo culturale in genere ha con lui, grazie alla sua attività vorticosa ma equilibrata, caratterizzata da arguta intelligenza, ma anche da luciferina rapidità di intuizione. L’unico impulso a collaborare al progetto da parte degli autori è la volontà di omaggiare un pensatore con rilassato piacere e senza affanni. Per questo motivo essi sono solo una minima parte di coloro i quali avrebbero voluto (e potuto) farlo. Per lo stesso motivo alcuni campi di interesse del Nostro non vengono trattati, mentre altri fanno diverse comparse sotto diverse ottiche. Sempre in virtù della grande libertà che attraversa le pagine di questo libro, accade poi che alcuni illustri autori si siano espressi sconfinando dal loro abituale ambito di competenza, il che giova molto a un volume come questo.

Pagine: 300; Prezzo: € 23,00

mercoledì 30 settembre 2009

Anteprima: "Non dire madre" di Dora Albanese (Hacca edizioni) l'8 ottobre in libreria. Presentazione di Andrea Di Consoli

L'8 ottobre uscirà in libreria Non dire madre (Hacca edizioni), il libro di racconti di Dora Albanese, giovane scrittrice del Sud, al suo esordio narrativo. Attraverso il topos della maternità, Dora Albanese racconta tre metamorfosi sociali e culturali del Sud postbellico: la dura maternità della Lucania “interna”, ancora legata a feroci e dolcissimi stili contadini; la frustrata maternità piccoloborghese di una Matera “piana”, dimentica della superba e misera civiltà dei Sassi; e, infine, la maternità delle nuove generazioni, sospese tra “ritorni al passato”, fastidi per un benessere di facciata, e goffi e ostinati tentativi di abbracciare il mondo, magari attraverso un altro topos di questo libro, quello dell’emigrazione. In Non dire madre il tema della maternità e della femminilità è ossessivamente indagato e sviscerato con franchezza, senza abbellimenti estetici e senza indulgenze; anzi, le donne di questo libro sono sempre colte in un estremo momento di quotidianità scoperta, finanche di buffa sciatteria. A Dora Albanese interessa il trucco che si scioglie sul viso, l’odore immediato della carne e della placenta, la calata delle maschere, l’emergere impietoso delle paure, delle viltà, dei sentimenti più immediati, senza temere né la crudeltà né il sentimentalismo – dilagante attitudine, quest’ultima, di un Sud che, a furia di recitare, ha pure imparato a recitare i sentimenti. Matera non è una città di scrittori, perché il dolore – tutto il dolore che si prova – è già lì, nei Sassi. Solo una giovane scrittrice nata nel 1985 nella periferia di Matera, “sospesa” tra vecchie suggestioni, oblii riusciti e ambizioni nuove, poteva provare a raccontare Matera proprio da punti di vista marginali e privi di saturazione narrativa: Stigliano, il paese di origine della nonna, la desertica periferia di Matera Nord, il piccolo esilio romano. Ecco cos’è il mondo, il Sud, la Matera di Dora Albanese: ragazze che imparano a diventare madri, ragazzi che provano a diventare donne, donne adulte che cadono sugli avanzi della propria pelle stanca, nonne che ricordano antichi aborti, donne che spiano uomini sui balconi; insomma, un mondo di persone semplici, combattute tra prove difficili e fallimenti, tra tentativi di emergere e crolli nervosi e nostalgici. Con una lingua sospesa tra oralità e letterarietà, continuamente scossa da innalzamenti lirici e da velocizzazioni quasi automatiche, Non dire madre è un libro sul diventare grandi in assenza di grandezza; è un libro, cioè, sulla condanna e, al contempo, sull’impossibilità di essere “normali”; un libro, infine, sulla grigia miseria umana, ma anche sul dovere di rifondare la vita, di rinominarla, rimescolarla, riacciuffarla, magari sul binario morto dei nonni.

Dora Albanese è nata a Matera nel 1985. Ha pubblicato racconti e articoli su riviste e quotidiani. Dal 2004 vive a Roma, dove studia antropologia. Questo è il suo primo libro.

Il libro sarà presentato in anteprima a Roma presso la "Libreria Rinascita" il giorno 20 ottobre 2009 (martedì) alle ore 18.30. Presenteranno il libro gli scrittori Errico Buonanno, Gianfranco Franchi e Renzo Paris. Sarà presente l'autrice.
La libreria Rinascita si tova in via Prospero Alpino, 48 (Garbatella).

mercoledì 8 luglio 2009

La vita personale, di Renzo Paris, Hacca (Macerata, 2009). Rec. di Nunzio Festa

Paris ha composto il ritratto d'una generazione. Prendendo, tanto per cominciare, nella non facile opera – nonostante questo sembri sempre semplice – d'attingere dalla storia personale e da quella collettiva. Paris, col suo ultimo “La vita personale”, avvincente assai per poetesse e poeti, alla stregua di un giallo per i giallisti, ha costruito un'opera che aiuta a immaginare come certi tempi sono stati, senza però dimenticare che in tutto ciò siamo anche davanti al romanzo; dunque dobbiamo ricordarci che il romanzo ha quel funzionamento che sappiamo: ovvero, spesso, agitare il reale per togliere pezzettini che permettono di creare un libro che sia il migliore e il più affascinante possibile. Paris, ricordiamo, faceva parte della cosiddetta 'seconda scuola romana di poesia'. E' stato amico di tanti grandi nomi delle letteratura, da Pasolini ad Amelia Rosselli a Moravia. E il protagonista della “vita personale”, ovvero Luca Saraceni, anche. Però gli importanti pasoliniani “uccellacci” - per usare il termine usato pure da Di Consoli – sono due critici, soprannominati da Bellezza “Hidalgo e Crudelia”. Le pagine dell'opera ci fanno incontrare persone e ambienti carichi di letteratura e (nonostante questo voglia essere sottaciuto) di politica. Perché, per esempio, Paris aiuta a vedere in che maniera specialmente negli anni Sessanta e Settanta certi e altri vivevano o non vivevano la politica. Che peso, ancora, aveva la poesia. Fermandosi, chiaramente, sul famoso festival di Castel Porziano che nell'Italietta diede spazi a tanti, compresi le cosiddette penne della beat-generation, o quello che ne era rimasto. Renzo Paris ha davo vita a personaggi che sono simili e diversi a donne e uomini che conosce. Paris ha voluto prendere tantissimo dalla realtà. Non sottraendosi, perfino, a possibilità di critiche e contestazioni che in casi di questo tipo certi ambienti non risparmiano. Ma le parti più belle, oltre ai segmenti che dicono di poesia (e in tutti i sensi), sono quelli che presentato il complesso edipico e la genitorialità, che questi due temi attraversano. Pagine che affascinano, in quanto, e in special modo grazie alla varietà di registri utilizzati dall'autore, attraverso il correre della trama e finestre aperte in vite e vicende lasciano guardare mondi difficili. Eppure, non va dimenticato, il cielo grande di Renzo Paris è la poesia. E, grazie, alla sua scrittura e quindi a quest'opera ce n'accorgiamo.

La vita personale, di Renzo Paris, Hacca (Macerata, 2009), pag. 362, euro 16.00.

mercoledì 22 aprile 2009

QUALCUNO HA MORSO IL CANE – RACCONTI DI DOPPIA VITA a cura di Antonio VENEZIANI e Riccardo REIM (Coniglio editore) rec. di Silla Hicks

LA VITA E’ UNA, SIAMO NOI A NON ESSERLO ...

Io non lo so cos’è, una doppia vita. Non lo so, perché se c’è stata una cosa che finora ho imparato, è che siamo tutti uno nessuno e centomila, o ,se preferite, che niente è quello che sembra, tanto, in fondo, dicono la stessa cosa, Pirandello, Akira Kurosawa e persino Jhon Locke ( non il filosofo del Saggio sull’Intelletto umano, ma l’ispettore paraplegico di una fabbrica di scatole che diventa la bella copia di Rambo una volta caduto sull’isola smarrita di Lost).
Ciascuno è sempre tanti e tutti assieme, tutti portiamo maschere bifronti che piangono e ridono in simultanea e nascondiamo nell’armadio scheletri putrefatti e scampoli di luce: fortunato è chi è capace di guardare oltre quello che sembra, dal di fuori. Gli altri, si perdono la metà almeno del film.
E non lo dico perché sono un camionista, e nessuno o quasi per questo crede che possa leggere e scrivere e pensare, quasi che il gigante di due metri e centoventi chili che vedono sia di me tutto, l’uomo ridotto a uno schizzo senza chiaroscuri, a una dimensione sola. Lo dico perché non ho mai incontrato nessuno al cento per cento coerente col suo personaggio, nessuno, nemmeno la persona più ottusa e idiota e granitica nelle certezze che solo un fanatico sa avere. Tutti hanno sfaccettature che non quadrano, sono funzioni a n incognite, direbbe mia sorella, che è insieme corpo scheletrico coperto di tatuaggi e fine matematico, e per questo non s’è disegnata addosso un drago, ma l’ipotesi di Fermat e una spirale logaritmica, e s’è innamorata persa di chi l’ha vista protagonista nel libro di Larsen, e pazienza se regalarglielo voleva essere soltanto un complimento perché respira i computer e sa guidare e bene la sua vecchia Honda.
Così, non credo che avere una doppia vita si riduca a fare le corna alla moglie, o a preferire segretamente i maschi, e nemmeno a leggere Tolstoi di nascosto come la signora Michel, riccio elegante celato dagli abiti informi e la puzza di cavolo della portinaia. Nel senso che non credo che esistano doppie vite, né triple né quadruple: se ne nasce un casino, basta rifletterci, è perché si corre il rischio sempre d’essere scoperti, e ciò perché la vita – contenitore di emozioni e attimi e amori – è soltanto e disgraziatamente una.
Siamo noi, a non essere uno, non per scelta ma per destino: noi che ci barcameniamo, tra questo e l’altro e l’altro me, tra il camionista e colui che legge e scrive, e quello che ascolta have you ever seen the rain e piange, pensandoti, ovunque e con chiunque tu sia adesso.
Per tutte queste ragioni, l’ho letto avidamente, questo libro che pure è una collettiva e io le collettive le detesto, come detesto le foto di gruppo che sono come le parate del due giugno, in cui tutti (granatieri di Sardegna a parte) sfilano coi bassi avanti e finirei necessariamente relegato dietro, ma pazienza, c’è sempre chi guarda oltre le prime file, nelle ultime pagine, alla fine dell’elenco in ordine alfabetico.
C’è sempre. E quello ti trova.
Ti trova, e ti respira. Questo, in questo libro, ho fatto io.
Sarebbe educato citare tutti, ma il fatto è che neanche li ricordo: ma quelli che mi hanno colpito li ricordo eccome, anzi: non me li scorderò, ed è questo che un buono racconto buono cerca di ottenere.
Intanto, la Maddalena che si specchia in sé: peccato duri poco, mi sarebbe piaciuto sapere che ne è venuto fuori dalla sua polvere, perché l’anima/carne supera il dualismo manicheo in cui ci dibattiamo ancora troppo spesso, e Orlando e Middlesex restano là, sullo sfondo. Qualcosa su cui pensare.
Come il cuore di Fedora studentessa di belle arti e insieme Luca sessantenne professore. Identità liquide, fluide, una nell’altra, Leonardo/Monnalisa.Vedi sopra..
E poi la Federica sadica e senese – prodromica ai ricconi che comprano ragazzi con lo zaino nella Cecoslovacchia di Hostel?- e il suo Braschi così innamorato da amarla malgrado il suo cuore nero, da vederlo luccicante nella notte in cui l’ha trascinato, l’amore che tiene la morte per la mano e si rotola frenetico nel sangue. Fino alla vita, se mai ce ne sarà una.
Ma anche il Pulcinella che semina assieme bombe e caramelle, che pure mi ha fatto male, ho amici nell’esercito, e no, non sono mostri senza cuore, solo soldati, foglie sopra agli alberi che il vento spazza via, gente che s’è scelto o ha dovuto prendersi una vita che è anche rischio, ma che pensa e s’interroga e a volte scrive, perché niente è come appare, e gli steroptipi, contrastanti tra loro o no, sono semplificazioni, una funzione studiata per y < x > z, in cui y e z sono i paletti che abbiamo fissato, si chiamano intervalli, e sono solo scampoli, la vita invece è un continuum, da più a meno infinto, dal tutto al niente, e in mezzo, a perdita d’occhio, tutta la gradazione del colore.
Il resto, mariti che tradiscono con minorenni o rimorchiano extracomunitarie ingenue, mogli che si raffrontano/solidarizzano con l’amante e politici col vizietto, va da sé.
Continuo a non amare le collettive. E i temi fissati, anche, che alla fine ti portano a banalizzare pur di riempire il rigo e la pagina. Scrivere non si può fare a comando, o almeno si può fare se si è al liceo e si cerca un voto. Poi, non più.
Ma è indubbio che se metti perle in un cesto pieno di quello che ti pare, non è che non ci siano. Soltanto, vanno cercate. E tenute strette quando si trovano, mi verrebbe da dire, al signore gentile che ha regalato a mia sorella il libro di Larsen, e poi è scomparso, lui che ha saputo guardare dentro la sua anima, per la vertigine che deve aver provato. Per questo, anche, aspetto di vedere come è andata a finire tra Antonio e Maddalena. Una volta che uno si/ti guarda dentro, e vede, non può chiudere gli occhi per non ferirsi di luce.
Sono convinto che il signore gentile tornerà, prima o poi, e inviterà mia sorella a cena, vicino al mare, e giocheranno a scacchi e berranno vino rosso, parleranno di Gadda e dell’ipotesi di Reimann. Sono convinto che Antonio e Maddalena (Fedora e Luca) troveranno un equilibrio in cui ci sia spazio per entrambi. La carne è anima, l’anima è carne. Nel sangue e in mezzo ai fiori.
Anche in una doppia vita, o in una tripla e una quadrupla, c’è sempre spazio – purtroppo - per l’amore.

Con racconti di Renzo Paris, Mario Castelnuovo, Dora Albanese, Luca Giachi, Fabiomassimo Lozzi, Gianfranco Franchi, Silvana Pedrini, Gabriele Dadati, Carmine Amoroso, Maria Sole Abate, Fernando Acitelli, Filippo Scòzzari, Stefania Scateni, Claudio Marrucci, Gianluigi Mattia, Antonio Veneziani, Riccardo Reim, Roberto Nobile, Tiziana Rinaldi Castro, Giorgio Gigliotti, Franco Grillini, Carlo Bordini, Anna Segre, Paolo Di Orazio, Chiara Marchelli, Giulio Laurenti, Geraldina Colotti, Stefano Fugazza, Maurizio Gregorini, Michela De Muro, Fabrizio G. di Vasco.

(QUALCUNO HA MORSO IL CANE – RACCONTI DI DOPPIA VITA,
a cura di Antonio VENEZIANI e Riccardo REIM, 2008, Coniglio Editore, Roma)

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