“Noi non ce l’abbiamo fatta, abbiamo fallito, ora tocca a voi.” Un’ammissione di colpa grave e un appello vigoroso quelli di Massimo Ottolenghi, classe 1915, un simbolo della resistenza civile. “Un miracoloso soprassalto”, ecco quello che ci vuole per togliere il potere dalle mani dei più anziani e partecipare in prima persona alle scelte del Paese, diminuendo l’influenza dei partiti. Il pericolo di una deriva antidemocratica è evidente. “Evitiamo una nuova shoah dei diritti” scrive l’autore con riferimento alle vecchie e alle attuali discriminazioni. “Cominciano così le dittature”: Ottolenghi lo sa sulla sua pelle. Bisogna difendere la scuola pubblica (grande palestra di democrazia), gli investimenti alla cultura e la Costituzione. A tutti i costi. Parola di un novantacinquenne con il cuore e la mente rivolti al futuro.
Massimo Ottolenghi, è nato nel 1915 a Torino. Amico e compagno di scuola di Oreste Pajetta, Emanuele Artom, Luigi Firpo, allievo di Massimo Mila, partecipò fin dall’inizio alla Resistenza con Giustizia e Libertà (è stato anche responsabile del quotidiano «GL»). Come scrive lo storico Gian Carlo Jocteau nell’introduzione a Per un pezzo di patria, «la Resistenza di Ottolenghi fu una resistenza civile, piuttosto che militare. Personalmente poco propenso all’uso delle armi, egli fu investito di compiti di alto livello nei contatti fra comandi militari, formazioni partigiane e istituzioni locali, sia nelle valli di Lanzo, sia fra le valli e Torino, e si adoperò efficacemente e con frequente grave rischio personale anche per proteggere combattenti, sfollati, ebrei e popolazione civile da arresti, rastrellamenti e rappresaglie. Come uomo di legge, agì inoltre per favorire, nei contrasti interni e nei tribunali partigiani, il rispetto di regole ragionevoli e, per quanto possibile, condivise». Già militante del Partito d’azione con Ada Gobetti, Alessandro Galante Garrone, Giorgio Agosti, fu magistrato negli anni del dopoguerra, quindi avvocato civilista. Nella sua lunga carriera forense ha anche partecipato, in qualità di avvocato della famiglia, alla liberazione di Carla Ovazza, madre di Alain Elkann, rapita nel 1974. È autore di diversi libri, tutti scritti negli ultimi anni: Il palazzo degli stemmi (Gribaudo 1990), La finestra di Kuhn (Gribaudo 1994), Dal paese di Darvindunque (Elede 1997), Pendolo (Araba Fenice 2004), Perle nere. Storia di una vita ritrovata (Araba Fenice 2006), Per un pezzo di patria (Blu edizioni 2009).