Tra i fondatori di Sugarpulp, Matteo Righetto rappresenta pienamente quanto sostenuto nel manifesto del movimento letterario con un'opera pulp in salsa padana dal titolo “Bacchiglione Blues”. Tra sterminati campi di barbabietole e lungo il corso del Bacchiglione, fiume che scorre tra le province di Padova e Vicenza, agisce una banda di tre delinquenti scapestrati, pronti a tutto pur di cambiare vita: Tito, il leader della banda, ha ideato un piano che, con la collaborazione dei suoi due “discepoli”, Tony e Ivo, lo porterà a sequestrare la moglie di Primo Barbato, famoso industriale della zona, per chiedere un milione di euro di riscatto. Il ricco imprenditore si rivelerà meno onesto di quanto ci si aspettasse e, con l'aiuto del suo fedele consigliere Gino, assolderà un'altra banda con l'intento di recuperare la donna e il denaro. Grazie a un susseguirsi di colpi di scena, l'autore costruisce una storia spassosa e godibile, per merito anche di una scrittura veloce, coinvolgente e vivace che consente al lettore di leggere il romanzo in un sol colpo. Righetto è capace di inserire la storia in un contesto fantasioso, come se la pianura e la nebbia della Val Padana fossero in realtà la pianura e la nebbia della Louisiana, tra banditi armati e solitari, criminali assetati di sangue e di soldi e sgangherate bande di delinquenti. A tutto questo si aggiungano le controverse figure di Primo e Gino, entrambi rispettabili eppure avidi uno di soldi e l'altro di cocaina. In quest'ambientazione da film americano si trovano comunque degli elementi tipicamente italiani: basti pensare ai sogni di tante Ruby e Noemi che popolano la mente di Tito o all'intempestiva e insistente presenza dei testimoni di Geova. Insomma, Righetto ci offre un romanzo assolutamente valido, pronto per essere trasposto subito in sceneggiatura per il cinema: luoghi, personaggi e azioni sono descritti con precisione da un punto di vista visivo che ben si adatta alla narrazione di un film, la caratterizzazione dei personaggi inoltre è accurata. Un ottimo lavoro, un bel libro che serve a farci capire che il pulp non è un genere di serie B: al contrario, può essere molto ma molto serio.
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domenica 12 giugno 2011
giovedì 10 marzo 2011
La passione del calcio, di Franz Krauspenhaar (Perdisa Pop). Intervento di Nunzio Festa
Molti appassionati di calcio, oltre a essere arrabbiati con noi per la superficialità d'analisi, potranno essere almeno e - di contro - contenti di trovare (in pillole) nel nuovo libro di Franz Krauspenhaar “La passione del calcio” molte delle loro vicissitudini. Di stati d'animo. Perché l'autore ha voluto dare questa volta alle stampe. A creare “un romanzo autobiografico sull'Italia calcistica degli ultimi cinquant'anni”; ma letta attraverso gli occhi d'un tifoso non tifoso, anzitutto. Certamente non d'un ultra. Eppure d'uno che ha l'occhio molto attento e, diciamo appunto visto il genere di che tratta, allenato. Krauspenhaar, autore di “Era mio padre” “Le cose come stanno” “Cattivo sangue” e altri libri di spessore, romanziere, poeta e saggista, decide ora d'arrivare a un memoriale che prende in esami limiti e possibilità offerte dalle passioni: con particolare attenzione alla passione del calcio. Sport e letteratura. Quasi alla stregua dell'amato Brera. Penna fine, galvanizzante, a tratti urticante, molto grintosa. Voce e parole che i tifosi di tutte le squadre non dimenticheranno per i prossimi secoli almeno. Ma su tutto spicca Diego Armando Maradona. Passeggia anzi fa passetti di danza e passi con il pallone sulla testa d'ogni calciatore citato. Persino più in alto di Sivori o Riva. Con questo piccolo regalo agli sportivi e gesto esemplare per i non sportivi, lo scrittore, parlando innanzitutto di sé, legge l'Italietta attraverso la lente 'disturbante' della passione calcistica. Presa a metafora, ovviamente, come tra l'altro anticipato, d'ogni passione almeno dell'uomo medio. Tra la “trasmissione” che decide di dare attenzione al dettaglio che caratterizza veramente i tempi, al dettaglio che espresso in forma e sostanza di letteratura è documentato attraverso i tempi del privato col pubblico. Perché lo scrittore Krauspenhaar, ancora parlando di se stesso, spiega o descrive a tutti quanti cosa significa e qual'è il risultato d'avere e, soprattutto, custodire per coltivarla almeno a periodi, una passione. L'inchiostro intimo del poeta e scrittore prende a bocconi il passato ultimo o quasi del calcio. Dove esisteva gloria. Quando non era il tempietto del Berlusconi. E lo scrittore, di certo, racconta una storia collettiva: facendo della sua vita questa base di partenza dentro la quale ridisegnare pagine comunitarie. Le parole, dunque, questa ricerca assecondano. Con essere e malessere.
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