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mercoledì 24 giugno 2009
Nasce Osservatorio News. L'intervento di Cosimo Pavone sul paradosso della transizione e il Salento
La Puglia strattonata in crisi di fibrillazione e il Salento ormai a testa in giù. E nella pancia del Salento? Il manifatturiero in caduta libera, l'artigianato che s'arrangia, l'agroindustria - in controtendenza - che tiene salde le posizioni, mentre il capitolo del commercio e dei servizi parla di trend contraddittori ma che non lasciano ben sperare. Infine l'araba fenice del turismo, settore chiamato alla prova del fuoco dell'estate imminente. Per tutti, gli effetti a catena che si possono immaginare: tagli all'università, tagli alla ricerca, tagli alla scuola pubblica, occupazione a tutti i livelli in caduta libera, famiglie sempre più povere (in Puglia le famiglie a basso reddito sono il 31,3% contro il 18,4% della media nazionale - fonte Istat). Questo, in estrema sintesi, è lo scenario che ci vanno consegnando giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, osservatori regionali e provinciali istituzionali sullo stato della crisi nell'area pugliese-salentina. Le cifre più fresche sono dell'Istat e della Camera di Commercio di Lecce. Ma ci sono anche le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori che sfornano numeri che danno da pensare. Dunque, il Salento in caduta libera (Pil 2007/2008 a -3,9%) in una Puglia ferita (Pil 2007/2008 a -0,6%) dopo il balzo del biennio 2006-2007 che ha sfornato un Pil regionale a +4% al punto da essere definita "la locomotiva del Sud". E' chiaro a tutti gli osservatori come il tessuto economico pugliese nel suo complesso stia risentendo degli effetti della crisi nazionale al pari delle aree più sviluppate del Nord-Est e del Centro-Nord emiliano. Effetti negativi che lo testimoniano autorevoli esponenti dell'imprenditoria regionale, per fortuna fuori dalle propagande politiche di schieramento - sono stati fortemente contenuti grazie agli investimenti mirati messi in campo dalla Regione Puglia, in tempi non sospetti, a sostegno dell'economia vera. Quella economia che l'assessore Sandro Frisullo chiama, appunto, "la fabbrica": la "roba" di vergania memoria, cose concrete e solide. Non sono chiari, invece, i contorni del tracollo dell'economia nella provincia di Lecce. Certo, i numeri parlano (parlerebbero) chiaro. Ma di che cosa parlano i numeri? Cosa fotografano per davvero? Il tracollo di un'economia, ma di quale economia? Quella arcaica e stantia che inevitabilmente era ed è destinata a soccombere, o la nuova economia che stava prendendo faticosamente forma alla vigilia della crisi internazionale? Per leggere questi fenomeni - lo sanno bene gli economisti più accorti - non servono le fotografie istantanee ma occorrono sequenze di scatti storici, attuali e quindi proiezioni sul futuro vicino e lontano: non solo cifre gettate alla rinfusa nell'arena mediatica e politica, ma sguardi lunghi: in grado di capire, interpretare. Occorrono, in sintesi, analisi qualitative, analisi di nicchie significative, quelle nicchie che forniscono i "segni" su cui le imprese e la politica si devono misurare, prendere decisioni. Sono questi segni che ci possono raccontare il futuro prossimo: sono cose che abbiamo letto sui libri di storia dell'economia, dalla prima rivoluzione industriale ai fenomeni di sviluppo e di recessione anche e soprattutto nelle economie d'area: non solo macroeconomia. Questa "pancia" del Salento, però, non ce la sta raccontando nessuno. Qualche cenno dagli analisti istituzionali, solo timide intuizioni dagli economisti delle nostre università. Tutto qui. Di che stiamo parlando? Di quali nicchie? Stiamo parlando dell'agroindustria, dei segnali apparentemente contraddittori che arrivano da questo comparto che, certo, storicamente in fase di crisi ha un comportamento anticiclico, ma che qui nel Salento dà "strani" segni di vitalità (e di qualità) anche nell'export ai tempi della crisi globale. E, ancora, stiamo parlando della crescita delle imprese alberghiere e della ristorazione (+22,6% dal 2003 al 2008), un dato che vorrà pur dire qualcosa (forse turismo?). Così come qualcosa vorrà dire 'incremento dell'81,8 per cento delle imprese di produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua, dati sempre riferiti al quinquennio 2003-2008. Ci fermiamo qui, tralasciando per ora i "segni" che vengono dal terziario avanzato in tutte le sue contraddittorie articolazioni. E allora? Allora, forse, il disastro Salento non vuol dire banalmente "disastro", ma economia in trasformazione. Dal Tac fasonista, dall'agricoltura di sussistenza, dai servizi generalisti, dal turismo folcloristico e sgarrupato di "lu mare, lu sule, lu ientu", ci si sta muovendo verso le energie rinnovabili, l'agroindustria specializzata e di qualità, verso il terziario avanzato innovativo, la ricerca creativa con annesse nuove tecnologie, fino al turismo delle cose concrete e non della convegnistica parolaia e spendacciona. Il Salento più che in crisi endemica - ma non sta a noi certificarlo - sembra essere stato colto in campo aperto da un brutto temporale proprio mentre si stava cambiando d'abito. E quando ci si cambia d'abito e c'è la tempesta, si sa, ci si bagna con il rischio di beccarsi una qualche malattia. Come uscirne? Cosa fare? Che riparo dare a questo Salento? Noi ci fermiamo qui. Siamo, come dice la testata, un giornale - presto anche quotidiano sul web - che fa e farà da "osservatorio" sul territorio salentino in stretto collegamento alla realtà regionale. Non solo un facile osservatorio "tecnico", ma uno strumento di lettura e di analisi, utilizzando al meglio le energie intellettuali e le competenze tecniche che la ricerca e le professioni sapranno mettere in rete. Il resto tocca alla politica, alle imprese. E naturalmente alle organizzazioni dei lavoratori.
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