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giovedì 8 aprile 2021

Salento terra d'arte e natura: Guida turistica di Gabriele Marzano

 

 

Il Salento non è solo un luogo dove recarsi d'estate per andare al mare, mangiar bene e divertirsi. Questa terra fra i due mari è uno scrigno di natura, cultura, arte e storia, accumulate dall'incontro secolare e dal passaggio di innumerevoli civiltà provenienti sia da oriente che da occidente. Non solo la sua capitale "culturale” (Lecce) ma anche ogni piccola località lungo le coste e nell’entroterra del Salento, conservano tesori d’arte, storia e natura da affascinare il visitatore più esigente. E’ per rendere ragione di questa ricchezza, che questa guida offre gli itinerari (più dettagliati) del Salento: 6 itinerari di visita nella storia e nell'arte della splendida città di Lecce, 2 itinerari nelle città di Gallipoli e di Otranto, 4 percorsi lungo la costa dell'Adriatico (da San Cataldo all'area naturalistica dei Laghi Alimini e da Punta Palascìa, luogo più a est d'Italia sino a Santa Maria di Leuca, passando per l'incantevole Castro e lo spettacolare Ponte del Ciolo) e dello Ionio (per visitare le stupende aree protette di Porto Cesareo e di Porto Selvaggio e caratteristiche località interne come Nardò e Copertino, e poi passare alla costa Sud, con Ugento e le spiagge cosiddette "Maldive del Salento") e 2 percorsi nella suggestiva Grecìa salentina (Galatina, Calimera, e altre particolari località in cui si parla ancora il greco) e nelle Serre salentine (brevi alture nel Capo di Leuca, dove si può trovare il Salento più vero). In questa versione a stampa, la guida contiene anche molteplici mappe e schede di approfondimento su punti visita riguardanti attrazioni storiche e naturali, nel ricchissimo territorio del Salento. NOTA BENE: per ogni itinerario, è sempre offerto un link da utilizzare per accedere a specifiche mappe pubblicate in Google Maps, in cui, per quasi tutti i punti di visita, sono caricate immagini a colori dei luoghi da visitare. In questo modo la guida cartacea diventa “interattiva” in quanto, per ogni punto di visita descritto, il lettore potrà trovare in internet, contenuti e indicazioni aggiuntive.L'indice del libro è il seguente:- Navigazione nel libro e note pratiche;- Quadro d'unione agli itinerari - spiagge, aree verdi, aree archeologiche;- Breve Introduzione del Salento;- Lecce, una breve storia;- itinerario a Lecce da Porta Rudiae a Piazza S.Oronzo;- itinerario a Lecce da Piazza S.Oronzo a Santa Chiara;- itinerario a Lecce da Santa Chiara a Porta San Biagio;- itinerario a Lecce dal Castello di Carlo V a Porta Napoli;- itinerario a Lecce da Porta Napoli a Piazza Duomo;- itinerari a Lecce fuori porta;- Musei a Lecce;- La città di Otranto;- La città di Gallipoli;- La costa adriatica da San Cataldo ad Otranto;- La costa adriatica da Otranto a Leuca;- La costa ionica da Leuca a Gallipoli;- La costa ionica da Gallipoli a Porto Cesareo;- Le Serre salentine;- La Grecìa Salentina;- Monumenti e punti di visita a Lecce, Gallipoli e Otranto;- Elenco delle località negli itinerari di terra e di mare.Le parole chiave di questo libro sono sicuramente: Lecce, Gallipoli, Otranto, Santa Maria di Leuca, Porto Cesareo, Nardò, Galatina, Soleto, Copertino, Specchia, Casarano, Castro, Porto Selvaggio, Ugento, Tricase, Acaya, Ciolo, Zinzulusa, Porto Badisco, Torre dell'Orso, Laghi Alimini, Melendugno, Castrignano, Calimera, Maglie, Salento, Puglia, turismo, viaggi, guida turistica, arte, storia dell'arte, architettura, storia dell'architettura, barocco, itinerari, natura, arte bizantina, romanico pugliese, rinascimento, castelli, torri costiere, spiagge, oasi naturali, riserve naturali, aree protette, storia, arte paleocristiana.Ai lettori chiedo un favore: di postare un commento sulla pagina di Amazon per darmi la possibilità di migliorare sempre di più il testo, correggendo e integrando le informazioni contenute. Vi ringrazio.

giovedì 19 dicembre 2013

Mo mama. Da chi vogliamo essere governati?, di Paolo Nori (Chiarelettere). Intervento di Nunzio Festa



“La politica non è una cosa che si fa quando si va a votare, ma che la politica si fa tutti i giorni, e che è politica il modo in cui si parla, il modo in cui ci si muove, che è politica il grado di gentilezza con cui si parla coi propri figli, e coi propri genitori”. A chi appartiene quest'asserzione definitiva, assoluta? Verrebbe di rispondere: o a una persona perbene, come piace dire in genere, oppure a un  intellettuale serio e puntuale. Invece è di Paolo Nori.  E non che Nori non sia un intellettuale: fa lo scrittore, il traduttore e il “maestro” dei grandi. E, chiaramente, non che non sia una persona per bene. E fa grandemente piacere scoprirlo, che sia di Paolo Nori. Dove un altro scrittore in sostanza ci toglie dallo pseudo-qualunquismo dell'ultimo piccolissimo Piccolo, che riesce invece a esser peggio d'altri e non “come tutti”. (Non come tutti, certo). Fortunatamente. Nori col suo 'libretto', infatti, con la scusa di raccontare “Parma ai tempi del Movimento 5 stelle”, espone la sua visione del mondo, più che solamente la sua idea di 'politica' / idea-politica. Però com'è giusto che sia  è costretto a ragionare, visti i tempi correnti, durante lo svolgimento d'un tema in apparenza nuovo: l'ascesa sulla scena della gestione della cosa pubblica, per quel che almeno riguarda Parma, d'una nuova forza politica – con il primo sindaco ai cinque stelle; mentre insomma una nuova generazione, in genere, avanza nella calca che il nulla d'oggi è. Non si capisce più un cazzo. Se, tanto per cominciare, adesso che scriviamo dell'ultimo libro di Nori, narratore di grande bravura e oramai di riconosciuta levatura, troviamo sulle strade, e non per sentito dire o per modo di dire, una specie d'accenno di sommossa dentro la quale i fascisti del terzo millennio degli ultimi resti di partiti xenofobi e nazifascisti tentano d'esser germi, anzi batteri da lievito cattivo. Ma torniamo a Parma. Anzi a Pizzarotti. Dove Federico Pizzarotti è l'esempio d'una lingua da rigettare e dell'assenza di qualità nonché del mancato raggiungimento di buoni propositi. “Mo mama”, in effetti, è prima di tutto un'espressione linguistica parmiggiana della quotidianità. Sarebbe a dire “mamma mia” - epperò è usata esclusivamente in senso negativo. Ma meglio allora parlare una lingua di tutti i giorni, che quella dei Pizzarotti. E Nori, da anarchico, pur stupendosi con poco aspira al massimo. Altrimenti meglio tenersi fuori. Tanto che non vota da una ventina d'anni. Grazie al fatto che siamo incalliti sostenitori – lo seguiamo tutti i giorni (andando sul sito con puntualità maniacale) – molte pagine del Mo mama avevamo avuto il piacere di leggerle in anteprima. Però tutte insieme sono una vera e propria riflessione, una discussione sull'attualità. Praticamente un'opera di saggistica che chiede di spaccare in mille pezzetti concetti obsoleti, falsi e, per di più, banali, che i gesuiti di pd pdl sel e m5s vogliono farci passare per valori. Tra il nuovo, fino a un certo punto, mito Renzi e il sempre fresco grillismo.   





domenica 26 luglio 2009

Nero di Vito Antonio Conte















Tende da campo. Tante. Grandi, piccole e canadesi. Tutte colorate. Prevale l'azzurro. Fili con biancheria appesa ad asciugare. Auto e furgoni ai margini. Movimento. Poco. Lento. Ma non è un camping. Non sono al mare. Percorro la strada che ogni giorno devo per recarmi al lavoro. A Nardò. Ad appena un kilometro dal passaggio a livello, prima della città, sulla destra, tra gli ulivi, quel riparo improvvisato. No, non è un campeggio. E il colore dominante, a ben vedere, è un altro: nero. Nero d'Africa. Di uomini che non sono in vacanza. Di uomini che aspettano un'occasione di lavoro. Nero. Come il colore della loro pelle. Splendidi uomini d'ebano. Tra panni stesi ad asciugare dalle poche donne presenti. Nere anche loro: bellissime. Il vento asciugherà quegli indumenti, bagnati di sudore. Loro, gli uomini, aspettano un'altra giornata di sole. Attendono che qualche “caporale” bianco li ingaggi per la raccolta delle angurie (ma non solo). Si tratta di “ingaggio” senza regole, qualche volta arriva da un loro “fratello”. Attendono dignitosamente una chiamata. Altri sono per strada, a piedi. Raggiungono la prima stazione di servizio che s'incontra entrando (da Lecce) a Nardò, quasi di fronte allo stadio di calcio, subito dopo la chiesetta nel cui giardino si erge la statua di Padre Pio. Attendono il miracolo di un altro giorno di lavoro. Con dignità statuaria pari a quella del santo. Qualche giorno addietro l'attesa si è materializzata -non nel bianco “caporale”, ma- nelle divise della polizia. Ne hanno portati via una ventina, clandestini. I “caporali” circolano ancora. Per gli “schiavi dell'anguria”, invece, la polizia segna un altro VIA nella loro odissea iniziata con la fuga (dalla guerra, dalla fame, da mille altre insidie...) da uno dei cinquantatre Stati del continente Madre. L'ennesima ingiustizia quotidiana è compiuta. La vedo ogni giorno: sulla pelle luccicante di fatica di questi uomini tra i campi mentre raccolgono questi grandi frutti-sauri tondeggianti succulenti dolci croccanti e dissetanti, li ripongono in grandi contenitori di plastica, li caricano su camion, grandi e piccoli, spesso articolati che raggiungono il Nord d'Italia, dove fette rosse e fresche (del loro sudore malpagato e senza garanzie) vengono vendute a caro prezzo. Li vedo ogni giorno. Ognuno li può vedere, passando da lì. Ogni giorno di tutti gli anni, in questo periodo. In passato trovavano riparo in vecchi fatiscenti ruderi di campagna che il degrado ha fatto crollare rovinosamente. Nessun servizio igienico, nessuna garanzie contrattuale, nessuna tutela per loro. La dignità slavata dalla mancanza di dignità di chi li ingaggia illegalmente e di chi questo permette. Il bisogno sfruttato come sempre. Il sudore lavato dai frequenti temporali di questi giorni che fa di questa Terra sempre più luogo d'Africa caraibica. Io intanto raggiungo il mio Ufficio. Che non è un bell'Ufficio. Ma neppure decoroso. Né idoneo a svolgervi le funzioni cui è destinato. Ne avrei da sprecare parole per dire di quest'altra fatiscenza... Chi di dovere ne è a conoscenza. Da tempo. E non cambia nulla. Ma il mio lavoro, per quanto mal retribuito in un ambiente invivibile, almeno è... “regolare” e non posso lamentarmi se l'immobile in cui è allocato l'Ufficio (del Giudice di Pace di Nardò) in cui lavoro è squallido e in degrado, pressoché senza impianto di condizionamento (che d'estate si schiatta dal caldo), coi caloriferi insufficienti (che d'inverno fa freddo), senza scala antincendio (e già una volta un incendio c'è stato: al piano terra, col Personale al primo piano...), senza alcun sistema di sicurezza, senza alcuna vigilanza, senza collegamenti a internet, intranet e REGE, senza niente di niente, tranne muri scrostati e richieste (…) rimaste inevase (tranne qualche sporadico palliativo che non può chiamarsi intervento...). Eppure a Nardò c'è il Nuovo Palazzo di Giustizia. Proprio vicino al luogo dove sostano gli extracomunitari in attesa di un cazzo di lavoro del loro stesso colore! Dovrei dirla tutta, mi dice Maria. Prima o poi lo farò (e a lei, invero, ho detto sempre tutto... quel che ero, quel che sono, senza reticenze... ciò che voglio... e di solito -poi- non ho riserve mentali con alcuno... e quel prima o poi allora significa altro... sì, prima o poi racconterò un'altra storia, l'unica per cui è giusto vivere di cuore...) Ma, in questo caso, c'è che è sordo chi non vuol sentire e cieco chi non vuol vedere. E allora perché sprecare ancora parole? Le ho già sprecate con chi di competenza! Da tempo. E non cambia nulla! Ma io un lavoro “regolare” almeno ce l'ho. Loro no. E quando arriva è quel che è sotto gli occhi di tutti. Non c'è paragone. Perdio! E lungi da me la tentazione di farne (paragoni). Un dato, però, è comune tra la loro situazione e la mia... Se ne parla. Sempre. Ma non cambia niente. E non posso chiudere così. Avevo promesso che avrei bestemmiato soltanto per qualcosa per cui ne valesse la pena: beh, in questo caso la mia scurrilità è d'obbligo: io la destino a chi so, voi a chi vi pare: vaffanculo! E se proprio devo indicare un'altro finale e dare ancora colore e ritmo a questo pezzo, la cosa migliore che mi viene in mente è il ritornello di una canzone di Enzo Avitabile: “chest'è l'africa favurite/bonappetito”.

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