
In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei - As an Amazon Associate I earn from qualifying purchases - Als Amazon-Partner bekomme ich Geld, wenn ihr über meinen Link etwas kauft - Soy Afiliado de Amazon, así que me llevo una parte si compras algo usando mis links - アマゾンで紹介した商品を買ってもらえると、私にも少しおこずりがもらえる仕組みなんです - 아마존 애소시에이트로서 적격 구매 시 수익을 얻습니다.
Cerca nel blog
Visualizzazione post con etichetta Maria Beatrice Protino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Maria Beatrice Protino. Mostra tutti i post
sabato 26 settembre 2009
Nino Rota: le musiche di un formidabile compositore di Maria Beatrice Protino

lunedì 21 settembre 2009
Edward Hopper: inquadrature di tipo fotografico e studio della luce . Di Maria Beatrice Protino

Era capace di cogliere la bellezza nei soggetti più comuni e ancora oggi è possibile riconoscere quel taglio particolare con cui il pittore plasmava i paesaggi sterminati o le strade solitarie, le pompe di benzina o i binari della ferrovia della sua America. Tra le figure più originali dell’arte del Novecento, Edward Hopper – pittore statunitense nato a Nyack nel 1882 e morto a New York nel 1967 - è divenuto popolare in tutto il mondo per la sua pittura austera, insensibile alla modernità che pure le avanguardie europee di inizio secolo prospettavano.
Hopper aveva il gusto per una pittura ordinata, dal tratto nitido e lineare. Questa impostazione, che ad un primo esame poteva apparire accademica, in realtà era coniugata da un rapporto critico con le regole e veniva filtrata dalla sua forte sensibilità. Fin dagli esordi della sua carriera artistica, Hopper è interessato alla composizione figurativa urbana e architettonica in cui inserire un unico personaggio, solo e distaccato psicologicamente, come se vivesse in una dimensione isolata. Il suo genio artistico gli ha permesso di costruire una tavolozza coloristica del tutto originale e riconoscibile, un uso della luce teatrale - grazie anche allo studio degli impressionisti e in particolare di Degas – che poi faceva sposare con inquadrature di tipo fotografico.
Le sue opere sono dominate da un senso di attesa, dal silenzio, forse anche dalla malinconia e dalla noia o dall’inquietudine: infinite le possibili interpretazioni, stando l’impenetrabilità dei suoi personaggi - semplice gente comune accampata in scene che sembrano fotogrammi scelti a caso.
Quella che può sembrare una pittura realista, in realtà nasconde una componente di forte complessità, frutto di una sintesi di più immagini, colte in tempi e luoghi diversi e poi lì riportate così come la mente dell’artista era capace di trattenerle e rivederle nella sua memoria, senza dettagli rilevanti se non quelli che effettivamente risultavano necessari, urgenti.
Nascono, così, composizioni che sembrano effettive sceneggiature dipinte, storie raccontate in un fotogramma in cui Hopper ha voluto bloccare i protagonisti, come subito prima o subito dopo qualche evento importante.
Non stupisce, quindi, che le sue opere abbiano influenzato registi del calibro di Hitchock e dei fratelli Coen, di Ridley Scott e di Dario Argento.
sabato 19 settembre 2009
Millennium Trilogy di Stieg Larsson: un boom planetario e inatteso. Di Maria Beatrice Protino

domenica 23 agosto 2009
Alexander Calder: la scultura diventa gesto. Di Maria Beatrice Protino


Il suo lavoro è concettuale e allo stesso tempo intriso di poesia e giocosità.
Era un omone dall’aria burbera, ma dall’animo di un bambino. Si scopre subito il suo spirito ludico assistendo ai due filmati sul Circo Calder che dal 18 marzo al 20 luglio scorsi ha aperto la mostra “Les années parisiennes, 1926-1933” al Centro George Pompidou, a Parigi, dove si è voluto compiere un’esposizione dedicata allo scultore statunitense più influente del ventesimo secolo.
Famoso per l'invenzione di grandi sculture di arte cinetica - chiamata appunto i mobiles – si dedicò anche alla pittura, alle litografie e alla progettazione di giocattoli.
Quando arriva nella capitale francese è il 1926 e C. ha 27 anni: è già un giovane pittore e illustratore satirico formatosi nelle scuole di Philadelphia e New York carico dell’iconografia del nuovo mondo, fatta di pellerossa, cavalli e treni a vapore. A Parigi, attraverso una ricerca estetica che lo vedrà in contatto con i protagonisti delle avanguardie del ‘900 – da Picasso a Mirò, da Man Ray a Mondrian - inventerà il drawing in space, un’audace declinazione della scultura moderna, disegnata nello spazio da linee di forza in grado di rappresentare oggetti verosimili e figure astratte, che lo renderà uno dei più grandi scultori del 1900.
I mobiles degli anni '30 sono il risultato logico di una ricerca imperniata su segno e movimento, forse riferibili a una ricerca dell’artista di tipo costruttivista.
Calder compie nei confronti del materiale industriale un’impresa di détournement di matrice situazionista – per cui si opera uno straniamento che modifica il modo di vedere oggetti comunemente conosciuti, strappandoli dal loro contesto abituale e inserendoli in una nuova e inconsueta relazione per avviare un processo di riflessione critica: si pensi ad esempio al collage e al montaggio.
Creerà, così – dopo il passaggio attraverso l’astrazione geometrica, le sfere e le ellissi, e poi le forme biomorfe e organiche - i grandi stabiles, le monumentali opere fisse in metallo verniciato destinate al paesaggio urbano che oggi possono essere ammirati in molti parchi francesi e non solo – si pensi al Teodelapio in acciaio verniciato realizzato per Spoleto nel 1962.
Animali di piccola taglia di metallo piegato, una rivista di sue illustrazioni, giocattoli colorati, i mobiles circensi, i cavalli e i leoni, gli acrobati: i primi lavori di Calder offrono una chiave di lettura per la sua arte, l'arte di un ispirato DIYer, l’arte del fai-da-te, di un mago che con materiali di base, spesso riciclati, e meccanismi primitivi – in pratica oggetti tenuti insieme da fili - crea scultura.
Si passa poi ai personaggi quotidiani ispirati dalla stampa, dallo sport, dal mondo dello spettacolo, ma riprodotti sempre con umorismo caricaturale.
Ed è proprio nel Circo che si riassume tutto l’universo di C.: luogo dove il movimento diventa performance, la scultura gesto, l’infanzia coscienza collettiva.
mercoledì 19 agosto 2009
Le crew graffitare di Beirut lanciano messaggi di pace di Maria Beatrice Protino

Saro A., in arte Oras, ha 29 anni, fa il graphic designer e vive a Beirut, in Libano.
Nel 2006 inizia a dipingere sui muri della sua città, subito dopo lo scoppio dell’ennesima guerra tra Libano e Israele.
Come rilascia in un’intervista pubblicata su Ventiquattro del maggio scorso: «Beirut era sotto i bombardamenti e non era consigliabile uscire di casa. Non c’era da fare granché e abbiamo iniziato a scrivere sui muri a Karantina», il luogo di una delle peggiori stragi avvenute durante la lunga guerra civile degli anni settanta a opera della Falange cristiana. Eppure, loro, i graffitari, non scrivono niente di politico, niente che possa ricondurre la memoria a quella strage: del resto Saro non ha alcun ricordo di Karantina perché a scuola non si studia neanche la storia recente, per non rimettere in discussione i già precari equilibri libanesi.
I muri di Beirut, di Tripoli, di Sidone non possono essere usati per attaccare i concorrenti politici, ma solo per scrivere messaggi sociali, pacifici, costruttivi.
Le scritte sono coloratissime e spesso in inglese, altrimenti in arabo o in armeno e recitano: “Orsù, libanesi, svegliatevi!” o “Un solo Libano”, mentre le donne writer preferiscono i disegni e i graffitari più duri – quelli che fanno rap e graffiti insieme - usano le bombolette oro e argento, e poi, gli ultimi arrivati, i ragazzini di 13-14 anni, imbrattano i graffiti dei più grandi già presenti, in barba al principio dell’intoccabilità dell’opera di altri.
Il fenomeno della graffiti art è un fenomeno recente, anche se in linea con quello che già accadeva da anni sulla scena musicale rap. Naturalmente, dietro ai graffiti e alla scena hip hop c’è sempre la spinta verso la cultura underground e alternativa occidentale. D’altro canto, i graffiti hanno storia antica, se si pensa alle scuole calligrafiche arabe la cui eredità continua ad avere un ruolo importante nella cultura contemporanea: nelle terre del Levante sconquassate dalle guerre ha prodotto una precisa tendenza murale. Infatti, il graffito politico veniva usato già negli anni Ottanta, al tempo della prima intifada, quando i palestinesi usavano i muri di Gaza City e di Ramallah per scambiarsi parole d’ordine, appuntamenti, scioperi: erano i writers contro il potere, niente a che vedere con quelli libanesi.
Eppure, anche adesso e nonostante tutto, c’è qualcuno – come il saudita Saab B., anche lui graffitaro, ma sul web – che ritiene i murales di Karantina atti vandalici e contrari alla religione: a quanto pare tirare in ballo e agire in nome della cd. Religione è lo sport preferito ancora da molti – e purtroppo – nelle terre del sole Levante, anche quando sarebbe meglio non andare troppo per il sottile.
sabato 25 aprile 2009
Caos e bellezza di Omar Calbrese. Recensione a cura di Maria Beatrice Protino

Il Neobarocco, scrive il professore, non è un movimento artistico o una tendenza, ma è lo spirito stesso dell’epoca che viviamo, è un fenomeno culturale, un atteggiamento, uno spirito al quale, com’è ovvio, non solo la letteratura, i mass-media, il cinema, ma anche le arti visive - e nel saggio si riconducono al Neobarocco diversi artisti contemporanei, dei quali vengono analizzate le opere - si adeguano, anzi ne occupano un ruolo particolarmente significativo: «Nella loro sfera convivono oggetti recuperati dalle discariche, pittura densa di citazioni e graffiti, progetto e improvvisazione: la bellezza nasce dal caos».
L’operazione terminologica vuole il concetto di “barocco” come contrapposto a quello di “classico”, dove per «classico s’intende far riferimento a categorizzazioni di giudizi fortemente orientati alla stabilità e all’ordine, mentre per barocco categorizzazioni di giudizi che eccitano l’ordinamento nel senso della sua destabilizzazione, sottoponendolo a turbolenza».
Calabrese, dunque, individua i principi del Neobarocco nel Ritmo e nella Ripetizione – si pensi all’estetica della ripetizione, appunto, fondata sugli elementi della variazione organizzata, dell’irregolarità regolata, del ritmo velocissimo - o nell’Eccesso – quella tensione, questa volta centrifuga, al limite: quella messa in discussione di una qualche regola che tende a destabilizzare il sistema -, nel Pressappoco e Non so che – il fascino dell’approssimazione, quanto nelle scienze tanto nelle filosofie -, nel Nodo e Labirinto, nella Distorsione e Perversione, nella cura del Dettaglio e del Frammento.
«Nella storia del pensiero filosofico il binomio disordine-caos è stato sempre considerato in senso negativo, come sinonimo, cioè, di irrazionale, casuale, irrisolvibile. Oggi, invece, il caos è semplicemente visto come un insieme di fenomeni altamente complessi, ma di cui si può arrivare a descrivere il funzionamento. Ovvero: l’ordine del disordine». Ed ancora: «Esiste un disordine oggettivo, che è disordine degli oggetti rappresentati, come si trattasse di una magia naturale; un d. soggettivo, cioè un d. della rappresentazione che è sfida alle leggi naturali; un d. cd. patemico, provocato dal rapporto tra opera e fruizione, che sarà poi la cultura a stabilizzare in un abbinamento tra oggetti rappresentati».
Non più, dunque, il caos come spiegato nella mitologia greca antica quale origine dell’universo, ma un totale cambiamento di gusto finalmente, per cui i fenomeni caotici sono considerati esteticamente belli.
special tank to Luciano Pagano
Iscriviti a:
Post (Atom)
I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno
I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà
Cerca nel blog
-
VIII Edizione de Le mani e l'ascolto a cura di Mauro Marino e Piero Rapanà Fondo Verri, via S. Maria del Paradiso 8, Lecce Show case di ...
-
FABRIZIO Vedremo altri soli domani, o giù nella stiva sono questi i migliori. Ditemi allora chi scoprire chi ignorare di nuovo, quale faccia...