In Libano c’è un singolare accordo: non si racconta la storia degli ultimi trent’anni.
Saro A., in arte Oras, ha 29 anni, fa il graphic designer e vive a Beirut, in Libano.
Nel 2006 inizia a dipingere sui muri della sua città, subito dopo lo scoppio dell’ennesima guerra tra Libano e Israele.
Come rilascia in un’intervista pubblicata su Ventiquattro del maggio scorso: «Beirut era sotto i bombardamenti e non era consigliabile uscire di casa. Non c’era da fare granché e abbiamo iniziato a scrivere sui muri a Karantina», il luogo di una delle peggiori stragi avvenute durante la lunga guerra civile degli anni settanta a opera della Falange cristiana. Eppure, loro, i graffitari, non scrivono niente di politico, niente che possa ricondurre la memoria a quella strage: del resto Saro non ha alcun ricordo di Karantina perché a scuola non si studia neanche la storia recente, per non rimettere in discussione i già precari equilibri libanesi.
I muri di Beirut, di Tripoli, di Sidone non possono essere usati per attaccare i concorrenti politici, ma solo per scrivere messaggi sociali, pacifici, costruttivi.
Le scritte sono coloratissime e spesso in inglese, altrimenti in arabo o in armeno e recitano: “Orsù, libanesi, svegliatevi!” o “Un solo Libano”, mentre le donne writer preferiscono i disegni e i graffitari più duri – quelli che fanno rap e graffiti insieme - usano le bombolette oro e argento, e poi, gli ultimi arrivati, i ragazzini di 13-14 anni, imbrattano i graffiti dei più grandi già presenti, in barba al principio dell’intoccabilità dell’opera di altri.
Il fenomeno della graffiti art è un fenomeno recente, anche se in linea con quello che già accadeva da anni sulla scena musicale rap. Naturalmente, dietro ai graffiti e alla scena hip hop c’è sempre la spinta verso la cultura underground e alternativa occidentale. D’altro canto, i graffiti hanno storia antica, se si pensa alle scuole calligrafiche arabe la cui eredità continua ad avere un ruolo importante nella cultura contemporanea: nelle terre del Levante sconquassate dalle guerre ha prodotto una precisa tendenza murale. Infatti, il graffito politico veniva usato già negli anni Ottanta, al tempo della prima intifada, quando i palestinesi usavano i muri di Gaza City e di Ramallah per scambiarsi parole d’ordine, appuntamenti, scioperi: erano i writers contro il potere, niente a che vedere con quelli libanesi.
Eppure, anche adesso e nonostante tutto, c’è qualcuno – come il saudita Saab B., anche lui graffitaro, ma sul web – che ritiene i murales di Karantina atti vandalici e contrari alla religione: a quanto pare tirare in ballo e agire in nome della cd. Religione è lo sport preferito ancora da molti – e purtroppo – nelle terre del sole Levante, anche quando sarebbe meglio non andare troppo per il sottile.
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mercoledì 19 agosto 2009
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