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venerdì 13 maggio 2011

10 grandi donne dietro 10 grandi uomini, di Isabella Marchiolo, prefazione di Alessandra Casella (Laurana). Anteprima di Nunzio Festa











Mancano pochissimi giorni all'arrivo in libreria il nuovo, fresco, a tratti scoppiettante libro della giornalista e scrittrice calabrese Isabella Marchiolo “10 grandi donne dietro 10 grandi uomini”; questo nuovo libro di Isabella Marchiolo, che ben conosciamo e non da oggi, e che dimostra giorno dopo giorno una maturazione di scrittura e una consapevolezza letteraria sempre crescente, autrice che alterna appunto prosa a giornalismo, entra a far parte d'una nuova linea di libri che la Laurana dell'antico Mozzi e del nuovissimo Vaccari, passando per l'oramai famosa Tomassini, fa per dare un poco d'ossigeno vero e pulito al presente. In vista d'un futuro possibile. Perché, appunto, questo volume è il primo della neo-nata collana “Dieci!”: voluta dall'editore Garlisi e dall'editor Gabriele Dadati e, immaginiamo, consigliata dal Giulio Mozzi che sappiamo. Con tanto di illustrazione di copertina, per giunta, che è opera a sé, 'stavolta di Silvia Rastelli. Se nel comunicato di lancio sentiamo che “la nuova collana si poene come obiettivo quello di scavare dentro il detto 'Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna', quasi a volerlo ribaltare”, in realtà questo ultimo libro di Marchiolo, che ricordiamo recentemente in veste d'autrice d'un'interessantissima intervista inopportunamente titolata “LadyMen” e prefata da Cecchi Paone, è un modo di guardare con rispetto ma anche giusta distanza a dieci grandi figure, donne, che per diverse ragioni hanno raggiunto fama e celebrità. Ed è vero, sempre o quasi sempre, che le donne stanno un passo in avanti e assolutamente non uno indietro dei mariti ecc., perché devono pensare molte volte a fratelli, sorelle, figlio e/o genitori. D'esempi, insomma, ne potremmo fare davvero tanti. A partire da ogni privato. La scelta d'Isabella mette nel testo Michelle Obama a braccetto con Rita Borsellino e Yoko Ono. E non solo. Eppure questa volta dovremmo ripensare, molto probabilmente, nel tempo che strapazza l'etica e i sentimenti puri, a Mina Welby che veramente “mette al centro del suo amore il desiderio di morire del marito”. Marchiolo riesce ancora una volta a commuovere. Che con pezzi di vita di queste donne rappresenta simbolicamente il mondo intero. “E non è per una sorellanza di genere – dice direttamente l'autrice, quasi ad accennare in un pezzo del libro alla tanto discussa 'solidarietà femminileì - , perché anch'io sono una donna. No, questa sarebbe semplicemente un'associazione logica: le donne generano vita, e senza di loro a un certo punto dell'umanità non rimarrebbe comunque nient'altro da salvare. Insomma, questo significa che non potete estinguerci o decidere di cancellarci da un elenco ideale delle cose importanti”. Per aggiungere: “Inoltre credo poco alle possibilità della scienza di procreare al di fuori di un grembo femminile. Dunque, almeno nel futuro che fino ad adesso riusciamo a immaginare, siamo ancora indispensabili”.

giovedì 20 agosto 2009

Il libro nero del mondo di Gabriele Dadati (Alberto Gaffi editore) dal 2 settembre in libreria

"Il libro nero del mondo è un romanzo che vi confonderà. Ci troverete dentro un uomo e una donna che si amano di un amore perfetto e tutto materiale, senza sentimenti. Ci troverete due cattivi – due grandi cattivi – che sono cattivi senza una ragione, senza una spiegazione. Ci troverete due vittime che sono vittime per scelta: una per scelta attiva, perché ha desiderato essere una vittima; e l’altra per scelta passiva, perché non ha desiderato mai nulla di diverso dalla sua condizione di sempre, che è la condizione della vittima. E ci troverete una bambina magica che compie sempre lo stesso percorso in un angolo di giardino, e compare sempre quando qualcosa di inspiegabile accade, o sta per accadere. Giulio Mozzi

Gabriele Dadati sa come si racconta una storia, sa fingere un distacco che appartiene alle scritture mature, ma a ben guardare in questa cinematografica vicenda di arcangelo metropolitano che affianca, quasi sorveglia, una Maria profana si legge una sommessa ricerca di sé. Questa scrittura ha corpo e spirito e non promette nulla che non possa mantenere in pieno. In bilico tra il romanzo di genere, alto, e il Bildungsroman Gabriele guida attraverso lo specchio Gabriele. Marcello Fois.

Una città italiana di una provincia qualsiasi, nei nostri anni Zero. Un giovane regista è solo, insieme a tutto: insieme alla moglie, che più di ogni altra cosa ama spiare mentre dorme e che lascia correre a grotteschi raduni new age, solo insieme al suo lavoro, alle prese con la produzione che potrebbe finalmente portarlo fuori dall’asfissiante mondo televisivo verso il cinema. Sembra l’ultima occasione, il film sul cannibale ispirato a una storia vera. Così vera che durante le riprese il suo attore principale - nonché migliore amico - viene rapito. Sarà proprio il regista a tentare di salvarlo, perché l’attore non è che l’esca che il rapitore cattura per arrivare a lui. Inizia così un confronto claustrofobico e serrato tra un serial killer alla ricerca della Giustizia e l’uomo che lui ha scelto come testimone delle sue deliranti imprese. Il tutto in un clima da ordinaria Apocalisse che entra con disarmante semplicità nella mente del lettore.

Gabriele Dadati (Piacenza, 1982) ha pubblicato Sorvegliato dai fantasmi (peQuod, 2006), accolto con calore da critica e pubblico, vincitore del premio Dante Graziosi e finalista come “Libro dell’anno” nella trasmissione Fahrenheit di Radio 3 Rai. Cofondatore della rivista letteraria «Ore piccole», collabora al quotidiano «Libertà» di Piacenza e dirige una collana di narrativa per Barbera Editore. È autore di Booksweb.tv, la televisione dei libri ideata da Alessandra Casella (http://www.booksweb.tv/content/show/ContentId/1156).

mercoledì 22 aprile 2009

QUALCUNO HA MORSO IL CANE – RACCONTI DI DOPPIA VITA a cura di Antonio VENEZIANI e Riccardo REIM (Coniglio editore) rec. di Silla Hicks

LA VITA E’ UNA, SIAMO NOI A NON ESSERLO ...

Io non lo so cos’è, una doppia vita. Non lo so, perché se c’è stata una cosa che finora ho imparato, è che siamo tutti uno nessuno e centomila, o ,se preferite, che niente è quello che sembra, tanto, in fondo, dicono la stessa cosa, Pirandello, Akira Kurosawa e persino Jhon Locke ( non il filosofo del Saggio sull’Intelletto umano, ma l’ispettore paraplegico di una fabbrica di scatole che diventa la bella copia di Rambo una volta caduto sull’isola smarrita di Lost).
Ciascuno è sempre tanti e tutti assieme, tutti portiamo maschere bifronti che piangono e ridono in simultanea e nascondiamo nell’armadio scheletri putrefatti e scampoli di luce: fortunato è chi è capace di guardare oltre quello che sembra, dal di fuori. Gli altri, si perdono la metà almeno del film.
E non lo dico perché sono un camionista, e nessuno o quasi per questo crede che possa leggere e scrivere e pensare, quasi che il gigante di due metri e centoventi chili che vedono sia di me tutto, l’uomo ridotto a uno schizzo senza chiaroscuri, a una dimensione sola. Lo dico perché non ho mai incontrato nessuno al cento per cento coerente col suo personaggio, nessuno, nemmeno la persona più ottusa e idiota e granitica nelle certezze che solo un fanatico sa avere. Tutti hanno sfaccettature che non quadrano, sono funzioni a n incognite, direbbe mia sorella, che è insieme corpo scheletrico coperto di tatuaggi e fine matematico, e per questo non s’è disegnata addosso un drago, ma l’ipotesi di Fermat e una spirale logaritmica, e s’è innamorata persa di chi l’ha vista protagonista nel libro di Larsen, e pazienza se regalarglielo voleva essere soltanto un complimento perché respira i computer e sa guidare e bene la sua vecchia Honda.
Così, non credo che avere una doppia vita si riduca a fare le corna alla moglie, o a preferire segretamente i maschi, e nemmeno a leggere Tolstoi di nascosto come la signora Michel, riccio elegante celato dagli abiti informi e la puzza di cavolo della portinaia. Nel senso che non credo che esistano doppie vite, né triple né quadruple: se ne nasce un casino, basta rifletterci, è perché si corre il rischio sempre d’essere scoperti, e ciò perché la vita – contenitore di emozioni e attimi e amori – è soltanto e disgraziatamente una.
Siamo noi, a non essere uno, non per scelta ma per destino: noi che ci barcameniamo, tra questo e l’altro e l’altro me, tra il camionista e colui che legge e scrive, e quello che ascolta have you ever seen the rain e piange, pensandoti, ovunque e con chiunque tu sia adesso.
Per tutte queste ragioni, l’ho letto avidamente, questo libro che pure è una collettiva e io le collettive le detesto, come detesto le foto di gruppo che sono come le parate del due giugno, in cui tutti (granatieri di Sardegna a parte) sfilano coi bassi avanti e finirei necessariamente relegato dietro, ma pazienza, c’è sempre chi guarda oltre le prime file, nelle ultime pagine, alla fine dell’elenco in ordine alfabetico.
C’è sempre. E quello ti trova.
Ti trova, e ti respira. Questo, in questo libro, ho fatto io.
Sarebbe educato citare tutti, ma il fatto è che neanche li ricordo: ma quelli che mi hanno colpito li ricordo eccome, anzi: non me li scorderò, ed è questo che un buono racconto buono cerca di ottenere.
Intanto, la Maddalena che si specchia in sé: peccato duri poco, mi sarebbe piaciuto sapere che ne è venuto fuori dalla sua polvere, perché l’anima/carne supera il dualismo manicheo in cui ci dibattiamo ancora troppo spesso, e Orlando e Middlesex restano là, sullo sfondo. Qualcosa su cui pensare.
Come il cuore di Fedora studentessa di belle arti e insieme Luca sessantenne professore. Identità liquide, fluide, una nell’altra, Leonardo/Monnalisa.Vedi sopra..
E poi la Federica sadica e senese – prodromica ai ricconi che comprano ragazzi con lo zaino nella Cecoslovacchia di Hostel?- e il suo Braschi così innamorato da amarla malgrado il suo cuore nero, da vederlo luccicante nella notte in cui l’ha trascinato, l’amore che tiene la morte per la mano e si rotola frenetico nel sangue. Fino alla vita, se mai ce ne sarà una.
Ma anche il Pulcinella che semina assieme bombe e caramelle, che pure mi ha fatto male, ho amici nell’esercito, e no, non sono mostri senza cuore, solo soldati, foglie sopra agli alberi che il vento spazza via, gente che s’è scelto o ha dovuto prendersi una vita che è anche rischio, ma che pensa e s’interroga e a volte scrive, perché niente è come appare, e gli steroptipi, contrastanti tra loro o no, sono semplificazioni, una funzione studiata per y < x > z, in cui y e z sono i paletti che abbiamo fissato, si chiamano intervalli, e sono solo scampoli, la vita invece è un continuum, da più a meno infinto, dal tutto al niente, e in mezzo, a perdita d’occhio, tutta la gradazione del colore.
Il resto, mariti che tradiscono con minorenni o rimorchiano extracomunitarie ingenue, mogli che si raffrontano/solidarizzano con l’amante e politici col vizietto, va da sé.
Continuo a non amare le collettive. E i temi fissati, anche, che alla fine ti portano a banalizzare pur di riempire il rigo e la pagina. Scrivere non si può fare a comando, o almeno si può fare se si è al liceo e si cerca un voto. Poi, non più.
Ma è indubbio che se metti perle in un cesto pieno di quello che ti pare, non è che non ci siano. Soltanto, vanno cercate. E tenute strette quando si trovano, mi verrebbe da dire, al signore gentile che ha regalato a mia sorella il libro di Larsen, e poi è scomparso, lui che ha saputo guardare dentro la sua anima, per la vertigine che deve aver provato. Per questo, anche, aspetto di vedere come è andata a finire tra Antonio e Maddalena. Una volta che uno si/ti guarda dentro, e vede, non può chiudere gli occhi per non ferirsi di luce.
Sono convinto che il signore gentile tornerà, prima o poi, e inviterà mia sorella a cena, vicino al mare, e giocheranno a scacchi e berranno vino rosso, parleranno di Gadda e dell’ipotesi di Reimann. Sono convinto che Antonio e Maddalena (Fedora e Luca) troveranno un equilibrio in cui ci sia spazio per entrambi. La carne è anima, l’anima è carne. Nel sangue e in mezzo ai fiori.
Anche in una doppia vita, o in una tripla e una quadrupla, c’è sempre spazio – purtroppo - per l’amore.

Con racconti di Renzo Paris, Mario Castelnuovo, Dora Albanese, Luca Giachi, Fabiomassimo Lozzi, Gianfranco Franchi, Silvana Pedrini, Gabriele Dadati, Carmine Amoroso, Maria Sole Abate, Fernando Acitelli, Filippo Scòzzari, Stefania Scateni, Claudio Marrucci, Gianluigi Mattia, Antonio Veneziani, Riccardo Reim, Roberto Nobile, Tiziana Rinaldi Castro, Giorgio Gigliotti, Franco Grillini, Carlo Bordini, Anna Segre, Paolo Di Orazio, Chiara Marchelli, Giulio Laurenti, Geraldina Colotti, Stefano Fugazza, Maurizio Gregorini, Michela De Muro, Fabrizio G. di Vasco.

(QUALCUNO HA MORSO IL CANE – RACCONTI DI DOPPIA VITA,
a cura di Antonio VENEZIANI e Riccardo REIM, 2008, Coniglio Editore, Roma)

venerdì 21 dicembre 2007

Tabula Rasa 06 - La rivista letteraria tutt'altro che invisibile











Tabula Rasa è la rivista che la Besa Editrice dedica dal 2002 alla scrittura di ricerca narrativa e poetica. Prosegue la collaborazione con il gruppo de iQuindici, la sezione dedicata alla narrativa accoglie una selezione dei racconti già comparsi sulla loro rivista Inciquid, in particolare gli autori ospitati sono Gabriele Gismondi, Sandra Risucci e Paolo Ferrari. La sezione dedicata alla narrativa si completa dei racconti inediti di Gabriele Dadati, Gianluca Gigliozzi e Michele Lupo, oltre che dall’esordio di Marco Montanaro, dal titolo "Gli ultimi giorni di martirio del Signor B.". Nella sezione dedicata alla critica è ospitato un interessante intervento di Christian Sinicco, dal titolo "La nuova poesia in Italia? ouverture sulla differenziazione", nel quale vengono esaminati gli autori della recente poesia italiana; insieme a questo gli interventi di Luciano Pagano, Elisabetta Liguori e Grenar, che con Giuseppe D’Emilio descrivono dall’interno l’esperienza di VibrisseLibri. Nella sezione poesia sono ospitati quattro autori, Fabio Franzin, con il poema inedito intitolato “Sull’orlo della strada”, Luigi Nacci, con una selezione di poesie scritte tra il 2004 e il 2007, Claudio Pagelli e, per la prima volta in rivista, Luigi Massari. Le illustrazioni di questo numero sono di Orodè.

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