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mercoledì 29 dicembre 2010

Signora Ava, di Francesco Jovine, prefazione di Goffredo Fofi, postfazione di Francesco D'Episcopo (Donzelli). Intervento di Nunzio Festa












Sicuramente farà bene attendere i 'festeggiamenti' ufficiali del 150° anniversario dell'unificazione italiota, attraversando il romanzo e le “tematiche” espresse dal romanzo Signora Ava, dello scrittore molisano Francesco Jovine; intanto, finalmente, siamo davanti a una ripubblicazione d'uno dei capolavori del Novecento italiano che si rischiava di far troppo invecchiare. Accompagnata da due saggi imperdibili: quello di Fofi che rinnova un suo scritto per la precedente edizione dell'opera – 1990 - , quello di D'Episcopo che entra direttamente in almeno un paio di fattori determinanti l'importanza assoluta di questo libro di Jovine (anche in relazione a Le Terre del Sacramento). Per cominciare, non c'è che da suddividere il romanzo storico di Jovine in argomenti. Intanto, l'amore. La storia d'amore, anzi, che fa da sottofondo a tutta l'epica del testo, fra il protagonista per eccellenza, Pietro Veleno e la signorina Antonietta dei De Risio. Un legame, prima solamente platonico, che spingerà i due giovani sia in direzione oltremodo diverse sia a calamitare le loro più sincere voglie nel corpo a corpo del rapporto realmente di coppia. Ma, intanto, i personaggi. Chiaramente a partire da don Matteo. Curato di campagna, sempre in stato d'ambasce con moneta e cibo, e, soprattutto nella prima parte - che il romanzo è diviso in due tempi - , grande truffatore dei più poveri. Un don Matteo che poco alla volta, però, inseguirà una redenzione agognata. E che, però, ha una mente costantemente soggetta all'asservimento dei bisogni della gente di rango oltre che del suo stesso stomaco. Pietro Veleno, allievo di don Matteo, fortunatamente e fortunosamente scampato alle celle religiose deve poi arrendersi alla provvidenza che lo fa divenire brigante per non esser messo sotto sale dai nuovi conquistatori dell'Italia. E nobili e cafoni. Mentre, chiaramente, siamo nei moti e nelle battaglie che segnano gli anni fruttuosi di lutti che furono i soli, appunto, d'un processo che mirava a unificare l'Italia sotto il piede forte, soprattutto, di Guardia Nazionale e garibaldini. Dove gli altri, va specificato, prima sono solamente le truppe borboniche, con francesi per il traverso, poi saranno in misura più seria briganti. E Pietro Veleno, anche se non lo si capirà da subito, proprio brigante si fa. Appunto per non essere imprigionato. In queste terre di Molise, a parte naturalmente il terreno fertile di Guardialfiera vissuto, per esempio, da un lobotomo in pratica rigorosamente ubriaco, nel contempo si sviluppano i miscugli di lingue e le credenze del mondo contadino vanno di bocca in bocca. Francesco Jovine, per questa ragione, non può che provvedere a stabilire l'equilibrio vigente fra leggende che non muoiono e sopraffazione che i nobili, i tanti “don”, continuano a garantire al popolo. Pure quando fingono d'avere idee 'liberali'. Quasi egualitarie. Che ovviamente alla possibilità concreta di riscatto per i poveri mai infine guardano. Jovine molto si nutre dalla fonte del patrimonio del suo Molise. Da testi scritti e tradizione orale. Studia per anni, prima di consegnare la prima stesura del romanzo. Ma lo scrittore trova la chiave perfetta per inserisi, utilizzando i termini psicologici delle sue creature, nello stretto varco che esiste fra questioni di paese e questioni del Paese. Marcando con l'inchiostro della storia territori e soggetti attivi come passivi. Nulla abbiamo, qui, del realismo magico. Siamo invece, nella spirale delle vicende individuali e collettive che hanno condizionato generazioni di braccianti, questi a morire di fame, e generazioni di proprietari terrieri, queste ad arricchirsi a dismisura al di là di chi governa. La borghesia è in pace con il potere. Trova accordi con il dominio. Eppure Signora Ava neppure può essere considerato solamente la testimonianza d'un'epoca o poco più del testamento morale e civile d'una famiglia perbene fatta per osservare al piano inferiore. E nemmeno le pagine che possono chiudere i conti con le tante malattie della povera gente. La trama di Signora Ava, invece, ci fa vagare insieme alle tribolazione d'una, anzi più, comunità in difetto con il presente storico. E se il don Matteo fa tantissimo ridere, insomma, fa anche tanta tristezza. Al pari del lobotomo e più avanti dello scrivano. Ma tutti questi personaggi, ovviamente queste personalità raccontano le sommosse collettive dal punto di vista dell'originalità d'alcuni avvenimenti: il Veleno, il Sergentello, Antonietta e così via. La letteratura che non si dovrebbe scordare. Ci s'augura, dunque, che i critici più schizzinosi permettano a lettrici e lettori di trovare Signora Ava fra i libri del Novecento da sentire in prima fila.
Signora Ava, di Francesco Jovine, prefazione di Goffredo Fofi, postfazione di Francesco D'Episcopo, Palermo (Donzelli, 2010), pag. 223, euro 23.00.

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