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mercoledì 9 novembre 2011

Per chi suona la campanella. Un anno di scuola visto da un prof di Ermanno Scrip Ferretti (Fazi editore)























"Per chi suona la campanella" (Fazi Editore, 2011) è un trattato di filosofia in pillole ad uso quotidiano frutto dell’ingegno di un professore di storia e filosofia precario di liceo. L’autore, Ermanno Ferretti, si è fatto conoscere sul social network Twitter con il nome SCRIP raccontando in 140 caratteri la sua vita di insegnante, dalle disavventure del precariato agli strafalcioni degli studenti, dai problemi reali della scuola a spunti per una nuova didattica.  Abbiamo parlato con Ermanno Ferretti del libro uscito lo scorso 4 novembre nelle librerie.
Innanzitutto, come descriveresti questo libro?
E’ un libro che parla della scuola italiana raccontata da un professore di storia e filosofia e cerca di farlo in tono scanzonato, scherzoso. Non è insomma un saggio, anzi è forse quanto di più lontano possibile ci sia da un saggio sulla scuola. È quasi un racconto in cui emergono soprattutto gli aspetti comici e oserei dire grotteschi del nostro sistema scolastico, dei giovani d'oggi e, perché no?, anche dei trentenni precari.
Ma se non è un saggio, cos'è?
Non è facile definirlo. Al di là del tema è particolare anche la forma in cui il libro è scritto: si tratta infatti non di una normale narrazione in prosa ma di una serie di frasi di una o due righe, apparentemente slegate tra loro ma che alla fine formano un quadro unitario, come degli aforismi e degli sketch in cui alcuni dei personaggi ritornano ma in cui c'è spazio anche per la battuta secca o per intermezzi composti da pensieri più seri.
Da dove nasce la scelta di questa forma così "epigrammatica"?
Nasce da Twitter. Il libro, infatti, è una raccolta di tweet che ho "postato" in quel social network negli ultimi anni, rivisti, riordinati e corretti.
Spiegati meglio, perché magari non tutti conoscono Twitter: Cos'è un tweet?
Twitter è un social network con una caratteristica molto particolare e dalla quale non si sgarra: gli aggiornamenti di stato, appunto chiamati "tweet", non possono essere più lunghi di 140 caratteri. Quando scrivi su Twitter, quindi, sei obbligato a scrivere degli epigrammi, perché devi riuscire a far stare una battuta, un pensiero, il racconto di un fatto in 140 caratteri. Certe volte questo implica un lavoro di sintesi notevole.
In copertina campeggia una frase “Se il mondo deve proprio finire come dicono i Maya, spero almeno che sia prima di un Collegio Docenti” , anche questa è un “tweet”?
Sì, con gli editor della Fazi abbiamo scelto di metterla in copertina perché era una delle più carine e dava un'idea chiara sia del tono del libro, sia dell'argomento.
E cioè un professore che non ama i Collegi Docenti...
Sì, ma non solo. L'idea che volevamo trasmettere è anche quella di un modo di intendere la scuola più alla mano, più moderno, più leggero senza per questo essere meno rigoroso. So che sembra un controsenso, ma sono convinto che per essere buoni insegnanti, per riuscire cioè a far crescere culturalmente e umanamente i nostri allievi, si dovrebbe essere il più possibile agli antipodi della vecchia professoressa acida, distaccata, fredda e un po' carogna che ancora oggi popola l'immaginario degli studenti.
Il contrario di quanto sembra aver sostenuto in questi anni il ministro Gelmini...
Direi di sì: il ministro ha più volte parlato di rigore, di serietà, di inflessibilità che bisogna far rientrare nella scuola, salvo poi veder fallire la sua politica davanti ai dati che parlano di diminuzione di bocciati e quindi di una scuola più permissiva. Il problema è che quella del ministro è solo una formuletta pensata per i suoi elettori: la vera sfida, invece, è dimostrare che si può essere contemporaneamente rigorosi e comprensivi, seri e divertiti, inflessibili e giusti. Questi temi, tra una battuta, una gaffe degli studenti e un commento semiserio sul senso della vita, in "Per chi suona la campanella" tornano più volte.
Ritorniamo a Twitter e alla genesi del libro. Come hai fatto a passare da un social network alle librerie?
Il passaggio è stato meno veloce di quanto si possa pensare. Mi sono iscritto a Twitter nel 2008 e all'inzio ho cominciato ad usarlo per pura curiosità. A quel tempo la "twittersfera" era ancora piuttosto ristretta e da parte mia passai i primi mesi a familiarizzare col mezzo, a cercare di capire cosa volevo scrivere in quei 140 caratteri. Ad un certo punto ho scoperto che mi trovavo bene a parlare di due tipi di cose: ciò che mi faceva ridere e ciò che m'indignava. E, anzi, provai a metterle insieme, cercando di parlare di ciò che m'indignava tramite battute.
E come sei arrivato a parlare di scuola?
Lavorando come insegnante e insegnando in particolare filosofia, una materia che dà luogo a clamorosi equivoci ed errori negli studenti, era normale che molte delle cose che mi facevano ridere riguardassero la scuola. Le prime cose sono state gli strafalcioni degli studenti; poi si sono aggiunti i loro commenti sarcastici su questo o quel filosofo, poi i miei sugli studenti, poi è arrivata la Gelmini che ha dato a tutti fin troppe occasioni per fare battute. Insomma, i tweet hanno cominciato a fioccare.
E il libro?
Già nel 2009 alcuni dei miei follower, cioè persone che mi seguono su Twitter, mi chiesero di raccogliere questi tweet in un file. Dal file si passò presto a un libretto autoprodotto che ebbe un certo successo nell'ambiente; infine, da lì è arrivato un agente letterario, che mi ha aiutato a strutturare meglio il libro e renderlo editorialmente più appetibile, e infine i tipi della Fazi.
Ci lasci con tre frasi che ti sembra possano descrivere meglio il libro?
Certo. La prima: «Nel 1650 Cartesio arriva in Svezia ma si prende la polmonite e muore». «Che sfigato!». «E non avete ancora sentito la sua filosofia». La seconda: «Prof, che scuole ha fatto?». «Liceo scientifico e poi laurea in storia». «Non poteva fare altro?». «Tipo?». «Un mestiere che desse soldi?». La terza: «Amleto decide di vendicarsi quando scopre che il padre, il re, è stato ucciso dal di lui fratello». «Ma, prof, è copiato da Il Re leone!».

Ermanno SCRIP Ferretti, Per chi suona la campanella. Un anno di scuola visto da un prof

Fuori collana
pp. 112 – euro 10,00

domenica 13 settembre 2009

Anteprima: Buio - My Land di Elena P. (Fazi editore) dal 2 ottobre 2009

Ciao. Il mio nome è Alma, ho diciassette anni. E queste sono le poche certezze che ho, in questa città velenosa che sembra impazzire. Un’altra certezza: sorrisi e lacrime possono essere molto pericolosi se lasciati fuori controllo. Me lo ripeto ogni mattina, quando esco di casa per affrontare la Città sotto il cielo grigio, con in spalla il mio zaino viola.
Tutto ciò che mi piace è viola. Come la copertina del quaderno che ho comprato in una strana cartoleria del centro, pochi giorni prima che tutto avesse inizio e che la mia vita cominciasse a scivolare in un assurdo incubo senza fine. E gli occhi di Morgan, anche quelli sono viola…
Gli eventi non sono mai coincidenze, i segni di cui è disseminata la nostra vita non devono mai essere ignorati. Anche la più piccola disattenzione presenta il suo conto, sempre. La mia storia ne è una prova.
Buio è il primo capitolo della trilogia My land, in libreria dal 2 ottobre 2009; ma vi avverto: non è una favola.

martedì 8 settembre 2009

Il libro del giorno: Il dio degli incubi di Paula Fox (Fazi editore)

Cantrice della New York anni Sessanta e della borghesia colta di Manhattan, come degli orizzonti caraibici in cui è cresciuta, nel 1990 Paula Fox ha dato alle stampe il suo ultimo romanzo "II dio degli incubi" dedicandolo al Sud degli Stati Uniti. È il 1941 e Helen Bynum, ventitré anni, per la prima volta lascia lo Stato di New York sulle tracce della zia Lulu, un'anziana attrice che vive rintanata a New Orleans. Intraprende così un viaggio iniziatico verso sud, fino ai polverosi incanti "della città del jazz" dove, tra le strade del French Market o gli artisti della bohème, Helen arriverà a sacrificare al "dio degli incubi" la propria innocenza e i propri sogni. Ormai universalmente riconosciuta, insieme a Joyce Carol Oatcs e ad Alice Munro, come una delle più importanti voci della narrativa di lingua inglese, Paula Fox torna con la storia di una formazione e di una perdita, della loro realtà ultima, dei loro coni d'ombra.

"Paula Fox restituisce il ritratto di una città regale e bohèmienne, una città dall'estro artistico, persa nella gloria del suo successo e del suo fallimento, fascinosa non tanto per quello che rimane della vecchia cultura nera e creola quanto per quel che pare provocare nell'animo dei nuovi arrivati"

di Caterina Ricciardi tratto da Il Manifesto dell '8/09/09 p, 12

Fazi editore: http://www.fazieditore.it/

venerdì 4 settembre 2009

Il libro del giorno: Sofia 1973, Berlinguer deve morire (Fazi editore) a cura di Giovanni Fasanella e Corrado Incerti

Il 3 ottobre 1973, al termine di una burrascosa visita ufficiale in Bulgaria, Enrico Berlinguer, da un anno emezzo appena segretario del Pci, ebbe uno strano incidente stradale. Mentre si recava all’aeroporto di Sofia per rientrare in Italia, proprio su un cavalcavia, la sua auto venne investita da un camion carico di pietre. Un provvidenziale palo della luce impedì che la macchina precipitasse dal ponte. Berlinguer se la cavò con qualche graffio, ma il suo interprete morì sul colpo e gli altri passeggeri, due altissimi esponenti del Pc bulgaro, rimasero gravemente feriti. Rientrato in Italia, il segretario del Pci rivelò i suoi sospetti alla moglie Letizia e a un dirigente del partito, il senatore Emanuele Macaluso: non era un incidente, ma un attentato organizzato dai servizi bulgari per conto dei sovietici. Sul’episodio calò subito il segreto. E soltanto 18 anni dopo, nell’autunno del 1991, Macaluso decise di rompere il silenzio rilasciando una clamorosa intervista a Panorama. Ci furono polemiche e smentite da parte di molti dirigenti del vecchio Pci. Ma la vedova di Berlinguer, la signora Letizia, confermò la tesi di Macaluso. Due cronisti di Panorama, Giovanni Fasanella e Corrado Incerti andarono in Bulgaria per indagare e pubblicarono sul settimanale i risultati delle loro ricerche. Qualche anno dopo, quell’indagine, arricchita di nuovi importanti particolari venne pubblicata in un libro: “Sofia 1973, Berlinguer deve morire”, uscito dalla Fazi editore nel 2005. Fu un incidente o un attentato? E soprattutto, chi era Enrico Berlinguer, quali conseguenze poteva provocare la sua politica nei delicati equilibri internazionali dell’epoca? Ripercorreremo insieme il filo di quell’inchiesta.

"Fasanella e Incerti sono andati a indagare in Bulgaria. E hanno raccolto una serie di indizi che giustificano ampiamente i sospetti"
(Indro Montanelli, "il Giornale", 11 novembre 1991)


"E’ un vero thriller politico, vero perché fondato su fatti realmente accaduti e qui ampiamente documentati"
(Giovanni Valentini, La Repubblica, 4 giugno 2005)


"L'intera storia del Pci dovrà essere riconsiderata alla luce di queste rivelazioni(...)Oggi non possiamo più dubitare si volesse uccidere Berlinguer(...)Gli autori del libro sono stati bravissimi nel raccogliere informazioni e prove"
(Piero Melograni, Il Sole24ore, 19 giugno 2005)


"Il libro si fa leggere con la tensione, e la passione, di un thriller politico. La documentazione è ricca e densa, se non di prove, di indizi inquietanti, la scrittura è incalzante: lascio volentieri al lettore il piacere di scoprirle"
(Paolo Franchi, Corriere della Sera, 2005)


"Un libro asciutto e denso di fatti"
(Massimo Caprara, il Giornale, 11 luglio 2005)

giovedì 23 luglio 2009

L'esorcista di William Peter Blatty (Fazi editore) alla Libreria del cinema a Roma

Scritto a partire dallo studio di un caso di possessione diabolica riportato dal «Post» nel 1949, L'esorcista richiese all'autore, William Peter Blatty, una lunga e accurata ricerca sull'argomento: «Penso che il mio inconscio, una volta accumulato tutto il materiale e la fatica necessari, abbia creato la maggior parte della trama, elargendone poco alla volta delle porzioni alla mia coscienza razionale». Pubblicato nel 1971, accolto con un certo scandalo dalla critica, il libro iniziò ad avere un impressionante successo di vendite; nel '72, l'autore fu insignito della Silver Med for Literature Commonwealth of California. Nel '73 il film tratto dal libro, sceneggiato da Blatty, diretto da William Friedkin e interpretato da Max Von Sydow e Linda Blair, ebbe dieci nomination agli Oscar. Riportò due vittorie: come miglior suono e miglior sceneggiatura. Il successo del film nelle sale fu tale da indurre la produzione americana a finanziare, negli anni successivi, ben due sequel, L'esorcista II - L'eretico e L'esorcista III - La genesi.

William Peter Blatty è nato nel 1928 a New York. La famiglia, di origine libanese, era in grandi ristrettezze economiche; il padre, carpentiere, se ne andò quando William aveva sei anni. Nel corso dell'infanzia, Blatty e la madre cambieranno residenza circa ventotto volte. A metà degli anni Cinquanta, Blatty vince 10.000 dollari nel quiz show You Bet Your Life: cifra che gli consentirà di dedicarsi all'attività di scrittore. Inizialmente autore di romanzi umoristici, dal '64 al '70 Blatty inizia a collaborare come sceneggiatore con il regista Blake Edwards. Dopo l'immenso successo de L'Esorcista (1971), e del film di Friedkin tratto nel '73 dal romanzo, nel 1978 Blatty pubblica The Ninth Configuration (del quale dirige nell'80 la riduzione cinematografica); nel 1983 scrive il romanzo Legion, un sequel de L'Esorcista dal quale, nel 1989, trae il film (che scrive e dirige) L'Esorcista III. Nel 1996 dà alle stampe Demons Five, Exorcists Nothing: A Fable, e in America è appena uscita nelle librerie la sua ultima ghost story, Elsewhere.

Lunedì 27 luglio, ore 21.00, presso la Libreria del Cinema in via dei Fienaroli 31 d a Roma, in occasione della pubblicazione della nuova edizione del libro L'esorcista di William Peter Blatty cisarà l'incontro con Enrico Ghezzi ed Edoardo Nesi. A seguire, proiezione del film L'esorcista di William Friedkin(versione integrale)


William Peter Blatty, L'esorcista (Fazi editore)
Prefazione di Edoardo Nesi
traduzione di Cristiano Peddis

pp. 416 - euro: 19,00

lunedì 4 maggio 2009

Su John Fante. Intervento di Vito Antonio Conte

E... poi me ne sto in letargo per lunghi momenti. Mai quanto vorrei. Davvero. Come l'orso nella tana intanto che fuori l'inclemenza del tempo fa il suo. Così vorrei. Mi accontento di lunghi momenti. E faccio cose indicibili. E bellissime. Qualche tempo fa (questa posso dirla) ho rispolverato la mia (scarna) collezione di LP, vecchi vinili 33 giri, e tra questi: Teddy Pendergrass, Tiny Bradshaw, Randy Crawford, Count Basie, Jim Croce, Teddy Wilson, Paolo Conte, George Thorogood, Led Zeppelin e... King Crimson: “The Compact King Crimson”: un album doppio che raccoglie il meglio di questo gruppo e che allora non ho potuto ri-ascoltare perché il mio piatto-stereo l'avevo portato da tempo in campagna e, comunque, è (tutt'ora) privo di “puntina”... ho ordinato il CD dove ci sono i pezzi che amo di più: “In The Court Of The Crimson King”; adesso lo ascolto a go-go. Un'altra volta ho tirato giù tutti i libri della mia biblioteca: migliaia... In fine, ho ridisposto (secondo un ordine diverso da quello precedente) volume dopo volume nelle librerie fin quasi all'alba... Ogni tanto penso di liberarmi di ogni cosa. Talvolta l'ho fatto. Quella volta dei libri, pensavo: e se vendessi l'intera biblioteca al tizio romano di Ponte Milvio? Poi me ne sto in letargo per lunghi momenti, mai quanto vorrei. Alla lettera “effe” c'è ancora Fante, John Fante... Ho letto i libri di John ché me l'ha consigliato Charles. Posso leggere mille e mille poesie di altrettanti poeti, ma quando rileggo un solo verso di Bukowski, ogni volta, mi dico: questa è la poesia che amo di più. Il resto è tale. Residuo. Capite perché quando Bukowski dice che tra i pochi che val la pena di leggere c'è Fante, gli credo. Se Fante “circola” ancora è soprattutto merito di Hank (tra l'altro, lo ha citato in “Donne” e gli ha dedicato una raccolta di poesie). Di “Dago Red” (Einaudi, Stile Libero) ricordo (chissà perché) l'ultimo racconto, “Ave Maria”, e sul libro non c'è traccia del passaggio dei miei occhi e delle mie dita. D'altro sì. A pagina 231 di “Chiedi alla polvere” (Einaudi, Stile Libero) c'è scritto: “7 giugno '05, ore 13:59, se / qualcuno / parla / male / della / mia / poesia / c'è...”, che non so più perché l'ho scritto. A pagina 238 di “Aspetta primavera, Bandini” (Einaudi, Stile Libero) è annotata una data e un'ora: “23 agosto 2005, ore 10:50”. A pagina 228 di “La confraternita dell'uva” (Einaudi, Stile Libero), secondo altri “La confraternita del Chianti”, c'è soltanto una data annotata a matita: “2.9.2005”. A pagina 154 di “Sogni di Bunker Hill” (Einaudi, Stile Libero), con una biro a inchiostro azzurro, ho annotato, tutto a lettere: “è il quattro settembre duemilacinque, c'è un cielo nuvolo e triste, neppure un alito di vento, alle diciotto e trentasei il fumo della mia sigaretta ruba l'aria residua, la mia bmw ha problemi di carburazione (forse il ciclere di minimo?), il sudore appiccicato sul viso, più tardi a Sud (ancora), verso le Centopietre...”. Pagina 152 di “Full of Life” della Collana Tascabili di Fazi Editore era bianca: sopra c'ho scritto: “16.9.2005, John bella storia, sei (non eri) forte... davvero (...)”. A pagina 206 di “A Ovest di Roma” (Fazi Editore, Collana Tascabili), dopo l'ultimo rigo del romanzo (“Era l'alba quando tornammo a casa”), è scritto (sempre di mio pugno) “24.X.2006”. Nient'altro. Appena dopo l'inizio di questa primavera ho finito di leggere “Un Anno Terribile” (Fazi Editore, Collana Tascabili, pagine 142, € 7,74) e in nessuna pagina è annotato alcunché: dirò qualcosa adesso. Qualcosa in più delle -a dir poco- lapidarie notazioni sui libri su citati. Sempre meno di quanto hanno già notato Gianni Amelio, Emanuele Trevi, Vinicio Capossela, Niccolò Ammaniti, Domenico Starnone, Fernanda Pivano, Alessandro Baricco, Sandro Veronesi e altri ancora. Sempre meno. Ché, lo sapete, a parte tutto, mi piace sottrarre. Non vi dirò, quindi, che Fante è considerato tra i maggiori scrittori del Novecento americano, né che di lui e della sua scrittura si sono occupati, a diverso titolo, critici, artisti, scrittori e laureandi, i quali ultimi hanno speso la loro passione per le sue opere trasfondendola nelle loro tesi di laurea. Vi dirò, invece, di questo romanzo breve, inedito finché Fante è vissuto e pubblicato postumo per volere di sua moglie Joyce. Intanto c'è una bella copertina: “New Kids in the Neighborhood” (1967) di Norman Rockwell: tre ragazzi, due maschi e una femmina, davanti alla grossa ruota posteriore sinistra di un grande furgone (postale?) color avorio e, con loro, un cane seduto che rievoca un altro titolo fantiano: “Il mio cane Stupido”. Uno dei tre ragazzi è abbigliato da giocatore di baseball. E non è un caso. Tutta la storia di “Un anno terribile”, infatti, ruota intorno al diciassettenne Dom Molise e al suo Braccio mancino. Un ragazzo di umilissime origini che sogna di diventare un giocatore professionista di baseball, nonostante tutto il mondo, dal microcosmo in cui vive a quello che ancora ignora e che un giorno (sogna) non potrà fare a meno di parlare di lui tanto diventerà famoso, gli giri contro. Lo si comprende subito dall'incipit del romanzo: “Era duro, l'inverno del 1933. Quella sera, arrancando verso casa attraverso fiamme di gelo, con le dita dei piedi che mi bruciavano, le orecchie che andavano a fuoco, e la neve che mi turbinava intorno come un nugolo di suore furibonde, mi fermai di colpo. Era giunto il momento di tirare le somme. Con la pioggia o col sereno c'erano delle forze al mondo che cercavano di distruggermi” (mi ricorda qualcosa che non dirò per non citarmi addosso). Dom Molise è un lanciatore e non c'è avversità che possa distoglierlo dal sogno del baseball, non v'è umiliazione che possa ferirlo fino a far annichilire quel desiderio, non esiste condizione -per quanto miserrima- che possa far naufragare quell'illusione. Non il padre muratore disoccupato da mesi, non la madre ferita dall'assenza del marito, non la nonna e il suo dialetto abbruzzese sputato contro ogni cosa di quella giovane America, non i fratelli molto più concreti di lui, non la povertà amplificata dal tenore di vita del suo ricco miglior amico, non l'amore non corrisposto e irriso per Dorothy, non l'apparizione della Vergine Maria... “Il Braccio mi dava la forza di andare avanti, il mio dolce braccio sinistro, quello più vicino al cuore. La neve non poteva fargli male e il vento non poteva ferirlo perché lo tenevo ricoperto di Balsamo Sloan, una bottiglietta che avevo sempre in tasca. Ero intriso di quel fetore, a volte venivo mandato fuori dalla classe per andarmi a lavar via quell'acuto odore di pino, ma io uscivo a testa alta, senza vergogna, ben conscio del mio destino, corazzato contro i sogghigni dei ragazzi e i nasi tappati delle ragazze. Avevo un'andatura grandiosa in quei giorni, il portamento di un pistolero, la scioltezza del mancino classico, con la spalla sinistra leggermente calata, Il Braccio mollemente dondolante, come un serpente – il mio braccio, il mio benedetto, santo braccio che mi era stato dato da Dio, e se anche il Signore mi aveva creato figlio di un povero muratore, mi aveva però fatto un gran regalo quando aveva fissato sui cardini della clavicola quella centrifuga”. Questo libro (che Fante non volle pubblicare perché pur ritenendo il “materiale attraente” non stimava la storia “importante”), come tutti i libri di Fante, disvela un'altra parte della sua vita e, una volta ancora, l'odio-rancore-amore verso il padre e la sua famiglia d'origine. Questo libro è l'ennesima ricerca della storia di una saga famigliare, cui non è celata nessuna sfumatura, ma nel quale -anzi- si rinvengono pezzi che s'inseriscono perfettamente nel grande puzzle della scrittura di Fante e ne completano un'epopea. Chi vuol saperne di più della vita e della leggenda di John Fante legga (anche) la particolareggiata biografia scritta da Stephen Cooper “Una vita piena” (per i tipi di Marcos y Marcos, 2001, pagine 327, € 18,08). Adesso lascerei scorrere “I talk to the wind” ...poi me ne starei in letargo per lunghi momenti, mai quanto vorrei. Ma voglio dirvi un altro paio di cose: la prima: “e piansi per mio padre e tutti i padri, e anche per i figli, perché eravamo vivi in quell'epoca, per me stesso, perché sarei dovuto andare subito in California, e non avevo scelta, avrei dovuto farcela”. La seconda: mi accade, da un po' di tempo, di associare l'aggettivo “terrìbile” alle cose più importanti e più belle di questa esistenza e... non so cos'è (o, forse, sì); e chissà perché mi viene in mente che un giorno del 1980 Hank (Bukowski) andò a trovare John in ospedale (già minato dalla malattia che lo avrebbe progressivamente reso cieco, privato -per amputazione- delle gambe e portato altrove...) e (riferendosi a Camilla Lopez, splendido personaggio di “Chiedi alla polvere”) gli chiese: , Fante gli rispose: . Li vedo ancora ridere di gusto insieme. Circa tre anni dopo, l'otto maggio millenovecentottantatre, alle tre del meriggio, John si confuse con le rondini nel cielo che odorava di primavera. Qui, la primavera (ormai, mi dicono) porta soltanto rondoni. Io continuo a vedere le rondini.

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