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martedì 29 settembre 2009

Io scrivo di Simone Maria Navarra (Delos Books)

Conosco da tempo l’attività dell’associazione culturale Delos e apprezzo l’ottimo lavoro svolto dalla rivista Writers Magazine Italia che da poco ha redazionato la preziosissima guida 2009 agli editori che possono definirsi come tali per impegno e professionalità. Ed in perfetta linea editoriale proprio con i progetti scritturali della Delos, ecco che “Io scrivo” di Simone Maria Navarra diventa un saggio singolare ma di assoluta pubblica utilità per chi voglia intraprendere l’arduo compito di diventare uno scrittore professionista. Dell’autore ho avuto l’opportunità di recensire su Musicaos diretto da Luciano Pagano, il suo lavoro “ Mozart di Atlantide”, un e-book, di cui ho apprezzato storia, contenuti e scrittura. Poi ho scoperto nel tempo che Navarra è un autore (almeno in rete) di numerosi racconti e romanzi, tanto da risultare piuttosto prolifico. Che il mestiere delle parole lo conosca bene, questo è fuori discussione, che mantenga l’ironia e l’autoironia propria della freschezza di chi è abituato a scrivere in Internet e frequentare blog e forum dedicati alla scrittura è fuori discussioni. Ovviamente tutto ciò non basta per rendere un libro interessante e apprezzabile in ogni suo aspetto. Infatti l’autore in questione conosce bene il sistema della scrittura e dei meccanismi psicologici dell’esordio, sa di cosa parla quando scrive sulle patologie dell’attesa dopo che si è dato il proprio lavoro finito ad amici, parenti, conoscenti e forse ad un comitato di lettura di una casa editrice, e conosce le diverse “specie” di autori esordienti dall’artista incompreso a quello che accumula opere su opere ma non le fa leggere a nessuno per paura che qualcuno copi il suo capolavoro; dalla sua attività militante di autore “esordiente” è riuscito a farsi un’idea dei processi di selezione che inducono un editore ad investire su di un autore sconosciuto (e infatti propone in “Io scrivo” una serie di esempi con tanto di schede di lettura e recensioni di grandi scrittori e delle loro opere da Tolkien ad Ernest Hemingway con l’obiettivo di dimostrare che se questi lavori fossero stati scritti da un esordiente nessuno li avrebbe mai trasformati in un prodotto editoriale); dalla sua esperienza di blogger propone una serie di aneddoti sull’etica dello scrittore in Rete, su cosa non si debba mai scrivere nei forum tematici, e di come potenziare in fatto di visite, il proprio sito sui principali motori di ricerca. Il libro è suddiviso in capitoli, che portano l’esordiente passo dopo passo dal momento in cui decide di voler scrivere al momento in cui sorge la speranza che gli venga pubblicato il suo lavoro. Un lavoro davvero completo, divertente e puntuale nella trattazione degli argomenti che intende trattare. Se è vero che la penna uccide più della spada, la copertina (anche se richiama “Io uccido” di Giorgio Faletti) ne è un esempio lampante.

domenica 13 settembre 2009

Frammenti di un interno - romanzo anomalo di Vito Antonio Conte (Luca Pensa editore). Rec. di Silla Hicks



















Quando ti riesce di scrivere qualcosa di buono, non è perché la gente ne parla o vinci un fottutissimo premio. È perché quando lo leggono indovinano chi sei, o almeno ci provano: per questo, a parte Marcel, non credo ci siano persone che possano raccontare chiuse nella propria stanza di cose che non hanno mai visto, perché non le posseggono, e allora tutto suona stonato e falso, per quanto apparecchiato bene. Mi spiego: chi prova a scrivere, e lo fa seriamente – che ci riesca o no, è un discorso a parte – apre una finestra su di sé, prima che sulla storia. Se hai il tempo e la voglia di guardarci dentro, in controluce vedi l’autore com’è veramente, impietosamente, magari, come un cadavere livido sotto il neon dell’anatomopatologo. Vedi un gigante goffo e miope con la maglietta dei Red Sox, nelle pagine più riuscite di IT. Un signore straniero con una buffa barbetta a punta innamorato degli Uffizi, tra quelle dell’Incantatrice di Firenze. Una donna magra e disperata che vorrebbe un’altra vita e un altro corpo che non le siano entrambi prigione, straziata dietro l’ineffabile sorriso di fenice di Orlando.
In alcuni casi è più facile. Ci sono quelli come Hemingway, che raccontano la propria vita e le proprie storie – la guerra civile spagnola, la Parigi di Picasso e della regina Stein - per quelle che sono. Altri, come Roth, che ne prendono spunto e basta. Ma dietro c’è sempre qualcuno che scrive in quel modo e dice quelle cose perché sa di che sta parlando.
Altrimenti, è aria fritta. Non c’è immaginazione che tenga, se manca l’esperienza, se non si hanno i calli sulle dita. L’ immaginazione è solo un velo, e non può separarci dal nulla.
Per questo, questi frammenti di un romanzo mi restano impigliati, anche adesso che il libro l’ho chiuso.
Non è tanto la storia – a metà tra indagine e diario – ma il modo in cui è scritta, tra Herzog e Gadda, visionaria ma intrisa di tecnica esperienza, insieme Fitzcarraldo e la Meccanica, in cui il quotidiano si mescola inconsapevolmente alla storia che racconta, e ci sono canti in latino dentro cattedrali di pietra e termini come “anatocismo”, che sarebbe un sistema illegale di calcolo d’interesse, m’ha detto Luca, che fa il direttore di banca.
Non si leggono alla leggera, queste 114 pagine in pitch 12, come i racconti dell’Adalgisa che devi seguire il rigo per non perderti la parola chiave, non è il cut off di Burroughs – non ancora? - ma questo signore l’ha letto eccome, Burroughs, e si vede, come si vede che si suda ogni frase, che se la gira e rigira prima di lasciarla com’è.
Premetto: non è un giallo, non so se voleva esserlo, ma non è questo, questo libro, quanto piuttosto un train de vie, immaginifico e insieme concreto, perché questo signore non è uno che può permettersi di scrivere e basta, e se lo porta dietro, si porta dietro il suo lavoro normale, le sue giornate normali, e senza di questo non ci sarebbe storia.
E così vaffanculo se non tutto è credibile, vaffanculo se non si resta col fiato sospeso sulle tracce del serial killer e persino se l’impaginazione tirchia ha ridotto a sbarre gli a capo di pagina 90 e 91 ché la prosa poetica avrebbe meritato, perché io non capisco un cazzo di metrica, ho fatto 4 anni all’Istituto d’arte e mi guadagno da vivere con la patente, ma dentro queste righe c’è il ritmo di Capossela.
Può darsi che il 13 febbraio 2005 non sia successo niente, ma non ci credo, o forse è successo ma non in quella data, non lo so, in fondo uno scrittore s’inventa anche le cose che vive. Come so che “quella donna” c’è stata davvero, non avevi bisogno di precisarlo, c’è stata davvero e ci sarà a vita, ovunque andrai, perché nessuno che l’abbia incontrata può riuscire a scordarsela: al massimo, può sperare che l’ignori, e stare lontano dalle luci di Samarcanda.
Io, che non ho il tuo né nessun altro dio che mi abbracci, che l’ho incontrata a 17 anni e dopo cercata tante volte senza che si facesse trovare, ho smesso di crederci fino a degradarla ad interruttore, ma io sono un amante tradito che per sopravvivere deve smontare pezzo per pezzo lo sguardo in cui vorrebbe annegare, e anche se con una donna – per me, l’unica –non ci sono riuscito, con “quella donna” ho fatto un buon lavoro.
Ma questa è un’altra storia.
Quello che so, è che anche tu l’hai vista, e che ci sono cose che solo chi l’ha viste le può raccontare. Prima che vadano perdute, come lacrime, nella pioggia.

Quella donna e altre cose. FRAMMENTI DI UN INTERNO – ROMANZO ANOMALO DI VITO ANTONIO CONTE. Letto da Silla Hicks)

fonte iconografica: www.lucioangelini.splinder.com/archive/2007-11

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