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giovedì 21 maggio 2009
LISA JANE SMITH, IL DIARIO DEL VAMPIRO: IL RISVEGLIO, LA LOTTA E LA FURIA, NEWTON COMPTON EDITORI. REC. DI SILLA HICKS
So che ha avuto successo, che ha venduto milioni di copie e che in un mondo mercato è questo che conta. So che uno scrittore ha lavoro se vende, e che il fatto che probabilmente oggi Gadda non lo comprerebbe nessuno non cambia niente, è così che va il mondo. Ma non ce la faccio, a parlare di questi tre libri – uno solo, in realtà, in tre puntate perché si triplicasse il prezzo di copertina – che sono un fumettone per quattordicenni che guardano Amici e il Grande Fratello - lo dico con buona pace dei genitori che rivendicano figli culturalmente impegnati, e invito a ricordare che non ho pretese di analisi sociologica, io, sono uno che si guarda attorno e basta - per di più scritto da una signora agee che sul risvolto di copertina si fa fotografare con un unicorno magicamente evocato dal photoshop.
Perché mi spiace, ma questo non è un libro, non è una storia, ma a stento la sceneggiatura di uno zuccheroso teen movie: e non sto dicendo che è un libro per ragazzi, no, i libri per ragazzi, se sono libri veri vanno bene per tutti, da quando s’impara a leggere finchè ci vedi abbastanza per farlo.
Questo è un raccontino schematico sulla più figa del liceo che lascia il suo altrettanto figo boyfriend per un misterioso giovanotto che è in realtà un vampiro millenario e che per giunta ha un fratello ancora più tenebroso di lui, con cui si contende la preda: sullo sfondo, la schiera delle amiche wannabees e i riti quotidiani del paesello di provincia USA, che più USA non si può, dal ballo di fine anno in avanti. Niente contro le storie di vampiri, lo sottolineo due volte: Intervista col vampiro di Anne Rice è tutt’altra cosa, per non parlare di quella straordinaria storia d’amore che è Dracula di Bram Stoker.
Il soprannaturale non è un campo che mi appartiene, è vero: ma Lestat e il Conte non si dimenticano, sono personaggi veri, canini da cinque centimetri o meno, creature tormentate, innamorate, smarrite, che lottano per sopravvivere e soprattutto per essere abbracciate, il loro vampirismo come metafora di quella diversità che ti emargina trasformandoti da predatore in preda, il mostro cui nessuno ha il coraggio di regalare quella carezza che lo trasformerebbe finalmente in uomo. Si può scrivere di vampiri, e scrivere storie che ti tengono sveglio a pensare in questo tempo in cui non possono più fare paura a nessuno: Lestat che prova a formarsi una famiglia con Luis e la bambina e che non si arrende al destino che lo vuole eternamente solo è Elephant Man, che decide di dormire sulla schiena pur sapendo che lo ammazzerà perché si rifiuta di continuare ad accucciarsi come una bestia, è Roy Batty, lavoro in pelle da combattimento che uccide chi l’ha progettato con una data di scadenza, è la rivolta di tutti i reietti del mondo contro il dio che li ha condannati all’incertezza del buio. Ma non c’è traccia di tutto ciòo, in questo best seller che trasforma il Vampiro in un ragazzone cool: non c’è dramma, non c’è dolore, non c’è perdita d’innocenza, niente: è tutto edulcorato, patinato, goth, come le unghie laccate di nero di una liceale di provincia, che ascolta Marilyn Manson senza capire una parola d’inglese. Niente ferite slabbrate, niente pus, niente nemmeno sensualità, e sì che lo sanno davvero anche i ragazzini che l’attrazione irrefrenabile delle vergini per il Vampiro è una metafora del richiamo sessuale ammantato di peccato in quasi tutte le culture occidentali: dopo circa 700 pagine (ma sarebbero 300, in pitch 12) chiudi questo libro, e anche se ci provi non trovi niente di cui parlare.
L’ex boyfriend tradito che si sacrifica per la fedigrafa avrebbe potuto essere un personaggio, se solo almeno lui avesse avuto più spessore del foglio su cui è descritto, invece niente: bene e male restano mondi separati, impera il manicheo dualismo che rassicura le giovani menti e le tiene lontane da quell’evoluzione che le porterebbe a spegnere la TV e a realizzare finalmente che la vita è altrove, che non ci sono due squadre e che non è una partita ma un labirinto in cui ciascuno si è perso, ed ha bisogno degli altri per ritrovare la via.
Non posso dire altro, se non che è un peccato, che questa “Mcstoria” abbia trovato un editore internazionale mentre chissà quante di certo migliori restano inedite a meno che di non pubblicarle a proprie spese, e solo qualche anno fa ho comprato a peso in un ipermercato, restando in tema vampiri, sia pure artificiali, Una notte a mangiare smania e febbre di Matteo Curtoni, altrimenti destinato al macero, che sì che è un libro, e avrei voluto parlarne: se lo trovate, compratelo, leggetelo, e rimarrete per giorni a pensarci.
Ovviamente, lo so, che è il mercato a governare il mondo, e che è il marketing a decidere chi e cosa. Ovviamente lo so, che finchè ci sarà chi paga € 280,00 un paio di scarpe solo per l’H sul lato quando un paio di ottimi anfibi di cuoio costano massimo € 50,00 in qualsiasi negozio di articoli militari e durano una vita è inutile parlare di qualità, perché è il brand che detta le regole, e non ditemi che è un fatto di stile, vi prego, che uno degli uomini più eleganti che ho visto in vita mia li porta sotto i pantaloni con la piega anche se potrebbe permettersi scarpe cucite a mano e sembra quello che è, un gattopardo, mentre le succitate H m’appaiono triste omologazione di periferia.
Per di più, i libri non sono oggetti come gli altri, ci parli e ti parlano, ti accompagnano mentre fai la tua strada e se sei fortunato te la indicano, anche: non posso rassegnarmi a che siano terreno di marketing, proprio loro che mi abitano, senza cui sarei vuoto.
Non voglio rassegnarmi a credere che sia per forza così, Mc libri come Mc lavori come Mc scuole e via dicendo: non voglio rassegnarmi a pensare che anche la mente non abbia scelta, che qualcuno la stia succhiando via, con grossi canini aguzzi, per costruire al suo posto un centro commerciale..
MC VAMPIRES’ H. SCHOOL STORY
(LISA JANE SMITH, IL DIARIO DEL VAMPIRO: IL RISVEGLIO, LA LOTTA E LA FURIA, NEWTON COMPTON EDITORI, ROMA, 2008)
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