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mercoledì 19 ottobre 2011

L’Unificazione italiana di Salvatore Lupo (Donzelli) a Montecitorio a Roma













Sarà presentato “L’unificazione italiana” di  Salvatore Lupo, con l’intervento di Paolo Mieli, Raffaele Romanelli e il coordinamento di Simonetta Fiori, giovedì 20 ottobre 2011 alle ore 19.00 a  Roma  per la rassegna “Giornate del libro politico a Montecitorio”. Dove? Presso la Camera dei Deputati in piazza Montecitorio negli spazi della Sala Aldo Moro. Ingresso libero ovviamente. L’ingresso del Mezzogiorno nello Stato-nazione rappresenta il culmine del processo di unificazione ed è il fulcro della celebrazione, e dell’anti-celebrazione revisionista, del centocinquantenario che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Se ne discute il 20 ottobre alle ore 19 a Roma, in occasione della presentazione del libro di Salvatore Lupo L’unificazione italiana, appena uscito da Donzelli. Il libro, che traccia una nuova originale sintesi storica di quegli avvenimenti, del mito che già allora si costruì intorno ad essi, nonché della rielaborazione della memoria che ne seguì, sarà presentato nell’ambito delle Giornate del libro politico a Montecitorio da Paolo Mieli e Raffaele Romanelli, coordinati da Simonetta Fiori. Lupo adopera il termine «Risorgimento», perché è quello che ci è stato consegnato dalla tradizione, consapevole che esso ha il difetto di nascondere gli elementi conflittuali che connotarono il percorso unitario. Per restituire la dimensione dei conflitti, Salvatore Lupo usa le parola «rivoluzione» e «controrivoluzione»; e poi quella di «guerra civile». Nel processo di unificazione italiana infatti ci fu un vero e proprio scontro politico e sociale, ma non solo: nell’Italia divisa di quel tempo, e soprattutto nel Mezzogiorno, si contrapponevano diversi patriottismi, quello siciliano, napoletano, italiano. Queste complicazioni, rimosse nella lavorio costruzione della nostra memoria, ci obbligano a ridefinire alcuni schemi interpretativi sul Risorgimento.

Salvatore Lupo è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Palermo. È stato tra i fondatori della rivista «Meridiana», che attualmente dirige, ed è membro del comitato di redazione di «Storica». Per i tipi della Donzelli ha pubblicato: Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri (1993, 2004); Andreotti, la mafia, la storia d’Italia (1996); Il fascismo. La politica in un regime totalitario (2000, 2005); Partito e antipartito. Una storia politica della prima Repubblica (2004); Che cos’è la mafia. Sciascia e Andreotti, l’antimafia e la politica (2007).

mercoledì 29 dicembre 2010

Signora Ava, di Francesco Jovine, prefazione di Goffredo Fofi, postfazione di Francesco D'Episcopo (Donzelli). Intervento di Nunzio Festa












Sicuramente farà bene attendere i 'festeggiamenti' ufficiali del 150° anniversario dell'unificazione italiota, attraversando il romanzo e le “tematiche” espresse dal romanzo Signora Ava, dello scrittore molisano Francesco Jovine; intanto, finalmente, siamo davanti a una ripubblicazione d'uno dei capolavori del Novecento italiano che si rischiava di far troppo invecchiare. Accompagnata da due saggi imperdibili: quello di Fofi che rinnova un suo scritto per la precedente edizione dell'opera – 1990 - , quello di D'Episcopo che entra direttamente in almeno un paio di fattori determinanti l'importanza assoluta di questo libro di Jovine (anche in relazione a Le Terre del Sacramento). Per cominciare, non c'è che da suddividere il romanzo storico di Jovine in argomenti. Intanto, l'amore. La storia d'amore, anzi, che fa da sottofondo a tutta l'epica del testo, fra il protagonista per eccellenza, Pietro Veleno e la signorina Antonietta dei De Risio. Un legame, prima solamente platonico, che spingerà i due giovani sia in direzione oltremodo diverse sia a calamitare le loro più sincere voglie nel corpo a corpo del rapporto realmente di coppia. Ma, intanto, i personaggi. Chiaramente a partire da don Matteo. Curato di campagna, sempre in stato d'ambasce con moneta e cibo, e, soprattutto nella prima parte - che il romanzo è diviso in due tempi - , grande truffatore dei più poveri. Un don Matteo che poco alla volta, però, inseguirà una redenzione agognata. E che, però, ha una mente costantemente soggetta all'asservimento dei bisogni della gente di rango oltre che del suo stesso stomaco. Pietro Veleno, allievo di don Matteo, fortunatamente e fortunosamente scampato alle celle religiose deve poi arrendersi alla provvidenza che lo fa divenire brigante per non esser messo sotto sale dai nuovi conquistatori dell'Italia. E nobili e cafoni. Mentre, chiaramente, siamo nei moti e nelle battaglie che segnano gli anni fruttuosi di lutti che furono i soli, appunto, d'un processo che mirava a unificare l'Italia sotto il piede forte, soprattutto, di Guardia Nazionale e garibaldini. Dove gli altri, va specificato, prima sono solamente le truppe borboniche, con francesi per il traverso, poi saranno in misura più seria briganti. E Pietro Veleno, anche se non lo si capirà da subito, proprio brigante si fa. Appunto per non essere imprigionato. In queste terre di Molise, a parte naturalmente il terreno fertile di Guardialfiera vissuto, per esempio, da un lobotomo in pratica rigorosamente ubriaco, nel contempo si sviluppano i miscugli di lingue e le credenze del mondo contadino vanno di bocca in bocca. Francesco Jovine, per questa ragione, non può che provvedere a stabilire l'equilibrio vigente fra leggende che non muoiono e sopraffazione che i nobili, i tanti “don”, continuano a garantire al popolo. Pure quando fingono d'avere idee 'liberali'. Quasi egualitarie. Che ovviamente alla possibilità concreta di riscatto per i poveri mai infine guardano. Jovine molto si nutre dalla fonte del patrimonio del suo Molise. Da testi scritti e tradizione orale. Studia per anni, prima di consegnare la prima stesura del romanzo. Ma lo scrittore trova la chiave perfetta per inserisi, utilizzando i termini psicologici delle sue creature, nello stretto varco che esiste fra questioni di paese e questioni del Paese. Marcando con l'inchiostro della storia territori e soggetti attivi come passivi. Nulla abbiamo, qui, del realismo magico. Siamo invece, nella spirale delle vicende individuali e collettive che hanno condizionato generazioni di braccianti, questi a morire di fame, e generazioni di proprietari terrieri, queste ad arricchirsi a dismisura al di là di chi governa. La borghesia è in pace con il potere. Trova accordi con il dominio. Eppure Signora Ava neppure può essere considerato solamente la testimonianza d'un'epoca o poco più del testamento morale e civile d'una famiglia perbene fatta per osservare al piano inferiore. E nemmeno le pagine che possono chiudere i conti con le tante malattie della povera gente. La trama di Signora Ava, invece, ci fa vagare insieme alle tribolazione d'una, anzi più, comunità in difetto con il presente storico. E se il don Matteo fa tantissimo ridere, insomma, fa anche tanta tristezza. Al pari del lobotomo e più avanti dello scrivano. Ma tutti questi personaggi, ovviamente queste personalità raccontano le sommosse collettive dal punto di vista dell'originalità d'alcuni avvenimenti: il Veleno, il Sergentello, Antonietta e così via. La letteratura che non si dovrebbe scordare. Ci s'augura, dunque, che i critici più schizzinosi permettano a lettrici e lettori di trovare Signora Ava fra i libri del Novecento da sentire in prima fila.
Signora Ava, di Francesco Jovine, prefazione di Goffredo Fofi, postfazione di Francesco D'Episcopo, Palermo (Donzelli, 2010), pag. 223, euro 23.00.

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