Il percorso sviluppato sino ad
oggi con i miei interventi proposti sulle pagine di questo quotidiano, ha avuto
e ha (visto che tutt’ora conservano la stessa finalità e la conserveranno anche
in futuro) l’obiettivo di proporre ai lettori una chiave d’indagine quanto più
attenta possibile alle questioni concernenti l’ambiente, sotto molteplici
aspetti, da quello sociale a quello prettamente culturale. Con una
consapevolezza di fondo: che ci troviamo in un paese qual è l’Italia, che può
dirsi con orgoglio una nazione ricca non solo di arte e cultura, ma anche di un
patrimonio, in termini di biodiversità, che ha pochi confronti nel nostro
continente. Una risorsa preziosissima, che abbiamo il dovere di preservare.
Dunque ho sempre avvertito la necessità di occuparmi con senso critico di
ambiente e informazione, con la consapevolezza che non si legge mai troppo, non
si indaga mai troppo, non si fa mai troppo per l’ambiente. Di recente ho avuto
il piacere di scoprire in libreria una pubblicazione della casa editrice
Perdisa, nella collana “Educazione ambientale”, diretta da Mario Ferrari. Il
lavoro è di Cristina Menta, docente di Biologia del suolo presso il
Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale dell’Università di Parma,
nonché ricercatrice presso il Museo di Storia Naturale della stessa città. Il
titolo è “Guida alla conoscenza della biologia e dell'ecologia del suolo”. Si
tratta di un lavoro di facile comprensione - anche se in più di qualche
occasione non mancano gli approfondimenti tecnici e linguaggi specifici - che
ci dice quanto il terreno, il suolo, sia una risorsa per l’ambiente e che, in
quanto entità biologica complessa ( dal momento che limita i danni provocati
dagli inquinanti immessi nel terreno e determina la qualità di produzione dei
nostri alimenti), va monitorata e analizzata costantemente. Pur sapendo, però,
che gli studi sulla sua biologia e sulla sua ecologia sono arretrati rispetto a
quelli relativi ad altri elementi naturali come l’acqua e l’aria. L’opera
conduce per mano il lettore nel sorprendente mondo della biologia e
dell’ecologia del suolo, fattore indispensabile sul piano argomentativo per
l’eco/sostenibilità. Il volume stimola una serie di riflessioni su come sia
cambiato nel tempo il nostro rapporto con la terra a causa dei mutamenti
culturali indotti dallo sviluppo della tecnologia. Nel tempo che stiamo
vivendo, in cui assistiamo al trionfo dell’immaterialità, parrebbe infatti
quasi bizzarro occuparsi di quanto c’è di più “materiale” in senso fisico, ma
anche culturale, come la “terra”. Un aspetto che viene spesso trascurato è Il
tempo necessario alla formazione del suolo: tempi lunghissimi, a volte secoli.
Addirittura millenni, come nel caso delle paludi. Oppure delle torbiere, che
crescono solo di circa 1 mm
all’anno. In altre parole, per formare 2 metri di torba bisogna aspettare ben 2000
anni! Si calcola che la formazione dei suoli agrari abbia richiesto addirittura
milioni di anni. Ma ci sono bastati pochi decenni per degradarli e depauperarli
dei loro elementi costitutivi a seguito di un uso improprio delle tecniche
dell’agricoltura intensiva. E’ ormai indispensabile investire di più in una
ricerca il cui scopo sia quello di promuovere un'agricoltura più conservativa e
meno “aggressiva”. Si tratta in pratica di abbandonare la strada percorsa
finora, quella dello sfruttamento del suolo al solo scopo di massimizzare i
profitti, per imboccare percorsi più virtuosi dove, senza trascurare le leggi
dell’economia, la terra possa essere oggetto del rispetto e delle attenzioni
che merita. Un problema serio, spesso sottovalutato, è quello della
desertificazione di vaste aree nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli
industrializzati, seppure con motivazioni tra loro molto diverse. Nel nostro
Paese, una gestione del territorio inadeguata alle reali necessità ha fatto sì
che circa due terzi dei suoli manifestino i segni di un degrado crescente. E
ciò è particolarmente vero nelle aree a più forte presenza umana. Un problema
legato, da una parte, allo sviluppo considerevole delle tecniche agricole, che
ha peraltro determinato un significativo incremento di produttività, dall’altra
a scelte di politica urbanistica insensibili al tema della tutela del suolo e
alle sue delicate relazioni con l’intero ecosistema. La terra costituisce infatti
un elemento chiave nella regolazione dei cicli naturali in quanto agisce da
filtro che depura l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo; svolge una
funzione biologica, ospitando la vita di moltissimi esseri viventi, tra cui
innumerevoli microrganismi, funghi, animali, piante; e’ fonte primaria di
materie prime; riveste un’importante funzione economica per le produzioni
agricole e forestali; svolge un’importante funzione culturale sotto forma di
paesaggio e di luogo dove si imprimono i segni della storia e delle svariate
attività umane. Ma, soprattutto, è il posto dove poggiamo ogni giorno i nostri
piedi, che sorregge la nostra casa e sorreggerà quella dei nostri figli e delle
generazioni che verranno. E, almeno fino a quando non riusciremo a colonizzare
altri mondi, anche l’unica nostra possibilità di vita.
*Esperto Unep e fondatore di Sea
Marconi Technologies