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domenica 3 luglio 2011

Il libro del giorno: Oral Sex di Marcy Michaels (Castelvecchi)












“Dovevo riappropriarmi della mia sessualità. Portata sull’orlo della disperazione da un matrimonio insoddisfacente, fu esattamente quello che feci: conquistai la mia sessualità e il resto venne di conseguenza”. Marcy Michaels racconta così la sua esperienza di vita: mortificata da un’educazione eccessivamente moralista, riscopre se stessa e il suo corpo in piena epoca di rivoluzione sessuale. Divorzia, inizia a studiare logopedia, si trasferisce a New York, diventa una donna libera, disinibita, consapevole. Ed è questo lo spirito di Oral Sex: imparate a conoscere il vostro corpo e quello del partner, ascoltate i suoi desideri, sviluppate le vostre capacità e alla fine regalatevi sublimi momenti di reciproco piacere. Il sesso orale è, infatti, il modo più diretto per manifestare il desiderio, in tutte le sue sfumature, per sperimentare la disponibilità a conoscersi meglio. Diviso in due sezioni, la prima dedicata al desiderio femminile e la seconda al piacere maschile, il libro è un vero e proprio manuale illustrato per sviluppare tecniche, pratiche e varianti nell’intento di rendere ancor più consapevole, raffinato e stimolante il rapporto di coppia tra le lenzuola.

Marcy Michaels - Rinomata logopedista e docente di dizione e fonetica, cice a New York. Voice trainer nelle stanze del potere e dello spettacolo (numerosi politici e attori devono a lei pronuncia impeccabile e persuasive capacità oratorie), ha messo alla prova i trucchi del proprio mestiere nella camera da letto, con risultati sorprendenti.

venerdì 29 aprile 2011

Giovani, nazisti e disoccupati di Michele Vaccari (Castelvecchi Editore). Intervento di Roberto Martalò












Non è un romanzo di primo pelo, essendo uscito ad aprile 2010, l'ultimo lavoro di Michele Vaccari dal titolo forte e provocatorio “Giovani, nazisti e disoccupati”. Ambientato nella Bologna del “fancazzismo”, tra punkabbestia ricchi che fanno l'elemosina e giovani svuotati dagli agi concessi dalle famiglie di origine e dall'uso di droghe che “fanno figo”, tra aspiranti politicanti troppo concentrati su se stessi e falsi demagoghi che istigano alla violenza nei comportamenti, salvo poi sconfessarla a parole. Anarchico e devoto di Errico Malatesta, suo personalissimo consigliere fantasma, l'anonimo protagonista del romanzo è il “giovane-non giovane” di questi tempi: abituato a pensare al sodo, disgustato da chi cerca di essere alternativo a tutti i costi per essere notato, schifato dai fattoni sempre e comunque eppure anche lui dipendente dall'uso della trielina e vittima di uno squilibrio che lo rende quasi sociopatico. Innamorato di una ragazza che oscilla tra la tossicodipendenza e l'attivismo politico estremista, il giovane ragazzo, per realizzare il folle piano di dare una lezione ai parassiti che condividono con lui la casa, finirà a scontrarsi con la demenza delle follie del nazismo contemporaneo, che è solo un rigurgito di retorica violenta, e le ipocrisie di un certo modo di essere di sinistra dei nostri giorni. Un grido contro tutte le ipocrisie, contro i poteri forti attuali, contro chi denigra i giovani come praticanti del culto dell'ozio ma anche contro chi non fa nulla per migliorare se stesso e il nostro paese. Con un linguaggio sempre molto energico con ampi tratti tipici del pulp, Vaccari si scaglia contro le ipocrisie della nostra piccola Italia, con riferimenti non tanto velati alla società e alla politica dei nostri giorni, e denuncia il vuoto contemporaneo ideologico e politico che sforna certi caratteri da teatro dell'assurdo anche se tristemente reali.

lunedì 16 marzo 2009

TELFENER, U. Le forme dell’addio (Castelvecchi, 2007). Di Mimmo Pesare

Diciamo subito che questo libro ha un sottotitolo che porterebbe quasi immediatamente a pensare si tratti dell’ennesimo saggio da ombrellone sui casi dell’amore. Sotto il più enigmatico Le forme dell’addio, leggiamo infatti Effetti collaterali dell’amore (locuzione che rimanderebbe alla premiata ditta Crepet-Alberoni). Del resto, si hanno più elementi per scommettere sulla lettura di questo libro: il titolo, stimolante; il sottotitolo, molto meno stimolante; una bella copertina fondo bianco su cui campeggia, minimalista, un doppio picciolo di ciliegia con un solo frutto invece che due; infine il nome dell’autrice, psicoterapeuta e docente a La Sapienza, che per Castelvecchi ha già pubblicato un testo tanto agile quanto fortunato (Ho sposato un narciso, 2006), ma che vanta una ricca produzione saggistica (per i tipi, tra gli altri, di Bollati Boringhieri).
Usando probabilmente le “scorciatoie delle sinapsi”, chi scrive si è lasciato sedurre dalla ciliegia prima, e dall’indice dopo, ma soprattutto da una telegrafica recensione sul domenicale del Sole 24 ore. Ebbene, credo si tratti di un esempio virtuoso di come sia possibile coniugare la ricerca teorica che sta alla base di ogni opera saggistica, a una scrittura che attraversa temi universali dell’esistenza umana in maniera assolutamente brillante e allo stesso tempo comprensibile non solo agli esperti di modelli psicodinamici.
Le forme dell’addio è fondamentalmente un’analisi sul fenomeno dell’abbandono, non solo e non necessariamente dal punto di vista amoroso della coppia – sebbene questa dimensione sia la più direttamente osservabile – ma come meta-condizione della psiche e delle pieghe emotive di essa. L’abbandono, allora, fuori dalle secche neghittose dei rotocalchi di psicologia femminile da edicola, viene analizzato come fenomeno che appartiene ai momenti di transizione dell’umanità occidentale, passando poi a esplicitarne le strutture antropologiche ed epistemologiche e le relative ricadute sulla collettività e sulle relazioni sociali e infine fornendo una legittimazione psicodinamica che, naturalmente, affonda le proprie radici in autori come Balint, Bowlby, Laing.
Le oltre trecento pagine di questo volume sono sempre attraversate da una armonia tra la narrazione di casi clinici e l’esplicazione scientifica, tale da toccare le corde emotive dei lettori su un tema che, in attivo o in passivo, appartiene agli archetipi dell’immaginario umano. Ma la Telfener fa di più. Questo saggio è sorretto, fondamentalmente, da una bella spinta di laicità scientifica, da un disincanto sullo scottante tabù del disamore che libera la mente degli stereotipi sulla coppia e costituisce un valido esercizio di analisi e affrancamento dalle pesantezze platonico-religiose sulla pervasività dell’amore. Innanzitutto con strumenti di scrittura: nelle (poche) storie di vita che corroborano la teoria proposta, compaiono improvvisamente ma fruttuosamente, accanto alle normotipiche palinodie della coppia etero, anche storie di amori omosessuali, di famiglie allargate, di forme familiari non convenzionali e non necessariamente facenti riferimento alla coppia-sposata-con-figli.
Poi ci sono utili strumenti bibliografici complementari, come l’indice della “letteratura sul disamore”, divisa per romanzi, racconti, film e (addirittura) canzoni.
Ma soprattutto questa vis laica che permea le pagine di Le forme dell’addio, ha la sua più significativa interfaccia nella filosofia di fondo che l’autrice, in maniera sempre garbata ed elegante, propone con forma di rispettosa “pedagogia del distacco sentimentale”. L’autrice si chiede: “perché ci si lascia?” e “cosa si deve fare se ci si lascia?”, ma la risposta non deve necessariamente essere conciliante rispetto a alla ricostruzione del mito dell’ermafrodito platonico; ci si lascia perché il desiderio finisce e l’heideggeriano abbandono-Gelassenheit risulta l’unico atteggiamento che sia coerente con la finitezza dell’uomo e con il rispetto del suo desiderio. A pag. 274 del testo si legge un brano che sembra essere la scrematura di tutto il lavoro della Telfener: dovremmo liberarci – tutti quanti – da una pretesa che ci rende solamente infelici e ci condiziona da millenni: che l’amore sia salvifico, fantastico e per sempre. (...) Viviamo nell’epoca del cambiamento, il contesto risulta però ancora conservatore e sembra guidato da regole fisse, da idee difficili a morire. E giù con l’elenco di alcuni degli stereotipi/tabù sui rapporti d’amore, analizzati in altrettanti acribici paragrafi: credere che l’amore salvi la vita, credere che l’amore sia per sempre, credere che l’amore sia “fusione”, credere che esista una sola forma di rapporto, quello monogamico, credere che sesso e amore coincidano, credere che l’amore sia ordine, certezza e armonia; solo per citarne alcuni.
Un libro che di consolatorio ha poco, dunque, un libro sul disincanto nelle relazioni che il tempo spegne senza che sia ben visibile una qualche causa razionale. Ma è un libro fresco e intelligente sulla sperequazione, spesso ai limiti del gap, esistente tra strutture ancestrali e imperiture della psiche umana e, invece, la mutevolezza dei paradigmi sociali e relazionali che il tempo presente inchioda a una cornice di assoluta mancanza di definizioni.



TELFENER, U.
Le forme dell’addio
Roma, Castelvecchi, 2007, pp. 319, € 16.00

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