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giovedì 8 aprile 2021

Piangi pure di Lidia Ravera (Bompiani)

 

 

Iris ha 79 anni, una figlia intelligentissima e antipatica, che parla esclusivamente con Dio, e una nipote bellissima e ignorante, che trae vantaggio dalle passioni degli uomini. Vive sola ed è in ottima salute, ma quando, per risolvere una decorosa miseria ormai intollerabile, vende la nuda proprietà della casa in cui abita, incomincia a pensare alla morte. È perché ha scommesso sulla sua aspettativa di vita? Lo chiede a Carlo, lo psicoanalista che lavora al pianterreno e, da tre anni, prende il caffè con lei al bar di fronte. Carlo è una buona conoscenza, una consuetudine, quasi un amico. È lui che le consiglia di tenere un diario per contenere e disinnescare quei sintomi minacciosi, Iris esegue. Prima è cauta, racconta le sue paure per dominarle. Ma poi finisce per raccontare anche altro. E si scopre innamorata di Carlo. Anche questo è un sintomo, ma siamo portati a pensare che sia sintomo di una malattia giovanile. È così? Esiste una scadenza per l'eros, un inverno del nostro desiderio? Oppure è uno dei tanti stereotipi che ci obbligano a rinunciare alla vita? Contro ogni previsione Iris e Carlo vivranno la loro storia d'amore, impareranno a guardarsi l'un l'altra, e a guardare il tratto di strada che devono ancora percorrere, approfittando della luce più suggestiva. Quella del tramonto. Con "Piangi pure" Lidia Ravera racconta una storia struggente in cui l'età avanzata dei protagonisti diventa l'occasione per un rinnovato inno alla vita.

mercoledì 4 giugno 2014

La volpe meccanica, di Mariolina Venezia (Bompiani). Intervento di Nunzio Festa



La voce della donna è l’immagine dell’animale idealmente in gabbia ma realmente libero. Il romanzo breve di Mariolina Venezia, “La volpe meccanica”, si differenzia, nuovamente, dagli altri dell’autrice materana. Perché la lucana Venezia sta seguendo una linea di gialli che vedono protagonista quella Imma Tataranni - già entrata nell’immaginario collettivo d’almeno un pezzo degli amanti della lettura. Ché non siamo tornati alla saga “Mille anni che sto qui”, sicuramente l’opera più riuscita di Venezia; visto che stiamo adesso in un genere che supera sicuramente quel giallo già vissuto però senza necessariamente riprendersi completamente il noir di certe scene dei racconti urbani scritti in gioventù e, pure non volendo dedicare tutta l’esperienza al noir o, tanto meno, al thriller. Ma che stiamo leggendo?: abbiamo letto una prova letteraria che parla di cosa vuole e fa una donna che a primo acchito apparirebbe soltanto vittima di se stessa, prima che delle situazioni e, dunque, dell’insoddisfazione da fallimento personale. Ecco, quindi, intanto la passione infuocata e infuocante per un uomo più giovane di lei, Andrea, fratello del marito della donna, che finalmente lascia il segno in un'esistenza “grigia, imprigionata in un matrimonio deciso a sangue freddo”. Epperò oltre la passione esiste tanto altro. Descritti i baci e tutto il resto del tradimento, la voce stessa della protagonista della storia passa ad ascoltarsi. La promozione del testo parla di “thriller dei sentimenti, all’inseguimento di una verità che trascende i fatti e diventa un’indagine esistenziale”. Andando molto vicino al senso massimo del libro. Questo noir molto leggero seleziona azioni e parole per restituirci in tutta la propria forza e, ovviamente, oltre le sue debolezze, la libertà d’una volpe meccanica che sceglie di togliersi per qualche frangente vitale dalla casa chiusa dentro la quale s’era incastrata.

lunedì 23 maggio 2011

Eldorado di Vladimir Luxuria (Bompiani)












Vladimir Luxuria esordisce con Bompiani con uno splendido romanzo dal titolo “Eldorado” E l’esordio devo dire funziona alla grande sia per la intensa prova di scrittura sia per la sensibilità che affronta nel parlare di mondi altri, amori altri, sensazioni altre ai limiti e forse oltre i limiti. Già perché Vladimir Luxuria con quest’opera di grande ironia e intelligenza, scrive pagine di denuncia senza troppi peli sulla lingua, dando vita a un “j’accuse” fortissimo nei confronti delle umiliazioni estreme subìte dagli omosessuali in uno dei momenti più bui della storia umana. Raffaele, il protagonista, è un anziano omosessuale originario di Foggia, lo stesso paese di Luxuria, da anni trasferitosi a Milano. Una sera Raffaele dà un passaggio in auto ad un ragazzino, in una strada di periferia e viene “spogliato” dei soldi e dell’auto, dopo essere stato malmenato crudelmente. E qui comincia il viaggio nella memoria, al suo rapporto con il pugliese Michele, agli anni precedenti la secondo guerra mondiale, quando si esibiva come ballerino travestito in un locale di Berlino, insieme ad altri due omosessuali, Franz e Karl. Poi l’arresto da parte delle SS, il rimpatrio in Italia per lui, la tortura e la deportazione verso la morte in un campo di sterminio di Franz e Karl. “Milano, anni ottanta Altri cinque minuti. La situazione era sotto controllo. La lancetta rossa dei secondi girava ticchettando. Raffaele si mise a fissare l’orologio a pendolo colorato a forma di baita; sotto, tra le pigne appese, una fanciulla sorridente attaccata alle funi di un’altalena oscillava a destra e a sinistra. Come in preda a uno stato ipnotico allentò l’impugnatura sui pomoli e adeguò il movimento della mezzaluna a quello del pendolo, poi si distolse e riprese a sminuzzare con vigore il ciuffo di prezzemolo sul tagliere. Sorridi anche tu al tempo che scorre. Sei giovane e bello e hai un grande futuro dietro di te! Sorridi agli anni che passano e non preoccuparti mai del futuro… vedrai, il futuro se la caverà benissimo anche senza di te! Buon compleanno, le tue care carogne amiche. Bastarde! pensò e sorrise ricordando il bigliettino che i suoi amici gli avevano fatto trovare nella scatola dell’orologio a pendolo che aveva ricevuto in regalo. Gli amici rimasti. Si erano divertiti alla festa del suo compleanno, qualcuno gli aveva anche ricordato che ormai alla sua età costavano più le candeline della torta. Gli venne alla mente una frase famosa, quella dell’attore comico americano George Burns: “Quando avrai ottant’anni avrai imparato tutto della vita. Il problema sarà ricordarlo!” Il traguardo di quella età si avvicinava sempre di più. Adesso la cena era pronta. Spense la fiamma, alzò il coperchio della pentola e disperse nelle nebbie del vapore quei verdi coriandoli tritati. Nel tempo necessario a lasciar freddare la minestra avrebbe preparato la tavola, un rito quasi religioso al quale dedicare tutte le cure. Raffaele non trascurava alcun dettaglio: la tovaglia doveva essere stirata e sempre linda, senza macchie come la camicia bianca della domenica, una distesa profumata sulla tavola di uccelli dorati e angioletti ricamati con il filo cangiante che piaceva tanto alla mamma; gliela aveva lasciata in eredità e tutte le volte che apparecchiava era una dolce occasione per ricordarla. La brocca dell’acqua, il calice per il vino, il sottopentola, il piatto fondo sul piatto piano, la candela accesa, il suo vaso preferito di porcellana verde tubolare a forma di bambù con un crisantemo bianco. Alla faccia di tutti quelli che pensano che sia un fiore luttuoso! si disse convinto; ma ne tolse un paio di petali avvizziti. Gli piaceva lasciare una sedia in più, sebbene vuota gli faceva compagnia. Tenendola con le presine posò la pentola di terracotta attento a non scottarsi e ne versò il contenuto con il mestolo nel piatto per farlo freddare più velocemente. Il profumo era intenso e invitante, ci aveva messo gli ingredienti giusti: patate, carote, verza, bietola, porro, fagioli, cipolla e pane raffermo. Niente sale. Gli avrebbe fatto male. Amava la cucina dei contadini, l’arte di non buttare via nulla che è peccato, il suo essere riconoscente a chi aveva saputo arricchire per povertà il nostro ricettario. Nulla deve essere sprecato, il pane deve essere ridotto a una roccia di muschio per essere costretti a buttarlo via, baciandolo prima in segno di rispetto.

domenica 16 agosto 2009

Il libro del giorno: Rossini. L'uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola (Bompiani)

"II ritorno imponente di Rossini che nella ricerca musicologica non meno che nel mondo dello spettacolo ha caratterizzato la seconda metà del '900, ha portato a tali mutamenti di giudizio sui compositore, da giustificare il termine di renaissance col quale tale fenomeno si suole indicare nel mondo della musica. Alle testimonianze degli studiosi, promosse dalla ammirevole fondazione Rossini di Pesaro, agli atti dei convegni, ai saggi e articoli sparsi nelle pubblicazioni musicologiche, non corrispondeva ancora un'opera organica che di tale rinascita fosse lo specchio fedele, offrendone un quadro completo, agile e aggiornato, tale da qualificarsi come punto di una situazione culturale che ha necessariamente consegnato alla storia e reso improponibili i precedenti e anche illustri documenti bibliografici." (Giovanni Carli Ballola)

"La musica ha una morale, interna alle proprie regole, alle tecniche, agli stili, alla consapevole memoria di sè. Di tale moralità formale Gioacchino Rossini è un consapevole campione. L'ampia monografia di Giovanni Carli Ballola (Rossini, l'uomo la musica) dedicata a un benefattore dell'umanità, capace di lenire col miraggio pietoso di un bello ideale le nostre spirituali miserie, svela pieghe creative ancora poco indagate dalla pur immensa bibliografia rossiniana"

di Sandro Cappelletto tratto da Tuttolibri de La Stampa, del 15/08/09, p. V

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

Rossini. L'uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola, 2009, 403 p., brossura
Bompiani (collana Tascabili)

giovedì 30 luglio 2009

Il libro del giorno: L' ultimo scapolo di Jay McInerney (Bompiani)

Vite di coppia fatte di contraddizioni: tradimenti e condivisione, passioni adultere e sicurezze tutte casalinghe. Jay McInerney punta la sua lente sulla vita quotidiana di coppie dall'immagine invidiabile, coppie con un rapporto segnato a volte da grande passione, ma quasi sempre misterioso, ricco di silenzi e di segreti, più che di confidenza e di abbandono reciproco. E mentre le giornate scorrono - tra amplessi frettolosi, gravidanze interrotte ma in fondo desiderate, litigi familiari che non si fermano neanche di fronte a un lutto -la commedia umana va avanti, irresistibile e grottesca, malinconica e insidiosa, comunque sempre struggente.

"Gaetano Cappelli giura che La Madonna nel giorno del ringraziamento è un racconto potente. Ed è proprio vero. D'altronde Cappelli non giura mai il falso"

di Antonio D'Orrico nella rubrica "In venticinque parole" tratto da Corriere della Sera Magazine, n. 30 del 30/07/09, p. 92

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

L' ultimo scapolo di Jay McInerney traduzione a cura di Bianchi P.
2009, 354 p., brossura, Bompiani (collana Narratori stranieri Bompiani)

domenica 5 luglio 2009

Il llibro del giorno: Nemici pubblici di Michel Houellebecq e Bernard-Henri Lévy (Bompiani)

II "cattivo ragazzo" della narrativa contemporanea francese, come è soprannominato Michel Houellebecq, si accompagna per questo libro a uno dei filosofi più mediatici e alla moda del nostro tempo, Bernard-Henri Lévy: tra il gennaio e il luglio 2008 si scambiano lettere in cui parlano di molti temi, ma con un centro tematico ben presente: cosa può la cultura contro il potere? La cultura è scomoda? Attraverso un botta-e-risposta talvolta divertente, altre volte toccante, sempre sorprendente e sarcastico, i due famosi (o famigerati) scrittori francesi si provocano, si scoprono, si sfidano, in una meditazione a due che si fa intima come un diario e acuta come una riflessione filosofo. Un incontro, fra due delle personalità della cultura contemporanea più discusse di questi anni. Uno sfida, fra due scrittori che la pensano molto diversamente su molte cose. Una confessione, da parte di due autori che hanno sempre evitato di cadere nel privato. Michel Houellebecq e Bernard-Henri Lévy ci dicono come ci si sente a essere additati da nemici pubblici. Nemici pubblici perché minacciano i luoghi comuni, nemici pubblici perché provocano il perbenismo, nemici pubblici perché indeboliscono le sicurezze in cui è comodo per tutti adagiarsi.

"Attraverso un botta e risposta talvolta divertente, altre volte toccante, sempre sorprendente e sarcastico, i due famosi (o famigerati) autori francesi si provocano, si scoprono, si sfidano, in una meditazione a due che si fa intima come un diario e acuta come una riflessione filosofica. Un incontro fra due delle personalità della cultura contemporanea più discusse di questi anni"

(r.c) tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno del 5/07/09, p. 26

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

Nemici pubblici di Michel Houellebecq e Bernard-Henri Lévy
2009, 314 p., Bompiani (collana I grandi pasSaggi Bompiani)

venerdì 3 luglio 2009

La vita agra di Luciano Bianciardi (Bompiani). Rec. di Vito Antonio Conte

Sono passate da poco le otto del mattino di sabato nove maggio duemilanove quando leggo “La morbida bolla di luce gocciò e si ruppe sulla pagina aperta. Come quella che spenge Anna prima di veire nel mio letto. E anch'io, tra poco, sbotto e goccio. Dunque quel plopped va bene così, no? Poi il sonno è già arrivato e per sei ore io non ci sono più”. Sono gli ultimi righi de “La vita agra”, quelli che chiudono il capolavoro di Luciano Bianciardi (Tascabili Bompiani, pagine 197, € 8,00). Ci sono libri che vorresti aver letto molto tempo prima di quando accade, altri che non lasciano segno, altri ancora che li leggeresti ancora una volta se soltanto non sapessi che c'è tanto altro da conoscere e il tempo è quel che è... Poi pensi che nulla accade per caso, anche quando la casualità sembra vestire il suo abito migliore. E allora, Bianciardi era lì, sullo scaffale dei libri da leggere, in bella vista, da diversi anni, aspettava il suo turno e il suo momento è arrivato: mi è piaciuto sin dall'incipit: per l'apparente sconclusionata digressione su fonemi e dialetti, per la citazione di Manduria (poi citerà anche Lecce e Copertino), per quell'aria di vita da fiera paesana che si respira immediatamente, per la citazione latina pertinente, per quel “Storto d'occhi ma dritto d'animo...” e, poi, mi è piaciuto per mille e mille altre ragioni, sino alla fine, quella che vi ho riportato in apertura di pezzo. Per chi non l'avesse ancora letto, non svelerò altro. Dirò soltanto che libertà è volerla e viverla, nonostante tutto e tutti, come se le vite fossero almeno due. Poi nient'altro dirò di questo libro, ch'è un capolavoro, come ho scritto sopra, e allora io -che non sono un critico letterario- cos'altro posso aggiungere? Un capolavoro è tale quando, narrando una storia qualunque, contaminando realtà e fantasia, rimane sempre attuale, contenendo la magia di trasmettere qualcosa al lettore. “La vita agra” è questo, ma non solo evidentemente... è soprattutto l'elogio delle marginalità, di tutte le marginalità, delle marginalità di ogni strato sociale, rese con crudezza, ma con un'eleganza stilistica unica e con una scrittura -all'un tempo- sobria e ricercata, ricca di neologismi, mai fine a se stessi, ma intercalati per dettare ritmo e sonorità al fluire della narrazione. Per evidenziarne i tempi. Per scandirne i momenti. Per esaltarne l'importanza. Il libro è stato scritto (in quel di Milano) nell'inverno del 1960-61 (fu pubblicato nel 1962 da Rizzoli) e del luogo e della stagione (ma del periodo, più in generale) contiene tristezze e contraddizioni. Italo Calvino fu uno dei primi lettori della bozza e ne rimase entusiasta. Bianciardi lo definì (prima ancora della pubblicazione) “la storia di una solenne incazzatura” e, subito dopo la prima edizione (stante l'immediato successo di critica e di vendite), ebbe a annotare: “Forse la vita agra stavolta è finita davvero”. È incredibile leggerlo e notare come in quasi cinquantanni sia cambiato il mondo e accorgersi che in fondo certe cose non cambiano mai. Ma sono di parola: non vi dico del romanzo. E poi, non mi è mai piaciuto, parlando di libri, soffermarmi sulla trama! Chiuderò questo pezzo con le stesse parole di Bianciardi, che non troverete nel romanzo, ma nella “Cronologia” della sua (breve e intensa) vita. Poco dopo essersi laureato, Bianciardi si sposa e a distanza di poco più di un anno e mezzo (ottobre 1949) nasce il primo figlio, Ettore. Nell'occasione Luciano Bianciardi riceve la visita di suo padre e di quell'incontro dice: “... parlammo della nostra vita, e di quella nuova vita che era nata ora. Dovemmo concludere che avevamo fallito, lui ed io, e forse anche suo padre, se c'erano state due guerre mondiali con tanti morti, e la miseria e la fame, e così scarsa sicurezza di vita e di lavoro e di libertà per gli uomini del mondo. Io conclusi che non doveva più accadere tutto questo, che non volevo che mio figlio, come me e come mio padre, rischiasse un giorno di morire o di uccidere, di soffrire la fame o di finire in carcere per avere idee sue, libere. Non potevo più neppure rinunciare ad avere fiducia nel mio mondo e nei miei simili, chiudermi in un bel giardinetto umanistico e di ozio incredulo, soddisfatto dell'aforisma che al mondo non c'è nulla di vero. Dovevo scegliere, la presenza di mio figlio me lo imponeva, non potevo neppure pensare di risolvere il problema individualmente, o di rimandarlo a più tardi, cercare, al momento buono, di truffare l'Ufficio leva, o creare per mio figlio una situazione di privilegio, far di lui , come aveva voluto mia madre. Non ci sarà soluzione sicura per mio figlio se non sarà sicura anche per tutti i bambini del mondo, anche questo mi pareva abbastanza chiaro... non basta essere soli col proprio lavoro e con la propria miseria, ci vuole anche un figlio per desiderare l'avvenire e lavorare a costruirlo”.
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martedì 2 giugno 2009

Il libro del giorno: Appena ho 18 anni mi rifaccio (Bompiani) di Cristina Tagliabue Silveri

Hanno tra i 16 e i 18 anni, sono benestanti e, per lo più, bei ragazzi e belle ragazze. Per il loro compleanno, per la maggiore età, per l'esame di maturità chiedono un solo dono, l'esaudimento di un desiderio che si portano dietro da anni, oppure da giorni. Chiedono un piccolo o grande ritocco estetico: i piedi per sembrare come la Barale, che li ha perfetti; le labbra, tipo Scarlett Johanson; la maggior parte il seno, come quello di Jessica Alba o dell'amica con cui fanno palestra o con cui vanno in discoteca. Hanno smesso di credere al corpo come a un dato di natura. Sono smaliziati, irruenti, incoscienti: "la cosa più importante è piacere e non rimanere indietro." Così iniziano a modificarlo, il corpo, appena ne hanno coscienza. Soffrono le pene dell'inferno, alzano la soglia di sopportazione del dolore fisico, rinunciano al motorino pur di avere un corpo il più simile possibile a quello dei loro sogni. E se pure colui o colei che amano e da cui sono amate tentano di convincerle-li che stanno bene esattamente come madre natura le ha fatte-li ha fatti, loro non ci credono, devono apparire come l'immagine che hanno in testa

"(...) spesso i media affrontano l'argomento, non senza sforare sul macabro quando il bisturi meite tragicamente qualche vittima della sua - presunta - vanità. Ma la Tagliabue, ed è questa la caratteristica del suolibro d'esordio, va oltre i flash di notizia per arrivare in fondo, conducendo una vera e propria indagine su minorenni e neomaggiorenni che non si sentono a proprio agio con il proprio corpo"

di Antonello Guerrera tratto da Il Riformista del 2/06/2009 p. 21

casa editrice Bompiani: http://bompiani.rcslibri.corriere.it/bompiani/

Appena ho 18 anni mi rifaccio. Storie di figli, genitori e plastiche di Cristina Tagliabue Silveri, 2009, 236 p., brossura
Editore Bompiani (collana Grandi asSaggi)

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