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lunedì 17 gennaio 2011

I fuoriusciti di Michele Lupo (Stilo Editrice)












Un pittore che incarna quotidianamente il suo fallimento su più livelli ontologici alle prese con un amore delirante e un infante da accudire (Il babysitter); un uomo di chiesa colmo delle ombre di tante anime, si apre attraverso una missiva oltre il delirio al suo “confessore”, uno psicanalista (Ego te absolvo); il senso di un sud del sud del mondo in una “promenade sulla circonferenza” che ri/traccia una destinalità smarrita di un uomo del meridione (Gatti del Sud); e ancora un maldestro libraio, che una serie di circostanze trasformano in un omicida “vendicatore” (Cimento); e poi l’automutilazione dei sogni e delle speranze di una poetessa in “Congedo”. Solo pochi e sommari ritratti di storie ai confini della marginalità e della deriva, che trasformano questo lavoro in un libro non solo godibilissimo, ma assolutamente da consigliare. Questo racconta Michele Lupo nello splendido lavoro edito da Stilo editrice dal titolo “I fuoriusciti” che narra di come sovente l’inconsistenza del vivere sociale e l’assurdità di certe convenzioni acuiscono interiori fragilità ed equilibri di persone che alla fine non riescono ad orientarsi su ciò che è reale e ciò che non lo è, su ciò che si può fare e ciò che non è consentito. Questi sono i fuoriusciti, mosaico di voci surreali, distonici, distopici dove al peggio quasi – ci sembra voler dire tra le righe l’autore – non c’è mai fine!
Michele Lupo è nato a Buenos Aires e vive a Tivoli, dove insegna nella scuola pubblica. Il suo primo viaggio lo fa in nave, a nove mesi: dura ventinove giorni, dal Sud più remoto del mondo al piccolo Sud d’Italia. Neppure maggiorenne, lavora prima in un ristorante a Berlino e poi in una fabbrica dell’hinterland romano. Prima di laurearsi in Lettere all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, compie studi musicali presso il Conservatorio de L’Aquila. Avendo vissuto in Campania, Lazio e Lombardia, ha constatato, in quello che la tradizione letteraria italiana ha vanamente sognato come il ‘Bel Paese’, la persistenza di molti Sud. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste letterarie, il saggio Elementi carnevaleschi nel Decameron (Loffredo Editore, 1992), il romanzo L’onda sulla pellicola (Besa Editrice, 2004). L’ennesimo Sud lo ha raccontato in un reportage sulla Cambogia apparso su «L’Unità» nel 2009 e prossimamente sul numero 13 della rivista «Crocevia» (Besa Editrice). Nel 2011 è prevista anche l’uscita del suo secondo romanzo. Collabora con «Il paradiso degli orchi» (www.paradisodegliorchi.com) e «La poesia e lo spirito» (lapoesiaelospirito.wordpress.com) : vi scrive, con marcata vis polemica, di libri altrui, scuola e disastri italiani diffusi. Il suo blog è michelelupo.blogspot.com. L’indirizzo e-mail: michele.lupo@tin.it

venerdì 25 settembre 2009

SUDAPEST di Irene Leo (Besa) domani al Fondo Verri di Lecce

Il presidio del libro di Lecce, Fondo Verri, sabato 26 settembre, dalle 20.00, nella sua sede, in via Santa Maria del Paradiso, per l'edizione 2009 della Festa dei lettori, propone il vernisage della mostra “Il tempo di Anna” opere minimali di Anna Colazzo Ma non è tutto, nella serata la presentazione di “Sudapest” di Irene Leo edita per i Poet/bar di Besa e a seguire l'ascolto del poema-teatrale “Pietra Pianta” di Alessandro Berti. Poesia nel verso lungo quella di Irene Leo, in Sudapest che vede tornare in libreria il Poet/bar di Besa. Scrittura che osa la narrazione che mischia voci e umori. Paesaggi anche, climi, desideri e solitudini sempre in cerca, che si spiegano, si aprono nel tentativo dell'accogliere. C'è l'amore, l'amaro dei destini e l'andare. “E’ una dimensione nervosa, vacillante, imprevedibile, quella proposta, un’altena di spine e orizzonti nel nostro Sud, o forse di tutti i luoghi del cuore, dei Sud del mondo che diventano in una sorta di trasfigurazione unitaria, “Sudapest”. Le generazioni coinvolte si annodano ad un destino che è sempre in continua sfida, ed ha una gittata a lungo termine. E’ la storia di un viaggio, di un ritorno, della poesia che abita l’assenza, diventa il tutto, dell’alito di misterioso vento che smuove le piccole cose terrene, presagio di resurrezione imminente nel cerchio consapevole del tempo”.

Info: Fondo Verri, via Santa Maria del Paradiso 8 - 73100 Lecce
tel.fax 0832 304522 - cell. 3273246985

giovedì 17 settembre 2009

SUDAPEST di Irene Leo. Poet/bar 14.10, magazzino di poesia a cura di Mauro Marino (Besa editrice)

"E non l'afferri, tu che guardi, il senso dell'aspro limone appeso e dondolante sul ramo ossuto, e non lo comprendi il frutto del fico d'India che cerca vita tra le spine, e non lo sai perchè un gabbiano per morire si infrange sul mare anche se pesce non è."
Irene Leo


Torna il Poet Bar con questo Sudapest di Irene Leo, poeta che nella poesia vede e scopre una modalità espressiva capace di diverse andature, di più "scritture".
Certamente il verso, il verso lungo, qui. Una narrazione che sospende il paesaggio, la cruda natura delle cose, con la disillusione delle persone: tedio, malinconia, desiderio-pasta dei cuori di questa linea mediana- e il sorridere amaro. L'attesa. "I giorni qui portano sulle nocche i calli e le ferite di civiltà deserte, cugine di un'era grande che rivedi negli occhi e nelle curve generose, vere opere d'arte oltre le architetture d'azzardo mesciate a terra e sudore. Sono ricco. Ho qui con me sacchi interi di dignità in foglie ed olive e mani consunte che urlano e gemono nelle ore del giorno. Le osservo, me le guardo, le nascondo" questo ci dice Rodolfo- una delle voci che svolge la vicenda di Sudapest-presentandosi. "Sono sempre stato l'ultimo" e nello scarto sembra trovare risposta l'interrogazione di Bodini e insieme l'evasione possibile di un amore. Trovare le parole dell'altro e andare. "Sono io. Realmente me stesso. Ora che ho incominciato a camminare". Andare..."tra la dimenticanza e l'assenza" d'una bambina con le trecce che si chiama...Poesia.
Mauro Marino

Irene Leo, classe 1980, ha "esordito" ufficialmente nel 2006 con "Canto Blues alla Deriva" (Besa editrice). E' presente su "Tabula Rasa 05", rivista di letteratura invisbile, nella sezione Poesia e su alcune antologie, tra cui "Verba Agrestia " 2008, e "Il Segreto delle fragole" 2009, entrambe Lietocolle edizioni. Nel 2007 ha ricevuto dal teatro di musica e poesia "L'Arciliuto di Roma, il riconoscimento in "Kagolokatia". Collabora con "Il Paese nuovo " e cura un suo blog letterario: www.ireneleo.wordpress.com

sabato 5 settembre 2009

Voglio dirti di Gianni Tursi (Besa editrice)

Gianni Tursi, giornalista e manager, scrive un libro accattivante e denso, che si lascia apprezzare in ogni sua pagina. Parliamo di “Voglio dirti” edito dalla salentina Besa editrice. In questo libro si parla dell’amore in una Milano (anni ’90) degli affari, spietata, veloce, e superficiale. Il protagonista è il “Dottore”, un ricco squalo della finanza, amato e osannato da tutte le donne, il cui fascino risiede soprattutto in quello sguardo triste e malinconico, da uomo che nella vita sentimentale non ha trovato mai pace, perché in pace con se stesso non lo è mai stato per colpa di quell’eterna corsa nel bruciare i traguardi di una carriera fulminante. E Milano non poteva che essere la città ideale per ambientare una storia come questa, dove l’imperativo categorico del “succesfull living” (con tanto di bella vita, macchine di lusso, campi da golf, e amicizie più che facoltose e più che griffate da Versace in poi) riesce a neutralizzare il tempo della riflessione e della vita. Infatti il “Dottore” si lascia più trascinare dalle amicizie erotiche, come le ama definire, con donne che hanno la vita di un giorno e di una notte, anzi per la precisione una deriva, come scelta esistenziale, del lasciarsi amare piuttosto che amare in presa diretta, come una possibile via di fuga da impegni che il protagonista non può certo assumersi: forse felicemente sposato, forse già padre … In un crescente incalzare di eventi si scoprono le trame e le vite di personaggi, si colgono gli intrecci di amori e situazioni, di rapporti tra uomini, donne, mariti, fidanzati, amanti dove vige nella maggior parte dei casi la legge del 3: ovvero del triangolo amoroso. Non trovo difficoltà a definirla una storia che tiene imprigionato il lettore sino alla fine, che in più di qualche suo passo lascia con il fiato sospeso, e che toglie il fiato il più delle volte: il tempo non basta mai, mai e poi mai e i dialoghi e le relazioni umane, come il più delle volte accade in percorsi esistenziali di questa tipologia, corrono sul filo di e-mail, fax, sms. Fondamentalmente il libro è uno spaccato del mondo della finanza a Milano, intriso di yuppismo, avidità e forse un pizzico di amoralità. Il protagonista è un degno erede del rampantismo degli anni ottanta, che idolatra il libero mercato e ne sfrutta le più evidenti incongruenze. È un tipico "self-made man", che si è fatto largo nella giungla della vita, in modo duro e spietato, il tipico “predator”dell'alta finanza, un uomo che vuol essere “larger than life” ma che potrebbe decantare Sun-Tzu come vademecum nella vita e negli affari.

domenica 30 agosto 2009

La luna dei Borboni di Vittorio Bodini


Quando tornai al mio paese nel Sud,
dove ogni casa, ogni attimo del passato
somiglia a quei terribili polsi di morti
che ogni volta rispuntano dalle zolle
e stancano le pale eternamente implacati,
compresi allora perché ti dovevo perdere:
qui s’era fatto il mio volto, lontano da te,
e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare.

Quando tornai al mio paese nel Sud,
io mi sentivo morire.


da Foglie di Tabacco (1945/47) in La Luna dei Borboni ed altre poesie (Milano, 1952)

"Come un grande amore. Così come accade per ogni grande amore; così come sempre ogni grande amore si confronta col dissidio, con l’incomprensione, tra Vittorio Bodini e il Sud c’è stata la tensione lacerante di ogni grande amore. C’è stata la passione ebbra, l’illusione dell’eternità di quell’amore, c’è stato il desiderio prorompente, l’ansia, la frenesia, la sensualità spossante, poi l’intenzione dell’addio, la separazione. Poi il ritorno malinconico. Poi l’allontanamento. Un altro. L’ultimo: nostalgico, pietoso, soffocato dal rimpianto. Mai, però, ci fu l’indifferenza. Mai ci fu l’estraneità, il sentirsi slegato da ogni vincolo, affrancato da una sentimentale soggezione, spiantato dalla terra, abbandonato dal sogno e dall’ idea di una nuova vita per una terra e per i destini che dentro quella (questa) terra si generano e si dipanano, si annodano e si aggrovigliano, si ritrovano o si disperdono, si differenziano o si rassomigliano. Così come accade per ogni grande amore, Vittorio Bodini ha vissuto il Sud con una contraddizione carica di energia inquieta, con un alternarsi di attrazione e di rifiuto, tra l’istinto di fuggire e il desiderio di tornare, fino a raggiungere l’esasperata e al tempo stesso lucida coscienza di un’assoluta, irreversibile, drammatica volontà di morte nella lontananza.“Qui non vorrei morire dove vivere/ mi tocca, mio paese/ così sgradito da doverti amare”.

di Antonio Errico tratto da Salento Poesia diretto da Mauro Marino

mercoledì 5 agosto 2009

LA NUCA (CONTROLUCE) di LUISA RUGGIO IL 7 AGOSTO AL LIDO LE DUNE DI PORTO CESAREO




















Il 7 agosto alle ore 21,30 presentazione del volume “LA NUCA” di Luisa Ruggio (edizioni Controluce) presso il lido Le Dune Via dei Bacini, 89, di Porto Cesareo (Lecce) nell'ambito della rassegna "Autori sotto le stelle".

Dopo le calde atmosfere di Afra, Luisa Ruggio torna a incantare i lettori con una favola gotica sul potere del desiderio. Una storia che è anche un commovente omaggio alla scrittura, un tributo alla potenza incantatoria della parola, sull'osmosi tra filosofia occidentale e favola orientale e un falso storico sulla vita immaginaria dell'alchimista di Soleto Matteo Tafuri. Con una prosa poetica che batte un ritmo profondo, La nuca è l'analisi in forma di racconto dell'alchimia segreta che anima tutte le relazioni umane: la fascinazione, qualunque essa sia. La storia, accompagnata dalle musiche di Dario Congedo, è quella di una bellissima adolescente, sospettata di stregoneria perché innamorata delle parole, si traveste da uomo per diventare l'allievo di uno Scriptorium particolare.
Un luogo pieno di libri e inchiostri dove i maestri sono due fratelli. Un alchimista eremita e un arabo che colleziona nuche femminili, alla continua ricerca di quella perfetta per la stesura di un codice fatto di puro erotismo.

Luisa Ruggio, giornalista e scrittrice, vive e lavora a Lecce. Ha scritto saggi sul cinema e la psicanalisi. Il suo romanzo d'esordio, Afra (Besa, 2006), ha vinto tre premi letterari. È autrice del blog dedicato alla scrittura "Dentro Luisa" (www.luisaruggio.blogs.it). La nuca è il suo secondo romanzo.

martedì 28 luglio 2009

IERATICO POIETICO (BESA) IL 30 LUGLIO AL LIDO LE DUNE DI PORTO CESAREO

Il 30 luglio alle ore 21,30 presentazione del volume “Ieratico Poietico” presso il lido Le Dune Via dei Bacini, 89, di Porto Cesareo (Lecce) nell'ambito della rassegna "Autori sotto le stelle". Introduce Vito Antonio Conte.

Ieratico poetico (Besa editrice) è sviluppato in tre movimenti dove si alternano l’accumulazione e la riflessione, il lirismo e la prosa, italiano e inglese, autobiografismo e citazionismo. Il primo e più corposo movimento, Flumen, dirige il corso del poema in gran parte degli esiti successivi. Ne è messa in luce un’umanità (in)dolente («fottere gli stranieri / fottere i dispersi / fottere i disadattati»), come dolenti sono le mura del paesaggio cittadino che fa da sfondo («dove i piccioni smerdano / gli archi grandiosi») e dolente è il canto po(i)etico dell’autore («quanta fatica / ogni giorno / evitare gli abissi / barattare parole / mentre il giorno / vacilla / sui miei occhi / imploranti / misericordia»). Fiumi di citazioni letterarie, filosofiche, musicali e cinematografiche (si parte con Charlie Chaplin per finire a Vin Diesel) costituiscono la nervatura del poema che anche per questa caratteristica è necessario definire iper-moderno. Allo stesso modo interessante è la ripresa ciclica all’interno del poema di quello che il poeta stesso, nell’ultima pagina del libretto, definisce «un discorso di denuncia del mercato dello spettacolo, del trionfo della macchina, sentendo l’invenzione poetica come documento etico». Una denuncia che appare evidente nella ‘trama’ del poema e che tende ad assumere i tratti di un discorso ancor più vasto, che fa ricorso alla storia del Novecento, alla crisi della società post-industriale, riprodotta baustellianamente con le immagini della crisi dell’individuo, nei bar, in casa, per strada, in gruppo, in treno, ovunque gli sia possibile «protestare... che il viaggio è troppo lungo». Ha scritto Luciano Pagano nell’introduzione, dal titolo “Una canzone di città”, al poema di Stefano Donno: «Rispetto ai maledetti del secolo scorso Stefano Donno ha un vantaggio, quello di poter mascherare e nascondere il suo ego dietro un affastellarsi di immagini che non ha più il suo referente nei papiri inceneriti di una biblioteca alessandrina, bensì in una wikipedia infinita nella quale tutti i linguaggi e tutte le nozioni si trasformano nei colori di una palette personale. Questi versi regalano ordine alla visione di un mondo caotico, malgrado la dichiarazione di non intento al poetare di altro, “sguardi / in un cesso di locale / che arrivano a testa bassa / tra codici sorgenti”».

martedì 23 giugno 2009

Il libro del giorno: Latitanze di Mauro Daltin (Besa editrice)

Dieci racconti, dieci storie costrette in spazi e tempi circoscritti, in eterne latitanze quotidiane sospese fra reale e surreale, fra manie e abitudini. Dieci fotografie minime catturate nel loro divenire senza, molto spesso, accennare a cause e conseguenze, a un prima o a un dopo. Il delitto, il sogno, la follia, l'assenza, il tempo sono le regioni in cui queste storie si addentrano. E la mappa che si ricava è fatta di racconti brevi per lo più giocati in presa diretta, dove echeggia un minimalismo teso all'analisi minuta del reale, perché è lì che si nasconde il significato delle cose. Una raccolta di storie che percorrono una strada di meta-realismo, oltre la realtà, verso un territorio dove i gesti hanno una tonalità e un peso incomprensibile per la logica comune.

"Una sorta di depistaggio da un quadro piuttosto preciso, da quello che è il nostro quotidiano teatro naturale. Se pensassimo a un poeta, a paragone di questi racconti editi dalla Besa Editrice, verrebbe in mente Giampiero Neri (...)"

di Mary Barbara Tolusso tratto da Il Piccolo di Trieste, p. 8 del 5/01/2009

casa editrice Besa: http://www.besaeditrice.it/



Mauro Daltin è nato nel 1976 in Friuli. Da anni lavora nell'editoria in vari ruoli, ora come editor e responsabile editoriale della casa editrice Ediciclo. Collabora come autore per il Touring Editore, ha fondato e diretto il quadrimestrale PaginaZero-Letterature di frontiera. Ha pubblicato L'eretico e il cattolico. Intervista a Elio Bartolini (Kappa Vu) e la raccolta di racconti Latitanze (Besa).

martedì 16 giugno 2009

L'Orizzonte culturale del megalitismo di Marisa Grande domani a Lecce

I monumenti megalitici hanno assolto nel Salento quel compito risanatore dell’attività vibrazionale della terra che fu anche degli henges dell’area euro-asiatica, delle piramidi in Egitto, delle ziqqurat in Mesopotamia e delle piramidi meso-americane. L’organizzazione megalitica salentina descriveva sul territorio un modello a “tela di ragno”, quale riflesso della calotta celeste, la mitica “tela cosmica” nel cui centro si riteneva risiedesse la Grande Ragno, la dea tessitrice dell’Universo e detentrice del filo che intesseva il destino degli uomini e di tutto il cosmo. Le “cellule megalitiche” salentine erano composte da grandi specchie centrali, collocate sulle brevi alture delle Serre, e da raggiere di menhir elevati con un passo costante ritmato da precisi riferimenti astronomici. Le specchie erano cumuli di pietre che richiamavano simbolicamente il grembo fecondo della Madre Terra, nel cui interno scorrevano le sue acque primeve in forma di fiumi sotterranei. Esse costituivano i “nodi cosmogonici” e i “poli cosmologici” della cellula geodetica “a tela di ragno”, composta da quel sistema megalitico “centripeto, centrifugo e concentrico” che riproduceva sulla terra la medesima forma-onda di energia in espansione scaturente da un centro astrale di riferimento. Le specchie vibravano o franavano lungo le loro stesse pendici nel momento del passaggio turbolento delle acque ipogee, che trasportavano per mezzo dei sali ionici disciolti flussi di elettromagnetismo che, in particolari fasi della vita della terra, si manifestavano a carattere distruttivo. Fungendo da veri e propri sismografi litici ante litteram, le specchie, che riecheggiavano all’esterno l’attività vibrazionale interna della terra, captando ed espandendo nell’area della cellula geodetica megalitica i flussi di elettromagnetismo circolante “allo stato caotico” nel sottosuolo, permettevano ai geomanti-sacerdoti-astronomi, che già auscultavano il “cuore pulsante” del pianeta dall’interno delle sue cavità carsiche, di monitorare lo stato di salute del territorio. Il materiale impiegato per elevare i monumenti megalitici salentini -calcare locale, se pur non specifico come il quarzo di Newgrange, le pietre blu e le pietre sarsen di Stonehenge, o i graniti delle piramidi egizie- doveva avere comunque caratteristiche di “buon conduttore”, poiché i menhir, monoliti infissi nel terreno come gli aghi dell’agopuntura, avevano la funzione risanatrice propria dei “catalizzatori” e dei “trasformatori” dell’elettromagnetismo caotico in “onde di flusso coerente” per riequilibrare lo stato dei campi magnetici sotterranei ed aerei, salvaguardando, con la loro funzionalità, la stabilità del territorio della cellula geodetica megalitica di loro pertinenza.

MARISA GRANDE

La scrittirce Marisa Grande presenta, il 17 giugno 2009 alle ore 20.00, presso Alex Bar in Via Vito Fazzi a Lecce, il libro - L'orizzonte culturale del megalitismo - (Besa editrice).
Intervengono: Stefano Donno, Lilly Astore, Pompea Vergaro

Un saggio assolutamente innovativo, che riscrive la storia dell'uomo basandola sul suo ancestrale rapporto con il cosmo. Affronta la complessa tematica della distribuzione dei megaliti nel mondo (dolmen, menhir, specchie, colline sacre, ziqqurat, piramidi...) ricomponendo la cultura di chi li ha costruiti e ne mette in luce il rapporto tra i sistemi megalitici e le dinamiche astronomiche e geologiche.
L'autrice, partendo dal suo territorio, il Salento come fulcro del modello megalitico a "tela di ragno", spazia in tutte le direzioni, ricalcando nella trama, affascinante come un giallo, le tappe archeologiche e storiche di coloro che intesero stringere il pianeta in una rete di risonanze equilibranti, ai fini di influire positivamente sulle correnti di flusso del campo elettromagnetico terrestre.

Marisa Grande, fondatrice del Movimento Culturale "Synergetic-Art", in qualità di socia S.I.A (Società Italiana di Archeoastronomia) - c/o Osservatorio Astronomico di Brera - Milano, con il suo saggio offre un contributo utile al piano elaborato dalla Società in occasione dell'Anno dell'Astronomia 2009, consistente nel raccogliere documenti da proporre agli Stati dell'UNESCO ai fini del riconoscimento dei "siti di valore astronomico".

lunedì 11 maggio 2009

La settima stella di Maria Pia Romano (Besa editrice). Rec. di Silla Hicks

Ciao, Pia.
Non lo userò, il tuo nome intero, che ti appesantisce, mentre tu invece sei leggera. Non fisicamente, intendo: o, piuttosto, questo io non lo so, solo ti immagino, le guance paffute, ancora incerta sulla soglia dell’adolescenza.
E’ dentro, che sei lieve.
Acqua nell’acqua, eterea solo come chi è molto giovane può ancora essere quando vorrebbe a tutti i costi le rughe di una vita intera per sentirsi subito grande. Piccola, spaesata in un mondo che vorrebbe collocarti da qualche parte, mentre tu cerchi, ancora, te. Siddartha di provincia, e femmina, per giunta. Dio lo sa, se è (stata) dura.
E, a dispetto di quanti anni tu abbia ora, è questo che sei ancora, dentro, o che eri, mentre scrivevi. Il resto - il curriculum, il voto di laurea, il colore degli occhi o dei capelli - non è cosa che possa mai trasparire attraverso le parole e sinceramente non credo nemmeno importi, se Marguerite Yourcenar, una vecchia signora, è diventata il giovanetto Adriano: uno che scrive s’inventa anche se stesso, o semplicemente scrivendo diventa quello che è.
Così, ho letto ogni riga, Pia, e mi perdonerai, adesso, per quello che ti dirò, e ti farà arrabbiare.
Ma io quello che tu immagini l’ho visto, tutto, inclusi gli occhi sbarrati dell’amore. Ne ho respirato l’odore di sangue e di cancrena. Io sono diventato grande. Tu, ancora, fortunatamente – per te, certo, ma anche per chi può leggerti – ancora no. Per questo la tua acqua è così limpida, un mare calmo mentre piove piano.
E tu ci nuoti come hai imparato – da sola, è da credere, anche se ci tieni tanto a citare versi e canzoni – senza accorgerti che può inghiottirti, con l’incoscienza degli anni migliori, dell’inesperienza che sa di fiori e sigarette fumate di nascosto nel bagno del liceo.
Sicuramente avevi bei voti, e ti piaceva studiare: ma, sai, non c’è libro in cui ci siano le risposte, e il dolore che senti nella musica è qualcosa che difficilmente ti porta da qualche parte: piuttosto, ti aiuta a smarrirti, dentro te.
Sono i giorni ad insegnarti la strada , e ti lasciano sulla pelle tagli che non sai guarire, e che altri giorni cicatrizzano in cheloidi slabbrati e bruni. È sempre così, fino alla fine.
Potrei dirti che è bello, che tu legga – miracolo, Anais Nin – e scriva: che tu sia capace di cesellare le parole, e scovare riferimenti che dipanano fili attraverso labirinti, seminando echi.
Invece, no.
Non è vero, non è questo che conta, non è questo che mi rimane, adesso, che ho chiuso il tuo libro.
Non è questo che ti serve, Pia.
Non ti serve limare ogni riga, né trovare metafore, né fingerti grande.
Adesso sì, ti arrabbierai. Quello che ti serve è vivere. Toglierti la maschera di donna vissuta e lasciare da parte echi volutamente torbidi, che fortunatamente non ti appartengono, e sottolineo il fortunatamente, perché nessuno – e nemmeno te – capisce che la vera trasgressione è essere felici, almeno finché non s’accorge che non potrà più esserlo davvero, a vita.
Non voltare le spalle, non rimanere in ombra, guardami dritto negli occhi. Guarda questa spiaggia, questi scogli, questo sole. Il resto verrà da solo, anche la notte.
E quando succederà, e dovrai abituarti al buio, al freddo, lo farai, perché è il destino umano. Ma resta al sole, finché c’è.
L’amore non è liquido, Pia. Non è il mare. È oceano denso e nero, e parlarne significa essere superstiti della tempesta. Non si può fare, essendosi appena bagnati i piedi. Sotto il livello del mare non c’è il Nautilus, Pia. C’è Cthulhu. Vorrei che tu non lo scoprissi mai.
E trova le parole non nello zaino con cui andavi al Palmieri, ma per strada, non aver paura di chiamare le cose con il loro nome.
Di urlarle, se necessario.
Non so cos’è, la poesia, io: non so contare le sillabe né fare giochi con le rime né so come si chiamano i versi, non sono un poeta né uno scrittore, sono solo uno che scrive per non strozzarsi .
Ma so che quando lasci che quello che sei e senti davvero venga fuori scrivi cose che mi attraversano, perché sono il tuo occhio – nudo – sul mondo.
Il cavaliere che si strucca quando lo spettacolo al circo è finito dimostra che sai vedere.
Ed è quando vedi che – come direbbero i tuoi amici su facebook – le tue parole arrivano.
Anzi di più: colpiscono. Le parole sono pietre. Si scagliano, Pia. E feriscono, anche. A un tempo la mano che le getta e il bersaglio.
Lo sa Roth, forse oggi l’unico capace di usarle per davvero.
Roth, che non evoca, ma dà a ogni cosa un nome.
La sovrastruttura, i titoli di studio, i complimenti, i premi, sono polvere.
Quello che resta, sono le persone, quelle che indovineranno la tua faccia, attraverso le tue righe, e si scopriranno a ridere e piangere e parlarti, riconoscendosi nelle tue risate e nelle tue lacrime, che tu abbraccerai e che ti abbracceranno, lungo questo filo posto rasoterra che non si può percorrere ma in cui si può solo inciampare che Kafka dice sia la vita.
Tutti quelli che senza averti conosciuto ti avranno guardato, per quello che sei davvero, e ti vedranno, così, senza occhi bistrati né altri orpelli, e pazienza se non sembrerai abbastanza grande.
Attraverso l’acqua, nella quale sarai sempre come adesso, leggera, trasparente, la luce che ti attraversa, anche se volgi le spalle e ti rifuggi nell’ombra.
Come ti ho visto io.
Una ragazzina che vorrebbe essere Anais Nin, e non sa che è molto più bella e conturbante – questa parola ti piacerà, lo so, e la scrivo apposta, perché meriti un regalo - così, con quello sguardo e quel sorriso e quegli occhi che si riempiono di lacrime e domande che non avrà mai più uguali, in vita sua.
Avrai tempo per diventare una Strega. O qualsiasi altra cosa che tu voglia, e non sai ancora.
Ma mai più potrai essere così come in questo momento che mi guardi.
Insostenibile leggerezza di orizzonte.
Acqua nell’acqua.
Anzi, persino di più. Acqua di primavera.


ACQUA DI PRIMAVERA ovvero
LA SETTIMA STELLA (MISCUGLIO DI SEME DI SESAMO E RISO)
MARIA PIA ROMANO, 2008 BESA, NARDO’ (LE)

domenica 29 marzo 2009

Corpi d'arco sulla settima stella

Associazione APE Gabriele Toma e Comune di Racale

Presentano

CORPI D’ARCO SULLA SETTIMA STELLA

Francesco Del Prete e Maria Pia Romano

Domenica 5 aprile ore 19 presso I Giardini del Sole, Piazza Beltrame, Racale, Lecce

Serata all’insegna della musica e della poesia a Racale dove domenica 5 aprile presso I Giardini del Sole, in piazza Beltrame, alle 19 Maria Pia Romano presenterà il suo libro “La settima stella (miscuglio di seme di sesamo e riso), Besa, accompagnata dalla chitarra di Giuseppe Napoli, e a seguire Francesco Del Prete presenterà il suo cd “Corpi D’Arco”.
L’evento è organizzato dall’Associazione APE Gabriele Toma di Racale. Presenta Rita Santantonio, direttrice dell’Associazione, interviene Walter Spennato, direttore del Kube Spazioletterario di Gallipoli.

“LA SETTIMA STELLA” è una raccolta di poesie e pensieri divisa in tre parti: la prima, con l’occhio liquido a Sud, racchiude poesie geograficamente e intimamente ambientate a Sud, nella sfrenata solarità del cielo e le trasparenze del mare, tra pietre di case e scirocco da deglutire. La seconda, danze d’acqua sulla vita, racchiude le vite degli altri: l’uomo senza libri, il collezionista di chitarre, il mercante di racconti, clown di circhi immaginari e cavalieri tristi. La terza parla di amori liquidi, vissuti sulla pelle e, a volte, sulla carta. Tre prose poetiche sono le ideali cuciture di queste parti: la donna che apparteneva alle cento pietre, la donna che non aveva mai avuto vent’anni, la donna che non voleva chiudere il cerchio. Il libro termina con un postscriptum sotto il livello del mare. Ogni sezione si apre con una citazione letteraria e una musicale, una sorta di colonna sonora per la lettura presa da myspace.
“Troviamo in queste poesie echi che rinviano ad immagini e volti diluiti nei tempi dell’incomprensione, dei silenzi meridionali, delle amicizie perdute. Quei silenzi, che sono urla, fratture e distanze, ritroviamo accomunati nella vernice di una pittura o nel suono dei versi.”, scrive Giovanni Invitto.

“CORPI D’ARCO” è l’innovativo lavoro che segna il debutto discografico da solista di Francesco Del Prete, primo violino della Grande Orchestra della Notte della
Taranta: quattordici tracce in cui archetto e violino si lasciano prendere per mano da loop machine e pedaliera, per scoprire tutte le inaspettate emozioni che un violino può regalare. Il cd uscito ufficialmente a fine 2008, sta ottenendo i consensi della critica e del pubblico.
“Corpi D’Arco nasce dall’esigenza e dalla voglia di superare quello stereotipo, ormai radicato, che identifica il violino come uno strumento ad utilizzo prettamente melodico. Esso rappresenta un lungo percorso intriso di improvvisazioni e arrangiamenti, che si rincorrono l’un l’altro, fino a diventare due entità interdipendenti, dove l’una richiama l’altra e l’altra ricama attorno all’una.”, sottolinea Francesco Del Prete.
Uno spettacolo innovativo, in cui il volino D&H a 5 corde francese utilizzato in ogni passo dell’esibizione sarà accompagnato da loop machine e pedaliera multieffetto.
Ed ecco che i colpi d’arco diventano corpi d’arco ed un normale violinista diventa bassista, chitarrista, percussionista… nella costruzione di brani originali.


Organizzatore : Rita Santantonio

domenica 5 aprile 2009
Ora: 19.00 - 21.30
Giardini del Sole
Piazza Beltrame
Racale, Italy

Telefono: 3391221806
E-mail: redazione@nightchannel.it

giovedì 26 marzo 2009

Marthia Carrozzo, Pelle alla pelle, LietoColle collana Delta di Venere (09)

Marthia Carrozzo, è una poetessa che ha già superato la dimensione dell’esordio. L’ha fatto con Utero di Luna edito da Besa dove ha forgiato con il suo respiro e la sua forza un verso che si spinge a connotare ogni gesto e movimento del corpo e dell’anima. Utero di Luna è stato un titolo misterico, che mischiava all’ancestralità del sentire naturale, matrice delle forme universe, la condizione d’un femminile che cerca e chiede ascolto, una sovradimensione del ritmo e del respiro, attraversata dalla luce, dal kaos e capace di ri-fare versi, in nuove forme, forse in dimensioni altre.
Ora la poetessa, pubblica per i tipi di LietoColle nella collana Delta di Venere, un’interessante raccolta di versi dal titolo Pelle a Pelle. Ogni poesia, è un canto sottile, ammaliante, dolcissimo a volte, altre forte come un’onda impetuosa di mare, o come il nostro vento di tramontana, che sa raccogliere in grembo colori, odori, umori, amori, in un modo che il suo vissuto diventi tracciato biografico di un sentire universale, sublimandosi in un’estasi per versi dove la Poesia, e in questo caso dandole la P maiuscola la connotiamo in tutta la sua sacralità, trova la sua dimora più consona, ideale per far fiorire in più di qualche occasione una prosa poetica delicatissima, dove oggetti, eventi, sensazioni, il narrare stesso non sono solo narcisismo della parola, ma ricerca di verità, continui resoconti del proprio vissuto, per poi divenire pausa e silenzio, trampolino di slanci per gettarsi nel mondo, viverlo, gustarlo. Tracciati di pelle e gola, e sudore, riempiono le pagine di Pelle alla pelle, perennemente in bilico tra il senso dell’oblio e la ricerca di un’identità corporea, sciolta e ricomposta incessantemente dalla parola, quasi in un’estasi orgasmica che brucia i ricordi, gli attimi, i non-detti, che solo il gesto orgasmico, per l’appunto, è in grado di realizzare, architettare. I versi di quest’opera costruiscono “more geometrico” un dialogo multi-dermico che scavalca la dimensione dell’erotismo stesso, e si occupano, accudiscono con grande raffinatezza, dei lati del corpo, della bocca, dei corpi e del loro percepirsi, e di infinite carezze dolci come il miele, talvolta letali come fiele. “Non lasciarmi . Non lasciarmi, non lasciarmi ora. Non lasciarmi, ancora. Non darmi cenerentola inferma all’invito del mondo. Ho emesso suoni di me, raccolto e accolto, ho rimbeccato, ho dato mie gambe smagrite nel ballo del mondo”. Marthia Carrozzo fondamentalmente in questo suo lavoro ci racconta una storia. E’ la storia di una relazione. Ogni relazione incomincia con un incontro. Un pò alla volta ci si rende conto che si sta bene insieme, che si prova interesse l’un l’altro e si è pronti a rivelare qualcosa di sè. Tutto ha inizio con un incontro, un leggersi, un sorriso, una parola. Dopo i primi momenti, si sviluppa un sentimento di attrazione che rende felici. E’ il momento dell’innamoramento. Progressivamente emerge una realtà nuova: il noi, la coppia. A mano a mano che ci si conosce meglio, è probabile che ci si partecipi l’un l’altro del proprio mondo interiore dei propri sentimenti. E’ scelta gioiosa, entusiasmante, ma anche dura. E’ l’incontro di due storie diverse, di tanti vissuti gestiti altrove, ma poi convergenti in un tenero abbraccio. Ciascuno ha i suoi interessi, le sue idee; di qui viene la ricchezza dell’incontro. Ognuno deve rispettare la soggettività dell’altro e aiutarlo a realizzare se stesso.
Il rapporto a due diviene così scelta di stare insieme, di camminare lungo i sentieri dello spazio e del tempo, di costruire una realtà nuova. Ed è l’amore. Questo in fondo racconta Marthia Carrozzo. Della sua storia d’amore per la Poesia. Scrive Gabriella Rusticali nell’introduzione al libro: "Pelle alla pelle" giunge alla consapevolezza di Marthia Carrozzo e del suo lavoro per la voce, dove la ridondanza supera l'allitterazione e di­venta anche riverbero d'immagine. Questa poesia si stacca dalla parola ed entra nella totalità, nel periodare lungo e gonfio, nel sentire più forte e del corpo tutto” . Ma i suoi versi forse parlano già di per se. “E mi diede ciò che non si può rifiutare./E si prese ciò che non si può negare./Come la terra./Come la pioggia./Come terra non può rifiutare la pioggia./Delicata/presenza/di mare./Della stessa sostanza/quando viene sui fianchi sottili/a segnarne i contorni corallo,/a scucirli e bagnarli e mangiarne”.

rec. apparsa anche su Paese Nuovo

Marthia Carrozzo, Pelle alla pelle, LietoColle collana Delta di Venere, pp.82. Euro 13,00

lunedì 9 marzo 2009

Giuseppe Cristaldi e il suo Un rumore di Gabbiani a Racale

GIUSEPPE CRISTALDI presenta

15 marzo 2009, Associazone APE-Gabriele Toma
Piazza Beltrano, 33 Racale (Lecce)

ore 19


Un rumore di gabbiani (libro +DVD)


prefazione di Caparezza
con un contributo di Franco Battiato




Besa editrice, Collana Cosmografie, Pagine 32, Euro 15,00



Introduce Stefano Donno

Un canto di lotta e denuncia per i martiri dei petrolchimici


La casa editrice salentina Besa, pubblica un libro di straordinaria attualità, con la splendida prefazione del cantautore Caparezza, che si conferma artista attento a importanti problematiche sociali. A scriverlo è Giuseppe Cristaldi. La vemente descrizione della vasta piaga petrolchimica nei territori italiani, la deriva degli operai e delle rispettive famiglie, le mutilazioni affettive connesse all’inalazione del cloruro di vinile monomero, i viaggi della speranza, l’ignominia, i pensieri notturni, i trepidi atti diurni, le emarginazioni, le vessazioni sugli operai alimentate da una ritrosia culturale, la natura ridotta a una carcassa do molosso. Questo il contenuto di un’opera filmica sperimentale sia a livello testuale che strutturale, costituita da un’orazione reggente, da frames documentaristici e da provocazioni scenografiche. La caustica concezione di una denuncia radicata nei canoni dell’odierno teatro civico che rasenta i livelli del macabro per giungere nelle viscere delle coscienze.


Il dvd in allegato al volume racconta la vita eroica di Gabriele Bortolozzo, ex-dipendente del petrolchimico di Porto Marghera, quale somma memoria da tramandare ai posteri. Le gesta esemplari raccontate da un suo simile, sodale, in terra brindisina, un operaio che all’epilogo esistenziale descrive minuziosamente il proprio retaggio ad un feto, presunto, insperato, affinché niente e nessuno annaspi più nell’oblio, nell’omertà. Il martirio di uomini barattati col polivinilcloruro. Le strazianti testimonianze delle vedove, dei figli, dei medici segnati dal tragico fenomeno. Questo il contenuto tematico del medio metraggio Un rumore di gabbiani che ha anche partecipato al LevanteFilmFest.


GIUSEPPE CRISTALDI (1983) vive e lavora a Parabita (Lecce). Dopo la sua prima opera Storia di un metronomo capovolto torna al pubblico con Un rumore di gabbiani, in cui traspare tutta la sua sensibilità verso problematiche di carattere civile


Per contatti: Ufficio stampa
ufficiostampa@besaeditrice.it

martedì 27 gennaio 2009

Latitanze di Mauro Daltin a Udine















Rassegna Parole in circolo
libri, poesia, narrativa

VENERDI' 30 GENNAIO - ORE 21.00

CIRCOLO ARCI MIS(S)KAPPA
VIA BERTALDIA 38
UDINE

OGNI LATITANZA HA IL SUO NOME


Presentazione dei libri

Latitanze
di Mauro Daltin

e

A ogni cosa il suo nome
di Francesco Tomada



Introduce
Vincenzo Della Mea (poeta)

Ogni Latitanza ha il suo nome è il titolo di questa serata dove Mauro Daltin presenterà la raccolta di racconti Latitanze (Besa editrice) e Francesco Tomada presenterà il suo libro di poesie A ogni cosa il suo nome (Le Voci della Luna). Il tutto sarà coordinato da Vincenzo Della Mea. Un reading e molte chiacchiere per raccontare un libro di poesie assieme a un libro di narrativa, entrambi freschissimi di stampa.

Mauro Daltin lavora nell’editoria da alcuni anni, ora come responsabile editoriale. Ha fondato la rivista "PaginaZero-Letterature di frontiera". Collabora come autore con il Touring Editore, conduce programmi radiofonici e spesso si diverte a leggere in pubblico. Ha pubblicato il libro L’eretico e il cattolico. Intervista a Elio Bartolini (Kappa Vu) e la raccolta di racconti Latitanze (Besa Editrice). Latitanze è anche un blog: http://latitanze.wordpress.com

Francesco Tomada è nato nel 1966 e vive a Gorizia. I suoi testi sono apparsi su numerose riviste e pubblicazioni in Italia, Slovenia, Canada, Francia, e sono stati tradotti anche in inglese e cinese; è inoltre presente nelle raccolte Frantumi e Intrecci (Sottomondo). L’infanzia vista da qui è la sua prima raccolta, edita nel dicembre 2005. Nel 2008 è uscita la sua seconda raccolta A ogni cosa il suo nome (Le Voci della Luna).

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