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sabato 13 agosto 2011

Segnali notturni di Riccardo Reim con postfazione di Andrea Di Consoli (Gaffi ). Intervento di Nunzio Festa



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Un autore teatrale di teatro. Nella narrativa. “Segnali notturni”, ultima raccolta di racconti di Riccardo Reim, autore per dire degli indimenticabili “Il tango delle fate” e “Lettere libertine”, che è capitato di vedere a spasso in fiera dell’editoria con l’altro geniale romano Antonio Veneziani e vorremmo pensare insieme a Renzo Paris, quindi immaginiamo ancor di più l’amicizia e l’affinità che si legge anche nelle righe che accogliamo sotto gli occhi, sono altre note sfilacciate di questa sfilacciata esistenza vitale. La scrittura mascherata di Reim, infatti, è multiforme ma allo stesso tempo unica e riflessiva sull’esistente. Persino quando entra sul palco una ‘terza voce’, finanche quando il narratore diventa realmente esterno per farsi interno, sentiamo le molle che fanno scattare un pensiero sì teatrale, in quanto manifesto della teatralità sottile e sottotono d’alcune vite descritte, però tutt’affatto zeppo d’una vivacità di toni che è oltre la narrazione in senso orale delle vicende. E, d’altronde, i buoni di spirito potrebbero dirci che: non poteva essere altrimenti: Ma non è così. Che Riccardo Reim, invece, è l’inventore d’un sapiente mondo alternativo dove l’originalità di scrittura è tenuta allegata alle sensazioni estreme che i personaggi e dunque i mondi narrativi evocano e fanno esplodere. Quando il delitto è segno della normalità, in un certo frangente di significati, per esempio, dove i racconti aggiornati dallo scrittore sono una miscellanea composta da tempi specifici e allineanti nello stesso tempo spazio-temporale altro, l’istinto è narrato mentre le citazioni, quando ci sono, c’evocano il retroterra, e mentre infine le paranoie e la vaghezza oggi moderne sono raccontate pelo per pelo. A marchi, in certe occasioni. Finemente nel più dei casi. In effetti, poi, Di Consoli in sede di postfazione parlerà di “un’umanità che si scopre, nottetempo, immorale e sdoppiata, infelice, marginale, nascosta, irraccontabile, buffa e tragica, in vena di confessioni, sia pure doppie, o senza fondo”. L’analisi è perfetta. Prendendo a modello il racconto eponimo, il mignotto che ci fa capire tante situazioni è proprio pronto a farsi ascoltare, ma non conoscendosi fino alla fine di se stesso. “Segnali notturni” è un’altra invenzione, una creazione letteraria dell’artista e intellettuale che confonde volutamente racconto immorale all’antica con un gotico praticamente post-moderno. Una pratica di bellezza oscena.

mercoledì 30 settembre 2009

Anteprima: "Non dire madre" di Dora Albanese (Hacca edizioni) l'8 ottobre in libreria. Presentazione di Andrea Di Consoli

L'8 ottobre uscirà in libreria Non dire madre (Hacca edizioni), il libro di racconti di Dora Albanese, giovane scrittrice del Sud, al suo esordio narrativo. Attraverso il topos della maternità, Dora Albanese racconta tre metamorfosi sociali e culturali del Sud postbellico: la dura maternità della Lucania “interna”, ancora legata a feroci e dolcissimi stili contadini; la frustrata maternità piccoloborghese di una Matera “piana”, dimentica della superba e misera civiltà dei Sassi; e, infine, la maternità delle nuove generazioni, sospese tra “ritorni al passato”, fastidi per un benessere di facciata, e goffi e ostinati tentativi di abbracciare il mondo, magari attraverso un altro topos di questo libro, quello dell’emigrazione. In Non dire madre il tema della maternità e della femminilità è ossessivamente indagato e sviscerato con franchezza, senza abbellimenti estetici e senza indulgenze; anzi, le donne di questo libro sono sempre colte in un estremo momento di quotidianità scoperta, finanche di buffa sciatteria. A Dora Albanese interessa il trucco che si scioglie sul viso, l’odore immediato della carne e della placenta, la calata delle maschere, l’emergere impietoso delle paure, delle viltà, dei sentimenti più immediati, senza temere né la crudeltà né il sentimentalismo – dilagante attitudine, quest’ultima, di un Sud che, a furia di recitare, ha pure imparato a recitare i sentimenti. Matera non è una città di scrittori, perché il dolore – tutto il dolore che si prova – è già lì, nei Sassi. Solo una giovane scrittrice nata nel 1985 nella periferia di Matera, “sospesa” tra vecchie suggestioni, oblii riusciti e ambizioni nuove, poteva provare a raccontare Matera proprio da punti di vista marginali e privi di saturazione narrativa: Stigliano, il paese di origine della nonna, la desertica periferia di Matera Nord, il piccolo esilio romano. Ecco cos’è il mondo, il Sud, la Matera di Dora Albanese: ragazze che imparano a diventare madri, ragazzi che provano a diventare donne, donne adulte che cadono sugli avanzi della propria pelle stanca, nonne che ricordano antichi aborti, donne che spiano uomini sui balconi; insomma, un mondo di persone semplici, combattute tra prove difficili e fallimenti, tra tentativi di emergere e crolli nervosi e nostalgici. Con una lingua sospesa tra oralità e letterarietà, continuamente scossa da innalzamenti lirici e da velocizzazioni quasi automatiche, Non dire madre è un libro sul diventare grandi in assenza di grandezza; è un libro, cioè, sulla condanna e, al contempo, sull’impossibilità di essere “normali”; un libro, infine, sulla grigia miseria umana, ma anche sul dovere di rifondare la vita, di rinominarla, rimescolarla, riacciuffarla, magari sul binario morto dei nonni.

Dora Albanese è nata a Matera nel 1985. Ha pubblicato racconti e articoli su riviste e quotidiani. Dal 2004 vive a Roma, dove studia antropologia. Questo è il suo primo libro.

Il libro sarà presentato in anteprima a Roma presso la "Libreria Rinascita" il giorno 20 ottobre 2009 (martedì) alle ore 18.30. Presenteranno il libro gli scrittori Errico Buonanno, Gianfranco Franchi e Renzo Paris. Sarà presente l'autrice.
La libreria Rinascita si tova in via Prospero Alpino, 48 (Garbatella).

mercoledì 29 luglio 2009

Andrea Di Consoli su L'Ombra di Turi Vasile (Hacca edizioni)

Questi racconti di Turi Vasile sono scritti in pienezza di luce. Il vecchio io autobiografico de L’ombra torna aessere, per le misteriose metamorfosi del destino umano, un bambino ammalato di nostomanìa, abbacinato nell’eden di una Messina che sempre risorge, come l’Araba fenice, dalle sue ceneri. Non c’è scrittore in Italia altrettanto disarmato e disarmante, ché la mano di Vasile, nel mentre scrive, anziché chiudersi, si apre, mostrando ogni linea, ogni vena. Non ci sono segreti, in questi racconti; e anche la vita fuggitiva, e il mistero ella morte e del dolore, sono accettati con bonomia, con lacrime di bambino con la faccia di vecchio.
I racconti di Vasile sono aperti come un ventaglio. Tutto vi è detto con pudore e sincerità: la disperazione per la moglie Silvana, chiusa nella torre della malattia; l’affanno degli anni, che hanno perso la giovanile dispnea causata dalla “lissa”, e hanno trovatol’altra dispnea, quella di chi ha il cuore malato; i tanti ricordi che risorgono intatti da un luogo che non esiste, se non nell’anim; la certezza barcollante per un Dio che solo in quanto “essere”pensabile diviene possibile. Con questo memoriale lirico e familiare, Turi Vasile scrive uno dei suoi libri più commoventi. E, nonostante in uno dei racconti più belli di questa raccolta un uomo perda la propria ombra, solo alla fine quest’uomo capirà che, senza la propria ombra, si muore per davvero. L’ombra è su di noi, e dobbiamo portarla addosso come un doppio siamese. Sono pochi gli scrittori che sanno “dialogare con le ombre”come Vasile – e, sempre, anche i morti sembrano vivi, nei suoi racconti.
Aleggia sull’opera di questo scrittore un nuovo mito, quello di Margite, colui che sapeva fare tutto, ma tutto faceva male. È, chiaramente, una riconferma del grande mito dello scrittore come dilettante. Senza grancasse e senza sociologia – sorretto soltanto da una lingua tersa e immediata, da un’attitudine al sogno che lo pone al fianco dei grandi lirici greci, e da un’attenzione al quotidiano miracolosa, e all’epifanico dettaglio minimo – Vasile si riconferma uno dei nostri grandi scrittori, proprio perché raramente s’era vista così tanta luce nella disperazione, sia pure addolcita da lontani gesti perduti, e da un Dio lontano che, in certi momenti, sembra avere la stessa faccia del suo buon padre.

Turi Vasile (Messina, 1922), regista, produttore e scrittore,ha pubblicato, tra le altre cose: Paura del vento e altri racconti (Sellerio, 1987), Un villano a Cinecittà "Sellerio,1993), L’ultima sigaretta (Sellerio, 1996), Malefare (Sellerio, 1997), Il ponte sullo stretto (Sellerio, 1999),La valigia di fibra (Sellerio, 2002), Morgana (Avagliano,2007) e Silvana (Avagliano, 2008). Vive a Roma.

IL 3 AGOSTO IN LIBRERIA

mercoledì 8 luglio 2009

La vita personale, di Renzo Paris, Hacca (Macerata, 2009). Rec. di Nunzio Festa

Paris ha composto il ritratto d'una generazione. Prendendo, tanto per cominciare, nella non facile opera – nonostante questo sembri sempre semplice – d'attingere dalla storia personale e da quella collettiva. Paris, col suo ultimo “La vita personale”, avvincente assai per poetesse e poeti, alla stregua di un giallo per i giallisti, ha costruito un'opera che aiuta a immaginare come certi tempi sono stati, senza però dimenticare che in tutto ciò siamo anche davanti al romanzo; dunque dobbiamo ricordarci che il romanzo ha quel funzionamento che sappiamo: ovvero, spesso, agitare il reale per togliere pezzettini che permettono di creare un libro che sia il migliore e il più affascinante possibile. Paris, ricordiamo, faceva parte della cosiddetta 'seconda scuola romana di poesia'. E' stato amico di tanti grandi nomi delle letteratura, da Pasolini ad Amelia Rosselli a Moravia. E il protagonista della “vita personale”, ovvero Luca Saraceni, anche. Però gli importanti pasoliniani “uccellacci” - per usare il termine usato pure da Di Consoli – sono due critici, soprannominati da Bellezza “Hidalgo e Crudelia”. Le pagine dell'opera ci fanno incontrare persone e ambienti carichi di letteratura e (nonostante questo voglia essere sottaciuto) di politica. Perché, per esempio, Paris aiuta a vedere in che maniera specialmente negli anni Sessanta e Settanta certi e altri vivevano o non vivevano la politica. Che peso, ancora, aveva la poesia. Fermandosi, chiaramente, sul famoso festival di Castel Porziano che nell'Italietta diede spazi a tanti, compresi le cosiddette penne della beat-generation, o quello che ne era rimasto. Renzo Paris ha davo vita a personaggi che sono simili e diversi a donne e uomini che conosce. Paris ha voluto prendere tantissimo dalla realtà. Non sottraendosi, perfino, a possibilità di critiche e contestazioni che in casi di questo tipo certi ambienti non risparmiano. Ma le parti più belle, oltre ai segmenti che dicono di poesia (e in tutti i sensi), sono quelli che presentato il complesso edipico e la genitorialità, che questi due temi attraversano. Pagine che affascinano, in quanto, e in special modo grazie alla varietà di registri utilizzati dall'autore, attraverso il correre della trama e finestre aperte in vite e vicende lasciano guardare mondi difficili. Eppure, non va dimenticato, il cielo grande di Renzo Paris è la poesia. E, grazie, alla sua scrittura e quindi a quest'opera ce n'accorgiamo.

La vita personale, di Renzo Paris, Hacca (Macerata, 2009), pag. 362, euro 16.00.

mercoledì 27 maggio 2009

Il gregario di Paolo Mascheri (Minimum Fax) al Tuma's bar di Roma

Ventotto anni, una laurea per ereditare controvoglia la professione del padre, il protagonista di questo romanzo conduce un’esistenza fatta di giornate identiche a se stesse. Ha un lavoro e uno stipendio sicuri. È fidanzato con una ragazza che gli garantisce stabilità emotiva e una soddisfacente routine sessuale. Ha abbandonato da tempo le velleità artistiche giovanili.
Una vita normale in un’opulenta città della provincia cronica che tuttavia sembra aver riempito lentamente il protagonista di frustrazioni e cupo malessere. E anche quando proverà a dare una svolta alla propria vita e a emanciparsi da tutto ciò che gli impedisce di diventare adulto (il rapporto fatto di conflitti e amore viscerale con il padre, la stanca relazione con la fidanzata) il protagonista si troverà faccia a faccia con una realtà cinica e miserabile: l’Italia di questi anni.
Ambientato in una Toscana lontana dallo stereotipo del Chiantishire da cartolina, pullulante invece di capannoni industriali, outlet, locali equivoci e ragazze dell’est che inseguono voracemente il benessere, Il gregario è un romanzo sul declino italiano ma anche una profonda riflessione sul devastante e struggente legame tra un padre e un figlio.

giovedì 28 maggio 2009 - Start: h. 20.00
Tuma's bar, via dei Sabelli, 17, Roma, Italy
Intervengono, Gianfranco Franchi, Antonio Veneziani e Andrea Di Consoli


"Pochi scrittori avevano narrato l'impotenza grigia di un'Italia esausta e incarognita, con una prosa così essenziale".

Filippo La Porta
- XL di Repubblica

giovedì 14 maggio 2009

Il libro del giorno: Sud. Un viaggio civile e sentimentale di Marcello Veneziani (Mondadori)

Il Sud si sta svuotando di anime, culture e popolazione, tra emigrati e denatalità. Marcelle Veneziani non parte dal Nord e si ferma a Eboli, come Levi col suo Cristo, ma parte dal Sud più estremo e profondo e arriva a Eboli. Risultato del suo viaggio è un rapporto letterario e civile sul Meridione presente e passato che si dipana tra rifiuti e ricordi, tradizioni e degrado, cafonerie e cavallerie rusticane, ragioni e sentimenti, passando per contrade reali e allegoriche. Le località toccate diventano location per ambientare temi e personaggi, scorci e denunce, colore e cultura, malavita e folclore. Rabbiose critiche si alternano ad appassionate difese, partorite entrambe dall'amore per quelle terre. Nelle sue storie e storielle, Veneziani capovolge l'idea crociana di un paradiso abitato da diavoli, e teme invece che il Mezzogiorno stia diventando un inferno abitato da angeli in fuga per salvarsi da soli e non dannarsi insieme. Il suo resoconto assume una varietà di registri narrativi: dalle denunce giornalistiche alle nostalgie, dai ritratti parodistici al saggio storico, fino a lambire un sobrio «matriotti-smo» terrone e comporre una specie di manifesto sudista.

casa editrice Mondadori: http://www.mondadori.it/libri/index.html


"Nel suo nuovo libro Sud. Un viaggio civile e sentimentale (Mondadori, 200 pagine, 17,50 euro) Marcello Veneziani, intellettuale disorganico di destra, nonchè pensoso meridionale di Puglia, scrive frasi folgoranti di questo tipo: A prima vista Tonino Di Pietro sembra l'autista di un ministro. Ma poi a sentirlo parlare ti accorgi che loavevi sopravvalutato. Il trattore sembra il mezzo più adeguato per lui per muoversi sui terreni sconnessi della politica italiana"

Andrea Di Consoli
da Il Riformista del 14/05/09 p. 19

Sud. Un viaggio civile e sentimentale di Veneziani Marcello, 2009, 200 p., rilegato
Editore Mondadori (collana Frecce)

martedì 17 marzo 2009

Il Gioco della verità di Andrea Carraro (Hacca edizioni)

Il libro

Nessuno scrittore come Andrea Carraro sa inginocchiarsi, in quanto scrittore, davanti al male di una maturità frustrata e disamorata. La violenza dei suoi personaggi è spesso inesplosa; e, quando esplode, trova le sue vittime già esauste, con gli occhi rossi e la voce strozzata. Questi racconti ci dicono qualcosa di definitivo sul "male oscuro" della piccola-borghesia italiana, incarcerata in reticenze e rabbie covate troppo a lungo, e in tristi ritualità di un benessere di facciata. Ecco, dopo le prove magistrali de Il branco, La lucertola e Il sorcio, a cosa si sono ridotti i borgatari di Pasolini e i borghesi di Moravia. Eccoli, aggressivi e taciturni, aggirarsi in una enorme zona grigia di malessere, dove il borghese quartiere Trieste equivale al litorale romano "senza mare"; eccoli, infelici e senza sogni, sopravvivere "a reddito fisso", trascinandosi da un silenzio all´altro, sfuggendo a ogni vera sociologia. Perché il "realismo" di Carraro - un realismo che mai utilizza gli "effetti speciali" del realismo estremo: il sangue, la violenza gratuita, il "basso" ideologico - è anzitutto un realismo psicologico, di chi conosce i miseri segreti della maturità, gli abissi calmi del disamore e i gesti compulsivi privi di sentimenti. Anche il tremendo "gioco della verità" che Carraro mette in scena, svelando miserie e tradimenti dei suoi personaggi, porta sempre la narrazione nei territori del silenzio: un silenzio vile e angoscioso, infine esausto. Con Carraro, proprio nel mentre i suoi uomini crollano a terra, la vita diventa ancora sopportabile, perché la grigia esistenza viene d´improvviso illuminata dall´apertura - a ventaglio, come uno squarcio di luce - della verità della scrittura. Proprio quest´assenza di infingimenti, questa lingua grigia e solida come il ferro, questo sguardo impudico e fermo, rendono ancora chiare e possibili, nell´opera di Carraro, parole difficili come "realtà" e "verità". (Andrea Di Consoli)





L'autore

Andrea Carraro (Roma, 1959) è autore di A denti stretti (1990), Il branco (1994; inizialmente pubblicato per intero, unico caso dopo Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia, sulla rivista "Nuovi Argomenti"), L´erba cattiva (1996), La ragione del più forte (1999), La lucertola (2001), Non c´è più tempo (2002) e Il sorcio (2007). Da Il branco, nel 1994, Marco Risi ha tratto l´omonimo film. Carraro scrive anche per il cinema, la radio e i giornali, tra cui "Il Messaggero" e "Repubblica".

www.andreacarraro.com



IL LIBRO E' STATO ANTICIPATO A PAGINA INTERA SU "IL MESSAGGERO" IN DATA 11 MARZO CON QUESTO RACCONTO, CHE VI RIPROPONIAMO.




L´intervista


Un vecchio amico, Lucio. Per un lungo periodo, non
c´era giorno che non ci si vedeva. Si comprava il fumo
e giù a discorrere per ore o ad ascoltare musica strafatti,
in macchina, dove capitava. Voleva iscriversi ad
Architettura, il talento non gli mancava. Dopo il diploma,
fece il grafico pubblicitario per un po´. Ancora
stava bene. Uno spinellaro d´eccezione, un tiro di coca
ogni tanto, ma nient´altro. Almeno fino a quel viaggio
in Pakistan.
Sapevo come se la passava, lo sapevo bene. Rimbalzava
da una clinica all´altra dove lo imbottivano di
psicofarmaci. E ne usciva stracco, abbrutito. Un relitto.
E poi tempo un mese ricominciava peggio. Sapevo
di scosse nervose che lo squassavano, di estenuanti
liti familiari, di una bambola di porcellana scagliata
contro la madre, di notti trascorse all´addiaccio sotto
il cavalcavia della stazione Tiburtina e altro ancora.
Sapevo tutto, ma non lo vedevo più: c´erano amici comuni,
meno fifoni di me, che mi tenevano informato.
Se compariva all´orizzonte mi defilavo. Non ne volevo
sapere più niente di lui. Mi faceva pensare alla morte,
al dolore, alla malattia.

- Bè, come va?
E di là una voce catarrosa.
- Ma chi è?
- Come chi è? Non mi riconosci più!?
- Cesare!... Come stai, quanto tempo è passato,
che razza di fine hai fatto?
- Tu, piuttosto.
- Io?... io me la cavo. Ho qualche problema, ma
me la cavo. Cerco un lavoro. Sai che facevo il grafico?
Bè, ho mollato. E così momentaneamente sono disoccupato.
E tu?
- Ho lasciato l´università. Cerco di fare il giornalista.
Qualche articoletto per la cronaca di Roma.
- Ah, bene. Non ti ci facevo proprio, giornalista.
- Ma tanto non dura mica. Prendo tempo, ecco
tutto. Gioco. Ma prima o poi bisognerà cominciare a
fare sul serio. Cercarsi un lavoro vero. Guadagnare dei
soldi. Ci si vede, allora?
- Certo, quando vuoi.
- Potremmo far due passi a Vill´Ada domattina.
Come ai vecchi tempi. Ci hai ancora il cane? Rosalia
si chiamava, o sbaglio?
- È morta, Rosalia.
Era con Rosalia, quel giorno, di ritorno dal viaggio
in Pakistan. Doveva starci un mese. Tornò dopo un
anno già spacciato, glielo leggevi in faccia.
- No, Vill´Ada preferisco di no. C´è della gente
che non ho voglia di vedere. Per te è lo stesso se andiamo
da un´altra parte... Allora, passi tu?
- Ma come, perché?
- Perché cosa?
- Perché Vill´Ada no? È comoda per tutti e due.
E poi...
- No, Vill´Ada proprio no, abbi pazienza.
Maledizione. Le polemiche sulla Villa, vecchie
inchieste sulle siringhe disseminate dappertutto, sui
drogati molesti. C´era un passato: anche per questo la
redattrice aveva accettato subito entusiasta.
È importante che la foto sia in un punto della villa
riconoscibile immediatamente... Non fatemi il solito alberello
col prato dietro che potrebbe essere dovunque...
- Veramente preferirei Vill´Ada. È tanto che non
ci vado.
- Bè, io no. Scusami, eh...
- Ma perché? Che ti frega? Non passiamo dall´ingresso
principale.
- No, sul serio, preferisco di no, non insistere.
Niente da fare, non molla. Mi propone altri posti.
Deve dei soldi, forse. Oppure si vergogna di quelli con
me: quell´infilata di spettri intabarrati, ansiosi che avevo
visto tante volte nel vialetto d´ingresso.
- Senti, facciamo una cosa, io arrivo un po´ prima
e tu mi aspetti fuori e...
- Ma che t´è preso? T´ho detto di no, non voglio.
Mi ci vuole ancora del bello e del buono per
convincerlo. È ostinato come un mulo.
- Va bene, va bene, allora. Andiamo pure a
Vill´Ada. Se è questione di vita o di morte.
- Ma no, è solo che ci andavamo sempre. Mi
farebbe piacere.
- Sei diventato nostalgico.
- Ma vaffanculo!
Dunque ce lo porto. Lui è in uno stato! Si trascina
come un vecchietto. È pallido e smagrito, ha perso una
quantità di capelli e altri particolari cui cerco invano
di non far caso.
(...)
Ma lui adesso tace o risponde a monosillabi, concentrato
solo sulla fatica dei suoi passi che avanzano.
Allora mi fermo, tanto più che siamo in anticipo ed è
bene arrivare a destinazione che il fotografo è già lì,
altrimenti, hai visto mai che questo impiastro si tira
indietro o mi trascina via! Riprendiamo il cammino
ed io riattacco coi ricordi. Adesso è la volta della sua
prima scopata. Un troione all´Acqua Acetosa. C´era la
fila di macchine, e lui smaniava di andarsene. Si vergognava
come un ladro. Aveva il sospetto che fosse un
finocchio. E poi temeva che non gli si rizzasse, per via
della ciucca da hascisc. Niente, ride appena. Non ricorda
neppure questo. O meglio lo confonde con altri episodi,
la memoria gli fa acqua da tutte le parti. Io sì invece.
Ho una montagna di ricordi con lui. Mi si ingolfano
in testa e lottano uno con l´altro per uscire fuori.
Continuo a parlare. Il silenzio mi angoscia. Parlo
di me adesso: i miei studi abbandonati, il giornalismo.
E intanto lo conduco al luogo deputato, dove ci aspetta
il fotografo.
- Un´intervista!?
- Sì.
- Ma a me?
- Sì, te l´ho detto.
Sorride impacciato.
- E perché?
Cerco le parole. Guardo da un´altra parte, anche
per non imbattermi nello scempio di carie che gli castiga
il sorriso.
- Per la tua esperienza, sai.
Continua a fissarmi, e il sorriso lentamente lo
abbandona:
- So che non te la passi bene. Potrebbe esserti
d´aiuto. A te e ai tuoi amici. Se si fa un po´ di rumore...
È una parte sgradevole la mia, te lo puoi senz´altro
immaginare. Ma pensaci, può giovarti veramente.
- Allora per questo hai voluto portarmi qui. Per
questo insistevi tanto.
Inspira l´odore di resina di cui è satura l´aria umida
del viale, mi chiede una sigaretta.
- Sei solo una persona che ha bisogno d´aiuto.
Ce ne sono tanti come te. Potrei stare anch´io al tuo
posto.
- Non so cosa dire.
- Devi solo rispondere a qualche domanda.
- D´accordo. Però facciamo presto. Ho voglia di
tornare a casa.
- Sì, certo, presto, presto...
Cavo dalla tasca il taccuino, gli snocciolo tutte
le voci del questionario e aziono segretamente il registratore
tascabile.
Quando arriviamo, il fotografo è già pronto.
- Un ultimo sforzo, abbi pazienza.
- No, ti prego, la foto non voglio.
- È solo routine. Si fa con tutti.
- Non ti preoccupare, - insiste il fotografo, - ti
piglio da lontano. Nessun primo piano, promesso. Lì,
lì, sullo steccato. Vai, facciamo in un attimo.
Si siede mansueto sullo steccato, sotto a un pino
martoriato dalla processionaria nello sfondo riconoscibile
del laghetto artificiale.
Tre giorni dopo la sua foto sul giornale e sotto,
a tutta pagina, l´intervista e un breve corsivo di commento


"IL GIOCO DELLA VERITA'"
IL NUOVO LIBRO DI RACCONTI DI ANDREA CARRARO
HACCA EDIZIONI
215 PAGINE
14,00 EURO
www.hacca.it

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