Controversa la figura di Piovene non è solo per la coda polemica, anche aspra, che ha seguito le sue molte conversioni politiche e ideali; vi è nel metodo stesso della sua militanza intellettuale una radice critica ‘assoluta’, che impedisce al suo discorso di fermarsi sulle idee correnti. Avverso ai dogmatismi e alle definizioni stabili, anche contro se stesso e le proprie «febbriciattole di convinzione effimera», istituisce sempre coi suoi temi un rapporto dialettico, tortuoso, complicato dalle mille sottigliezze della sua psicologia. Che presenta da un lato una violenta tendenza alla compromissione personale, dall’altro un culto fanatico verso la verità. Scrittore e giornalista, intellettuale integrato ai più alti livelli dell’industria culturale, Piovene è il tipico rappresentante di un secolo impuro come il Novecento, di cui sconta in un singolare corpo a corpo tutte le principali contraddizioni. La riflessione sulla letteratura, tipicamente centrata sui destini dell’arte narrativa, lo accompagna senza pause nella sua lunga carriera, dal ventennio fascista all’età della crisi e della contestazione. Sicché si occupa di Tozzi, Kafka, Moravia, Céline, dialoga con Fortini sul marxismo e prende parte al dibattito sul caso Pasternak. Sono interventi a caldo, scritti a ridosso dei libri e degli eventi che li hanno provocati, prima sulle riviste militanti e con passione da giovane scrittore, poi sulle grandi testate nazionali («Il Corriere della Sera», «La Stampa», «Il Giornale Nuovo» di Montanelli), spesso secondo i tempi urgenti dettati dai giornali. Non si userà pertanto per Piovene la fortunata formula di critico scrittore, perché lo scopo pratico né l’occasione dei suoi articoli vengono quasi mai dimenticati. E tuttavia, in questo stare agganciati al loro tempo, oltre che per le doti di scrittura e per la vasta, inusitata ampiezza di prospettive di Piovene, questi scritti rivelano un sicuro motivo d’interesse, non solo per gli specialisti: per il loro valore di testimonianza e per ‘l’energia dell’errore’ che vi circola libera e potente. L’antologia degli scritti, che li raccoglie per la prima volta in un’edizione organica, è corredata da un’ampia introduzione e da una bibliografia esauriente delle collaborazioni letterarie.
"Piovene pensava, anni 60, che Cèline non fosse uno dei maggiori maestri del tempo. Trovava il suo inferno un pò superficiale. E sentiva in lui magari ben dissimulato, un fiatone sentimentale, come un'asma cardiaca. Antipremio (a Piovene)"
di Antonio D'Orrico tratto da Antipremio della settimana del Corriere della Sera magazine n. 28 del 16/07/09, p. 101
casa editrice Aragno: http://www.ninoaragnoeditore.it/
Guido Piovene, IL LETTORE CONTROVERSO
Scritti di letteratura (a cura di Giovanni Maccari), 2009
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giovedì 16 luglio 2009
mercoledì 8 luglio 2009
La vita personale, di Renzo Paris, Hacca (Macerata, 2009). Rec. di Nunzio Festa
Paris ha composto il ritratto d'una generazione. Prendendo, tanto per cominciare, nella non facile opera – nonostante questo sembri sempre semplice – d'attingere dalla storia personale e da quella collettiva. Paris, col suo ultimo “La vita personale”, avvincente assai per poetesse e poeti, alla stregua di un giallo per i giallisti, ha costruito un'opera che aiuta a immaginare come certi tempi sono stati, senza però dimenticare che in tutto ciò siamo anche davanti al romanzo; dunque dobbiamo ricordarci che il romanzo ha quel funzionamento che sappiamo: ovvero, spesso, agitare il reale per togliere pezzettini che permettono di creare un libro che sia il migliore e il più affascinante possibile. Paris, ricordiamo, faceva parte della cosiddetta 'seconda scuola romana di poesia'. E' stato amico di tanti grandi nomi delle letteratura, da Pasolini ad Amelia Rosselli a Moravia. E il protagonista della “vita personale”, ovvero Luca Saraceni, anche. Però gli importanti pasoliniani “uccellacci” - per usare il termine usato pure da Di Consoli – sono due critici, soprannominati da Bellezza “Hidalgo e Crudelia”. Le pagine dell'opera ci fanno incontrare persone e ambienti carichi di letteratura e (nonostante questo voglia essere sottaciuto) di politica. Perché, per esempio, Paris aiuta a vedere in che maniera specialmente negli anni Sessanta e Settanta certi e altri vivevano o non vivevano la politica. Che peso, ancora, aveva la poesia. Fermandosi, chiaramente, sul famoso festival di Castel Porziano che nell'Italietta diede spazi a tanti, compresi le cosiddette penne della beat-generation, o quello che ne era rimasto. Renzo Paris ha davo vita a personaggi che sono simili e diversi a donne e uomini che conosce. Paris ha voluto prendere tantissimo dalla realtà. Non sottraendosi, perfino, a possibilità di critiche e contestazioni che in casi di questo tipo certi ambienti non risparmiano. Ma le parti più belle, oltre ai segmenti che dicono di poesia (e in tutti i sensi), sono quelli che presentato il complesso edipico e la genitorialità, che questi due temi attraversano. Pagine che affascinano, in quanto, e in special modo grazie alla varietà di registri utilizzati dall'autore, attraverso il correre della trama e finestre aperte in vite e vicende lasciano guardare mondi difficili. Eppure, non va dimenticato, il cielo grande di Renzo Paris è la poesia. E, grazie, alla sua scrittura e quindi a quest'opera ce n'accorgiamo.
La vita personale, di Renzo Paris, Hacca (Macerata, 2009), pag. 362, euro 16.00.
La vita personale, di Renzo Paris, Hacca (Macerata, 2009), pag. 362, euro 16.00.
martedì 17 marzo 2009
Il Gioco della verità di Andrea Carraro (Hacca edizioni)
Il libro
Nessuno scrittore come Andrea Carraro sa inginocchiarsi, in quanto scrittore, davanti al male di una maturità frustrata e disamorata. La violenza dei suoi personaggi è spesso inesplosa; e, quando esplode, trova le sue vittime già esauste, con gli occhi rossi e la voce strozzata. Questi racconti ci dicono qualcosa di definitivo sul "male oscuro" della piccola-borghesia italiana, incarcerata in reticenze e rabbie covate troppo a lungo, e in tristi ritualità di un benessere di facciata. Ecco, dopo le prove magistrali de Il branco, La lucertola e Il sorcio, a cosa si sono ridotti i borgatari di Pasolini e i borghesi di Moravia. Eccoli, aggressivi e taciturni, aggirarsi in una enorme zona grigia di malessere, dove il borghese quartiere Trieste equivale al litorale romano "senza mare"; eccoli, infelici e senza sogni, sopravvivere "a reddito fisso", trascinandosi da un silenzio all´altro, sfuggendo a ogni vera sociologia. Perché il "realismo" di Carraro - un realismo che mai utilizza gli "effetti speciali" del realismo estremo: il sangue, la violenza gratuita, il "basso" ideologico - è anzitutto un realismo psicologico, di chi conosce i miseri segreti della maturità, gli abissi calmi del disamore e i gesti compulsivi privi di sentimenti. Anche il tremendo "gioco della verità" che Carraro mette in scena, svelando miserie e tradimenti dei suoi personaggi, porta sempre la narrazione nei territori del silenzio: un silenzio vile e angoscioso, infine esausto. Con Carraro, proprio nel mentre i suoi uomini crollano a terra, la vita diventa ancora sopportabile, perché la grigia esistenza viene d´improvviso illuminata dall´apertura - a ventaglio, come uno squarcio di luce - della verità della scrittura. Proprio quest´assenza di infingimenti, questa lingua grigia e solida come il ferro, questo sguardo impudico e fermo, rendono ancora chiare e possibili, nell´opera di Carraro, parole difficili come "realtà" e "verità". (Andrea Di Consoli)
L'autore
Andrea Carraro (Roma, 1959) è autore di A denti stretti (1990), Il branco (1994; inizialmente pubblicato per intero, unico caso dopo Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia, sulla rivista "Nuovi Argomenti"), L´erba cattiva (1996), La ragione del più forte (1999), La lucertola (2001), Non c´è più tempo (2002) e Il sorcio (2007). Da Il branco, nel 1994, Marco Risi ha tratto l´omonimo film. Carraro scrive anche per il cinema, la radio e i giornali, tra cui "Il Messaggero" e "Repubblica".
www.andreacarraro.com
IL LIBRO E' STATO ANTICIPATO A PAGINA INTERA SU "IL MESSAGGERO" IN DATA 11 MARZO CON QUESTO RACCONTO, CHE VI RIPROPONIAMO.
L´intervista
Un vecchio amico, Lucio. Per un lungo periodo, non
c´era giorno che non ci si vedeva. Si comprava il fumo
e giù a discorrere per ore o ad ascoltare musica strafatti,
in macchina, dove capitava. Voleva iscriversi ad
Architettura, il talento non gli mancava. Dopo il diploma,
fece il grafico pubblicitario per un po´. Ancora
stava bene. Uno spinellaro d´eccezione, un tiro di coca
ogni tanto, ma nient´altro. Almeno fino a quel viaggio
in Pakistan.
Sapevo come se la passava, lo sapevo bene. Rimbalzava
da una clinica all´altra dove lo imbottivano di
psicofarmaci. E ne usciva stracco, abbrutito. Un relitto.
E poi tempo un mese ricominciava peggio. Sapevo
di scosse nervose che lo squassavano, di estenuanti
liti familiari, di una bambola di porcellana scagliata
contro la madre, di notti trascorse all´addiaccio sotto
il cavalcavia della stazione Tiburtina e altro ancora.
Sapevo tutto, ma non lo vedevo più: c´erano amici comuni,
meno fifoni di me, che mi tenevano informato.
Se compariva all´orizzonte mi defilavo. Non ne volevo
sapere più niente di lui. Mi faceva pensare alla morte,
al dolore, alla malattia.
- Bè, come va?
E di là una voce catarrosa.
- Ma chi è?
- Come chi è? Non mi riconosci più!?
- Cesare!... Come stai, quanto tempo è passato,
che razza di fine hai fatto?
- Tu, piuttosto.
- Io?... io me la cavo. Ho qualche problema, ma
me la cavo. Cerco un lavoro. Sai che facevo il grafico?
Bè, ho mollato. E così momentaneamente sono disoccupato.
E tu?
- Ho lasciato l´università. Cerco di fare il giornalista.
Qualche articoletto per la cronaca di Roma.
- Ah, bene. Non ti ci facevo proprio, giornalista.
- Ma tanto non dura mica. Prendo tempo, ecco
tutto. Gioco. Ma prima o poi bisognerà cominciare a
fare sul serio. Cercarsi un lavoro vero. Guadagnare dei
soldi. Ci si vede, allora?
- Certo, quando vuoi.
- Potremmo far due passi a Vill´Ada domattina.
Come ai vecchi tempi. Ci hai ancora il cane? Rosalia
si chiamava, o sbaglio?
- È morta, Rosalia.
Era con Rosalia, quel giorno, di ritorno dal viaggio
in Pakistan. Doveva starci un mese. Tornò dopo un
anno già spacciato, glielo leggevi in faccia.
- No, Vill´Ada preferisco di no. C´è della gente
che non ho voglia di vedere. Per te è lo stesso se andiamo
da un´altra parte... Allora, passi tu?
- Ma come, perché?
- Perché cosa?
- Perché Vill´Ada no? È comoda per tutti e due.
E poi...
- No, Vill´Ada proprio no, abbi pazienza.
Maledizione. Le polemiche sulla Villa, vecchie
inchieste sulle siringhe disseminate dappertutto, sui
drogati molesti. C´era un passato: anche per questo la
redattrice aveva accettato subito entusiasta.
È importante che la foto sia in un punto della villa
riconoscibile immediatamente... Non fatemi il solito alberello
col prato dietro che potrebbe essere dovunque...
- Veramente preferirei Vill´Ada. È tanto che non
ci vado.
- Bè, io no. Scusami, eh...
- Ma perché? Che ti frega? Non passiamo dall´ingresso
principale.
- No, sul serio, preferisco di no, non insistere.
Niente da fare, non molla. Mi propone altri posti.
Deve dei soldi, forse. Oppure si vergogna di quelli con
me: quell´infilata di spettri intabarrati, ansiosi che avevo
visto tante volte nel vialetto d´ingresso.
- Senti, facciamo una cosa, io arrivo un po´ prima
e tu mi aspetti fuori e...
- Ma che t´è preso? T´ho detto di no, non voglio.
Mi ci vuole ancora del bello e del buono per
convincerlo. È ostinato come un mulo.
- Va bene, va bene, allora. Andiamo pure a
Vill´Ada. Se è questione di vita o di morte.
- Ma no, è solo che ci andavamo sempre. Mi
farebbe piacere.
- Sei diventato nostalgico.
- Ma vaffanculo!
Dunque ce lo porto. Lui è in uno stato! Si trascina
come un vecchietto. È pallido e smagrito, ha perso una
quantità di capelli e altri particolari cui cerco invano
di non far caso.
(...)
Ma lui adesso tace o risponde a monosillabi, concentrato
solo sulla fatica dei suoi passi che avanzano.
Allora mi fermo, tanto più che siamo in anticipo ed è
bene arrivare a destinazione che il fotografo è già lì,
altrimenti, hai visto mai che questo impiastro si tira
indietro o mi trascina via! Riprendiamo il cammino
ed io riattacco coi ricordi. Adesso è la volta della sua
prima scopata. Un troione all´Acqua Acetosa. C´era la
fila di macchine, e lui smaniava di andarsene. Si vergognava
come un ladro. Aveva il sospetto che fosse un
finocchio. E poi temeva che non gli si rizzasse, per via
della ciucca da hascisc. Niente, ride appena. Non ricorda
neppure questo. O meglio lo confonde con altri episodi,
la memoria gli fa acqua da tutte le parti. Io sì invece.
Ho una montagna di ricordi con lui. Mi si ingolfano
in testa e lottano uno con l´altro per uscire fuori.
Continuo a parlare. Il silenzio mi angoscia. Parlo
di me adesso: i miei studi abbandonati, il giornalismo.
E intanto lo conduco al luogo deputato, dove ci aspetta
il fotografo.
- Un´intervista!?
- Sì.
- Ma a me?
- Sì, te l´ho detto.
Sorride impacciato.
- E perché?
Cerco le parole. Guardo da un´altra parte, anche
per non imbattermi nello scempio di carie che gli castiga
il sorriso.
- Per la tua esperienza, sai.
Continua a fissarmi, e il sorriso lentamente lo
abbandona:
- So che non te la passi bene. Potrebbe esserti
d´aiuto. A te e ai tuoi amici. Se si fa un po´ di rumore...
È una parte sgradevole la mia, te lo puoi senz´altro
immaginare. Ma pensaci, può giovarti veramente.
- Allora per questo hai voluto portarmi qui. Per
questo insistevi tanto.
Inspira l´odore di resina di cui è satura l´aria umida
del viale, mi chiede una sigaretta.
- Sei solo una persona che ha bisogno d´aiuto.
Ce ne sono tanti come te. Potrei stare anch´io al tuo
posto.
- Non so cosa dire.
- Devi solo rispondere a qualche domanda.
- D´accordo. Però facciamo presto. Ho voglia di
tornare a casa.
- Sì, certo, presto, presto...
Cavo dalla tasca il taccuino, gli snocciolo tutte
le voci del questionario e aziono segretamente il registratore
tascabile.
Quando arriviamo, il fotografo è già pronto.
- Un ultimo sforzo, abbi pazienza.
- No, ti prego, la foto non voglio.
- È solo routine. Si fa con tutti.
- Non ti preoccupare, - insiste il fotografo, - ti
piglio da lontano. Nessun primo piano, promesso. Lì,
lì, sullo steccato. Vai, facciamo in un attimo.
Si siede mansueto sullo steccato, sotto a un pino
martoriato dalla processionaria nello sfondo riconoscibile
del laghetto artificiale.
Tre giorni dopo la sua foto sul giornale e sotto,
a tutta pagina, l´intervista e un breve corsivo di commento
"IL GIOCO DELLA VERITA'"
IL NUOVO LIBRO DI RACCONTI DI ANDREA CARRARO
HACCA EDIZIONI
215 PAGINE
14,00 EURO
www.hacca.it
Nessuno scrittore come Andrea Carraro sa inginocchiarsi, in quanto scrittore, davanti al male di una maturità frustrata e disamorata. La violenza dei suoi personaggi è spesso inesplosa; e, quando esplode, trova le sue vittime già esauste, con gli occhi rossi e la voce strozzata. Questi racconti ci dicono qualcosa di definitivo sul "male oscuro" della piccola-borghesia italiana, incarcerata in reticenze e rabbie covate troppo a lungo, e in tristi ritualità di un benessere di facciata. Ecco, dopo le prove magistrali de Il branco, La lucertola e Il sorcio, a cosa si sono ridotti i borgatari di Pasolini e i borghesi di Moravia. Eccoli, aggressivi e taciturni, aggirarsi in una enorme zona grigia di malessere, dove il borghese quartiere Trieste equivale al litorale romano "senza mare"; eccoli, infelici e senza sogni, sopravvivere "a reddito fisso", trascinandosi da un silenzio all´altro, sfuggendo a ogni vera sociologia. Perché il "realismo" di Carraro - un realismo che mai utilizza gli "effetti speciali" del realismo estremo: il sangue, la violenza gratuita, il "basso" ideologico - è anzitutto un realismo psicologico, di chi conosce i miseri segreti della maturità, gli abissi calmi del disamore e i gesti compulsivi privi di sentimenti. Anche il tremendo "gioco della verità" che Carraro mette in scena, svelando miserie e tradimenti dei suoi personaggi, porta sempre la narrazione nei territori del silenzio: un silenzio vile e angoscioso, infine esausto. Con Carraro, proprio nel mentre i suoi uomini crollano a terra, la vita diventa ancora sopportabile, perché la grigia esistenza viene d´improvviso illuminata dall´apertura - a ventaglio, come uno squarcio di luce - della verità della scrittura. Proprio quest´assenza di infingimenti, questa lingua grigia e solida come il ferro, questo sguardo impudico e fermo, rendono ancora chiare e possibili, nell´opera di Carraro, parole difficili come "realtà" e "verità". (Andrea Di Consoli)
L'autore
Andrea Carraro (Roma, 1959) è autore di A denti stretti (1990), Il branco (1994; inizialmente pubblicato per intero, unico caso dopo Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia, sulla rivista "Nuovi Argomenti"), L´erba cattiva (1996), La ragione del più forte (1999), La lucertola (2001), Non c´è più tempo (2002) e Il sorcio (2007). Da Il branco, nel 1994, Marco Risi ha tratto l´omonimo film. Carraro scrive anche per il cinema, la radio e i giornali, tra cui "Il Messaggero" e "Repubblica".
www.andreacarraro.com
IL LIBRO E' STATO ANTICIPATO A PAGINA INTERA SU "IL MESSAGGERO" IN DATA 11 MARZO CON QUESTO RACCONTO, CHE VI RIPROPONIAMO.
L´intervista
Un vecchio amico, Lucio. Per un lungo periodo, non
c´era giorno che non ci si vedeva. Si comprava il fumo
e giù a discorrere per ore o ad ascoltare musica strafatti,
in macchina, dove capitava. Voleva iscriversi ad
Architettura, il talento non gli mancava. Dopo il diploma,
fece il grafico pubblicitario per un po´. Ancora
stava bene. Uno spinellaro d´eccezione, un tiro di coca
ogni tanto, ma nient´altro. Almeno fino a quel viaggio
in Pakistan.
Sapevo come se la passava, lo sapevo bene. Rimbalzava
da una clinica all´altra dove lo imbottivano di
psicofarmaci. E ne usciva stracco, abbrutito. Un relitto.
E poi tempo un mese ricominciava peggio. Sapevo
di scosse nervose che lo squassavano, di estenuanti
liti familiari, di una bambola di porcellana scagliata
contro la madre, di notti trascorse all´addiaccio sotto
il cavalcavia della stazione Tiburtina e altro ancora.
Sapevo tutto, ma non lo vedevo più: c´erano amici comuni,
meno fifoni di me, che mi tenevano informato.
Se compariva all´orizzonte mi defilavo. Non ne volevo
sapere più niente di lui. Mi faceva pensare alla morte,
al dolore, alla malattia.
- Bè, come va?
E di là una voce catarrosa.
- Ma chi è?
- Come chi è? Non mi riconosci più!?
- Cesare!... Come stai, quanto tempo è passato,
che razza di fine hai fatto?
- Tu, piuttosto.
- Io?... io me la cavo. Ho qualche problema, ma
me la cavo. Cerco un lavoro. Sai che facevo il grafico?
Bè, ho mollato. E così momentaneamente sono disoccupato.
E tu?
- Ho lasciato l´università. Cerco di fare il giornalista.
Qualche articoletto per la cronaca di Roma.
- Ah, bene. Non ti ci facevo proprio, giornalista.
- Ma tanto non dura mica. Prendo tempo, ecco
tutto. Gioco. Ma prima o poi bisognerà cominciare a
fare sul serio. Cercarsi un lavoro vero. Guadagnare dei
soldi. Ci si vede, allora?
- Certo, quando vuoi.
- Potremmo far due passi a Vill´Ada domattina.
Come ai vecchi tempi. Ci hai ancora il cane? Rosalia
si chiamava, o sbaglio?
- È morta, Rosalia.
Era con Rosalia, quel giorno, di ritorno dal viaggio
in Pakistan. Doveva starci un mese. Tornò dopo un
anno già spacciato, glielo leggevi in faccia.
- No, Vill´Ada preferisco di no. C´è della gente
che non ho voglia di vedere. Per te è lo stesso se andiamo
da un´altra parte... Allora, passi tu?
- Ma come, perché?
- Perché cosa?
- Perché Vill´Ada no? È comoda per tutti e due.
E poi...
- No, Vill´Ada proprio no, abbi pazienza.
Maledizione. Le polemiche sulla Villa, vecchie
inchieste sulle siringhe disseminate dappertutto, sui
drogati molesti. C´era un passato: anche per questo la
redattrice aveva accettato subito entusiasta.
È importante che la foto sia in un punto della villa
riconoscibile immediatamente... Non fatemi il solito alberello
col prato dietro che potrebbe essere dovunque...
- Veramente preferirei Vill´Ada. È tanto che non
ci vado.
- Bè, io no. Scusami, eh...
- Ma perché? Che ti frega? Non passiamo dall´ingresso
principale.
- No, sul serio, preferisco di no, non insistere.
Niente da fare, non molla. Mi propone altri posti.
Deve dei soldi, forse. Oppure si vergogna di quelli con
me: quell´infilata di spettri intabarrati, ansiosi che avevo
visto tante volte nel vialetto d´ingresso.
- Senti, facciamo una cosa, io arrivo un po´ prima
e tu mi aspetti fuori e...
- Ma che t´è preso? T´ho detto di no, non voglio.
Mi ci vuole ancora del bello e del buono per
convincerlo. È ostinato come un mulo.
- Va bene, va bene, allora. Andiamo pure a
Vill´Ada. Se è questione di vita o di morte.
- Ma no, è solo che ci andavamo sempre. Mi
farebbe piacere.
- Sei diventato nostalgico.
- Ma vaffanculo!
Dunque ce lo porto. Lui è in uno stato! Si trascina
come un vecchietto. È pallido e smagrito, ha perso una
quantità di capelli e altri particolari cui cerco invano
di non far caso.
(...)
Ma lui adesso tace o risponde a monosillabi, concentrato
solo sulla fatica dei suoi passi che avanzano.
Allora mi fermo, tanto più che siamo in anticipo ed è
bene arrivare a destinazione che il fotografo è già lì,
altrimenti, hai visto mai che questo impiastro si tira
indietro o mi trascina via! Riprendiamo il cammino
ed io riattacco coi ricordi. Adesso è la volta della sua
prima scopata. Un troione all´Acqua Acetosa. C´era la
fila di macchine, e lui smaniava di andarsene. Si vergognava
come un ladro. Aveva il sospetto che fosse un
finocchio. E poi temeva che non gli si rizzasse, per via
della ciucca da hascisc. Niente, ride appena. Non ricorda
neppure questo. O meglio lo confonde con altri episodi,
la memoria gli fa acqua da tutte le parti. Io sì invece.
Ho una montagna di ricordi con lui. Mi si ingolfano
in testa e lottano uno con l´altro per uscire fuori.
Continuo a parlare. Il silenzio mi angoscia. Parlo
di me adesso: i miei studi abbandonati, il giornalismo.
E intanto lo conduco al luogo deputato, dove ci aspetta
il fotografo.
- Un´intervista!?
- Sì.
- Ma a me?
- Sì, te l´ho detto.
Sorride impacciato.
- E perché?
Cerco le parole. Guardo da un´altra parte, anche
per non imbattermi nello scempio di carie che gli castiga
il sorriso.
- Per la tua esperienza, sai.
Continua a fissarmi, e il sorriso lentamente lo
abbandona:
- So che non te la passi bene. Potrebbe esserti
d´aiuto. A te e ai tuoi amici. Se si fa un po´ di rumore...
È una parte sgradevole la mia, te lo puoi senz´altro
immaginare. Ma pensaci, può giovarti veramente.
- Allora per questo hai voluto portarmi qui. Per
questo insistevi tanto.
Inspira l´odore di resina di cui è satura l´aria umida
del viale, mi chiede una sigaretta.
- Sei solo una persona che ha bisogno d´aiuto.
Ce ne sono tanti come te. Potrei stare anch´io al tuo
posto.
- Non so cosa dire.
- Devi solo rispondere a qualche domanda.
- D´accordo. Però facciamo presto. Ho voglia di
tornare a casa.
- Sì, certo, presto, presto...
Cavo dalla tasca il taccuino, gli snocciolo tutte
le voci del questionario e aziono segretamente il registratore
tascabile.
Quando arriviamo, il fotografo è già pronto.
- Un ultimo sforzo, abbi pazienza.
- No, ti prego, la foto non voglio.
- È solo routine. Si fa con tutti.
- Non ti preoccupare, - insiste il fotografo, - ti
piglio da lontano. Nessun primo piano, promesso. Lì,
lì, sullo steccato. Vai, facciamo in un attimo.
Si siede mansueto sullo steccato, sotto a un pino
martoriato dalla processionaria nello sfondo riconoscibile
del laghetto artificiale.
Tre giorni dopo la sua foto sul giornale e sotto,
a tutta pagina, l´intervista e un breve corsivo di commento
"IL GIOCO DELLA VERITA'"
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