L’anima è una scintilla della sostanza delle stelle, scrisse Eraclito. Ed è sotto il cielo notturno di Caminiti, un borgo di un paio di migliaia di anime arroccato su un promontorio basaltico a picco sulle coste estreme dello Jonio, che il giudice Nicola Sciacchitano si ritrova, nel settembre del 2018, a trascorrere un periodo di ferie. Ha scelto quel luogo perché ha bisogno di raccoglimento. Attraversato dalle inquietudini della mezz’età e stanco di stendere sentenze ha deciso di cambiare spartito e di scrivere un romanzo. È orientato sulla vicenda di Rebecca, una brigatista rossa incaricata, nel 1981, di assassinare il capo della squadra mobile della questura di Roma di cui, però, ricambiata, si innamora. Unica controindicazione: Caminiti è il posto dove il 10 agosto del ’95 Cristina Burato, appena sedicenne, lì in vacanza, è stata stuprata e uccisa. Un delitto orribile, rimasto senza colpevoli, di cui proprio lui si dovette occupare archiviando l’inchiesta. Uno smacco che, a ripensarci, ancora gli pesa. Nella sala ristorante del Conventino, in cui alloggia, sono appese a una parete delle fotografie. In tre riconosce la Burato, che, insieme ad altri, festeggia il trentesimo compleanno di Annachiara Codispoti, la proprietaria dell’albergo. Una delle foto reca in calce una data scritta a penna: 8 agosto 1995, due giorni prima della morte della ragazzina. Quello che lo incuriosisce è lo sguardo d’intesa che Cristina scambia con un bell’uomo, sui trent’anni, che impugna un Ronson Varaflame d’oro – lui ne ha uno uguale – col quale sta per accendere le candeline sulla torta. Ma chi era costui e perché i due si sorridono? Da qui inizia un’appassionante vicenda investigativa, che Sciacchitano conduce in prima persona. Piste inizialmente convincenti, si riveleranno sbagliate e fuorvianti. Sino all’esito finale, in cui il velo di Maja delle apparenze cade e Sciacchitano si trova sgomento dinnanzi a una sconvolgente verità.
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