Nel 1938 Benedetto
Croce pubblica un’epistola di Antonio de Ferrariis detto il Galateo
(1444-1517) sul tema della tolleranza e delle incomprensibili chiusure
che allora si verificavano verso gli ebrei. Il filosofo, intransigente
difensore della libertà, compie questa operazione perché contrario ai
provvedimenti razziali voluti da Mussolini e per questa iniziativa è
aspramente criticato dalla stampa fascista.
La lettera dell’umanista
nasce in occasione del matrimonio del figlio del conte Belisario
Acquaviva con una fanciulla israelita di una famiglia di ebrei
convertiti. Il fatto aveva suscitato qualche scalpore negli ambienti di
corte. Galateo nel suo breve scritto sradica con efficacia ogni
pregiudizio antisemita e con particolare perizia e profondo acume Croce
riporta nell’attualità il pensiero del grande umanista leccese, in una
fase storica che di lì a poco avrebbe portato l’inverno della guerra in
Europa.
* * *
«Tra le epistole dell’umanista Antonio Galateo (1444-1517), così
vivace e spontaneo scrittore in latino e in volgare ed ottimo testimone
del miglior sentimento e giudizio italiano dei suoi tempi, ce n’è una
sugli ebrei, sugli ebrei convertiti e sugli ebrei in generale,
pochissimo nota e che merita di esser tenuta presente nelle più o meno
polemiche rievocazioni storiche odierne [...].
Antonio Galateo, che
aveva nell’anima il ricordo della Napoli indipendente, retta da suoi
propri re, avviata verso maniere più moderne di governo, di economia e
di costume, fiorente di cultura, continuava la difesa dei perseguitati
ebrei, ricordando con parole elevate quanto la civiltà cristiana dovesse
a quel popolo e spregiando il pregiudizio della nobiltà riposta nella
razza.» [Benedetto Croce]
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