Discorsi, articoli e interventi pubblici di Benito Mussolini,
pronunciati e scritti tra il 1904 e il 1927. Le parole che hanno
costruito l’immaginario fascista. Un linguaggio che continua a segnare
il nostro presente. “Quelle parole, con il loro carico di immaginario,
sono tornate a circolare nella nostra mente e spesso nel nostro
linguaggio parlato. Sono tornate a essere ´parole gridate՝ e non più
solo ´parole sussurrate՝. E la forza del grido, se senza contrasto, le
rende ´parole ammesse՝. Ovvero ´legittime՝” (David Bidussa). Tre motivi
per leggerlo: perché le parole pesano e vanno riconosciute. “Me ne
frego”, “tiro dritto”, “prima gli italiani”, “chi si ferma è perduto”
sono espressioni fasciste, e ora di nuovo nel linguaggio diffuso, cui il
governo gialloverde strizza l’occhio e che ci riportano a una certa
idea di società, dove la politica è solo un mezzo per affermarsi e
zittire l’avversario. Perché leggere Mussolini è scioccante ma
rivelatore. È lui l’inventore dell’antipolitica, della critica
sprezzante dello Stato, dello sberleffo delle istituzioni. Le sue parole
ci riportano al tempo in cui il fascismo ha occupato il posto lasciato
libero dai partiti di allora, così come sta succedendo oggi in Italia.
Perché anche negli anni Venti l’opinione pubblica credeva di poter
cambiare le cose, convinta che le parole di Mussolini fossero finalmente
il segno che l’Italia non era più nelle mani dello straniero, dei
“professionisti della politica, della classe dirigente corrotta,
servile, prigioniera dei poteri forti (soprattutto stranieri)”.
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