Scritto a caldo nel 1978, questo libro non ha che guadagnato con gli
anni. Mentre, in una nobile gara di codardia, i politici italiani,
nonché i giornalisti, si affannavano a dichiarare che le lettere di Moro
dalla prigionia erano opera di un pazzo o comunque prive di valore
perché risultanti da una costrizione, Sciascia si azzardò a leggerle,
con l’acume e lo scrupolo che sempre aveva verso qualsiasi documento.
Riuscì in tal modo, sulla base di quelle lettere, a ricostruire una
intelaiatura di pensieri, di correlazioni, di fatti che sono, fino a
oggi, ciò che più ci ha permesso di capire, o di avvicinarci a capire,
un episodio orribile della nostra storia. Presentando il libro nella sua
ultima edizione (1983), Sciascia scriveva opportunamente «questo libro
potrebbe anche esser letto come “opera letteraria”. Ma l’autore – come
membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla “affaire” – ha
continuato a viverlo come “opera di verità” e perciò lo si ripubblica
(non più col rischio delle polemiche, ma del silenzio) con l’aggiunta
della relazione di minoranza (di assoluta minoranza) presentata in
Commissione e al Parlamento. Una relazione che l’autore ha voluto al
possibile stringare, nella speranza abbia la sorte di esser largamente
letta: qual di solito non hanno le voluminosissime relazioni che vengono
fuori dalle inchieste parlamentari».
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