Sono italiani due volte i trecentomila che in un lungo esodo durato
oltre vent'anni dopo la Seconda guerra mondiale lasciarono l'Istria,
Fiume e Zara. Erano nati italiani e scelsero di rimanere tali quando il
trattato di pace del 10 febbraio 1947 assegnò quelle regioni alla
Jugoslavia comunista del maresciallo Tito. A rievocare una storia a
lungo trascurata del nostro Novecento è un'inchiesta originale e serrata
dove al racconto dei fatti Dino Messina accompagna le testimonianze
inedite dei parenti delle vittime della violenza titina e di chi bambino
lasciò la casa natale senza la speranza di potervi tornare. Un dramma
nazionale in tre grandi atti: il primo, con l'irredentismo, la vittoria
nella Grande guerra, il passaggio alla patria di regioni e città sotto
il dominio asburgico; seguiti dalla presa del potere fascista con le
politiche anti-slave e la guerra accanto ai nazisti. La secondo fase
inizia con le ondate di violenza dei partigiani di Tito nell'autunno del
1943 e nella primavera del 1945. Trieste, Pola e i centri dell'Istria
occidentale, Fiume e Zara, da province irredente divennero terre di
conquista jugoslava. Al biennio di terrore e alla stagione delle foibe,
seguirono altri anni di pressioni e paura. Sino al terzo atto, dal 10
febbraio 1947, che segnò la più grande ondata dell'esodo. E
successivamente un'altra massiccia partenza dalla zona assegnata alla
Jugoslavia dopo il Memorandum di Londra del 1954, che stabilì il ritorno
di Trieste all'Italia. A migliaia di fuggitivi, dopo il terrore e lo
sradicamento, toccò l'umiliazione dei campi profughi. Una pagina tragica
della nostra storia che trova in questo libro una ricostruzione
puntuale.
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