Dopo la fine della guerra, tra il maggio e il giugno 1945, migliaia di
italiani della Venezia Giulia, dell'Istria e della Dalmazia vengono
uccisi dall'esercito jugoslavo del maresciallo Tito, molti di loro sono
gettati nelle "foibe", che si trasformano in grandi fosse comuni, molti
altri deportati nei campi della Slovenia e della Croazia, dove muoiono
di stenti e di malattie. Le stragi si inquadrano in una strategia
politica mirata a colpire tutti coloro che si oppongono all'annessione
delle terre contese alla nuova Jugoslavia: cadono collaborazionisti e
militi della repubblica di Salò, ma anche membri dei comitati di
liberazione nazionale, partigiani combattenti, comunisti contrari alle
cessioni territoriali e cittadini comuni.
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