Un’adolescente si risveglia sola e confusa in un luogo sconosciuto: un
piccolo appartamento, senza finestre, anticonvenzionale, sebbene in
ordine, pulito. È stata rapita – narcotizzata e rapita. Lo realizza
leggendo la nota che trova vicino a sé: chi l’ha rapita ha lasciato
delle minime spiegazioni. Fra queste, che la porta dell’appartamento è
solida, chiusa a chiave e non è destinata ad aprirsi. L’adolescente teme
per la propria vita. Per la propria virtù – parola che tuttavia non è
lei a utilizzare. La nota, le note, che numerose si susseguono,
contengono delle rassicurazioni. Chi ha rapito l’adolescente non entrerà
mai nell’appartamento. O almeno così scrive. Sembra la verità: i pasti
vengono forniti attraverso un apposito sportello, e attraverso lo
sportello vengono scambiate le note. Non sono previste altre forme di
comunicazione. Chi ha rapito l’adolescente vorrebbe destinarle
un’educazione sperimentale, estremamente sperimentale. Ma a differenza
del proverbiale caso svedese, tra vittima e carnefice non nasce alcuna
empatia, si sviluppa semmai una sorta di duello.
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