C’era una volta a Varsavia. 1937. A pochi mesi dall’invasione nazista e
in un clima politico di crescente dittatura e inconsapevolezza del
futuro, si svolge l’ascesa di Jakub Shapiro, ebreo, gran pugile ma anche
un assassino al servizio del capomafia della comunità israelitica. La
racconta, cinquanta anni dopo, da Tel Aviv dove si era rifugiato in
tempo, Moises Inbar, all’epoca diciassettenne, che di Jakub era
diventato l’ombra. Da quando Jakub ha ucciso con sanguinaria crudeltà il
mite padre di Moises, il ragazzo è una specie di specchio del
travolgente criminale, in un rapporto odio-identificazione difficile da
decifrare. Del boss avventuroso, il fragile ragazzino ebreo testimonia,
ammirato e schifato, gli atti e le passioni di una vita avida, in un
continuo di episodi e figure travagliate, ebrei e non ebrei, nessuna
delle quali solo comprimaria ma sempre caratterizzata da una propria
storia (il capomafia, la tenutaria del bordello, la moglie ebrea
borghese, l’amante polacca aristocratica, il fratello sionista
idealista, il killer mostruoso con il suo demone, e i molti minori che
compongono lo sfondo sociale). Soprattutto Moises avverte del «re di
Varsavia» quel «nucleo oscuro» che rende in fondo contraddittorio ogni
suo successo. E che preannuncia qualcosa di terribilmente triste e
sorprendente. Il re di Varsavia è un romanzo criminale; è un romanzo
storico sulla Varsavia antisemita e capitale dell’ebraismo, divisa tra
l’aspirazione a metropoli europea e un autoritarismo provinciale, mentre
scivola verso la tragedia; è un romanzo morale, sull’assuefazione alla
violenza e su quanta e quale ne è giustificata dalla voglia di rivalsa
di chi è oppresso; ed è un romanzo politico, sulle radici della nazione
di Israele. Da questo libro è stata prodotta una serie televisiva.
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