"La fotografia del bambino di Varsavia è vittima della sua grande
efficacia. Nell'era multimediale planetaria, un piccolo clic ci fa
passare da una vittima all'altra: clic! Mohammed al-Durah cancella il
bambino di Varsavia; clic! È il turno del piccolo Eliàn Gonzàlez... La
confusione sentimentale e politica è totale. L'immagine del ghetto di
Varsavia non è più un documento: ha smesso di essere uno strumento
pedagogico; sfocata, travestita, abusata, stravolta, sequestrata, ha
perduto la sua capacità di messa in guardia; non informa più, è erosa
dagli usi distorti. L'immagine si è modificata, consumata: portatrice
all'inizio di una verità fondamentale, è diventata supporto di menzogne
al servizio dei peggiori deliri. All'interno di un processo accelerato
di globalizzazione degli affetti, delle emozioni, delle sensibilità, si
fa sempre più riferimento 'all'opinione pubblica mondiale'. E ormai
l'unico dovere di questa opinione pubblica è di commuoversi, di
commuoversi spesso, di commuoversi e basta. L'analisi e la comprensione
dei processi storici vengono messe da parte a favore della sola
dimensione emotiva delle immagini. In sostanza, in una certa misura sono
delle storie senza storia - né quella degli individui né quella dei
popoli - quelle che oggi offrono agli occhi e alla comprensione queste
immagini. L'immagine ha cessato di essere archivio. Non sollecita più il
nostro desiderio di conoscere. Dopo essere stata verità, l'immagine si è
trasformata in menzogna."
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